14. Il deserto dei Tartari (C. 15)
Capitolo 15 (continuazione)
Il capitano, con quattro dei soldati più svelti, ripartì dunque come pattuglie di punta. Angustina prese il comando dei rimanenti e inutilmente sperò di poter tenere ancora dietro al Monti. I suoi erano troppi; la fila, forzando l'andatura, si allungava smisuratamente, tanto che gli uomini si perdevano completamente di vista.
Angustina vide così la piccola pattuglia del capitano sparire in alto, dietro grige mensole di roccia. Per un pezzo sentì le piccole frane di ghiaia da essi prodotte nei canali, poi neppure quelle. Anche le loro voci finirono per dissolversi nella lontananza.
Ma intanto il cielo si faceva cupo. Le rupi attorno, le pallide pareti dall'altra parte del vallone, il fondo del precipizio, avevano una tinta livida. Piccoli corvi volavano lungo gli aerei spigoli emettendo strida, parevano chiamarsi l'un l'altro per pericoli imminenti.
"Signor tenente" disse ad Angustina il soldato che lo seguiva. "Fra poco viene la pioggia."
Angustina si fermò a guardarlo per un istante e non disse parola. Gli stivali adesso non lo tormentavano più ma cominciava una stanchezza profonda. Ogni metro di salita gli costava un estremo sforzo. Per fortuna le rocce di quel tratto erano meno ripide e ancora più rotte delle precedenti. Chissà fin dove era arrivato il capitano - pensava Angustina - forse già in cima, forse aveva già piantato la bandierina e messo il segno di confine, forse era già sulla via del ritorno. Guardò in su e si accorse che la vetta non era più molto lontana. Solo non capiva per dove si sarebbe potuto passare, tanto erta e liscia era la bastionata che la sosteneva.
Finalmente, sbucato su di una larga cengia ghiaiosa, Angustina si trovò a pochi metri dal capitano Monti. Salito sulle spalle di un soldato, l'ufficiale tentava di inerpicarsi su per una breve parete a picco, non più alta certo di una dozzina di metri, ma in apparenza inaccessibile. Era evidente che il Monti già da parecchi minuti si ostinava nei tentativi, senza riuscire a trovare una via.
Annaspò tre quattro volte cercando un appiglio, parve trovare, lo si udì bestemmiare, lo si vide calare giù nuovamente sulle spalle del soldato, che vibrava tutto per lo sforzo. Finalmente rinunciò e con un salto fu sulle ghiaie della cengia.
Il Monti, che ansimava per la fatica, guardò con aria ostile
Angustina: "Poteva aspettare giù, tenente" disse. "Di qui certo tutti non si passa, sarà tanto se potrò andare su io con un paio di soldati. Era meglio se lei aspettava giù, adesso vien notte e discendere diventa un affare serio."
"Me l'ha detto lei, signor capitano" rispose Angustina senza la minima partecipazione. "Mi aveva detto di fare come preferivo: o aspettare o venire su dietro di lei."
"Bene" fece il capitano. "Adesso bisogna trovare una strada, non ci sono che questi pochi metri per arrivare alla cima."
"Come? È subito là dietro la cima? " chiese il tenente con un'indefinibile ironia che il Monti non sospettò nemmeno.
"Non sono neanche dodici metri" imprecava il capitano. "Perdio, voglio vedere se non passo. A costo di…" Fu interrotto da un grido arrogante che veniva dall'alto: sul ciglio superiore della breve parte si affacciarono due teste umane sorridenti. "Buonasera, signori" gridò uno, forse un ufficiale. "Guardate che di qui non passate, bisogna venir su dalla cresta! " Le due facce si ritirarono e si udirono soltanto confuse voci di uomini confabulanti.
Il Monti era livido per la rabbia. Non c'era dunque più niente da fare. Quelli del nord avevano ormai occupato anche la cima. Il capitano sedette sopra un macigno della cengia, senza badare ai suoi soldati che continuavano ad arrivare dal basso.
Proprio in quel momento cominciò a nevicare, una neve fitta e pesante, come di pieno inverno. In pochi istanti, quasi incredibile, le ghiaie della cengia divennero bianche e la luce venne improvvisamente a mancare. Era piombata la notte a cui nessuno fino allora aveva seriamente pensato. I soldati, senza dimostrare il minimo allarme, sciolsero ciascuno il rotolo della mantella e si coprirono.
"Che cosa fate, perdio? " scattò il capitano. "Rifate su le mantelle subito! Non vi salterà mica in mente di passare qui la notte? Bisogna scendere adesso."
