Domande sul quarto secolo - Ep. 21, speciale (1)
Salute e Salve! Oggi episodio speciale, come promesso ho deciso di rispondere alle vostre domande! Ne ho raccolte molte, alcune le ho schedate per una futura prossima puntata, non temete! Cercherò di fare un episodio di questo tipo per ogni secolo di storia. Ritenetevi avvertiti!
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Ma passiamo ora alle vostre domande. La prima è di Giovanni Zagna, il direttore di “pagina politica”. Giovanni mi chiede: quando comincia a diffondersi nel mondo romano il sentimento di una decadenza, se mai questo accade? La storia che si studia a scuola insiste molto sulla massima espansione territoriale sotto Traiano e poi, di fatto, una lunga decadenza (lettura figlia di Gibbon forse). E anche l'età dell'oro della letteratura è senz'altro la prima età imperiale. Ma c'è un momento quando i romani stessi sentono che le cose non sono più quelle di prima? Come accolgono, ad esempio, lo spostamento della capitale da Roma?
Grazie Giovanni per la bella domanda! e sopratutto complimenti per il fantastico podcast! L'impero raggiunse il suo apice in estensione territoriale sotto Traiano: dopo l'abbandono della Mesopotamia da parte di Adriano la superficie dell'impero rimarrà più o meno costante. La visione di Gibbon, di un continuo declino dell'Impero Romano, è stata da tempo smentita dai ritrovamenti archeologici e dai dati disponibili dalla nuova archeologia sperimentale, che analizza la produzione industriale dell'Impero Romano tracciandone i residui nell'atmosfera o in altri posti individuabili, ad esempio i ghiacci della Groenlandia. La vera crisi dell'Impero Romano fu nel terzo secolo dopo cristo ma, grazie agli imperatori illirici, l'ultima parte del terzo secolo e praticamente l'intero quarto secolo furono anni di crescita economica, di relativa stabilità imperiale e di forte crescita anche della statura geopolitica dell'Impero. Oramai io credo che l'impero abbia raggiunto il suo apice in termini di potenza, anche se forse non di prosperità, proprio sotto Costantino, il quale riuscì a piegare ai suoi voleri praticamente tutti i popoli che vivevano sui confini dell'impero estendendone di molto la sfera d'influenza.
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I Romani nel 378 dopo cristo – una data che non scelgo a caso – non percepivano affatto l'impero come in decadenza, anche perché non lo era. Perfino dopo il 378, la terribile sconfitta di Adrianopoli e le devastazioni della guerra gotica, i Romani percepirono quei fatti come un “setback” temporaneo. Non avevano ovviamente il beneficio di sapere come andava a finire la storia, ma avrebbe anche potuto avere ragione: l'impero avrebbe potuto riprendersi da Adrianopoli. L'impero aveva avuto sconfitte peggiori o almeno paragonabili. Ammiano stesso le ricorda: Canne, Teutoburgo, Abritto. Nel terzo secolo dopo cristo c'erano stati momenti in cui l'impero era diviso in tre, alla fame, devastato dalle epidemie e dalle invasioni di barbari e persiani: nonostante tutto questo si era ripreso e con slancio. Ancora nel 406 dopo cristo, all'alba della più grande violazione di sempre della frontiera Renana, tutto sommato la situazione era sotto controllo e sembrava che l'Impero si stesse riprendendo. I Romani erano convinti del destino divinamente preordinato di Roma. Anche in tempi cristiani i Romani erano certi della missione civilizzatrice, universale imperiale di Roma: non aveva atteso il Cristo di avere un impero universale su terra per scendere sulla terra, morire e risorgere per lavare i peccati del mondo? Roma in questo quadro, grazie alla pace universale imposta sul mondo antico, aveva avuto il ruolo di incubatrice del messaggio cristiano. No, I Romani non riuscivano neanche a percepire la possibilità che Roma, come altre civiltà prima della loro, potesse cadere.
E capiamoci anche su cosa sono i Romani: nel quarto secolo non sono più gli abitanti della penisola italica più qualche élite nelle province: sono Romani tutti, ma proprio tutti i cittadini dell'Impero: Marcellino era Greco, Libanio siriano, S. Agostino di origine berbere ma tutti e tre si consideravano romani fatti e finiti: il siriaco Ammiano arriva a considerare suo antenato Camillo, il generale che aveva sconfitto i Veii nel quarto secolo avanti cristo. Questo processo aveva portato perfino gli orgogliosi Greci, eredi di una civiltà antecedente a Roma, a finire per considerarsi Romani, abbandonando la loro identità di Greci. Si parla molto nei licei italiani dell'influenza greca su Roma (graecia capta ferum victorem coepit, nei versi di Orazia) ma si dovrebbe parlare di più di come i Greci e i macedoni, eredi di una civiltà illustre e millenaria, finirono per considerarsi “romani”. Ancora nel quindicesimo secolo dopo cristo quelli che noi chiamiamo Bizantini, tra loro, continuavano a chiamarsi Oi Romanoi, ovvero i Romani.
