LAO TZU - Tao Te Ching: LXII-LXXXI
LXII - PRATICARE IL TAO
Ecco che cosa è il Tao:
il rifugio delle creature,
tesoro per il buono,
protezione per il malvagio.
A parlarne con elogio si può tener mercato,
a seguirlo con rispetto si può emergere sugli altri.
Degli uomini malvagi quale può essere respinto?
Per questo si pone sul trono il Figlio del Cielo
e si nominano i tre gran ministri.
Anche se costoro hanno il gran pi
per ottenere precedenza alla loro quadriga,
è meglio che se ne stiano seduti
ad avanzare in questo Tao.
Quale era la ragione per cui gli antichi
apprezzavano questo Tao?
Non dicevano forse: ottiene chi con esso cerca,
con esso sfugge chi è in colpa?
Per questo è ciò che v'è di più prezioso al mondo. LXIII - L'INIZIO FAVOREVOLE Pratica il non agire,
imprendi il non imprendere,
assapora l'insapore, considera grande il piccolo e molto il poco,
ripaga il torto con la virtù.
Progetta il difficile nel suo facile,
opera il grande nel suo piccolo:
le imprese più difficili sotto il cielo
certo cominciano nel facile,
le imprese più grandi sotto il cielo
certo cominciano nel piccolo.
Per questo il santo non opera il grande
e così può completare la sua grandezza.
Chi promette alla leggera trova scarso credito,
chi reputa tutto facile trova tutto difficile.
Per questo al santo tutto pare difficile
e così nulla gli è difficile.
LXIV - ATTENERSI AL PICCOLO
Quello che è fermo con facilità si trattiene,
quello che non è cominciato con facilità si divisa,
quello che è fragile con facilità si spezza,
quello che è minuto con facilità si disperde:
opera quando ancora non è in essere,
ordina quando ancora non è in disordine.
Un albero che a braccia aperte si misura
nasce da un minuscolo arboscello,
una torre di nove piani
comincia con un cumulo di terra,
un viaggio di mille li
principia da sotto il piede.
Chi governa corrompe,
chi dirige svia.
Per questo il santo
non governa e perciò non corrompe,
non dirige e perciò non svia.
La gente nel condurre le proprie imprese
sul punto di compierle sempre le guasta,
se curasse la fine come il principio
allora non vi sarebbero imprese guaste.
Per questo il santo
brama quello che non è bramato
e non pregia i beni che con difficoltà si ottengono,
studia quello che non viene studiato
e ritorna su quello che gli altri han travalicato.
Per favorire la spontaneità delle creature
non osa agire.
LXV - LA PURA VIRTÙ
In antico chi ben praticava il Tao
con esso non rendeva perspicace il popolo,
ma con esso si sforzava di renderlo ottuso:
il popolo con difficoltà si governa
poiché la sua sapienza è troppa.
Perciò governare il regno con la sapienza
è la rovina del regno,
governare il regno non con la sapienza
è la prosperità del regno.
Chi sa queste due cose diviene simile al modello,
saper divenire simile al modello
è la misteriosa virtù.
Profonda e imperscrutabile è la misteriosa virtù
e contrapposta alle creature,
ma alla fine arriva alla grande conformità.
LXVI - POSPORRE SÉ STESSO
La ragione per cui fiumi e mari
possono essere sovrani di cento valli
è che ben se ne tengono al disotto:
perciò possono essere sovrani di cento valli.
Così chi vuole stare disopra al popolo
con i detti se ne pone al disotto,
chi vuol stare davanti al popolo
con la persona ad esso si pospone.
Per questo il santo
sta disopra ed il popolo non ne è gravato,
sta davanti ed il popolo non ne è ostacolato.
Così il mondo gioisce
di sospingerlo innanzi e mai ne è sazio.
Poiché ei non contende
nessuno al mondo può muovergli contesa.
LXVII - LE TRE COSE PREZIOSE
Tutti al mondo dicono che il mio Tao è grande
ma che sembra non esser simile a nulla.
