13. Il deserto dei Tartari (C. 15)
La spedizione per delimitare il confine nel tratto di frontiera rimasto scoperto partì il giorno dopo all'alba. La comandava il gigantesco capitano Monti, accompagnato dal tenente Angustina e da un sergente maggiore. A ciascuno dei tre erano state affidate la parola d'ordine di quel giorno e dei quattro giorni successivi. Era ben improbabile che tutti e tre potessero perire; ad ogni modo il più anziano dei soldati superstiti avrebbe avuto facoltà di aprire la giubba dei superiori morti o svenuti, di frugare in un taschino interno, di trarne la busta sigillata contenente la parola segreta per rientrare nella Fortezza.
Una quarantina di uomini armati uscirono dalle mura della Fortezza, verso il nord, mentre stava nascendo il sole. Il capitano Monti aveva scarpe grosse con chiodi, simili a quelle dei soldati. Soltanto Angustina portava stivali, e il capitano li aveva guardati con esagerata curiosità, prima di partire, senza però dire niente. Scesero un centinaio di metri per i ghiaioni, poi piegarono a destra, orizzontalmente, verso la imboccatura di una stretta valle rocciosa che si addentrava nel cuore della montagna.
Camminavano da mezz'ora quando il capitano disse:
"Con quei così lì" accennava agli stivali di Angustina "farà fatica." Angustina non disse niente.
"Non vorrei che si dovesse fermare" ripeté dopo un poco il capitano. "Le faranno male, vedrà."
Angustina rispose: "Adesso è troppo tardi, signor capitano, avrebbe potuto dirmelo prima, se è come dice".
"Tanto" ribatté Monti "sarebbe stato lo stesso. La conosco, Angustina, li avrebbe messi lo stesso."
Monti non lo poteva soffrire. "Con tutte le arie che ti dai" pensava "ti farò vedere io fra poco." E forzava al massimo l'andatura, anche sui pendii più erti, sapendo che Angustina non era robusto. Si erano intanto accostati alla base delle pareti. Il ghiaione si era fatto più minuto e i piedi vi affondavano faticosamente.
Il capitano disse: "Di solito viene giù un vento d'inferno, da questa gola… Ma oggi si sta bene".
Il tenente Angustina tacque.
"Fortuna anche che non c'è il sole" riprese il Monti. "Si va proprio bene oggi."
"Ma lei è già stato qui?" chiese Angustina.
Monti rispose: "Una volta, si doveva cercare un soldato fug…".
Si interruppe perché dall'alto di un grigio muraglione, incombente sopra di loro, era giunto un suono di frana. Si udivano i tonfi dei macigni che esplodevano contro le rupi, e rimbalzavano con selvaggio impeto giù per l'abisso tra fumate di polvere. Un rombo di tuono si ripercoteva di parete in parete. Nel cuore dei dirupi la misteriosa frana continuò per qualche minuto ma si esaurì nei fondi canali prima di giungere in basso; alle ghiaie dove salivano i soldati non arrivarono che due tre sassetti.
Tutti erano taciuti, in quegli scrosci di frana si era sentito una presenza nemica. Monti guardò Angustina con una vaga aria di sfida. Sperava che avesse paura, invece niente. Il tenente però appariva esageratamente accaldato per la breve marcia; la sua elegante divisa si era come scomposta.
"Con tutte le arie che ti dai, maledetto snob" pensava Monti "ti voglio vedere fra poco." Riprese subito la marcia, forzando ancor più l'andatura, e gettava indietro ogni tanto brevi occhiate a esaminare Angustina: sì, come lui aveva sperato e previsto, si vedeva che gli stivali cominciavano a tormentargli i piedi. Non che Angustina rallentasse il passo o atteggiasse la faccia a dolore. Lo si capiva dal ritmo della marcia, dall'espressione di severo impegno segnata sulla sua fronte.
Disse il capitano: "Sento che oggi andrei avanti anche per sei ore. Se non ci fossero i soldati… Va proprio bene oggi" (insisteva con ingenua malizia). "Come va tenente?"
"Scusi, capitano" fece Angustina. "Che cosa ha detto?"
"Niente" e sorrideva cattivo "domandavo come andava."
"Ah sì, grazie" disse Angustina evasivamente; e dopo una pausa, per nascondere l'ansito della salita: "peccato che…"
"Peccato che cosa?" chiese Monti, sperando che l'altro si confessasse stanco.
