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Il giornalino di Gian Burrasca - Vamba, Capitolo 25

Capitolo 25

9 febbraio

Stamani fra i componenti la società Uno per tutti, tutti per uno è passata la solita parola d'ordine che significa: Nell'ora di ricreazione c'è adunanza. E infatti l'adunanza c'è stata e io non mi ricordo d'aver mai assistito a una seduta di società segreta più emozionante di questa. Nel rileggere il resoconto che ne ho fatto nella mia qualità di segretario, mi par d'avere davanti agli occhi una scena della vita dei cristiani nelle catacombe o un episodio della Carboneria, come si trovano descritti nei romanzi storici. Figurati dunque, giornalino mio, che all'adunanza non mancava nessuno della nostra società, perché il contegno del Barozzo aveva dato nell'occhio a tutti, e s'era tutti ansiosi di sapere come mai tutto ad un tratto egli aveva cambiato così, dopo essere stato chiamato in direzione, a proposito dell'affare dell'anilina. Ci siamo riuniti nel solito angolo del cortile, con molta precauzione, per non dare nell'occhio alla Direttrice, la quale pare che diventi più sospettosa un giorno dell'altro, e me specialmente non mi abbandona mai con lo sguardo, come se da un momento all'altro temesse qualche gherminella. Per fortuna non sospetta neppure lontanamente che la voce del signor Pierpaolo, che le ha fatto tanta paura, fosse invece la mia voce, se no mi ammazzerebbe per lo meno; perché quella donna io la credo capace di tutto! Dunque appena ci siamo raccolti in circolo, il Barozzo, che era pallido in modo da fare impressione, ha detto sospirando, con aria cupa: - Assumo la presidenza dell'assemblea... per l'ultima volta... - Tutti siamo rimasti male e ci siamo guardati in viso con espressione di grande meraviglia, perché il Barozzo era stimato da tutti un giovine pieno di coraggio, d'ingegno, e di un carattere molto cavalleresco: insomma proprio il presidente ideale per una società segreta. È seguìto un momento di silenzio che nessuno ha osato interrompere; poi il Barozzo con la voce sempre più cupa ha continuato: - Sì, amici miei, fin da questo momento io debbo declinare l'alto onore di presiedere la nostra associazione... Ragioni gravi, gravissime, per quanto indipendenti dalla mia volontà, mi costringono a dimettermi. Se non mi dimettessi sarei una specie di traditore... e questo non sarà mai! Di me tutto si potrà dire ma nessuno deve potermi accusare mai di aver conservato per un giorno solo una carica di cui mi considero indegno... - Qui il Michelozzi, che ha un'indole piuttosto tenera, per quanto di fronte al pericolo si comporti da eroe, ha interrotto, con una voce strozzata dalla commozione: - Indegno? Ma è impossibile che tu ti sia reso indegno di restare fra noi... di conservare la presidenza della nostra società! - È impossibile! - abbiamo ripetuto tutti in coro. Ma il Barozzo tentennando la testa ha proseguito: - Io non ho fatto nulla per diventare indegno... la coscienza non mi rimprovera nessuna azione contraria alle leggi della nostra società o a quelle dell'onore in generale. - Qui il Barozzo si mise una mano sul cuore in modo straordinariamente drammatico. - Non posso dirvi nulla! - proseguì l'ex presidente. - Se avete ancora un po' d'affetto per me non dovete domandarmi né ora né mai quale motivo mi costringe ad abbandonare la presidenza. Vi basti sapere che io non potrei, d'ora innanzi, aiutare e tanto meno promuovere la vostra resistenza contro le autorità del nostro collegio... Dunque vedete bene che la mia posizione è insostenibile e la mia decisione immutabile. - Tutti si guardarono di nuovo in faccia e qualcuno si scambiò anche le proprie impressioni a bassa voce. Io capii subito che le parole del Barozzo sembravano a tutti molto significanti, e, che, passata la prima impressione di stupore, le sue dimissioni non sarebbero state