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Storia D'Italia, L'estate di San Martino (418-425) - Ep. 27 (2)

L'estate di San Martino (418-425) - Ep. 27 (2)

Una principessa che non pettina bambole

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Immagine della croce di Desiderio (Brescia) tradizionalmente associata con Galla Placidia e i suoi due figli, Onoria e Valentiniano III

Antemio scompare dalla scena, senza che si sappia la sua fine, nel 414. In quell'anno Teodosio II aveva solo 13 anni e quindi la reggenza fu assunta da sua sorella e che di anni ne aveva ben 15. Vi chiederete voi: Cosa? Reggente una donna, e a 15 anni? Bè non parliamo di una donna comune, si tratta di una principessa capace di sottomettere anche il misogino mondo romano. Ora io ho una teoria sulla dinastia Teodosiana: la mia teoria è che ogni grammo di intelligenza invece di essere distribuito equamente tra i discendenti del nostro forse grande fu concentrato nelle donne. Aelia Pulcheria, questo il suo nome, doveva essere un tipo fuori dal comune, un naturale animale politico. Pulcheria, all'ombra di Antemio, era riuscita a coltivare le connessioni necessarie a costruire un potere personale sufficiente a rendere un'Augusta reggente di 15 anni un qualcosa di completamente accettabile. Un ruolo che, rullo di tamburi, manterrà per ben 40 anni costituendo il vero potere dietro al trono formalmente tenuto dal fratello. Pulcheria sarà nominata da Teodosio e dal Senato Augusta, un ruolo che tutti intesero sempre come pari al suo Augusto fratello. Un'imperatrice in tutto tranne che nel nome.

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Pulcheria, all'atto della sua ascesa al ruolo di Augusta, fece un voto solenne: quello di non sposarsi mai. Questo voto era una abile mossa politica, anche se sicuramente motivato da convinzioni personali – Pulcheria era molto religiosa. Rifiutando di sposarsi Pulcheria non sarebbe finita sotto il tallone di un uomo ma soprattutto non avrebbe inserito una variabile imprevedibile nel gioco del trono, un marito che magari avrebbe avuto l'interesse a rimuovere Teodosio e promuovere gli eventuali figli che avesse avuto da Pulcheria. In più, rifiutando di sposarsi, evitava che si accendesse la corsa alla sua mano o perfino una guerra civile che sarebbe stata debilitante per lo stato romano. No, la famiglia imperiale si sarebbe ersa al di sopra dei comuni mortali, avvolta in un'aria di misticismo e irraggiungibilità. Spoiler alert, prima di morire Pulcheria alla fine si sposerà, ma sarà comunque per ragioni di stato, come vedremo a tempo debito.

Andiamo avanti 6 anni, al 421, e possiamo capire come venisse considerato da Pulcheria l'inserimento nel collegio imperiale del marito di Galla Placidia, lei che aveva rinunciato a sposarsi pur di tenere uomini ambiziosi lontani dall'inarrivabile trono della premiata ditta Valentiniano-teodosiana.

Non è tutto oro quel che luccica

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Solidus di Flavio Costanzo: a Ravenna nel mausoleo di Galla Placidia c'è un sarcofago forse attribuito a lui (in basso)

L'ironia della sorte è che Flavio Costanzo, a quanto ci dice Olimpiodoro, non era affatto contento della sua nuova carica: da patrizio, ovvero da sostanziale primo ministro dell'impero d'occidente, era libero di svolgere il suo ruolo politico senza i fronzoli e gli orpelli che oramai caratterizzavano il ruolo dell'imperatore. Di nuovo, immaginatevi l'imperatore del quinto secolo come un incrocio tra il Presidente della Repubblica e il Papa: l'imperatore è oramai una figura istituzionale, deve presiedere lunghe e pompose cerimonie che servono a consolidare l'immagine altera del potere imperiale, ha un ruolo di capo religioso, deve partecipare a un numero estenuante di messe, processioni, cerimonie liturgiche delle quali è il fulcro in quanto capo dello stato Romano cristianizzato. Insomma, essere un Augusto vuol dire perdere un bel po' di tempo in cerimonie, proprio il genere di cose alle quali il pratico Flavio Costanzo era allergico.

