Stagione 4 - Episodio 5 (2)
Con un'abilità politica notevole Sanders riuscì a vincere le elezioni definendosi socialista in uno Stato rurale e in anni di piena guerra fredda, e lo fece senza venire meno alle sue idee ma presentandosi come una persona di cui non si poteva avere paura: una persona interessata ad aiutare gli altri più che a proclamare la sua ideologia. All'inizio dovette fare i conti con l'ostruzionismo del consiglio comunale e dell'establishment economico della città, ma alla lunga ebbe la meglio perché mentre i suoi avversari agitavano insulti e paroloni, e gli davano del rivoluzionario, del comunista, del nemico della proprietà privata, Sanders parlava dei suoi piani per rivitalizzare il lungomare della città e di quello che voleva fare con le strade e le scuole. Ascoltate questo passaggio di un discorso di Sanders del 1980: sono esattamente le stesse cose che dice oggi.
Nel racconto contemporaneo di Bernie Sanders, questo tratto si è perso moltissimo: oggi chi parla di lui cita soprattutto parole come “cambiamento” e “rivoluzione”. All'epoca Sanders, però, parlava e soprattutto faceva cose concretissime: finanziava progetti di sviluppo immobiliare a costi sostenibili, faceva causa alla società locale che gestiva la tv via cavo, ottenendo prezzi più bassi per i residenti, stabiliva dei limiti agli aumenti degli affitti ed espandeva l'offerta degli asili, riqualificava il lungomare della città rinunciando al piano di sviluppo deciso dal sindaco precedente ma puntando sugli spazi verdi e sulla costruzione di appartamenti a prezzi sostenibili. Dopo qualche tempo, Sanders riuscì ad attrarre in città anche una squadra minore di baseball, i Lynn Pirates, che furono ribattezzati Vermont Reds: i rossi del Vermont. Le battute si sprecavano, ma i biglietti costavano poco e le persone andavano volentieri a vedere le partite. Insomma, Sanders non voleva fare la rivoluzione comunista, e infatti fu rieletto per tre volte, sconfiggendo candidati Democratici e Repubblicani.
Dopo aver fatto il sindaco per quattro mandati biennali, Sanders decise di candidarsi come deputato alla Camera. Perse, di nuovo, ma ci riprovò due anni dopo e fu eletto, diventando così il primo parlamentare socialista da decenni. Una volta arrivato a Washington, però, Sanders si ritrovò di nuovo da solo. Non era solo come negli anni dell'università, certo; la sua esperienza da sindaco a Burlington lo aveva fatto diventare famoso negli ambienti della politica, e certamente non si sentiva più portatore di idee completamente marginali. Allo stesso tempo, però, arrivare al Congresso dicendo che i leader del Partito Democratico e del Partito Repubblicano erano ugualmente legati ai cosiddetti poteri forti, e non rappresentavano le istanze dei cittadini, era – oltre che un po' ingeneroso – molto limitante: il ruolo del parlamentare non è esecutivo come quello del sindaco, e Sanders all'inizio fece molta fatica a essere coinvolto attivamente nelle discussioni sui disegni di legge e gli emendamenti.
