SANITÀ
Eccoci qui, buonasera a tutti, benvenuti al sesto incontro di Interregno, che è uno spazio
di confronto intergenerazionale in cui cerchiamo appunto le differenze e i punti in comune tra
diverse generazioni, ovviamente con uno sguardo al passato ma anche uno sguardo al futuro. Grazie
ai Vittori La Terza che lo ha creato e che ci ospita tutte le volte e benvenuti agli nostri
ospiti di stasera. Giuseppe Remuzzi, direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario
Negri, grazie. Grazie, grazie a voi. Chiara Cadè, domenico di ricerca pubblica e ricercatrice presso
l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Buonasera. E Mattia Quagniolo, medico specializzato
in igiene e medicina preventiva all'Università di Bologna. Quindi grazie ai nostri ospiti,
il tema di stasera sarà la sanità. Facendo un po' di ricerca per questo panel ho letto una frase
che mi ha molto colpito della World Health Organization che a inizio 2020, quindi proprio
appena prima della grande crisi che ha sconvolto tutti noi, scriveva in un comunicato queste parole
dobbiamo rendersi conto che la salute è un investimento per il futuro. I paesi investono
molto nella protezione della propria popolazione dagli attacchi terroristici ma non dall'attacco
di un virus che potrebbe essere molto più mortale e molto più dannoso dal punto di vista economico e
sociale. E sappiamo tutti cosa è successo poco dopo. Quindi per forza tendiamo a non parlare
troppo di Covid in queste circostanze però per forza oggi parlando di sanità dovremmo,
ci è sembrato giusto partire da quello. Quindi Chiara tu hai lavorato con l'Istituto Superiore
di Sanità fino al 2020, quindi sei capitata proprio nel momento giusto. Qual è stata la
risposta dell'IS allo scoppio della pandemia? Dobbiamo dire che l'Istituto Superiore di Sanità
è l'organo tecnico scientifico del Servizio Sanitario Nazionale e quindi è stato coinvolto
sin dai primi fatti della Lombardia, quindi parliamo da prima dell'inizio diciamo vero e
proprio della dichiarazione di pandemia da parte dell'Organizzazione Mondiale della Sanità. Quindi
i ricercatori in primis del Dipartimento di Malattie Infettive dell'IS sono stati chiamati
proprio in Lombardia per verificare la situazione e poi quello che ricordo successivamente è
naturalmente che i ricercatori hanno iniziato a lavorare veramente giorno e notte 24 ore su 24
anche nei fini settimana poi come ricorderete per la processazione dei tamponi perché anche se i
tamponi a livello locale per la mano ovviamente. Scusa Chiara c'è stata una piccola interruzione,
puoi riprendere dai tamponi che abbiamo sentito fino a lì? Sì, sì dicevo che dovevano essere
processati e confermati anche a livello dell'ISS per avere una conferma definitiva della positività
e quindi c'è stato veramente un lavoro molto intenso che poi in realtà ha coinvolto tutti
i centri e i dipartimenti dell'IS a tappeto e compreso il centro dove lavoravo io all'epoca
che è il Centro Nazionale di Health Technology Assessment che poi si è occupato della valutazione
di tutte quelle tecnologie legate al tracciamento dei contatti e delle app insomma che quindi
essenzialmente un ruolo di questo ente. Chiaro, quindi diciamo un ruolo che poi andremo anche ad
approfondire ma Mattia invece tu eri in una situazione completamente diversa, tu ti trovavi
in Uganda impegnato con il QAM che magari ci puoi anche spiegare un attimo che cos'è, avevi un
progetto di sei mesi ed è scoppiata la pandemia quindi in Europa è scoppiato il Covid
inizialmente appunto in Europa, come è stato sentito e affrontato da lì, dove eri? Sì, io appunto a
febbraio del 2020 con questa ONG che si chiama Edice con l'Africa QAM sono partito per un tirocino
all'interno del mio percorso formativo di sei mesi però dopo poche settimane che ero lì chiaramente
sono arrivate le notizie che tutti conosciamo quindi il crollo dei sistemi sanitari d'Europa
e quindi chiaramente in un primo momento c'è stato moltissimo spaesamento, moltissima
preoccupazione a livello personale chiaramente per quello che stava succedendo qui ma poi da
subito si è iniziato a ragionare su che cosa sarebbe successo all'Africa, alcuni funzionari
anche dell'OMS parlavano di morti per le strade che ci sarebbero state ovunque, chi era più cauto