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Sarcofago detto di Costanzo III (Flavio Costanzo), Mausoleo di Galla Placidia, Ravenna

Ma il nostro eroe non ebbe il tempo di disperarsi troppo: prima che il 421 volgesse al termine volse al termine anche la vita di Flavio Costanzo, oramai rinominato Costanzo III, il nome con il quale è spesso conosciuto nei libri di storia. Costanzo morì proprio mentre si accingeva a preparare una spedizione contro l'oriente, cosa che forse fu utile allo stato romano anche se la sua morte ripiomberà l'occidente nella spasmodica ricerca di un nuovo equilibrio politico-militare, una ricerca che durerà più di dieci anni.

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Flavio Costanzo è una figura dimenticata della storia romana, in parte perché visse in un'epoca poco conosciuta. Il quinto secolo, come tutta la tarda antichità, è poco studiato dagli amanti dell'antica Roma in quanto secolo di decadenza dell'amato impero, oltre ad essere poco studiato dagli amanti del medioevo, perché non ancora visibilmente medioevale come il periodo post-Carolingio. Eppure altre figure di leader del tardo impero sono ben più conosciute, come ad esempio Stilicone ed Ezio, pur essendo a mio avviso di assai minor successo. Stilicone finì vittima di una congiura e del disastro dell'invasione barbarica del 406, Ezio avrà i suoi successi ma non credo al livello del nostro Costanzo. A Flavio Costanzo fu data una delle peggiori mani di poker della storia, una collezione sconclusionata di numeri bassi e di diverso segno, e avendo di fronte giocatori forti e determinati. Eppure, incontestabilmente, vinse tutte le sue partite e riportò in auge un'araba fenice, l'Impero, che pareva morta e sepolta. Se la sua opera avesse avuto continuità forse l'impero avrebbe potuto riprendere vigore e Costanzo sarebbe stato ricordato come un nuovo Aureliano, l'uomo che più di tutti contribuì a invertire i destini declinanti dell'Impero Romano nel terzo secolo.

Il suo oblio è credo determinato da quello che accadde dopo la sua morte: l'impero tornerà presto alla sua marcia verso la dissoluzione, eppure non subito, segno che la ripresa imperiale non era così effimera: l'estate di San Martino dell'impero durerà ancora qualche anno. Ci vorrà un nuovo round di guerre civili per indebolire nuovamente l'occidente e in questo, nell'ineluttabile lotta per il controllo di un potere effimero, c'è il destino gramo dell'occidente, sempre intento a consumare sé stesso nell'impossibile tentativo di acquisire il potere e lo status derivante da cariche che avevano sempre minor significato.

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L'Impero ricomposto da Flavio Costanzo, nel 421: da notare che i Visigoti e i Franchi erano foederati dell'Impero e pertanto nel sistema romano. Solo Svevi e Vandali in Iberia sfuggivano ancora al controllo imperiale

Le guerre civili non erano però delle disgrazie che colpivano come temporali a ciel sereno i poveri romani innocenti: il sistema politico che avevano congegnato, un misto di monarchia semi-ereditaria e istituzioni repubblicane, vi era tremendamente esposto. Costanzo, per arrivare alla sua augusta carica, era salito sulle ossa dei cadaveri dei suoi nemici, fatti fuori uno ad uno. Poi aveva passato gli anni al potere a riempire lo stato di uomini che dovevano la fiducia a lui solo. Come quasi sempre avviene nei regimi autoritari quando Costanzo morì non lascio alcun delfino pronto a sostituirlo, lui stesso aveva fatto in modo che non ci fosse, in modo da evitare l'ascesa di un potenziale rivale che lo potesse far fuori. In questo quadro la guerra civile era inevitabile. Alla morte di Costanzo seguirà più di un decennio di caos, durante il quale i molti poteri non-romani presenti nell'impero ne approfitteranno per divorarne altri pezzi, sempre nella certezza che il giocattolo imperiale non si potesse rompere, ma solo mungere. Eppure un giorno si ruppe.

