Un messaggio dagli Dèi (357-361) - Ep. 6 (2)
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In questa scena Ammiano ha un bel dire che Giuliano provò più volte a rifiutare l'onore, tendo in questo a non dargli troppo credito: non era presente e suona molto come la tipica propaganda imperiale che vuole sempre gli imperatori recalcitranti ad accettare il grande onore. Credo che Giuliano fosse oramai sicuro di sé e consapevole della difficoltà in cui era stretto Costanzo, oramai nella tenaglia tra persiani e l'esercito delle Gallie. No, Giuliano fece i suoi calcoli e decise che era arrivato il momento di una promozione.
Ora, dagli ultimi episodi avrete capito che ho molto in simpatia Giuliano ma cercherò di essere obiettivo, soprattutto da ora in poi visto che la sua storia prende tinte assai meno eroiche e più controverse. Ribellarsi al suo sovrano in questo momento, proprio mentre l'impero era minacciato da Shapur e la sua armata persiana, fu un atto di grande irresponsabilità e egoismo che finì, in definitiva, per distruggere il lavoro di ricostruzione del limes renano portato avanti in modo brillante nei suoi anni da Cesare. Giuliano di qui a poco partirà per l'oriente e – spoiler – non tornerà mai più. Con lui partiranno molti dei reggimenti che si erano ribellati per non partire per l'oriente – ah l'ironia! – e anche loro non faranno mai ritorno. Alemanni e Franchi si guarderanno intorno, si leccheranno le ferite e con gli anni torneranno all'attacco. Come al solito l'intrattabile problema della successione imperiale e della legittimità a governare continua a disfare il lavoro di anni o generazioni, come tante fatiche di Sisifo.
Sta di fatto che Giuliano chiamò in assemblea sul campo di Parigi tutto il suo esercito e fece un lungo discorso ai suoi, ricordandogli i giorni dorati in cui avevano sconfitto gli Alemanni a Strasburgo, nelle sue parole “un giorno felicissimo che ha portato ai Galli un'eterna libertà. Quel giorno, mentre io correvo da una parte all'altra del campo di battaglia evitando una fitta pioggia di dardi voi, sorretti dal vigore e dalla lunga esperienza abbatteste il nemico sul campo e li annegaste nei flutti del fiume” Giuliano gli ricorda il loro grande successo combattendo assieme e gli chiede quindi implicitamente di seguirlo in capo al mondo, la ragione per la quale si erano in prima istanza ribellati. L'obiettivo: sconfiggere Costanzo. Ma Giuliano prima di passare ai fatti scrisse due lettere a Costanzo: una lettera molto deferente nella quale spiegava gli avvenimenti, si dichiarava vittima inconsapevole della volontà delle legioni, che avevano preso a male l'ordine di trasferimento. Si firmava perfino Cesare ma chiedeva al collega di confermarlo nel titolo di Augusto, come era nei suoi poteri. Questa lettera era destinata credo più all'opinione pubblica dell'impero che a Costanzo, facendo capire ai magnati dell'impero che lui era una persona accomodante e pronta al dialogo in modo da evitare una nuova guerra civile.
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Ma assieme a questa lettera ne inviò un'altra, bene più salace e della quale non abbiamo il contenuto se non il detto di Marcellino che il contenuto doveva essere “reprensivo e mordace”. Giuliano aveva passato il Rubicone, e lo sapeva: l'ariete aveva toccato le mura, non ci sarebbe stata resa senza resa dei conti.
Costanzo rifletté sulla pubblica offerta di concordia penso 5 minuti prima di rispondere al cugino che non aveva nessuna intenzione di nominarlo co-augusto e che si sarebbe dovuto accontentare del grado di Cesare: ora Giuliano aveva il legittimo sospetto che non sarebbe mai stato del tutto al sicuro dal cugino ma va detto che Giuliano era a questo punto certamente l'unico erede di Costanzo, che non aveva figli. L'impero avrebbe potuto evitare tutti questi problemi se solo Costanzo avesse rinforzato le sue truppe usando truppe acquartierate altrove e se Giuliano non si fosse sentito sotto attacco. O magari se Giuliano avesse avuto più pazienza. Ma ahimè, non andò così.