Angustina disse: "Se mi permette, signor capitano, fino a che quelli sono in cima…".
"Che cosa, che cosa vorrebbe dire lei? " chiese il capitano con ira.
"Che non si può tornare indietro, mi pare, fino a che quelli del nord sono sulla cima. Loro sono arrivati prima e noi non abbiamo più niente da fare qui, ma ci faremmo una bella figura!"
Il capitano non rispose, camminò su e giù qualche istante per la larga cengia. Poi disse: "Ma adesso anche loro se ne andranno ben via, sulla cima con questo tempo è ancora peggio di qua".
"Signori! " chiamò una voce dall'alto, mentre spuntavano sul ciglio della paretina quattro o cinque teste. "Senza complimenti, prendete queste corde, venite su di qua, col buio non ce la fate a scendere per la parete! " Contemporaneamente due funi vennero gettate dall'alto, affinché quelli della Fortezza se ne servissero per salire la breve muraglia. "Grazie" rispose il capitano Monti con aria beffarda. "Grazie per il pensiero, ma ci pensiamo noi ai casi nostri!"
"Come credete" gridarono ancora dalla cima. "Comunque, ve le lasciamo qua, se mai vi facessero comodo."
Seguì un lungo silenzio, non si udiva che il fruscio della neve, qualche colpo di tosse dei soldati. La visibilità era quasi completamente scomparsa, appena appena si riusciva a distinguere il ciglio della paretina incombente, dal quale ora si irradiava il rosso riflesso di una lanterna. Anche vari soldati della Fortezza, rimessisi le mantelle, avevano acceso dei lumi. Uno fu portato al capitano, se alle volte gli potesse servire.
"Signor capitano" disse Angustina con voce stanca.
"Che cosa c'è adesso?"
"Signor capitano, che cosa ne direbbe di una partitina?"
"Al diavolo la partitina! " rispose il Monti che capiva benissimo come per quella notte non si potesse più scendere.
Senza dir motto Angustina trasse dalla busta del capitano, affidata a un soldato, il mazzo delle carte. Stese su un sasso un lembo della propria mantella, ci mise di fianco la lanterna, cominciò a mescolare. "Signor capitano" ripeté. "Mi dia ascolto, anche se non ne ha voglia. " Il Monti capì allora che cosa intendesse dire il tenente: di fronte a quelli del nord, che probabilmente stavano beffeggiandoli, non rimaneva altro da fare. E mentre i soldati si rincantucciavano alla base della parete, sfruttando ogni rientranza, o si mettevano a mangiare fra scherzi e risa, i due ufficiali, sotto la neve, cominciarono una partita alle carte. Sopra di loro le rocce a picco, sotto il precipizio nero.
"Cappotto, cappotto! " si udì gridare dall'alto, in tono scherzoso.
Né il Monti né l'Angustina sollevarono il capo, continuando a giocare. Il capitano però lo faceva di malavoglia, sbattendo le carte sulla mantella con rabbia. Invano Angustina tentava di scherzare:
"Magnifico, due assi in fila… ma questo lo prendo io… dica la verità, che quel bastone se l'era dimenticato…". E rideva anche, di quando in quando: un riso apparentemente sincero.
Dall'alto si udì una ripresa di voci, poi rumori di sassi smossi, probabilmente stavano per andarsene.
"Buona fortuna! " gridò ancora verso di loro la voce di prima. "Buona partita… e non dimenticate le due corde!"
Né il capitano né Angustina risposero. Essi continuarono a giocare senza neanche un cenno di risposta, ostentando grande concentrazione. Il riflesso della lanterna disparve dalla cima; evidentemente quelli del nord stavano andandosene. Le carte, sotto la neve fitta, si erano fatte fradice e non si riusciva a mescolarle che a stento.
"Basta adesso" fece il capitano gettando sul mantello le proprie.
"Basta con questa commedia!"
Si ritrasse sotto le rocce, si avvolse con cura nella mantella. "Toni! " chiamò "portami la mia busta e trovami un po' d'acqua da bere."
"Ci vedono ancora" disse Angustina. "Ci vedono ancora dalla cresta! " Ma siccome capiva che il Monti ne aveva abbastanza, continuò da solo, simulando che la partita continuasse.
Fra clamorose esclamazioni inerenti al gioco, il tenente reggeva nella mano sinistra le proprie carte, con la destra le gettava sul lembo della mantella, facendo finta di raccogliere le prese; attraverso la fitta neve, gli stranieri non potevano certo dalla cresta notare che l'ufficiale giocava da solo.