Galla Placidia prende le redini

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Solidus di Galla Placidia

Nella corte di Ravenna, oltre al solito inamovibile Onorio, c'erano diverse fazioni a contendersi il potere, una frase che sono sicuro che vi stupirà. Nel solito gioco del trono si inserì Galla Placidia, moglie di Flavio Costanzo e madre dell'erede al trono. Galla aveva l'appoggio di diversi alti ufficiali e lavorò alacremente per conquistare influenza sul suo augusto fratello Onorio. Le lingue lunghe sostengono che fece molto, anche troppo, cose che di solito non si fanno tra fratelli, a meno di chiamarsi Lannister. Infatti fratello e sorella spesso si scambiavano segni di affetto un po' troppo evidenti. Galla cercava in tutti i modi di conquistare influenza a corte: aveva costruito una solida rete di rapporti con alti ufficiali romani ma anche con molti Goti, che la ritenevano ancora una sorta di regina del loro popolo, in onore dell'antico matrimonio con Athaulf. La sua politica era quindi in generale di accomodamento con i foederati dell'impero.

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Ma alla fine a prendere il potere a Ravenna fu la fazione avversa, quella che preferiva una politica di fermezza nei confronti dei barbari, in modo da ricondurli nell'alveo della legalità: pare che la moglie di uno dei generali imperiali, una certa Padusia, riuscì a mettere zizzania tra fratello e sorella. La fazione anti-barbarica decise di passare immediatamente all'attacco con una azione militare volta a consolidare il nuovo regime.

Flavio Costanzo aveva ignorato nei suoi ultimi anni la situazione in Iberia: qui il re dei Vandali e degli Alani, Gunderic, era in guerra contro gli Svevi. La situazione sembrava propizia per l'impero, visto che avrebbe potuto allearsi con i deboli Svevi per sconfiggere Gunderic. Il locale Comes della Spagna aveva sollecitato un aiuto e Ravenna aveva deciso di rispondere.

La spedizione fu organizzata per il 422, a capo c'era il generale Castino e come secondo in comando c'era Bonifacio, un uomo di Galla Placidia che era a capo di un robusto contingente di foederati Visigoti. C'erano tutti gli auspici per schiacciare i Vandali e porre fine alla minaccia di questo gruppo barbarico.

Ma poi tutto andò storto: Castino e Bonifacio litigarono tra di loro, non sappiamo esattamente la ragione salvo che Bonifacio e i suoi Visigoti abbandonarono la campagna. Bonifacio addirittura decise di prendere il mare e tornare in Africa, regione che era diventata una sorta di feudo personale. Castino, privo del supporto dei Visigoti, fu sconfitto a Tarragona dai Vandali e costretto a ritirarsi dalla Spagna. Gunderic aveva vinto.

Onorio smette di non far nulla

Castino ovviamente diede la colpa della sconfitta al comportamento di Bonifacio e per estensione della sua protettrice Galla Placidia, questa si ritrovò in una difficile situazione politica. A Costantinopoli, proprio in quell'anno 422, Pulcheria e Teodosio ricevettero una visita inaspettata: Galla Placidia e suo figlio Valentiniano erano partiti da Ravenna e si erano rifugiati a Nuova Roma. La sempre accorta Augusta aveva fiutato l'aria malsana di Ravenna e aveva deciso di abbandonarne le paludi.