Nell'inverno del 360 Costanzo aveva un bel grattacapo: suo cugino era in aperta ribellione e l'istinto gli diceva di andare a metterlo al suo posto e finire il suo lavoro di sfoltimento dell'albero genealogico Costantiniano. Ma Shapur sarebbe tornato l'anno seguente e senza il suo esercito da campo – il suo Comitatus – non ci sarebbe stata possibilità di bloccare i persiani ed altre città sarebbero state messe a ferro e fuoco, soffrendo il fato di Amida: pare che Costanzo volesse marciare contro Giuliano ma alla fine fu convinto dai suoi ad andare in oriente. In questo vediamo anche il forte senso di responsabilità di Costanzo che in questo caso come in altri seppe bilanciare la necessità di sconfiggere i nemici interni con quella più pressante di difendere i confini dell'impero: mi sono fatto l'idea che Costanzo avesse un forte senso del dovere e della responsabilità del suo magistero, pur con tutto il suo paranoico attaccamento alla poltrona imperiale. Ma Costanzo non lasciò che il suo Cesare ribelle potesse operare indisturbato in occidente: convinse un re degli Alemanni a invadere il territorio di Giuliano ma soprattutto inviò un messaggero verso il Nordafrica in modo da negare le province africane a Giuliano. Il Nordafrica era un territorio chiave per l'occidente, in quanto fonte di tasse ma soprattutto perché era il granaio di Roma, rifornendo in realtà buona parte dell'Italia. Un blocco alle spedizioni di grano avrebbe causato la fame a Roma e in Italia e quindi un prevedibile astio nei confronti della causa indiretta di tale carestia, ovvero Giuliano: il piano di Costanzo, va detto, funzionò perfettamente.
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Giuliano aveva quindi almeno un anno a disposizione per prepararsi allo showdown con Costanzo: prima di tutto si premunì di avvertire i germani che non era il caso di muoversi mentre era via e comandò una spedizione contro i Franchi Attuari allo scopo di rendere più sicura la frontiera renana. Poi si stabilì di nuovo a Vienne, dove il 6 novembre del 360 celebrò il quinto anniversario della sua elezione a Cesare. Se avesse voluto sconfiggere Costanzo Giuliano avrebbe avuto il bisogno di creare più consenso possibile intorno a sé e quindi continuò quell'inverno a mantenere una finta devozione per la confessione cristiana, pregando pubblicamente in chiesa in occasione della festa dell'Epifania. Mentre era a Vienne Giuliano mise in atto un audace piano per conquistare la penisola balcanica.
Divise le sue truppe in 3 colonne che marciarono per vie diverse, attraverso la valle del Danubio e l'Italia, per convergere sulla grande fortezza legionaria di Sirmio: l'antica base degli illirici. Giuliano costrinse la guarnigione di Sirmio alla resa senza combattere: era un grande successo, visto che la guarnigione di Sirmio era una delle più importanti dell'impero perché architrave della difesa del medio Danubio. La guarnigione, almeno nominalmente, passò sotto le insegne del giovane augusto.
Giuliano non si fidava però delle sue nuove reclute, a ragion veduta visto come andarono le cose, e gli chiese di andare in Gallia per rinforzare la frontiera del Reno che era sicuramente indebolita, pur con tutte le attenzioni di Giuliano nel mettere i germani al loro posto. Ma sulla via per la Gallia i reparti di Sirmio si imbatterono nella importantissima città di Aquileia, in Veneto. Ho postato una mappa della principale via militare che congiungeva Costantinopoli a Sirmio e l'Italia e Aquileia è proprio lì, posta a guardia dell'ingresso in Italia. La guarnigione si impadronì della città e ne chiuse le porte a Giuliano. Questo era un colpo duro: senza Aquileia le già lunghe vie di comunicazione e rifornimento dell'esercito di Giuliano verso le sue basi in Gallia e in Italia erano tagliate. Qui si vede una caratteristica di Giuliano: quella di predisporre piani audaci, anche ben pensati, ma molto fragili da un punto di vista logistico. Cosa che li rendeva suscettibili di rovina in caso di avversità. vedremo che alla fine rovina sarà.
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La situazione sembrava peggiorare di giorno in giorno: infatti Costanzo quell'anno aveva bloccato in modo prudente le incursioni di Shapur in territorio romano semplicemente bloccando l'attraversamento del Tigri e non esponendo le sue forze. Shapur era dovuto tornare in patria temendo un attacco diretto ai romani ora che il loro Augusto o almeno uno dei loro Augusti era sul campo di battaglia mesopotamico. Quando Costanzo vide che i persiani si ritiravano diede l'ordine che probabilmente fremeva da mesi di dare, ovvero di marciare verso occidente: verso Costantinopoli e di lì Sirmio, per liberarsi dell'insolente cugino che aveva avuto l'ardire di ribellarsi a lui, l'erede di Costantino.