"Peccato che non si possa venire più spesso quassù, sono posti bellissimi" e sorrideva col suo tono di distacco.
Monti accelerò ancora più l'andatura. Ma Angustina gli teneva dietro; la sua faccia adesso era pallida per lo sforzo, rivoli di sudore scendevano dal bordo del berretto, anche la stoffa della giacca, sulla schiena, si era fatta fradicia, ma lui non diceva parola né perdeva distanza.
Oramai erano entrati fra le rupi, orrende pareti grige si levavano a picco tutto attorno, la valle pareva che dovesse salire ad altezze inconcepibili. Cessavano gli aspetti della solita vita per lasciar posto alla immobile desolazione della montagna. Affascinato, Angustina ogni tanto alzava gli occhi alle creste pencolanti sopra di loro.
"Faremo una sosta più avanti" disse Monti che lo teneva sempre d'occhio. "Ancora il posto non si vede. Ma, sinceramente, non è mica stanco no?
Alle volte si è mal disposti. È meglio dirlo, anche se si rischia di far tardi." "Andiamo, andiamo" fu la risposta di Angustina quasi fosse lui il superiore.
"Sa? dicevo così perché a tutti può capitare di essere mal disposti. Solo per questo dicevo…"
Angustina era pallido, rivoli di sudore fluivano dal bordo del berretto, la giacca era completamente intrisa. Ma serrava i denti e non cedeva, sarebbe morto piuttosto. Cercando che il capitano non lo vedesse, egli lanciava realmente occhiate verso la sommità del vallone, a cercare il termine della fatica.
Intanto il sole si era levato e illuminava le cime più alte, senza però il fresco splendore delle buone mattine di autunno. Un velo di caligine si distendeva lentamente nel cielo, subdolo ed uniforme. Ora in realtà gli stivali cominciavano a fare un male di inferno, il cuoio mordeva il collo del piede, a giudicare dalla sofferenza la pelle doveva essersi già rotta. Ad un tratto i ghiaioni cessarono e la valle sboccò in un breve pianoro con stentate erbette ai piedi di un circo di pareti. Da una parte e dall'altra si innalzavano, in un intrico di torri e di spaccature, muraglie di cui era difficile stimare l'altezza.
Benché a malincuore, il capitano Monti ordinò una fermata e diede tempo ai soldati per mangiare. Angustina si sedette sopra un sassone con compostezza, sebbene tremasse al vento che gli gelava il sudore. Lui e il capitano divisero un po' di pane, una fetta di carne, del formaggio, una bottiglia di vino.
Angustina aveva freddo, guardava il capitano e i soldati, se mai qualcuno sciogliesse il rotolo della mantella, per poterlo imitare. Ma i soldati sembravano insensibili alla fatica e scherzavano fra loro, il capitano mangiava con avida compiacenza, guardando fra boccone e boccone una dirupata montagna sopra di loro.
"Adesso" disse "adesso io ho capito per dove si può salire" e faceva cenno alla parete incombente che finiva sulla cresta contesa. "Bisogna andare su diritti di qua. Abbastanza in piedi no? Che cosa ne dice, tenente?"
Angustina guardò la parete. Per raggiungere la cresta di confine bisognava proprio andare su di là, a meno che non si fosse voluto contornarla da qualche valico. Ci sarebbe però voluto molto più tempo e occorreva invece affrettarsi: quelli del nord erano favoriti perché si erano mossi per primi e dalla loro parte la strada era molto più facile. Bisognava attaccare la parete proprio di fronte.
"Su di qua?" domandò Angustina, osservando i precipitosi dirupi, e notò che un centinaio di metri più a sinistra la strada sarebbe stata molto più semplice.
"Diritti su di qua, certo" ripeté il capitano. "Che cosa ne dice?" Angustina disse: "Tutto sta ad arrivare prima di loro".
Il capitano lo guardò con manifesta antipatia. "Bene" disse. "Adesso facciamo una partitina."
Trasse di tasca un mazzo di carte, distese sopra un sassone squadrato la sua mantella, invitò Angustina a giocare, poi disse: "Quelle nubi. Lei le guarda in un certo modo, ma non abbia paura, non sono nubi da cattivo tempo quelle…" e rise, chissà perché, come se avesse fatto uno spiritoso scherzo.