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La tempistica fu quanto meno disastrosa. Infatti l'anno successivo, il 15 agosto del 423, morì improvvisamente Onorio, a causa di un edema. Aveva 38 anni e aveva regnato, se questo è il termine giusto, per ben 28 anni. Nella classifica degli imperatori romani con il più lungo regno è quinto dopo suo nipote Teodosio II, Augusto, Costantino e il figlio di Flavio Costanzo, Valentiniano III. Una delle ironie della storia romana è che grandi imperatori ebbero la vita tragicamente tagliata corta da malattie, incidenti o più spesso congiure. Onorio invece, l'inutile, imbelle, incapace, riprovevole Onorio, bè proprio lui morì di morte naturale, nel suo letto, anche se piuttosto giovane. La sua sopravvivenza agli innumerevoli usurpatori fu in parte davvero miracolosa, ma è anche dovuta alla modificata natura del potere imperiale: oramai l'imperatore era diventato una figura sacrale, religiosa, un simbolo dell'unità dello stato romano senza reali poteri politici, o almeno con poteri limitati. L'imperatore doveva ergersi al di sopra del battibecco politico, come un monarca costituzionale, o un presidente della Repubblica. Abbattere e fare fuori Onorio non era impossibile: era inutile e controproducente, visto che avrebbe solamente attratto l'ira della corte di Costantinopoli, sempre attenta a mantenere il monopolio sulla dignità imperiale della dinastia Valentiniano-Teodosiana. Per un politico ambizioso era meglio mantenere Onorio sul trono dei Cesari e manipolarlo per giungere a farsi nominare Patrizio o Magister Militum, vale a dire lo Shogun dell'Impero Romano d'occidente.

Entra in scena il maestro burattinaio

La morte di Onorio fu comunque un disastro perché cadde proprio nel momento sbagliato: il suo erede naturale era un bambino di appena sei anni e, cosa ancora più grave, in questo momento non era a Ravenna ma a Costantinopoli. Come abbiamo visto l'impero era oramai sempre più avviato verso la successione dinastica ma, eredità testarda di una Repubblica trasformatasi in impero, la successione continuava a richiedere una sorta di elezione o di acclamazione che poteva avvenire solo se la successione era indubbia, se era disponibile un erede capace di catalizzare naturalmente il consenso generale.

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L'estate di San Martino (418-425) - Ep. 27 (2) Der Sommer des Heiligen Martin (418-425) - Ep. 27 (2) The Summer of St. Martin (418-425) - Ep. 27 (2) O verão de São Martinho (418-425) - Ep. 27 (2)

Una principessa che non pettina bambole ||||comb hair|dolls

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Immagine della croce di Desiderio (Brescia) tradizionalmente associata con Galla Placidia e i suoi due figli, Onoria e Valentiniano III

Antemio scompare dalla scena, senza che si sappia la sua fine, nel 414. In quell'anno Teodosio II aveva solo 13 anni e quindi la reggenza fu assunta da sua sorella e che di anni ne aveva ben 15. ||||||||||regency||assumed|||||||||| Vi chiederete voi: Cosa? Reggente una donna, e a 15 anni? Bè non parliamo di una donna comune, si tratta di una principessa capace di sottomettere anche il misogino mondo romano. Ora io ho una teoria sulla dinastia Teodosiana: la mia teoria è che ogni grammo di intelligenza invece di essere distribuito equamente tra i discendenti del nostro forse grande fu concentrato nelle donne. Aelia Pulcheria, questo il suo nome, doveva essere un tipo fuori dal comune, un naturale animale politico. Pulcheria, all'ombra di Antemio, era riuscita a coltivare le connessioni necessarie a costruire un potere personale sufficiente a rendere un'Augusta reggente di 15 anni un qualcosa di completamente accettabile. Un ruolo che, rullo di tamburi, manterrà per ben 40 anni costituendo il vero potere dietro al trono formalmente tenuto dal fratello. ||||||||||constituting|||||||||| Pulcheria sarà nominata da Teodosio e dal Senato Augusta, un ruolo che tutti intesero sempre come pari al suo Augusto fratello. Pulcheria|||||||||||||||||||| Un'imperatrice in tutto tranne che nel nome.