Giuliano durante l'autunno del 361 scrisse lettere quasi disperate a vari angoli dell'impero, spiegando le sue azioni e perché aveva deciso di marciare contro il suo collega e parente Costanzo. Credo vedesse come le pareti si stessero chiudendo su di lui, con Aquileia sotto assedio, Roma molto indisposta verso di lui, il Nordafrica che si era dichiarato per Costanzo e quest'ultimo in marcia per schiacciarlo come una mosca grazie al peso delle molto più numerose legioni orientali. Una di queste lettere è sopravvissuta nella sua interezza, è quella agli ateniesi. Eccone un pezzo che penso riassuma sia la politica di Giuliano sia il senso di accerchiamento e disperazione che raggiunse in quest'inverno “nonostante quanto successo tra di noi se anche ora Costanzo accogliesse una riconciliazione con me, terrei ciò che attualmente possiedo e non andrei oltre. ma se dovesse decidere di andare in guerra e di perseguire nella sua politica, allora sarei costretto ad agire e soffrire qualunque sia la volontà degli dei; Mi pare che sarebbe più vergognoso se mi mostrassi inferiore a Costanzo in coraggio e intelligenza piuttosto che inferiore per la mera dimensione dei nostri eserciti. Infatti se Costanzo mi sconfiggerà questo non sarà dovuto alla sua superiorità ma sarà dovuto all'esercito più grande che ha al suo comando. D'altra parte non sarebbe stato meglio se Costanzo mi avesse sorpreso a bighellonare in Gallia e ad aggrapparsi alla vita. In quel caso mi avrebbe attaccato comunque da ogni lato e, mentre cercavo di evitare il pericolo, avrei affrontato la stessa rovina e lo stesso destino con in più la vergogna di una condotta vile. Questa sarebbe stata per me una punizione ancora più grande, o almeno così credo che la vedano i saggi”
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Con questa lettera Giuliano riassume le ragioni dello scontro e si mostra disposto ad un accomodamento. In verità non penso credesse per un istante che un accordo con Costanzo fosse ancora possibile ma che era necessario mostrarsi conciliante per restare dalla parte della ragione. Infatti le guerre civili romane erano allo stesso tempo una contesa militare e una contesa politica, in cui occorreva cercare di convincere l'opinione pubblica delle grandi città dell'impero a sostenere una parte piuttosto che un'altra. Queste contese erano una via di mezzo tra una guerra e una elezione: valga sempre il concetto che ho esposto nel primissimo episodio che gli imperatori non erano dei sovrani assoluti ma degli alti magistrati al servizio dello stato e la guerra civile una sorta di improprie elezioni in cui il mondo romano si divideva per decidere chi avrebbe assunto la massima carica.
In questo quadro va vista anche la posizione di Giuliano: nella lettera agli Ateniesi Giuliano mostra chiaramente la sua fede negli dei, ora professata apertamente, quasi a manifesto politico nei confronti dei tanti politeisti dell'impero, come era la maggior parte della popolazione di Atene a quei tempi. Infine traspare la disperazione di qualcuno che si crede oramai sul punto di essere sconfitto e di perdere la vita. Immagino affidò nuovamente la sua vita agli dei, mentre attendeva in quel gelido autunno dei Balcani lo scioglimento dei ghiacci, la nuova campagna militare e la probabile fine della sua ribellione, del suo mandato di Cesare Augusto e della sua vita.
Giuliano si sentiva al muro e scrisse anche al senato romano, chiedendo di leggere in aula una orazione che accusava con veemenza Costanzo, ne condannava le azioni e denunciava i vizi. Il Senato non prese per niente bene l'orazione e rumoreggiò a sostegno di Costanzo: i vecchi senatori avevano capito dove tirava il vento e abbandonavano la barca che affonda prima ancora di esservi saliti sopra.
Ma poi avvenne un miracolo: gli dei parlarono a Giuliano e gli dimostrarono in modo incontrovertibile il loro favore. O almeno, questo è quello che quasi sicuramente credette lui. Come poteva essere un semplice caso e non la volontà degli Dei quello che Giuliano apprese il 3 Novembre del 361? Quel giorno infatti ricevette un messaggio che era quanto di più sorprendente possibile: Costanzo era morto, vittima di una malattia. Non è tutto, nonostante il recente conflitto e i loro recenti screzi – spero apprezziate l'eufemismo – Costanzo a quanto pare aveva mantenuto Giuliano come suo erede naturale alla guida dell'impero. Così, proprio nel momento più buio e quasi per miracolo, Giuliano si ritrovò non solo salva la vita ma praticamente gli cadde in grembo il governo di tutto l'Impero Romano: le legioni orientali infatti si erano già dichiarate a suo favore, lui che era l'unico erede di Costantino. Non mi è difficile capire come Giuliano interpretò questo incredibile avvenimento come il segno della protezione divina degli dei in cui credeva e come un mandato da parte loro di fare la loro volontà nel restaurare i culti antichi e ridurre per quanto possibile nella polvere i nazareni. Forse lo avrei creduto anche io, ma gli antichi prendevano molto sul serio queste cose, sia che fossero cristiani o pagani. Nulla era frutto del caso ma di una precisa volontà divina.