XXVIII puntata
Da Mosca La Voce della Russia.
Vi invitiamo all'ascolto della XXVIII puntata del ciclo ”1812.
La bufera napoleonica” a cura di Dmitri Mincenok. E così l'imperatore Alessandro, controvoglia, nominò Kutuzov comandante supremo.
Ma non c'erano alternative. Kutuzov era l'unico militare delle cui doti nessuno dubitasse. Lo volevano alla testa dell'esercito soldati e ufficiali. Era amato e si aveva fiducia in lui. Con l'unica eccezione dell'imperatore. Che non lo amava per due motivi.
Prima di tutto egli non credeva al genio militare del vecchio generale in quanto sapeva che lui non gli riconosceva nessuna delle doti militari che avrebbe voluto attribuirsi. Poi egli era si era formato alla corte di Caterina e alla scuola di Suvorov.
Ma in pratica cosa voleva dire?
Kutuzov odiava gli esercizi in piazza d'armi così cari a Paolo I, respingeva la tattica di combattimento prussiana e condannava la mania delle parate di cui era affetto suo figlio.
Per ripicca lo zar se la prendeva con le doti morali del suo comandante in capo.
Ma prima di tutto divergevano su Napoleone.
Alessandro ripeteva spesso “ Io o lui” e avrebbe voluto una disfatta definitiva del Corso.
Kutuzov invece si chiedeva chi avrebbe tratto veramente vantaggio dalla fine di Napoleone e rispondeva che essa più che la Russia avrebbe favorito inglesi, austriaci e prussiani.
E la storia gli avrebbe dato ragione.
Lo zar pensava e giustamente che dinanzi ad una scelta fra lui e la Russia, i suoi sudditi a lui avrebbero preferito l'onore nazionale e avrebbero ignorato un imperatore contrario agli interessi della maggioranza, come avevano fatto con suo padre.
Per concludere la storia della nomina di Kutuzov dobbiamo ritonare a Barklai.
Logorato dagli intrighi e dalle incomprensioni egli aveva scritto una supplica per chiedere ad Alessandro di essere sollevato dall'incarico.
E il capo della polizia segreta si era offerto di recapitarla.
Tanto era l'odio che nutrivano per il loro superiore che i suoi aiutanti di stato maggiore informarono subito Kutuzov, benché nessuno conoscesse il contenuto della missiva.
Kutuzov, aduso agli intrighi, pensò che egli chiedesse di poter rimanere al suo posto.
Forte della nomina imperiale egli ordinò che nessuno lasciasse le posizioni, corrieri compresi.
E così fu come se De Sanglen avesse voluto disertare.
Attraverso gli uomini che aveva a corte Kutuzov chiese che De Sanglen fosse arrestato se avesse tentato di arrivare all'imperatore.
Forte della sua influenza su Alessandro, il marchese Paulucci, futuro governatore di Riga, bloccò il capo della polizia segreta minacciandolo con l'ergastolo.
Nelle sue memorie egli scrisse di essersi salvato col coraggio della disperazione gridando che avrebbe consegnato quella lettera anche a costo della vita.
Allora gli fu ricordato che tutta la corrispondeva doveva passare per le mani di Arakceev, che, secondo Paulucci, era un uomo di Kutuzov.
Ma si sbagliava.
Il marchese Arakceev conosceva bene il suo imperatore e sapeva quanto egli apprezzasse Barklai. Immediatamente portò De Sanglen al cospetto dell'imperatore. Ad arte, come di consueto, lo zar ebbe parole di rimbrotto per chi aveva violato gli ordini, lesse la lettera ed annunciò ad uno imbarazzato Barklai che egli sarebbe rimasto comunque Ministro della guerra.
Quando lo venne a sapere Kutuzov se la prese a male senza nemmeno poter immaginare che al contrario Barklai volesse lasciare quella carica così gravosa.
E così ebbe termine quello scontro a distanza.
Adesso bisognava salvare la patria.
Lo zar aveva nominato Kutuzov comandante supremo, libero di agire di agire in assoluta autonomia ponendogli una sola condizione: astenersi da ogni tipo di contatto con Napoleone.
Egli temeva ogni ipotesi di tradimento e respingeva i giochi diplomatici che avrebbero potuto emarginarlo.
Kutuzov accettò, ma a condizione che l'imperatore si mantenesse lontano dall'esercito.
Era un colpo al suo orgoglio, ma dovette promettere.
Alla partenza di Kutuzov lo zar disse: “Il pubblico voleva Kutuzov e io l'ho fatto, adesso me ne lavo le mani.” Più tardi in una lettera alla sorella Caterina fu ancora più esplicito e scrisse che lo aveva nominato contro la sua propria volontà.
Alla partenza Kutuzov gli aveva promesso che con il suo corpo avrebbe sbarrato a Napoleone la strada di Mosca.
Ma al primo cambio di cavalli venne a sapere che Smolensk era stata abbandonata.
“Le chiavi di Mosca sono perse” egli esclamò.
Ma queste espressioni non significavano che egli volesse un radicale mutamento di tattica.
Fra i suoi amici, ancora a Pietroburgo, egli aveva riconosciuto che era stato un bene ritirarsi, ma quando le solite teste calde invocarono a gran voce la battaglia generale, aveva avuto un sorriso condiscendente.
Kutuzov sapeva celare le sue intenzioni.
Meno di due settimane mancavano alla Battaglia di Borodinò.
Avete ascoltato la XXVIII puntata del ciclo “ 1812.
La bufera napoleonica “ a cura di Dmitri Mincenok.