Proprio perché è grande
sembra che non sia simile a nulla,
se fosse simile a qualcosa
l'impaccerebbe la sua piccolezza. Io ho tre cose preziose
che mi tengo ben strette e custodisco:
la prima è la misericordia,
la seconda è la parsimonia,
la terza è il non ardire d'esser primo nel mondo. Sono misericordioso e perciò posso essere intrepido,
sono parsimonioso e perciò posso essere generoso,
non ardisco d'esser primo nel mondo e perciò posso esser capo degli strumenti perfetti.
Oggi si è intrepidi trascurando la misericordia,
si è generosi trascurando la parsimonia,
si è primi trascurando di posporsi.
È la morte!
Chi è misericordioso
nel guerreggiare è vittorioso,
nel difendere è saldo.
Quei che il cielo vuol salvare
facendolo misericordioso lo preserva.
LXVIII - RENDERSI EGUALE AL CIELO
Chi ben fa il capitano non è irruente,
chi ben guerreggia non è impetuoso,
chi ben vince il nemico non dà battaglia,
chi bene adopera gli uomini se ne pone al di sotto:
questa è la virtù del non contendere,
questa è la forza dell'adoprar gli uomini, questo è rendersi eguale al Cielo,
il culmine per gli antichi.
LXIX - L'USO DEL MISTERO Sull'adoperar gli eserciti c'è un detto: non oso far da padrone e faccio l'ospite, non oso avanzar d'un pollice e indietreggio di un piede. Questo vuol dire
che non vi sono truppe da schierare,
che non vi sono braccia da denudare,
che non vi sono armi da impugnare.
Sventura non v'è maggiore che osteggiare alla leggera. Se osteggio alla leggera
son vicino a perdere quel che m'è più prezioso. Perciò quando gli eserciti
si mettono in campagna per scontrarsi,
quello che è più pietoso vince.
LXX - LA DIFFICOLTÀ DI INTENDERE
Le mie parole facilmente si intendono
e facilmente si attuano,
ma nessuno al mondo sa intenderle,
nessuno al mondo sa attuarle.
Le mie parole hanno un progenitore,
le mie imprese hanno un principe,
ma appunto perché non le intendono
non intendono me.
Poiché quelli che mi intendono sono rari
quelli che mi imitano sono da tenere in pregio.
Per questo il santo indossa rozze vesti
e cela nel seno la giada.
LXXI - IL DIFETTO DELLA SAPIENZA
Somma cosa è l'ignoranza del sapiente, insania è la sapienza dell'ignorante. Solo chi si affligge di questa insania
non è insano.
Il santo non è insano
perché si affligge di questa insania.
Per questo non è insano.
LXXII - AVER CURA DI SÉ
Quando il popolo non teme la tua autorità
allora sopravviene la grande autorità.
Non trovare angusto ciò che ti dà pace,
non disgustarti di ciò che ti fa vivere,
poiché solo chi non se ne disgusta
non disgusta.
Per questo il santo
di sé conosce ma di sé non fa mostra,
di sé ha cura ma di sé non fa pregio.
Perciò respinge l'uno e preferisce l'altro. LXXIII - QUEL CHE LASCIA AGIRE
Muore chi nell'osare pone il coraggio, vive chi nel non osare pone il coraggio:
di questi due l'uno è profitto e l'altro è danno. Di quel che il cielo ha in odio
chi conosce la ragione?
Per questo il santo reputa difficile il primo.
La Via del Cielo
è di ben vincere senza contendere,
è di ben suscitar risposta senza parlare,
è di ben attrarre senza chiamare,
è di ben divisare con ampiezza.
La rete del Cielo tutto avvolge,
ha maglie larghe ma nulla ne sfugge.
LXXIV - REPRIMERE GLI INGANNI
Quando il popolo non teme di morire
a che vale impaurirlo con la morte?
Se faccio sì che il popolo sempre tema di morire
e quei che induce in inganno
io possa prenderlo e metterlo a morte,
chi sarà tanto ardito?
Sempre mandi a morte chi ne ha la potestà,
mettere a morte in vece di chi ne ha la potestà
significa maneggiar l'ascia in vece del gran mastro. Quelli che maneggian l'ascia in vece del gran mastro raramente non si feriscono le mani.