Sanders fu rieletto alla Camera per otto volte dagli elettori del suo collegio del Vermont, e col passare degli anni riuscì a diventare più esperto ed efficace. Restò fuori dai più grandi e ambiziosi progetti legislativi di quegli anni, ma riuscì a trasformare quel punto di debolezza in un punto di forza, visto che essere indipendente dai due partiti gli permetteva di discutere e trattare con entrambi, e a un certo punto fu soprannominato “il re degli emendamenti” per come riusciva a inserire nelle leggi alcune norme che poi venivano approvate. Osservando ora la sua attività politica di quegli anni, emerge soprattutto una cosa: che Sanders ha mantenuto una coerenza invidiabile per un politico con una carriera così longeva. È quello che ora lo rende credibile, più di molte altre cose. Scavando nelle dichiarazioni e nei voti di candidati che hanno alle spalle così tanti di anni di attività politica, è facile trovare voti e dichiarazioni che oggi ci appaiono sbagliate o fuori contesto. Ogni persona e ogni decisione è figlia del suo tempo, e quindi, per esempio, le dichiarazioni degli anni Novanta di Joe Biden sulla lotta alla criminalità oggi ci sembrano viziate da pregiudizi razziali, quelle di Hillary Clinton sulla guerra in Iraq ci sembrano smentite dai fatti, mentre quelle di Mike Bloomberg hanno oscillato insieme al suo transito dal Partito Repubblicano a quello Democratico. Con Sanders tutto questo non avviene: le cose che dice e che pensa possono piacere o non piacere, ovviamente, ma lui ha detto sempre quelle e mai altre.
C'è soltanto un tema politico, di quegli anni, che lo mette ancora oggi in difficoltà: la lotta per il controllo delle armi da fuoco. Nel 1993 Sanders votò contro la legge Brady, che rendeva obbligatorio controllare i precedenti penali di chi voleva comprare un'arma da fuoco e imponeva un periodo di attesa tra l'acquisto e la consegna dell'arma. Sanders votò altre volte contro altre misure per ridurre la presenza delle armi nella società americana, dicendo che rappresentava gli elettori di una comunità rurale che vedevano le armi come parte integrante della loro identità e del loro stile di vita. Su questo, negli ultimi anni, Sanders ha cambiato idea.
La carriera di Bernie Sanders andò avanti e nel 2006 arrivò al Senato, il più prestigioso fra i due rami del Congresso. E fu in quel momento che diventò evidente una saldatura possibile tra la sua traiettoria personale e quella collettiva che aveva intrapreso ormai da qualche anno la politica americana. Da una parte, Sanders era rimasto sempre lo stesso, ostinato e coerente, il più radicale tra i politici progressisti americani ma allo stesso tempo non un matto, non un ideologo, ma qualcuno con cui si può lavorare. Dall'altra parte, la politica americana stava smettendo di premiare i politici moderati, gli equilibrati, i compromessi, procedendo invece verso un periodo di radicalizzazione e polarizzazione che ha avuto ragioni culturali, demografiche, mediatiche e sociali molto profonde, per approfondire le quali vi rimando al mio libro, Questa è l'America, e quindi trovava in Sanders non più un eretico quanto un rappresentante dello spirito del tempo. Anche per questo, già la prima candidatura di Sanders al Senato fu sostenuta da tutto il Partito Democratico, e nel 2006, quando era ancora senatore, lo stesso Barack Obama andò a fare campagna elettorale per lui in Vermont. I due fecero un discorso improvvisato, su una scalinata, usando semplicemente un megafono per farsi sentire dagli elettori.
Fu in quegli anni che i principi e le idee di Sanders, immutabili, trovarono la traduzione concreta che oggi è familiare agli elettori americani, e che somiglia a quella dei moderni partiti europei di centrosinistra. L'aumento del salario minimo. L'aumento delle tasse sulle persone e le aziende più ricche. La creazione di un sistema sanitario universale e nazionale, e quindi la fine del sistema basato sulle assicurazioni private. La gratuità degli studi universitari. La lotta al cambiamento climatico. Lo scetticismo verso i trattati di libero scambio e gli accordi commerciali internazionali. Il non interventismo in politica estera. Sanders continua a dirsi profondamente critico nei confronti del capitalismo americano – è l'unico candidato a farlo, oggi – ma non vuole sostituirlo con un altro sistema: vuole riscriverne le regole. Le sue proposte sono quasi tutte politicamente irrealizzabili, almeno allo stato attuale, ma questo per Sanders è esattamente il punto: se nessuno ne parla, resteranno irrealizzabili per sempre. Se qualcuno le propone, le spiega, le difende, allora magari a un certo punto arriverà un momento in cui non lo saranno più.