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Pulcheria, all'atto della sua ascesa al ruolo di Augusta, fece un voto solenne: quello di non sposarsi mai. |at the time|||||||Empress||||||||| Questo voto era una abile mossa politica, anche se sicuramente motivato da convinzioni personali – Pulcheria era molto religiosa. Rifiutando di sposarsi Pulcheria non sarebbe finita sotto il tallone di un uomo ma soprattutto non avrebbe inserito una variabile imprevedibile nel gioco del trono, un marito che magari avrebbe avuto l'interesse a rimuovere Teodosio e promuovere gli eventuali figli che avesse avuto da Pulcheria. In più, rifiutando di sposarsi, evitava che si accendesse la corsa alla sua mano o perfino una guerra civile che sarebbe stata debilitante per lo stato romano. ||||||||||||||||||||||debilitating|||| No, la famiglia imperiale si sarebbe ersa al di sopra dei comuni mortali, avvolta in un'aria di misticismo e irraggiungibilità. |||||||||||||||||mysticism||unreachable status Spoiler alert, prima di morire Pulcheria alla fine si sposerà, ma sarà comunque per ragioni di stato, come vedremo a tempo debito.

Andiamo avanti 6 anni, al 421, e possiamo capire come venisse considerato da Pulcheria l'inserimento nel collegio imperiale del marito di Galla Placidia, lei che aveva rinunciato a sposarsi pur di tenere uomini ambiziosi lontani dall'inarrivabile trono della premiata ditta Valentiniano-teodosiana.

Non è tutto oro quel che luccica

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Solidus di Flavio Costanzo: a Ravenna nel mausoleo di Galla Placidia c'è un sarcofago forse attribuito a lui (in basso)

L'ironia della sorte è che Flavio Costanzo, a quanto ci dice Olimpiodoro, non era affatto contento della sua nuova carica: da patrizio, ovvero da sostanziale primo ministro dell'impero d'occidente, era libero di svolgere il suo ruolo politico senza i fronzoli e gli orpelli che oramai caratterizzavano il ruolo dell'imperatore. Di nuovo, immaginatevi l'imperatore del quinto secolo come un incrocio tra il Presidente della Repubblica e il Papa: l'imperatore è oramai una figura istituzionale, deve presiedere lunghe e pompose cerimonie che servono a consolidare l'immagine altera del potere imperiale, ha un ruolo di capo religioso, deve partecipare a un numero estenuante di messe, processioni, cerimonie liturgiche delle quali è il fulcro in quanto capo dello stato Romano cristianizzato. Insomma, essere un Augusto vuol dire perdere un bel po' di tempo in cerimonie, proprio il genere di cose alle quali il pratico Flavio Costanzo era allergico.

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Sarcofago detto di Costanzo III (Flavio Costanzo), Mausoleo di Galla Placidia, Ravenna

Ma il nostro eroe non ebbe il tempo di disperarsi troppo: prima che il 421 volgesse al termine volse al termine anche la vita di Flavio Costanzo, oramai rinominato Costanzo III, il nome con il quale è spesso conosciuto nei libri di storia. Costanzo morì proprio mentre si accingeva a preparare una spedizione contro l'oriente, cosa che forse fu utile allo stato romano anche se la sua morte ripiomberà l'occidente nella spasmodica ricerca di un nuovo equilibrio politico-militare, una ricerca che durerà più di dieci anni.

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Flavio Costanzo è una figura dimenticata della storia romana, in parte perché visse in un'epoca poco conosciuta. Il quinto secolo, come tutta la tarda antichità, è poco studiato dagli amanti dell'antica Roma in quanto secolo di decadenza dell'amato impero, oltre ad essere poco studiato dagli amanti del medioevo, perché non ancora visibilmente medioevale come il periodo post-Carolingio. Eppure altre figure di leader del tardo impero sono ben più conosciute, come ad esempio Stilicone ed Ezio, pur essendo a mio avviso di assai minor successo. Stilicone finì vittima di una congiura e del disastro dell'invasione barbarica del 406, Ezio avrà i suoi successi ma non credo al livello del nostro Costanzo. A Flavio Costanzo fu data una delle peggiori mani di poker della storia, una collezione sconclusionata di numeri bassi e di diverso segno, e avendo di fronte giocatori forti e determinati. Eppure, incontestabilmente, vinse tutte le sue partite e riportò in auge un'araba fenice, l'Impero, che pareva morta e sepolta. Se la sua opera avesse avuto continuità forse l'impero avrebbe potuto riprendere vigore e Costanzo sarebbe stato ricordato come un nuovo Aureliano, l'uomo che più di tutti contribuì a invertire i destini declinanti dell'Impero Romano nel terzo secolo.