Cominciarono così a giocare. Angustina si sentiva ghiacciato dal vento. Mentre il capitano si era seduto fra due pietroni che facevano da riparo, lui prendeva l'aria in pieno nelle spalle. "Questa volta mi ammalo" pensava. "Ah, questa è troppo grossa per lei!" gridò, letteralmente urlò il capitano Monti senza preavviso. "Perdio, lasciarmi così un asso! Ma lei caro tenente, dove ha la testa? Continua a guardare in su e non bada neanche alle carte."
"No, no" rispose Angustina. "Mi sono sbagliato!" E cercò di ridere senza riuscirci.
"Dica la verità" fece il Monti con trionfale soddisfazione. "Dica la verità; quei così lì le fan male, l'avrei giurato fino dalla partenza."
"Quali così lì?"
"I suoi bei stivali. Non sono per queste marce, caro tenente. Dica la verità: le fanno male."
"Mi danno noia" ammise Angustina con un tono di sprezzo per dire che lo disturbava il parlarne. "Mi hanno dato noia, effettivamente."
"Ah, ah!" rise contento il capitano. "Lo sapevo io! Eh, guai a mettere gli stivali su per i ghiaioni."
"Guardi che ho messo giù un re di spade" avvertì gelido Angustina.
"Non ha da rispondermi?"
"Sì, sì, mi sbagliavo" fece il capitano, sempre lietissimo. "Eh! Gli stivali!" Gli stivali del tenente Angustina in verità non tenevano bene sulle rocce della parete. Sprovvisti di chiodi, essi tendevano a scivolare, mentre gli scarponi del capitano Monti e dei soldati addentavano solidamente gli appigli. Non per questo Angustina rimaneva indietro: con moltiplicato impegno, benché fosse già stanco e il sudore gelato addosso gli desse pena, riusciva a seguire da presso il capitano su per la rotta muraglia. La montagna si rivelava meno difficile e ripida di quanto non apparisse a guardarla da basso. Era tutta solcata da cunicoli, da spaccature, da cornici ghiaiose, e le singole rocce scabre per innumerevoli appigli, ai quali ci si attaccava agevolmente. Non agile di natura, il capitano si arrampicava di forza, a successivi balzi, ogni tanto guardando in giù nella speranza che Angustina fosse scoppiato. Invece Angustina teneva duro; cercava con la massima prestezza gli appoggi più larghi e sicuri e si meravigliava quasi di potersi innalzare così lestamente, pur sentendosi sfinito.
Man mano che l'abisso aumentava sotto di loro, sembrava sempre più allontanarsi la cresta finale, difesa da un giallo muraglione a piombo. E sempre più velocemente si avvicinava la sera, benché uno spesso soffitto di nubi grige impedisse di valutare la residua altezza del sole. Cominciava pure a fare freddo. Un vento cattivo saliva dal vallone e lo si sentiva ansimare entro le crepe della montagna. "Signor capitano!" si udì a un certo punto gridare dal basso il sergente che chiudeva la marcia.
Il Monti si fermò, si fermò Angustina, poi tutti i soldati fino all'ultimo. "Che cosa c'è, adesso?" domandò il capitano, come se altri motivi di preoccupazione già lo disturbassero.
"Sono già sulla cresta, quelli del nord!" gridò il sergente.
"Sei matto! Dove li vedi?" ribatté il Monti.
"A sinistra, su quella selletta, subito a sinistra quella specie di naso!" C'erano infatti. Tre minuscole figure nere spiccavano contro il cielo grigio e stavano visibilmente muovendosi. Era evidente che avevano già occupato il tratto inferiore della cresta e con ogni probabilità sarebbero arrivati in cima prima di loro.
"Perdio" fece il capitano con un'occhiata rabbiosa verso il basso, quasi che del ritardo fossero responsabili i soldati. Poi ad Angustina: "Almeno la cima bisogna che l'occupiamo noi, poche storie, se no stiamo freschi col colonnello! ".
"Bisognerebbe che quelli si fermassero un poco" fece Angustina. "Dalla selletta alla cima più di un'ora non ci impiegano. Se non si fermano un poco, noi arriviamo dopo per forza."
Il capitano allora disse: "Forse è meglio vada avanti io con quattro soldati, in pochi si fa più presto. Lei venga dietro con calma, oppure aspetti qui, se si sente stanco".
Ecco dove voleva arrivare quella carogna, pensò Angustina, voleva lasciarlo indietro, per fare bella figura soltanto lui.
"Signorsì, come comanda" rispose. "Ma preferisco venire su anch'io, a rimanere fermi si gela."