È con questo spirito che Sanders valutò di candidarsi alle primarie del Partito Democratico già nel 2012, quando Obama cercava la rielezione alla presidenza: non per sconfiggere Obama ma per spingerlo un po' più a sinistra, per condizionarlo. Rinunciò, dopo le pressioni dei leader del partito, e si candidò allora nel 2016 sfidando Hillary Clinton.
Nessuno gli diede una sola possibilità, all'inizio. Tra i candidati c'era infatti Hillary Clinton, che all'epoca era apprezzata e popolare, oltre che straordinariamente attrezzata per quella campagna elettorale. Magari Clinton sarebbe potuta finire in difficoltà con un candidato giovane, diverso, innovativo, come era stato proprio Obama nel 2008. Ma Sanders? Un uomo settantenne burbero e ingobbito, che parla con uno strano accento, che si definisce socialista e che formalmente non fa nemmeno parte del Partito Democratico. Bernie Sanders era rispettato, all'epoca, nella sinistra americana: ma era il rispetto che dai alla persona che apprezzi per la sua coerenza nonostante le molte sconfitte, il rispetto che si rivolge a chi fa parlare di sé soprattutto per le sue battaglie di testimonianza. Insomma, Bernie Sanders era un candidato improbabile. Eppure, mese dopo mese, trovò sempre più persone disposte ad ascoltarlo.
[Applausi di comizi]
Dovunque si girasse, dovunque andasse per un comizio o un incontro, Sanders notò un fenomeno opposto a quello che aveva sperimentato all'inizio della sua carriera politica, negli anni Settanta: le persone, soprattutto le persone più giovani, erano attratte come magneticamente dalla sua persona e dai suoi discorsi. Era un fenomeno magico, un allineamento di pianeti: non era Sanders che a forza di cambiare e studiare e aggiustare la sua persona era riuscito finalmente a sintonizzarsi sulle stesse frequenze delle grandi masse; erano le grandi masse che – bruciate dalle conseguenze della crisi e trasformate dalla radicalizzazione politica americana – si erano sintonizzate sulle frequenze di Bernie Sanders. Descritte a lungo come radicali, le sue idee non apparivano più tali a un pezzo mai così grande del Partito Democratico: d'altra parte, se i Repubblicani sceglievano di percorrere la strada della purezza ideologica e farsi rappresentare da uno come Trump, perché loro sarebbero dovuti venire a compromessi con i loro ideali, con i loro sogni, e annacquare proposte forti e, dal loro punto di vista, desiderabili?
Sanders perse quelle primarie, ma le perse come nessuno avrebbe mai pensato che potesse fare. Vinse in 22 stati e ottenne il 46 per cento dei delegati, contro il 54 per cento di Hillary Clinton. Raccolse una montagna di soldi attraverso donazioni piccole o piccolissime. Conquistò soprattutto l'entusiasmo e l'energia degli elettori più giovani. Restò in corsa fino alla fine ed ebbe un'influenza tale sul partito che alla convention dell'estate del 2016 fu introdotto il programma elettorale più radicale dagli anni Settanta, e spinse la stessa Hillary Clinton a modificare le sue posizioni sul salario minimo e sul commercio internazionale. Fu proprio in quesi mesi, però, che emerse una caratteristica sgradevole di alcuni di quei nuovi sostenitori di Bernie Sanders. Ispirati dalla radicalità del loro candidato, ma in generale dal clima di intolleranza che permeava ormai la politica americana, alcuni sostenitori di Sanders – una minoranza, ma una minoranza significativa – pensavano che non dovessero esserci alternative a Sanders. O Bernie o niente. E quindi non solo tra Clinton e Trump non ci sarebbe stata alcuna differenza, ma forse sarebbe stata persino migliore una vittoria di Trump. Clinton fu contestata rumorosamente da questa minoranza persino durante la convention del partito, una mossa particolarmente autolesionista, tanto che a un certo punto, dal palco, dovette intervenire la comica Sarah Silverman, una sostenitrice di Sanders, per dire ai suoi compagni di darsi una calmata.