Una orribile sensazione di gelo gli era intanto penetrata nelle viscere. Egli sentiva che probabilmente non sarebbe stato più capace di muoversi, neppure di distendersi; mai, che si ricordasse, si era sentito così male. Sulla cresta ancora si scorgeva il dondolante riflesso dell'altrui lanterna che si allontanava; lo potevano ancora vedere. (E alla finestra del meraviglioso palazzo ecco un'esile figura: lui Angustina, bambino, di un'impressionante pallore, con un elegante vestito di velluto e un collo di pizzo bianco; con gesto stanco aprì la finestra, chinandosi verso i fluttuanti spiriti appesi al davanzale, come se fosse con loro in dimestichezza e volesse dire una cosa.)
"Cappotto, cappotto! " egli tentava ancora di gridare per farsi sentire dagli stranieri, ma gli usciva una povera voce rauca e sfinita.
"Perdio è la seconda volta, signor capitano!"
Chiuso entro al suo tabarro, masticando lentamente qualche cosa, il Monti ora fissava attentamente Angustina, con ira sempre minore. "Basta, venga al riparo, tenente, oramai quelli del nord sono andati! " "Lei è molto più bravo di me, signor capitano" insisteva Angustina nella finzione, mancandogli sempre più la voce. "Ma stasera non è proprio in vena. Perché continua a guardare in su? Perché guarda alla cima? È forse un poco nervoso?
Allora, sotto il formicolare della neve, le ultime fradice carte sfuggirono dalla mano del tenente Angustina, la mano stessa ricadde priva di vita, rimase inerte lungo il mantello alla luce tremula della lanterna.
La schiena appoggiata a un sasso, il tenente si abbandonò con moto lento all'indietro, una sonnolenza strana lo stava invadendo. (E verso il palazzo nella notte di luna, avanzava per l'aria un piccolo corteo di altri spiriti che trascinavano una portantina.)
"Tenente, venga qua a mangiare un boccone, con questo freddo bisogna mangiare, si faccia forza, anche se non ne ha voglia! " Così gridava il capitano e un'ombra di apprensione vibrava nella sua voce. "Venga qua sotto, che la neve sta per finire."
Era infatti così: quasi di colpo le bianche falde si erano fatte meno fitte e pesanti, l'atmosfera più limpida, si potevano già scorgere, ai riflessi delle lanterne, rocce distanti anche parecchie decine di metri.
E improvvisamente, attraverso uno squarcio della bufera, a una lontananza incalcolabile, comparvero i lumi della Fortezza. Parevano infiniti, come di un castello incantato, immerso nel tripudio di carnevali antichi. Angustina li vide e un sottile sorriso si formò lentamente sulle labbra intorpidite dal gelo.
"Tenente" chiamò ancora il capitano, che cominciava a capire.
"Tenente, butti via quelle carte venga qua sotto, che si è riparati dal vento. " Ma Angustina guardava i lumi e in verità non sapeva più esattamente di che cosa fossero, se della Fortezza, o della città lontana, oppure del proprio castello, dove nessuno stava aspettandolo di ritorno.
Forse, dagli spalti del Forte, una sentinella in quel momento aveva voltato casualmente gli sguardi verso le montagne, riconosciuto i lumi sulla altissima cresta; a così grande distanza la paretina maligna era meno che nulla, non faceva proprio alcuna differenza. E forse era proprio Drogo a comandare la guardia. Drogo che probabilmente, se avesse desiderato, sarebbe pure potuto partire col capitano Monti e Angustina. Ma a Drogo era parsa una cosa stupida: sfumata la minaccia dei Tartari, quel servizio gli era sembrato nient'altro che una seccatura, in cui non c'era da meritare nulla. Adesso però anche Drogo vedeva il tremolio delle lanterne in cima e cominciava a rimpiangere di non essere andato. Non soltanto in una guerra dunque si poteva trovare qualche cosa di degno; ed ora avrebbe voluto anche lui essere lassù, nel cuore della notte e della tempesta. Troppo tardi, l'occasione gli era passata vicina e lui l'aveva lasciata andare. Ben riposato e asciutto, chiuso nel suo caldo mantello, Giovanni Drogo forse guardava invidiosamente i lontani lumi, mentre Angustina, tutto incrostato di neve, adoperava con difficoltà la residua forza per lisciarsi i baffi bagnati e drappeggiare minuziosamente il mantello, non allo scopo di serrarselo addosso e stare più caldo, ma per altro suo arcano disegno. Dal riparo, il capitano Monti lo fissava stupefatto, si domandava che cosa Angustina stesse facendo, dove mai gli fosse capitato di vedere un'altra figura molto simile, senza però riuscire a ricordarla.