Il suo oblio è credo determinato da quello che accadde dopo la sua morte: l'impero tornerà presto alla sua marcia verso la dissoluzione, eppure non subito, segno che la ripresa imperiale non era così effimera: l'estate di San Martino dell'impero durerà ancora qualche anno. Ci vorrà un nuovo round di guerre civili per indebolire nuovamente l'occidente e in questo, nell'ineluttabile lotta per il controllo di un potere effimero, c'è il destino gramo dell'occidente, sempre intento a consumare sé stesso nell'impossibile tentativo di acquisire il potere e lo status derivante da cariche che avevano sempre minor significato.

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L'Impero ricomposto da Flavio Costanzo, nel 421: da notare che i Visigoti e i Franchi erano foederati dell'Impero e pertanto nel sistema romano. Solo Svevi e Vandali in Iberia sfuggivano ancora al controllo imperiale

Le guerre civili non erano però delle disgrazie che colpivano come temporali a ciel sereno i poveri romani innocenti: il sistema politico che avevano congegnato, un misto di monarchia semi-ereditaria e istituzioni repubblicane, vi era tremendamente esposto. Costanzo, per arrivare alla sua augusta carica, era salito sulle ossa dei cadaveri dei suoi nemici, fatti fuori uno ad uno. Poi aveva passato gli anni al potere a riempire lo stato di uomini che dovevano la fiducia a lui solo. Come quasi sempre avviene nei regimi autoritari quando Costanzo morì non lascio alcun delfino pronto a sostituirlo, lui stesso aveva fatto in modo che non ci fosse, in modo da evitare l'ascesa di un potenziale rivale che lo potesse far fuori. In questo quadro la guerra civile era inevitabile. Alla morte di Costanzo seguirà più di un decennio di caos, durante il quale i molti poteri non-romani presenti nell'impero ne approfitteranno per divorarne altri pezzi, sempre nella certezza che il giocattolo imperiale non si potesse rompere, ma solo mungere. Eppure un giorno si ruppe.

Galla Placidia prende le redini

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Solidus di Galla Placidia

Nella corte di Ravenna, oltre al solito inamovibile Onorio, c'erano diverse fazioni a contendersi il potere, una frase che sono sicuro che vi stupirà. Nel solito gioco del trono si inserì Galla Placidia, moglie di Flavio Costanzo e madre dell'erede al trono. Galla aveva l'appoggio di diversi alti ufficiali e lavorò alacremente per conquistare influenza sul suo augusto fratello Onorio. Le lingue lunghe sostengono che fece molto, anche troppo, cose che di solito non si fanno tra fratelli, a meno di chiamarsi Lannister. Infatti fratello e sorella spesso si scambiavano segni di affetto un po' troppo evidenti. Galla cercava in tutti i modi di conquistare influenza a corte: aveva costruito una solida rete di rapporti con alti ufficiali romani ma anche con molti Goti, che la ritenevano ancora una sorta di regina del loro popolo, in onore dell'antico matrimonio con Athaulf. La sua politica era quindi in generale di accomodamento con i foederati dell'impero.

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Ma alla fine a prendere il potere a Ravenna fu la fazione avversa, quella che preferiva una politica di fermezza nei confronti dei barbari, in modo da ricondurli nell'alveo della legalità: pare che la moglie di uno dei generali imperiali, una certa Padusia, riuscì a mettere zizzania tra fratello e sorella. La fazione anti-barbarica decise di passare immediatamente all'attacco con una azione militare volta a consolidare il nuovo regime.