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Il centro di Costantinopoli
In questo senso lo spostamento della capitale non cambiò assolutamente nulla nella percezione della solidità di Roma: Roma era oramai l'intero impero, non c'era un posto dell'Impero più romano dell'altro. Le scuole di retorica della Gallia sfornavano latinisti migliori di quelle italiane. Spostare la capitale da Roma a “Nuova Roma” fu in un certo senso come spostare la capitale dell'Italia da Torino a Firenze e poi Roma: un evento certamente importante ma che non snaturava lo stato Romano. Per i Romani del quarto secolo quindi la fondazione di Costantinopoli non ebbe alcuna connotazione qualitativa anche se ebbe decisamente conseguenze importantissime per la storia mondiale. Anzi la costruzione ex novo di una nuova, splendida capitale fu probabilmente ragione di vanto per molti romani.
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Il momento in cui i romani probabilmente capirono che davvero qualcosa era cambiato e che il destino e il futuro di Roma non erano più assicurati fu il 410 dopo cristo: il sacco di Roma. Eppure anche quello shock ebbe un impatto più morale che pratico, ma di questo parleremo nella narrazione del prossimo secolo!
Un ascoltatore italiano ma che vive in Messico – Denis – mi chiede cosa parlava i popoli dell'impero nel IV secolo. Il latino e il greco erano ancora dominanti o le protolingue europee stavano già spingendo dal basso con l'immissione dei barbari alle frontiere?
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Mappa linguistica dell'Impero Romano nel sesto secolo: può essere utilizzata per le stesse località anche per il quarto secolo.
Denis, va fatta una distinzione tra le classi dirigenti e il popolo. Non c'è alcun dubbio che ancora nel quarto secolo – ma anche bel oltre – il latino e il Greco restarono le lingue dominanti per tutta la classe educata cittadina. Questo era dovuto sostanzialmente al peculiare meccanismo di reclutamento della classe dirigente tipica dell'Impero Romano: a differenza dei secoli successivi per qualunque carica pubblica era necessaria una solida educazione che si svolgeva quasi esclusivamente su un ristrettissimo gruppo di autori classici come Omero e Cicerone. Questo sistema permise una rimarchevole continuità della lingua scritta e ufficiale. Gli stessi barbari, una volta che entravano a far parte dell'impero, si affrettavano a inviare i loro rampolli nelle scuole imperiali, almeno fino a quando i barbari vollero integrarsi nel mondo romano, e questo è valido per tutto il quarto secolo. Il latino classico continuerà ad essere una lingua viva, seppur parlata solo dalle classi elevate, ancora molti anni dopo la caduta dell'Impero.
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Altra cosa era il latino popolare, detto latino volgare o del volgo. Non sappiamo molto a riguardo del latino popolare, tranne che fosse una lingua decisamente più semplice e diretta del latino classico, tutte le moderne lingue romanze come l'Italiano derivano dal latino volgare, non da quello classico. Sappiamo che era certamente parlato con varianti regionali tra le varie regioni dell'impero, dovuto anche al sostrato linguistico preesistente, ma queste versioni erano mutualmente intellegibili come delle moderate forme dialettali. Il volgare rimarrà mutualmente intellegibile in tutte le regioni dell'occidente latino ben oltre la caduta dell'Impero Romano. Non solo: i linguisti hanno ricostruito che anche dopo la caduta dell'impero chi parlava il latino volgare continuò a poter comprendere il latino classico fino a circa il tardo settimo secolo. Da allora in poi, in un processo che era stato ovviamente progressivo, il latino classico – quasi immutabile nei suoi canoni letterari – diverrà incomprensibile a chi parlava il volgare, lingua che invece continuava ad evolvere. Il volgare stesso non evolse ancora nelle lingue romanze moderne per ancora molti anni: le lingue romanze sono chiaramente attestate solo nel decimo secolo dopo cristo anche se probabilmente si andarono differenziando anche prima.