accettate. Anche il Barozzo lo capì, ma rimase fermo nel suo atteggiamento, come Marcantonio Bragadino quando aspettava d'essere scorticato dai Turchi. Allora io non ne potei più e pensando a quello che avevo visto e sentito la sera prima dal buco fatto attraverso il fondatore del collegio, gridai con quanto fiato avevo: - Invece tu non ti dimetterai! - E chi me lo può impedire? - disse il Barozzo con molta dignità. - Chi può vietarmi di battere la strada che mi suggerisce la voce della coscienza? - Ma che voce della coscienza! - risposi io. - Ma che strada da battere! La voce che ti ha turbato così è stata quella della signora Geltrude: e quanto al battere, ti assicuro che non c'è bisogno d'altre battiture dopo quelle che ha ricevuto ieri sera il signor Stanislao! - A queste parole i componenti la società Uno per tutti e tutti per uno sono rimasti così meravigliati che m'hanno fatto compassione, e ho subito sentito il bisogno di raccontar loro tutta la scena avvenuta in Direzione. E non ti so dire, giornalino mio, se tutti son stati soddisfatti di sentire che nessun motivo serio costringeva il Barozzo a dimettersi, perché non era vero nulla che lo tenessero in collegio per compassione, mentre anzi ci avevano trovato il loro tornaconto per via dei molti convittori procurati dal tutore del nostro presidente. Ma più specialmente i componenti la società s'interessarono al racconto della bastonatura, e della perdita della parrucca, perché nessuno si sarebbe immaginato che il Direttore con quella sua aria militare si lasciasse maltrattare in quel modo dalla moglie; e tanto meno si poteva supporre che i suoi capelli fossero presi a prestito appunto come l'aria militare. Il Barozzo però era rimasto sempre distratto e come concentrato in sé stesso. Si vedeva che le mie spiegazioni non lo avevano consolato dalla terribile delusione provata quando aveva saputo di trovarsi nel collegio a condizioni diverse dagli altri. E infatti, nonostante la nostra insistenza non volle recedere dalla grave deliberazione presa, e concluse dicendo: - Lasciatemi libero, amici miei, perché io prima o dopo farò qualcosa di grosso... qualcosa che voi non credereste in questo momento. Io non posso più essere della vostra Società perché uno scrupolo me lo vieta, e ho bisogno di riabilitarmi, e non di fronte a voi, di fronte a me stesso. - E disse queste parole in un modo così deliberato che nessuno osò aprir bocca. Si decise di riunirsi al più presto possibile per eleggere un altro presidente, perché ormai s'era fatto tardi e c'era il caso che qualcuno venisse a cercarci. - Gravi avvenimenti si preparano! - mi disse Maurizio Del Ponte mentre ci stringevamo la mano scambiandoci le fatidiche parole: Uno per tutti! Tutti per uno! Vedremo se il Del Ponte avrà indovinato, ma anche a me l'animo presagisce qualche grossa avventura, per un'epoca forse molto prossima. Altra strepitosa notizia! Iersera dal mio osservatorio ho scoperto che il direttore, la direttrice e il cuoco sono spiritisti... Sicuro! Quand'ho messo l'occhio al solito forellino essi eran già riuniti tutti e tre attorno a un tavolino tondo e il cuoco diceva: - Eccolo! Ora viene! - E chi doveva venire era proprio lo spirito del compianto professor Pierpaolo Pierpaoli benemerito fondatore del nostro collegio e dietro alle cui venerate sembianze io stavo in quel momento vigilando i suoi indegni evocatori... Non mi ci volle dimolto tempo né dimolto ingegno per comprendere la causa e lo scopo di quella seduta spiritistica. Evidentemente il signor Stanislao e la signora Geltrude erano rimasti molto impressionati dal mugolìo che avevan sentito la sera avanti discendere dal ritratto del loro predecessore, e ora, spinti un po' dal rimorso per la scenata fatta in presenza alla rispettabile effige del compianto fondatore dell'istituto e forse anche da un vago timore che incutevan nel