facendo notare la piramide demografica molto particolare che si trova nei paesi dell'Africa
subsahariana, in Uganda abbiamo un'età media di 16 anni quindi comunque c'era la possibilità
ci fossero dei fattori in qualche modo protettivi e c'è stato tutto un dibattito che in realtà è
tuttora in corso sull'impatto che avrebbe avuto ma chiaramente senza il senno di poi abbiamo
agito con una certa urgenza e trovo interessante il fatto che in tutto quello che è successo nei
ragionamenti nei problemi che abbiamo affrontato si sono emerse un po' le stesse cose che poi ho
ritrovato anche qui, ad esempio questo dualismo tra la protezione dell'economia e la protezione
della salute che poi probabilmente è un falso dualismo, immaginiamo in uno scenario del genere
che cosa voglia dire fare un lockdown nazionale, l'Uganda l'ha fatto tra l'altro quando ancora non
c'era neanche un caso confermato di covid nel paese, in uno stato in cui non c'è il welfare,
non ci sono i ristori, non c'è l'IMSS, vuol dire per le persone chiudere un'attività e non avere
mangiare il giorno successivo, quindi dei costi sociali immensi, allo stesso modo chiudere i
trasporti per moltissime persone voleva dire non poter neanche raggiungere l'ospedale nel caso ne
avessero avuto bisogno perché la maggior parte delle persone si sposta a piedi, se mai in bicicletta,
ma chiaramente per raggiungere quelle distanze che ci sono servivano appunto quei trasporti che non
era possibile usare, quindi anche lì gli effetti sia sociali che di salute, indiretti, diretti,
sono le stesse cose su cui abbiamo ragionato moltissimo anche qui. L'altro elemento molto
interessante è che lì si è capito subito che la battaglia andava combattuta sostanzialmente sul
territorio, con la prevenzione, c'era la battuta che c'erano più ministri che posti di terapia
intensiva, che non era una battuta perché c'erano 45 ministri e 42 letti di terapia intensiva su
più di 40 milioni di abitanti, quindi sostanzialmente la cura era fuori dal tavolo delle
opportunità e quindi da subito abbiamo lavorato nei piccoli centri di salute con il tentativo di
creare il triage, con la temperatura, il lavaggio delle mani, il distanziamento e soprattutto anche
con la comunità. Abbiamo fatto un lavoro capillare con i leader politici, i leader religiosi delle
comunità per far comprendere appunto quello che stava succedendo e anche per ricevere feedback,
anche per co-costruire insieme alle persone una risposta che fosse poi sostenibile per quel
contesto lì, perché applicare copia e incollare le ricerche dell'OMS in quei contesti chiaramente
non poteva funzionare. L'ultimo punto poi chiudo, una cosa molto interessante è anche la comunicazione,
l'informazione. Si dice che internet ha aumentato tantissimo la velocità con cui si spargono le
notizie false e distorte. Ecco, devo dire che lì pur che nessuno aveva internet, a parte forse qualche
operatore nell'ospedale, quando il presidente della Tanzania ha fatto il tampone alla capra,
la papaya, ha detto che sono positivi, mi stanno raccontando delle frotte sul covid, questa è una notizia che in
pochissimi giorni si è sparsa ovunque e ha fatto presa. Quindi anche qui, se questi meccanismi vanno
a colpire dal presidente degli Stati Uniti, sostanzialmente, fino al contadino del nord
rurale dell'Uganda, forse dobbiamo farci qualche domanda in più sull'ampiezza del fenomeno e sulle
sue dimensioni. Ecco, partendo dal tuo terzo punto in cui parlavi di come la vostra attenzione si è
concentrata su dei centri di cura dei piccoli villaggi, dei piccoli paesi, nello stesso modo
vorrei parlare dell'importanza della sanità sul territorio con Giuseppe Remuzzi che ha scritto un
libro che proprio si chiama La salute non è in vendita, in cui dice che il nostro sistema
sanitario è un bene che dobbiamo difendere a tutti i costi.
Sì, io vorrei partire dal 1948 quando in Inghilterra le persone che camminavano per
strada trovavano dei manifesti appesi al muro e sui pali del telefono dove c'era scritto da domani,
era luglio, ci sarà il nuovo National Health System, cioè ci sarà il nuovo Servizio Sanità
Nazionale. Tu non pagherai per questo, scusate, tu pagherai per questo ma pagherai con le tue
tasse. Ma questa iniziativa ti toglierà la preoccupazione dei soldi quando sei ammalato.