Per concludere nel quarto secolo l'evoluzione linguistica che porterà alle lingue romanze non era ancora iniziata anche se evidentemente la lingua parlata dal popolino (il latino volgare) era abbastanza diverso dal latino letterario e offriva certamente alcune varianti regionali: non abbiamo però alcun segno che il processo di formazione delle lingue successori al latino fosse ancora iniziato né inizierà ancora per molti anni, anzi molti secoli. Va aggiunto che l'impero aveva moltissime altre lingue oltre il Latino e Il Greco, utilizzate localmente ma anche a livello regionale. Due di queste – il Copto e l'Aramaico – avevano in oriente uno status quasi paragonabile al Latino e il Greco e infatti ebbero la distinzione, a differenza delle lingue celtiche o del punico, di avere una traduzione autentica della Bibbia.
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Luca Pagani fa due domande. La prima è come si faceva, in quel tempo, a far circolare una notizia (o un comando) da un capo all'altro dell'impero? Esistevano dei messaggeri professionisti che percorrevano a cavallo le strade romane o che, via nave, attraversavano il Mediterraneo? Oltre che con i popoli confinanti, i Romani hanno avuto contatti diretti (senza intermediazione) con altre popolazioni lontane come quelle dell'Africa Sub-sahariana e quelle del remoto oriente?
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Mappa delle principali rotte commerciali tra India e mondo Romano con i prodotti
Quanto alla prima domanda esisteva il cursus publicus, un sistema di posta imperiale con stazioni per il cambio cavallo e per riposare. Poteva essere usato solo dai messaggeri imperiali (per percorrere le distanze rapidamente) e dagli alti ufficiali dell'impero. Dai tempi di Costantino tra gli alti ufficiali c'erano anche i vescovi, cosa che la dice lunga sul ruolo di questi ultimi, sempre di più visti come funzionari imperiali, e sul ruolo che Costantino dava all'istituzione della Chiesa. La gerarchia ecclesiastica divenne con il tempo così importante che i vescovi più potenti arrivarono proprio a sostituirsi ai governatori, come il Papa di Alessandria – sì anche il patriarca di Alessandria si chiamava Papa – che sommò nella sua figura anche quella di governatore dell'Egitto.
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Tornado al cursus publicus, questo era molto efficiente ed era in grado di portare notizie nel giro di pochi giorni o settimane dalle frontiere alle capitali imperiali: in casi di urgenza un messaggero poteva ricoprire fino a 150 km in un giorno. Questo non deve farci sottovalutare i limiti di gestione di un impero talmente immenso. Il governo, anche con questo mirabile sistema, poteva al massimo ricevere le informazioni davvero fondamentali, tutto il resto era lasciato agli amministratori locali, sia civili che militari.
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Tabula pentaugenaria: una mappa schematica del mondo romano utilizzata dal Cursus Publicus imperiale: segna tutte le strade principali, le stazioni di posta e cambio, le città dell'Impero.
Quanto alla seconda domanda, abbiamo notizie storiche di ambasciate di Cinesi a Roma e viceversa di cui siamo certi: un fatto curioso fu che un'ambasciata cinese diretta a Roma fu identificata dalle autorità Sasanidi che riuscirono a convincere i cinesi che Roma fosse ancora lontanissima e questi fecero dietrofront. In altri casi le ambasciate arrivarono ma non ne venne mai troppo: i Romani volevano probabilmente una mano contro i persiani / e un'alleanza tra l'impero dell'Aquila e il Regno di Mezzo avrebbe potuto mettere in seria difficoltà i Sasanidi, ma la distanza geografica impedì sempre qualunque alleanza o coordinamento. Quanto al subcontinente, a differenza della Cina l'India era una terra molto conosciuta, frequentata regolarmente da mercanti romani e perfino da missionari cristiani che vi fondarono una chiesa (nel sud dell'India) che esiste ancora oggi e che ha origine proprio nel quarto secolo. Mercanti provenienti dal mondo Romano avevano ben tracciato le rotte marittime fino almeno allo stretto di Malacca in Indonesia, che era conosciuto.
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Spedizioni romane verso il Niger e l'Africa occidentale
Verso sud, oltre le terre controllate dai nomadi del moderno Sudan, c'era invece il regno dell'Etiopia, o Axum. Anche questo regno, un tempo semimitologico, nel quarto secolo era oramai ben conosciuto e intratteneva rapporti diplomatici con Roma, arrivando anche a convertirsi già nel quarto secolo al cristianesimo. Axum fu incorporato nel territorio del patriarcato di Alessandria e ne seguirà la storia religiosa: ancora oggi in Etiopia esiste una chiesa cristiana che non è arrivata nel continente con le navi degli Europei ma era già lì dal lontanissimo quarto secolo.