loro animo i recenti avvenimenti, evocavano lo spirito dell'illustre defunto per domandargli perdono, consiglio ed aiuto. - Ora viene! Eccolo! - ripeteva il cuoco. A un tratto la signora Geltrude esclamò: - Eccolo davvero! - Infatti il tavolino s'era mosso. - Parlo con lo spirito del professor Pierpaoli? - domandò il cuoco fissando sul piano del tavolino due occhi spalancati che luccicavano come due lumini da notte. Si udirono alcuni colpi battuti sul tavolino e il cuoco esclamò convinto: - È proprio lui. - Domandagli se era lui anche ieri sera - mormorò la signora Geltrude. - Fosti qui anche ieri sera? Rispondi! - disse il cuoco in tuono di comando. E il tavolino a ballare e a picchiare, mentre i tre spiritisti si alzavano dalla sedia e si dondolavano qua e là e si rimettevano a sedere seguendone tutti i movimenti. - Sì, - disse il cuoco - era lui anche ieri sera. - Il signor Stanislao e la signora Geltrude si scambiarono un'occhiata come per dire: - Eh! Ci abbiamo fatto una bella figura! - Poi il signor Stanislao disse al cuoco: - Domandagli se posso rivolgergli la parola... - Ma la signora Geltrude lo interruppe bruscamente, fulminandolo con una occhiata: - Niente affatto! Se qualcuno ha il diritto di parlare con lo spirito del professor Pierpaolo Pierpaoli sono io, io sono sua nipote e non voi che egli non conosceva neanche per prossimo! Avete capito? - E rivolta al cuoco soggiunse: - Domandagli se vuol parlare con me! - Il cuoco si concentrò in sé stesso e poi, sempre figgendo gli occhi sul piano del tavolino ripeté la domanda. Poco dopo il tavolino ricominciò a ballare e a scricchiolare. - Ha detto di no - rispose il cuoco. La signora Geltrude rimase male, mentre il signor Stanislao, non sapendo padroneggiarsi, diè libero sfogo alla gioia che provava per la meritata sconfitta della sua prepotente consorte, esclamando con accento di giubilo infantile degno più di me che di lui: - Hai visto? - E non l'avesse mai detto! La signora Geltrude si rivoltò tutta inviperita scagliando in volto al povero direttore l'ingiuria abituale: - Siete un perfetto imbecille! - Ma Geltrude! - rispose egli imbarazzato con un fil di voce. - Ti prego di moderarti... almeno in presenza al cuoco... almeno in presenza allo spirito del compianto professore Pierpaolo Pierpaoli! - La timida protesta di quel pover'uomo in quel momento mi commosse e volli vendicarlo contro la violenza di sua moglie. Perciò con voce rauca e con accento di rimprovero esclamai : - Ah!... - I tre si voltarono di botto verso il ritratto, pallidi, tremanti di paura. Vi fu una lunga pausa. Il primo a ritornare padrone di sé fu il cuoco, il quale fissando verso di me i suoi occhi di fuoco esclamò: - Sei tu ancora lo spirito di Pierpaolo Pierpaoli? Rispondi! - Io feci un sibilo: - Sssssss... - Il cuoco continuò: - Ti è concesso di parlare direttamente con noi? - Mi venne un'idea. Contraffacendo la voce come prima risposi: - Mercoledì a mezzanotte! - I tre tacquero commossi dal solenne appuntamento. Poi il cuoco disse a bassa voce: - Si vede che stasera e domani gli è vietato di parlare... A domani l'altro! - Si alzarono, misero il tavolino da una parte, rivolsero uno sguardo supplichevole verso di me e poi il cuoco uscì ripetendo con voce grave: - A domani l'altro. - Il signor Stanislao e la signora Geltrude restarono un po' in mezzo alla stanza, impacciati. Poi il direttore dolcemente disse alla moglie: - Geltrude... Geltrude... Cercherai di moderarti? Sì, è vero? Non mi dirai più quella brutta parola?... - Ella, combattuta tra la paura e il suo carattere arcigno, rispose a denti stretti: - Non ve la dirò più... per rispettare il desiderio di quell'anima santa di mio zio... Ma anche senza dirvelo, credete a me, rimarrete sempre quel perfetto imbecille che siete! - A questo punto lasciai il mio osservatorio perché non ne potevo più dal ridere.