C'era, in una sala della Fortezza, un vecchio quadro rappresentante la fine del Principe Sebastiano. Mortalmente ferito, il Principe Sebastiano giaceva nel cuore della foresta, appoggiando la schiena a un tronco, la testa un po' abbandonata da una parte, il mantello ricadente con armoniose pieghe; nulla c'era nella immagine della sgradevole crudeltà fisica della morte; e guardandolo non ci si stupiva che il pittore gli avesse consegnata tutta la nobiltà ed estrema eleganza.
Ora Angustina, oh non ch'egli ci pensasse, andava assomigliando al Principe Sebastiano ferito nel cuore della foresta; Angustina non aveva come lui la lucente corazza, né ai suoi piedi giaceva l'elmo sanguinolento, né la spada spezzata; non appoggiava la schiena a un tronco bensì a un duro macigno; non l'ultimo raggio del sole lo illuminava in fronte ma soltanto una fioca lanterna. Eppure gli assomigliava moltissimo, identica la posizione delle membra, identico il drappeggio della mantella, identica quell'espressione di stanchezza definitiva.
Allora, al paragone di Angustina pur essendo ben più vigorosi e spavaldi, il capitano, il sergente e tutti gli altri soldati sembrarono l'un l'altro rozzi bifolchi. E nell'animo del Monti, per quanto fosse quasi inverosimile, nacque un invidioso stupore. Cessata la neve, il vento mandava lamenti fra le rupi, molinava un polverio di ghiaccioli, faceva oscillare le fiammelle fra i vetri delle lanterne. Angustina pareva non lo sentisse, se ne stava immobile, appoggiato al pietrone, gli occhi fissi ai lumi lontani della Fortezza.
"Tenente! " provò ancora il capitano Monti. "Tenente! si decida! Venga qua sotto, se rimane lì non può resistere, finirà congelato. Venga qua sotto che Toni ha costruito una specie di muretto."
"Grazie, capitano" disse con fatica Angustina e riuscendogli troppo difficile parlare, alzò lievemente una mano, facendo un segno, come a dire che non importava, che erano tutte sciocchezze senza il minimo peso. (Alla fine il capo degli spiriti gli rivolse un gesto imperioso e Angustina, con la sua aria annoiata, scavalcò il davanzale e si sedette graziosamente nella portantina. La fatata carrozza mosse dolcemente per partire). Per qualche minuto non si udì che il grido rauco del vento. Anche i soldati, riuniti a mucchi sotto le rocce per stare più caldi, avevano perso la voglia di scherzare e lottavano in silenzio col freddo. Come il vento ebbe una pausa, Angustina rialzò di qualche centimetro il capo, mosse adagio la bocca per parlare, gli uscirono soltanto queste due parole: "Bisognerebbe domani…" e dopo più nulla. Due parole soltanto e così fioche che neppure il capitano Monti si accorse che lui aveva parlato.
Due parole e la testa di Angustina si ripiegò in avanti abbandonata a se stessa. Una delle sue mani giacque bianca e rigida entro la piega del mantello, la bocca riuscì a chiudersi, di nuovo sulle labbra andò formandosi un sottile sorriso. (Traendolo via la portantina, egli staccò gli sguardi dall'amico e volse il capo dinanzi, in direzione del corteo, con una specie di curiosità divertita e diffidente. Così si allontanò nella notte, con nobiltà quasi inumana. Il magico corteo andò serpeggiando lentamente nel cielo, sempre più in alto, divenne una confusa scia, poi un minimo ciuffetto di nebbia, poi nulla.)
"Che cosa volevi dire, Angustina? Che cosa domani? " Il capitano Monti, uscito finalmente dal suo riparo, scuote con forza per le spalle il tenente per fargli riprendere vita; ma non riesce che a scomporre le nobili pieghe del militaresco sudario, ed è un peccato. Nessuno dei soldati si è ancora accorto di quanto è successo.
Imprecando il Monti, gli risponde solo, dal precipizio nero, la voce del vento. "Che cosa volevi dire, Angustina? Te ne sei andato senza terminare la frase; forse era una cosa stupida e qualunque, forse un'assurda speranza, forse anche niente."