Flavio Costanzo aveva ignorato nei suoi ultimi anni la situazione in Iberia: qui il re dei Vandali e degli Alani, Gunderic, era in guerra contro gli Svevi. La situazione sembrava propizia per l'impero, visto che avrebbe potuto allearsi con i deboli Svevi per sconfiggere Gunderic. Il locale Comes della Spagna aveva sollecitato un aiuto e Ravenna aveva deciso di rispondere.

La spedizione fu organizzata per il 422, a capo c'era il generale Castino e come secondo in comando c'era Bonifacio, un uomo di Galla Placidia che era a capo di un robusto contingente di foederati Visigoti. C'erano tutti gli auspici per schiacciare i Vandali e porre fine alla minaccia di questo gruppo barbarico.

Ma poi tutto andò storto: Castino e Bonifacio litigarono tra di loro, non sappiamo esattamente la ragione salvo che Bonifacio e i suoi Visigoti abbandonarono la campagna. Bonifacio addirittura decise di prendere il mare e tornare in Africa, regione che era diventata una sorta di feudo personale. Castino, privo del supporto dei Visigoti, fu sconfitto a Tarragona dai Vandali e costretto a ritirarsi dalla Spagna. Gunderic aveva vinto.

Onorio smette di non far nulla

Castino ovviamente diede la colpa della sconfitta al comportamento di Bonifacio e per estensione della sua protettrice Galla Placidia, questa si ritrovò in una difficile situazione politica. A Costantinopoli, proprio in quell'anno 422, Pulcheria e Teodosio ricevettero una visita inaspettata: Galla Placidia e suo figlio Valentiniano erano partiti da Ravenna e si erano rifugiati a Nuova Roma. La sempre accorta Augusta aveva fiutato l'aria malsana di Ravenna e aveva deciso di abbandonarne le paludi.

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La tempistica fu quanto meno disastrosa. Infatti l'anno successivo, il 15 agosto del 423, morì improvvisamente Onorio, a causa di un edema. Aveva 38 anni e aveva regnato, se questo è il termine giusto, per ben 28 anni. Nella classifica degli imperatori romani con il più lungo regno è quinto dopo suo nipote Teodosio II, Augusto, Costantino e il figlio di Flavio Costanzo, Valentiniano III. Una delle ironie della storia romana è che grandi imperatori ebbero la vita tragicamente tagliata corta da malattie, incidenti o più spesso congiure. Onorio invece, l'inutile, imbelle, incapace, riprovevole Onorio, bè proprio lui morì di morte naturale, nel suo letto, anche se piuttosto giovane. La sua sopravvivenza agli innumerevoli usurpatori fu in parte davvero miracolosa, ma è anche dovuta alla modificata natura del potere imperiale: oramai l'imperatore era diventato una figura sacrale, religiosa, un simbolo dell'unità dello stato romano senza reali poteri politici, o almeno con poteri limitati. L'imperatore doveva ergersi al di sopra del battibecco politico, come un monarca costituzionale, o un presidente della Repubblica. Abbattere e fare fuori Onorio non era impossibile: era inutile e controproducente, visto che avrebbe solamente attratto l'ira della corte di Costantinopoli, sempre attenta a mantenere il monopolio sulla dignità imperiale della dinastia Valentiniano-Teodosiana. Per un politico ambizioso era meglio mantenere Onorio sul trono dei Cesari e manipolarlo per giungere a farsi nominare Patrizio o Magister Militum, vale a dire lo Shogun dell'Impero Romano d'occidente.

Entra in scena il maestro burattinaio

La morte di Onorio fu comunque un disastro perché cadde proprio nel momento sbagliato: il suo erede naturale era un bambino di appena sei anni e, cosa ancora più grave, in questo momento non era a Ravenna ma a Costantinopoli. Come abbiamo visto l'impero era oramai sempre più avviato verso la successione dinastica ma, eredità testarda di una Repubblica trasformatasi in impero, la successione continuava a richiedere una sorta di elezione o di acclamazione che poteva avvenire solo se la successione era indubbia, se era disponibile un erede capace di catalizzare naturalmente il consenso generale.