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Capitolo 25 Kapitel 25 Chapter 25

9 febbraio

Stamani fra i componenti la società Uno per tutti, tutti per uno è passata la solita parola d'ordine che significa: Nell'ora di ricreazione c'è adunanza. E infatti l'adunanza c'è stata e io non mi ricordo d'aver mai assistito a una seduta di società segreta più emozionante di questa. Nel rileggere il resoconto che ne ho fatto nella mia qualità di segretario, mi par d'avere davanti agli occhi una scena della vita dei cristiani nelle catacombe o un episodio della Carboneria, come si trovano descritti nei romanzi storici. Figurati dunque, giornalino mio, che all'adunanza non mancava nessuno della nostra società, perché il contegno del Barozzo aveva dato nell'occhio a tutti, e s'era tutti ansiosi di sapere come mai tutto ad un tratto egli aveva cambiato così, dopo essere stato chiamato in direzione, a proposito dell'affare dell'anilina. Ci siamo riuniti nel solito angolo del cortile, con molta precauzione, per non dare nell'occhio alla Direttrice, la quale pare che diventi più sospettosa un giorno dell'altro, e me specialmente non mi abbandona mai con lo sguardo, come se da un momento all'altro temesse qualche gherminella. Per fortuna non sospetta neppure lontanamente che la voce del signor Pierpaolo, che le ha fatto tanta paura, fosse invece la mia voce, se no mi ammazzerebbe per lo meno; perché quella donna io la credo capace di tutto! Dunque appena ci siamo raccolti in circolo, il Barozzo, che era pallido in modo da fare impressione, ha detto sospirando, con aria cupa: - Assumo la presidenza dell'assemblea... per l'ultima volta... - Tutti siamo rimasti male e ci siamo guardati in viso con espressione di grande meraviglia, perché il Barozzo era stimato da tutti un giovine pieno di coraggio, d'ingegno, e di un carattere molto cavalleresco: insomma proprio il presidente ideale per una società segreta. È seguìto un momento di silenzio che nessuno ha osato interrompere; poi il Barozzo con la voce sempre più cupa ha continuato: - Sì, amici miei, fin da questo momento io debbo declinare l'alto onore di presiedere la nostra associazione... Ragioni gravi, gravissime, per quanto indipendenti dalla mia volontà, mi costringono a dimettermi. Se non mi dimettessi sarei una specie di traditore... e questo non sarà mai! Di me tutto si potrà dire ma nessuno deve potermi accusare mai di aver conservato per un giorno solo una carica di cui mi considero indegno... - Qui il Michelozzi, che ha un'indole piuttosto tenera, per quanto di fronte al pericolo si comporti da eroe, ha interrotto, con una voce strozzata dalla commozione: - Indegno? Ma è impossibile che tu ti sia reso indegno di restare fra noi... di conservare la presidenza della nostra società! - È impossibile! - abbiamo ripetuto tutti in coro. Ma il Barozzo tentennando la testa ha proseguito: - Io non ho fatto nulla per diventare indegno... la coscienza non mi rimprovera nessuna azione contraria alle leggi della nostra società o a quelle dell'onore in generale. - Qui il Barozzo si mise una mano sul cuore in modo straordinariamente drammatico. - Non posso dirvi nulla! - proseguì l'ex presidente. - Se avete ancora un po' d'affetto per me non dovete domandarmi né ora né mai quale motivo mi costringe ad abbandonare la presidenza. Vi basti sapere che io non potrei, d'ora innanzi, aiutare e tanto meno promuovere la vostra resistenza contro le autorità del nostro collegio... Dunque vedete bene che la mia posizione è insostenibile e la mia decisione immutabile. - Tutti si guardarono di nuovo in faccia e qualcuno si scambiò anche le proprie impressioni a bassa voce. Io capii subito che le parole del Barozzo sembravano a tutti molto significanti, e, che, passata la prima impressione di stupore, le sue dimissioni non sarebbero state accettate. Anche il Barozzo