Oggi che è di nuovo candidato alle primarie, e stavolta da favorito, Sanders deve ancora fare i conti davvero con questo problema. Più volte Sanders ha detto che il bullismo e l'aggressività non devono far parte della sua campagna elettorale, ma quella minoranza più intollerante e agitata dei suoi sostenitori non ha recepito il messaggio ed è fuori dal controllo del suo comitato. Negli anni, poi, sono venute fuori molte storie di aggressività e bullismo e persino molestie dentro il suo comitato. Sanders è stato molto criticato per come negli anni non abbia saputo arginare questi comportamenti, e alcuni lo accusano di essersi girato dall'altra parte.
C'è un altro fronte, però, su cui Sanders in questi anni ha fatto molti progressi: la sua capacità di rappresentare le istanze delle persone non bianche. Questo era il terreno su cui Clinton lo aveva battuto nel 2016, più di tutti gli altri: Sanders era stato votato quasi soltanto dai bianchi. Non perché fosse razzista, certo, ma perché essendo lui bianco e avendo trascorso la sua intera carriera politica rappresentando uno Stato popolato quasi soltanto da bianchi, non aveva mai parlato con le persone non bianche, non aveva costruito rapporti e relazioni con quelle comunità e con quelle associazioni, non aveva credibilità nel rivolgersi a loro parlando di temi di cui lui, da vicino, non si era mai occupato. Oggi non è più così.
E oggi, molto più di quanto sia mai accaduto nella sua vita, Bernie Sanders non è più solo. Che perda o che vinca queste primarie, le sue idee fanno parte dell'identità del Partito Democratico. Lo slogan della sua campagna elettorale è “Not me, us”.[00:00] “Non io, noi”.[00:00] Il suo carattere scontroso e burbero gli ha dato un fascino, un carisma e un'autenticità che i suoi avversari non riescono a imitare, e gli ha dato un seguito giovanile che può sembrare paradossale ma che invece si spiega con la facilità con cui oggi una persona di venti o trent'anni può riuscire a fidarsi di qualcuno che non si è piegato nemmeno dopo l'infarto che ha avuto a ottobre, che non ha mai cambiato idea e che soprattutto non vuole che tu cambi idea.[00:00] Che non ti dice che devi crescere, che è inutile farsi delle illusioni, che quello che vuoi non si potrà realizzare e quindi devi rinunciare ai tuoi ideali, come disse qualche anno fa proprio a Sanders l'attore Mark Ruffalo.[00:00] Insomma, il vero messaggio radicale di Sanders è che quello che vuoi non si potrà realizzare soltanto se non te ne occupi.[00:00] Se invece te ne occupi, chissà che non possa accadere: magari non domani, magari nemmeno dopodomani, ma un giorno sì.[00:00] Attenzione, è una prospettiva esaltante e rischiosa, questa.[00:00] Perché può generare intolleranza invece che speranza, e soprattutto sfiducia verso i cambiamenti incrementali, gli stessi che Sanders applicò con efficacia da sindaco di Burlington: l'idea che le cose cambino cambiando, un passo per volta, e che avere obiettivi ideali forti non serva a rimuovere i cambiamenti graduali, ma anzi serva a renderli possibili.[00:00] Nella retorica del candidato Sanders, oggi, quella prospettiva è sparita: i compromessi non servono, solo un cambiamento radicale è un vero cambiamento, e quello di cui gli Stati Uniti hanno bisogno è addirittura una “rivoluzione politica”.[00:00] Un eventuale presidente Sanders probabilmente dovrà trovare il modo di aggiustare il tiro, pur continuando a restare se stesso.