CAPITOLO VIII
Le campane suonavano a distesa e la popolazione si pigiava nel tempio per assistere alla messa pontificale. Finalmente, anche alla cappella di santa Dorotea era stata levata la cortina, e tutti potevano ammirare l'effigie della patrona di Mirlovia, superbamente bella nel suo nuovo abbigliamento da contessa.
Frattanto, un personaggio secco e barbuto, seguito dal commissario di Borgoflores e dal visconte Daguilar, saliva per la scaletta del campanile. Il personaggio secco e barbuto era il medico del paese, uomo di molta coltura e di retto criterio, già premiato da parecchie accademie per una dissertazione sulla spinite, considerata nè suoi rapporti colla letteratura verista.
Il conte Bradamano era un marito tiranno, un marito bestia, un marito impossibile; pure, a vederlo là, in quell'angolo di campanile, rannicchiato, impotente a sollevarsi, assordato dagli squilli, nessuno, tranne forse sua moglie, avrebbe osato applaudire alla giustizia del fato.
All'apparire del medico, il disgraziato trovò la forza di sorreggersi ed esalò dal petto un sospiro di soddisfazione. Il visconte ed il commissario si trattennero in disparte; il medico si fece innanzi, dichiarò al conte i suoi titoli e lo scopo della sua visita, e procedette alla ispezione delle parti compromesse.
--Nulla di allarmante, disse poi al paziente; una settimana di letto, un cataplasma, e tutto sarà finito. Ciò che seriamente mi preoccupa è la difficoltà della vostra situazione... In ogni modo, è necessario che io vi tolga da questo luogo, dove all'altre sofferenze si aggiunge anche il martirio delle campane... Converrà rassegnarsi, mio caro signore. La scala della torre è troppo angusta perché due uomini possano discendere per quella, sostenendovi tra le braccia. Sarà d'uopo collocarvi in una cesta e calarvi dal campanile a mezzo d'una fune. A questo, se vi piace, verrà provveduto immediatamente.
--Fate! fate pure! rispose il conte colla massima calma; se più rimanessi, quelle campane mi ucciderebbero.
Il medico si scostò dal paziente, e fattosi dappresso ai due che lo avevano seguito: mi pare, disse loro a voce bassa, che le facoltà mentali di quell'uomo sieno in pieno equilibrio. Ad ogni modo, sarà utile sottoporlo a qualche prova. Venite... facciamolo parlare... pulsiamogli i tasti più sensibili... usiamo di tutti i mezzi che la scienza mette a nostra disposizione, perchè una diagnosi non fallisca.
--Mi riconoscete, signore? chiese il commissario presentandosi al conte.
--Perfettamente, rispose questi; godo di rivedervi, signor commissario; non avrei mai pensato di incontrarvi sul campanile della chiesa di Mirlovia.
--Casi che accadono ogni giorno! esclamò il commissario alquanto sconcertato; e cedendo il posto al visconte, mormorò nell'orecchio del medico: eppure io vi dico che è pazzo.
--Mi gode l'animo, cominciò il visconte, di essere stato prescelto all'incarico di comunicarvi una notìzia che deve riempirvi di gioia. Mi affretto dunque ad annunziarvi che la vostra degnissima consorte, la signora contessa di Karolystria, ha nella scorsa notte dato alla luce un figlio maschio perfettamente conformato, al quale monsignor vescovo di Guttinga imporrà oggi stesso il vostro riverito nome!...
--La contessa!... un figlio!... il vescovo di Guttinga!... il mio nome!...
Il conte era ridiventato livido e i suoi occhi gettavano fiamme.
--Calmatevi! disse il medico, osservandolo coll'occhìo penetrante dello scienziato che afferra un sintomo; la paternità non è scevra di disturbi, ma a questi porge largo compenso l'amore dei figli.
--Io non riconosco a quella donna il diritto di regalarmi una prole, gridò il conte serrando i pugni.
Il medico si scostò da lui, e fattosi dappresso agli altri due, disse a voce bassa:
--Questo accesso di furore mi metterebbe in sospetto, pure non abbiamo ancora gli estremi coi quali ci sia dato formulare un giudizio assoluto.
--Pazzo da legare! mormorò il commissario crollando la testa.
Il visconte taceva, e spaziava collo sguardo nella piazza sottostante, coll'aria di un annoiato che cerca divagarsi.
--Un pazzo, ripigliò il medico, non è altra cosa che un pianoforte scordato; convien toccargli tutti i tasti per far vibrare la corda che risponde falso.
--Toccatelo sul tasto della politica, disse il visconte sbadatamente, mentre i suoi occhi dilatati si affissavano a qualche oggetto lontano che lo attraeva.
--Sarebbe una soperchieria, rispose il medico solennemente; toccate sul tasto della politica l'uomo più assennato e più calmo; ne uscirà una dissonanza così mostruosa da farlo ritenere maniaco,
Il medico non aveva finito di parlare, che un coro di voci umane rinforzato dallo squillo delle fanfare salì dalla piazza al campanile.