lo capì, ma rimase fermo nel suo atteggiamento, come Marcantonio Bragadino quando aspettava d'essere scorticato dai Turchi. Allora io non ne potei più e pensando a quello che avevo visto e sentito la sera prima dal buco fatto attraverso il fondatore del collegio, gridai con quanto fiato avevo: - Invece tu non ti dimetterai! - E chi me lo può impedire? - disse il Barozzo con molta dignità. - Chi può vietarmi di battere la strada che mi suggerisce la voce della coscienza? - Ma che voce della coscienza! - risposi io. - Ma che strada da battere! La voce che ti ha turbato così è stata quella della signora Geltrude: e quanto al battere, ti assicuro che non c'è bisogno d'altre battiture dopo quelle che ha ricevuto ieri sera il signor Stanislao! - A queste parole i componenti la società Uno per tutti e tutti per uno sono rimasti così meravigliati che m'hanno fatto compassione, e ho subito sentito il bisogno di raccontar loro tutta la scena avvenuta in Direzione. E non ti so dire, giornalino mio, se tutti son stati soddisfatti di sentire che nessun motivo serio costringeva il Barozzo a dimettersi, perché non era vero nulla che lo tenessero in collegio per compassione, mentre anzi ci avevano trovato il loro tornaconto per via dei molti convittori procurati dal tutore del nostro presidente. Ma più specialmente i componenti la società s'interessarono al racconto della bastonatura, e della perdita della parrucca, perché nessuno si sarebbe immaginato che il Direttore con quella sua aria militare si lasciasse maltrattare in quel modo dalla moglie; e tanto meno si poteva supporre che i suoi capelli fossero presi a prestito appunto come l'aria militare. Il Barozzo però era rimasto sempre distratto e come concentrato in sé stesso. Si vedeva che le mie spiegazioni non lo avevano consolato dalla terribile delusione provata quando aveva saputo di trovarsi nel collegio a condizioni diverse dagli altri. E infatti, nonostante la nostra insistenza non volle recedere dalla grave deliberazione presa, e concluse dicendo: - Lasciatemi libero, amici miei, perché io prima o dopo farò qualcosa di grosso... qualcosa che voi non credereste in questo momento. Io non posso più essere della vostra Società perché uno scrupolo me lo vieta, e ho bisogno di riabilitarmi, e non di fronte a voi, di fronte a me stesso. - E disse queste parole in un modo così deliberato che nessuno osò aprir bocca. Si decise di riunirsi al più presto possibile per eleggere un altro presidente, perché ormai s'era fatto tardi e c'era il caso che qualcuno venisse a cercarci. - Gravi avvenimenti si preparano! - mi disse Maurizio Del Ponte mentre ci stringevamo la mano scambiandoci le fatidiche parole: Uno per tutti! Tutti per uno! Vedremo se il Del Ponte avrà indovinato, ma anche a me l'animo presagisce qualche grossa avventura, per un'epoca forse molto prossima. Altra strepitosa notizia! Iersera dal mio osservatorio ho scoperto che il direttore, la direttrice e il cuoco sono spiritisti... Sicuro! Quand'ho messo l'occhio al solito forellino essi eran già riuniti tutti e tre attorno a un tavolino tondo e il cuoco diceva: - Eccolo! Ora viene! - E chi doveva venire era proprio lo spirito del compianto professor Pierpaolo Pierpaoli benemerito fondatore del nostro collegio e dietro alle cui venerate sembianze io stavo in quel momento vigilando i suoi indegni evocatori... Non mi ci volle dimolto tempo né dimolto ingegno per comprendere la causa e lo scopo di quella seduta spiritistica. Evidentemente il signor Stanislao e la signora Geltrude erano rimasti molto impressionati dal mugolìo che avevan sentito la sera avanti discendere dal ritratto del loro predecessore, e ora, spinti un po' dal rimorso per la scenata fatta in presenza alla rispettabile effige del compianto fondatore dell'istituto e forse anche da un vago timore che incutevan nel loro animo