LXXV - I DANNI DELLA CUPIDIGIA
Il popolo soffre la fame
perché chi sta sopra divora troppe tasse:
ecco perché soffre la fame.
Il popolo con difficoltà si governa
perché chi sta sopra s'affaccenda: ecco perché con difficoltà si governa.
Il popolo dà poca importanza alla morte
perché chi sta sopra cerca l'intensità della vita: ecco perché dà poca importanza alla morte.
Solo chi non si affaccenda per vivere
è più saggio di chi la vita tiene in pregio.
LXXVI - GUARDARSI DALLA FORZA
Alla nascita l'uomo è molle e debole, alla morte è duro e forte.
Tutte le creature, l'erbe e le piante quando vivono son molli e tenere
quando muoiono son aride e secche.
Durezza e forza sono compagne della morte,
mollezza e debolezza sono compagne della vita.
Per questo
chi si fa forte con le armi non vince,
L'albero che è forte viene abbattuto. Quel che è forte e robusto sta in basso,
quel che è molle e debole sta in alto.
LXXVII - LA VIA DEL CIELO
La Via del Cielo
come è simile all'armar l'arco! Quel ch'è alto viene abbassato, quel ch'è basso viene innalzato, quello che eccede viene ridotto,
quel che difetta viene accresciuto.
La Via del Cielo
è di diminuire a chi ha in eccedenza
e di aggiungere a chi non ha a sufficienza.
Non è così la Via dell'uomo: ei diminuisce a chi non ha a sufficienza
per donare a chi ha in eccedenza.
Chi è capace di donare al mondo
ciò che ha in eccedenza?
Solo colui che pratica il Tao.
Per questo il santo
opera ma nulla s'aspetta compiuta l'opera non rimane, non vuole mostrare di eccellere.
LXXVIII - PORTARE IL FARDELLO DELLA SINCERITÀ
Nulla al mondo è più molle e più debole dell'acqua eppur nell'abradere ciò che è duro e forte nessuno riesce a superarla,
nell'uso nulla può cambiarla. La debolezza vince la forza,
la mollezza vince la durezza:
al mondo non v'è nessuno che non lo sappia, ma nessuno v'è che sia capace di attuarlo. Per questo il santo dice:
chi prende su di sé le sozzure del regno
è signore dell'altare della terra e dei grani, chi prende su di sé i mali del regno
è sovrano del mondo.
Un detto esatto che appare contraddittorio.
LXXIX - OTTEMPERARE AI PATTI
Se cancelli un'offesa,ma un po' offeso rimani ancora, credi che sia un bene?
Se, per contratto, il saggio è creditore,
dal debitore non esige nulla.
Adempie al proprio impegno chi è virtuoso;
bada agli impegni altrui chi non è virtuoso.
La Via del cielo non fa parentele,
ma sta costantemente con il buono.
LXXX - ISOLARSI
Piccoli regni con pochi abitanti:
arnesi da lavoro in luogo d'uomini (sian dieci o cento) il popolo non usi.
Tema la morte e fuori non emigri.
Se anche vi son navigli e vi son carri,
il popolo non tenti di salirvi;
se anche vi son corrazze e vi son armi,
mai e poi mai le tiri fuori il popolo.
E ritorni ad usar nodi di corda;
e trovi gusto in cibi e vesti suoi;
ed ami la sua casa, i suoi costumi.
Se stati vi vedessero vicini
tanto che cani e galli se ne udissero,
invecchino così, fino alla morte
quei due popoli: senza alcun contatto.
LXXXI - L'EMERSIONE DEL NATURALE Parole autentiche non sono adorne;
parole adorne autentiche non sono.
Colui che è buono, non sfoggia parole,
e chi sfoggia parole, non è buono.
Chi sa di tutto, certo non è saggio;
né chi è saggio, di certo, sa di tutto.
Il vero saggio per sé non provvede:
se si spende negli altri, per sé acquista;
e, più dona, più ottiene per se stesso.
La Via del cielo aiuta, non fa danni;
la Via del saggio agisce senza lotta.
- FINE -