--La processione esce dalla chiesa, disse il visconte; osservate! ammirate! qual splendida pompa di paramenti e di lumi!
Il commissario si scoperse il capo e piegò il ginocchio...
--Un momento! un momento! gridò il medico; ho bisogno del vostro braccio. Mi è venuto un pensiero...
E fatto un passo verso il conte, che, a giudicarne dai tratti del volto, si era alquanto rabbonito:
--Signore, gli disse battendogli paternamente la spalla; affacciandovi a quel parapetto, voi potrete dare uno sguardo alla processione che sfila in questo momento sul sagrato. Nulla giova tanto a distrarre le tetre immagini dallo spirito umano, quanto la vista dì una pompa religiosa. Venite! noi vi sorreggeremo.
Il conte era divoto. Già il suono delle lontane fanfare (le quali sia detto fra noi, erano atrocemente stonate) aveva predisposto l'animo di lui alle emozioni di un soave misticismo. Egli si lasciò trascinare al parapetto, e appoggiandosi al braccio del medico, si mise in posizione da poter collo sguardo dominare un gran tratto della piazza.
Al veder quella doppia schiera di popolo e di sacerdoti che muoveva pel sagrato salmodiando, all'udire le voci paradisiache dei chierichetti e delle vergini (se ne trova ancora nelle processioni), respirando il profumo degli incensi e dei ceri sollevato dalla brezza, un rapimento quasi divino assorbì l'anima del conte. Se non temessi di commettere un irriverente bisticcio, direi, che dinanzi a quel sublime spettacolo, a lui parve di obliare la sua terribile posizione di conte contuso.
Qual dolce risveglio di sentimenti e di ricordi! Egli tornava col pensiero a quell'epoca beata della fanciullezza, quando le solennità della chiesa, il presepio, la scarpetta esposta sul terrazzo per accogliere le strenne dei Magi, una messa servita al cappellano nell'avito castello, la processione del _Corpus Domini_ e le litanie delle Rogazioni occupavano tanta parte dè suoi pensieri, rappresentavano i suoi tripudii più graditi.
Sventurato mille volte colui (mi si permetta questo breve sfogo dell'anima), sventurato mille volte colui, che nell'ora dei disinganni e delle amarezze...
Ahimè!... Cos'è stato?... Misericordia!... Il conte ha dato in ismanie, e in questo nuovo accesso di furore, più violento del primo, grida a tutta voce:
--Vedetela! Vedetela, quella svergognata!... È dessa... la riconosco al vestito... la riconosco a quella ciarpa trapunta in oro che si è gettata sulle spalle come un mantello... Arrestatela, arrestatela, commissario!
--Calmatevi, signore!
--Io vi dico di arrestare quella pettegola che ha la tolla di farsi portare in volta sopra una barella...
--Via, signore! è la santa patrona del paese... parlatene con rispetto.
--La santa! una santa!... quella là! Mia moglie!... E dopo uno scroscio di risa convulso, svincolatosi dalle braccia che lo reggevano, il misero conte arretrò dal parapetto e andò a ricadere sul posto donde era stato tolto poco prima.
Se Dante non avesse creato, or fanno parecchi secoli, lo stupendo verso:
E cadde come corpo morto cade
scommetto che, a questo punto del mio romanzo, lo avrei creato io. Quale disgrazia esser nati troppo tardi! A noi non è più permesso di crear nulla.
Il medico impensierito da questa seconda crisi, tanto più atta a impensierirlo quanto meno attesa da lui, si raccolse per un istante nella sua dignità di scienziato.
Poi, volgendosi al visconte ed al commissario, i quali, nella duplice ansietà della compassione e del trionfo, attendevano il verdetto:
--Lasciamo, disse loro, che la malattia compia il suo periodo naturale di reazione. Ormai non è più lecito dubitare che questo sventurato sia profondamente leso nelle sue facoltà intellettuali. Egli è affetto da quella specie di mania, oggimai comune alla più parte degli uomini coniugati, e per la quale la scienza non ha rimedii, che si chiama in linguaggio tecnico: _uxorofobia_. È una morbosità del cervello insidiosa e terribile, tanto più difficile a curarsi, in quanto i sintomi di essa talvolta rimangano latenti pel corso di parecchi anni. Quando il medico riesce ad afferrarli, il più delle volte la malattia è già entrata nella fase cronica. Vi prego, signori, di seguirmi. Voi siete chiamati a convalidare colla vostra testimonianza la relazione del grave caso e il conseguente certificato di demenza che io vado a redigere. Più tardi, noi torneremo presso il malato, e procaccieremo che egli venga calato sulla piazza coi meccanismi più acconci.
Dopo questo, i tre valentuomini discesero dal campanile.