i recenti avvenimenti, evocavano lo spirito dell'illustre defunto per domandargli perdono, consiglio ed aiuto. - Ora viene! Eccolo! - ripeteva il cuoco. A un tratto la signora Geltrude esclamò: - Eccolo davvero! - Infatti il tavolino s'era mosso. - Parlo con lo spirito del professor Pierpaoli? - domandò il cuoco fissando sul piano del tavolino due occhi spalancati che luccicavano come due lumini da notte. Si udirono alcuni colpi battuti sul tavolino e il cuoco esclamò convinto: - È proprio lui. - Domandagli se era lui anche ieri sera - mormorò la signora Geltrude. - Fosti qui anche ieri sera? Rispondi! - disse il cuoco in tuono di comando. E il tavolino a ballare e a picchiare, mentre i tre spiritisti si alzavano dalla sedia e si dondolavano qua e là e si rimettevano a sedere seguendone tutti i movimenti. - Sì, - disse il cuoco - era lui anche ieri sera. - Il signor Stanislao e la signora Geltrude si scambiarono un'occhiata come per dire: - Eh! Ci abbiamo fatto una bella figura! - Poi il signor Stanislao disse al cuoco: - Domandagli se posso rivolgergli la parola... - Ma la signora Geltrude lo interruppe bruscamente, fulminandolo con una occhiata: - Niente affatto! Se qualcuno ha il diritto di parlare con lo spirito del professor Pierpaolo Pierpaoli sono io, io sono sua nipote e non voi che egli non conosceva neanche per prossimo! Avete capito? - E rivolta al cuoco soggiunse: - Domandagli se vuol parlare con me! - Il cuoco si concentrò in sé stesso e poi, sempre figgendo gli occhi sul piano del tavolino ripeté la domanda. Poco dopo il tavolino ricominciò a ballare e a scricchiolare. - Ha detto di no - rispose il cuoco. La signora Geltrude rimase male, mentre il signor Stanislao, non sapendo padroneggiarsi, diè libero sfogo alla gioia che provava per la meritata sconfitta della sua prepotente consorte, esclamando con accento di giubilo infantile degno più di me che di lui: - Hai visto? - E non l'avesse mai detto! La signora Geltrude si rivoltò tutta inviperita scagliando in volto al povero direttore l'ingiuria abituale: - Siete un perfetto imbecille! - Ma Geltrude! - rispose egli imbarazzato con un fil di voce. - Ti prego di moderarti... almeno in presenza al cuoco... almeno in presenza allo spirito del compianto professore Pierpaolo Pierpaoli! - La timida protesta di quel pover'uomo in quel momento mi commosse e volli vendicarlo contro la violenza di sua moglie. Perciò con voce rauca e con accento di rimprovero esclamai : - Ah!... - I tre si voltarono di botto verso il ritratto, pallidi, tremanti di paura. Vi fu una lunga pausa. Il primo a ritornare padrone di sé fu il cuoco, il quale fissando verso di me i suoi occhi di fuoco esclamò: - Sei tu ancora lo spirito di Pierpaolo Pierpaoli? Rispondi! - Io feci un sibilo: - Sssssss... - Il cuoco continuò: - Ti è concesso di parlare direttamente con noi? - Mi venne un'idea. Contraffacendo la voce come prima risposi: - Mercoledì a mezzanotte! - I tre tacquero commossi dal solenne appuntamento. Poi il cuoco disse a bassa voce: - Si vede che stasera e domani gli è vietato di parlare... A domani l'altro! - Si alzarono, misero il tavolino da una parte, rivolsero uno sguardo supplichevole verso di me e poi il cuoco uscì ripetendo con voce grave: - A domani l'altro. - Il signor Stanislao e la signora Geltrude restarono un po' in mezzo alla stanza, impacciati. Poi il direttore dolcemente disse alla moglie: - Geltrude... Geltrude... Cercherai di moderarti? Sì, è vero? Non mi dirai più quella brutta parola?... - Ella, combattuta tra la paura e il suo carattere arcigno, rispose a denti stretti: - Non ve la dirò più... per rispettare il desiderio di quell'anima santa di mio zio... Ma anche senza dirvelo, credete a me, rimarrete sempre quel perfetto imbecille che siete! - A questo punto lasciai il mio osservatorio perché non ne potevo più dal ridere.