Io credo che questa sia una delle frasi più belle che io ho mai letto per descrivere un
servizio sanitario pubblico e sia anche una cosa che fa vedere la differenza tra i paesi
che hanno capito che il servizio sanitario, è stato detto un attimo fa da Mattia, i paesi che
hanno capito che non c'è economia senza salute, non c'è salute senza economia, che sono due cose
insieme e che la cosa più importante è lo star bene, che lo star bene vuol dire poi prosperità,
benessere, diritti civili, felicità, ma tutto dipende non tanto dallo star bene inteso come
non avere malattie, ma dallo star bene come aveva inteso all'inizio l'Organizzazione Mondiale
della Sanità, cioè non tanto l'assenza di malattie quanto l'essere in una condizione di felicità,
in un certo senso per quello che si può avere su questa terra dal punto di vista del proprio
benessere fisico mentale. Ecco questa idea dell'Inghilterra del 48 che poi purtroppo si
è persa, a cui noi ci siamo legati 30 anni dopo, abbiamo fatto un servizio sanitario nazionale
teoricamente bellissimo e poi col Covid ha dimostrato tutta la sua fragilità e per tornare
alla tua domanda ha dimostrato la sua fragilità proprio perché è stato un servizio sempre più
impostato su una tecnologia di grande avanguardia soprattutto nel nord Italia mirata a risolvere
i grandi problemi di malattie ma poco attenta a tutto quello, questa è stata attenta a Luganda
per esempio, che forse non l'ha fatto apposta e si è trovato a doverlo fare perché non c'erano
alternative. Però si è visto, lì ci sono anche altre cose, fattori genetici, ma si è visto che
questo è l'approccio giusto per le epidemie, quello che a noi società cosiddette industrializzate ha
lasciato il Covid è certamente quello di aver capito che c'è una salute sola, la salute quella
nostra degli animali e dell'ambiente in cui viviamo perché alla fine il Covid viene da un
poco rispetto dell'ambiente, un poco rispetto delle distanze tra urbanizzazione e vita selvaggia
che ha una importanza enorme soprattutto dal fatto di non aver capito che noi non siamo al centro
dell'universo, noi siamo uguali alle api, non siamo diversi dalle api dal punto di vista della
capacità di produrre una sola salute perché senza api noi non avremmo la possibilità di mangiare
sostanzialmente perché una gran parte dell'agricoltura dipende dalla presenza delle api e dal
fatto che le api stiano bene, che non vivono in un ambiente inquinato. Quindi io mi auguro che la
pandemia ci abbia insegnato delle cose che avremmo dovuto sapere anche prima ma alla quale la vita
di prima non ci ha mai probabilmente consentito di riflettere abbastanza. Ecco, cercando appunto
di concentrarci, di stringere il cerchio sull'Italia, Mattia, l'arrivo del coronavirus in Italia ha
messo proprio al centro del dibattito pubblico la qualità degli ospedali nel nostro Paese e noi
abbiamo sempre sentito dire che il Servizio Sanitario Nazionale era uno dei migliori al
mondo. Apriamo il dibattito, cioè in generale la sanità italiana ha tanti lacune, tanti vantaggi e
tanti lacune, tanti punti forti e tanti punti deboli. Cerchiamo di analizzarli uno tra tutti
e sicuramente quello che fa discutere spesso di più è la grande divisione in Italia tra sanità
pubblica e sanità privata. Quali sono le problematiche legate a questa divisione?
Ma è un tema complesso, sicuramente da trattare in pochi minuti. Intanto,
permettendo per fare una dimensione, nel senso che per fortuna il nostro servizio sanitario è
ancora largamente pubblico, finanziato dal pubblico, con degli erogatori pubblici, però
c'è da dire che la porzione di sanità privata non è assolutamente ininfluente e soprattutto è in
crescita, è in crescita per quanto riguarda il privato accreditato, quindi quello che può essere
assimilato al pubblico in termini di cosa eroga, eroga delle prestazioni che lo Stato definisce
essenziali, così detti, però è in crescita anche la spesa per esempio dei cittadini,
direttamente come si dice fuori dalla tasca, out of pocket, sia per prestazioni che stanno fuori
dai LEA, pensiamo alla odontoiatria, la fisioterapia in molti casi, ma anche per prestazioni che in
realtà starebbero dentro dei LEA, ma noi scegliamo di andare nel privato per vari motivi, pensiamo
alla specialistica, l'oculista, la ginecologa e quindi è in crescita anche questa spesa ed è in
crescita però anche quello che viene cosiddetto privato privato, quindi tutto il mondo delle
assicurazioni soprattutto trainate dal fenomeno, dal welfare aziendale, quindi una serie di
prestazioni sanitari legate sostanzialmente al fatto di lavoro, che non è come si può pensare
magari un fenomeno solo legato ai dipendenti dell'unipol, ma per esempio qualche anno fa è
stato sottoscritto dal sindacato dei metalmeccanici un contratto che invece di stabilire un aumento
salariale è stato deciso che insieme al contratto venivano fatti cosiddetti check up periodici,
che forse ora non abbiamo il tempo di discutere però creano molti molti problemi perché non
hanno evidenza spesso di essere utili e anzi a volte possono essere dannosi perché fanno quella
che si chiama over diagnosi, quindi diagnosticano delle cose che non avrebbero mai portato a malattia
nel corso della vita di una persona o non avrebbero mai avuto problemi ma nel momento in cui le trovi
generano ansia, generano ulteriori esami spesso tra l'altro nel pubblico e quindi tutta una serie
di problemi. Perché c'è stato questo aumento? Secondo me si vede bene guardando, ampliando un
po' lo sguardo perché è un fenomeno in realtà che in Europa non solo è più che decennale di
impoverimento, di indebolimento di tutti quelli che sono i servizi del welfare pubblico compresa
la sanità e il mondo della salute e quindi voglio dire c'è Noam Chomsky che fa questa bella ricetta
della privatizzazione, dice è molto facile si taglia, si fa in modo che le cose non funzionino,
si fanno arrabbiare le persone e poi si trova la soluzione e questo è successo e sta succedendo
perché se guardiamo al definanziamento del sistema italiano per esempio parliamo di più di 30
miliardi in un decennio, abbiamo una percentuale di spesa sanitaria sul PIL che è una fra le più
basse tra i grandi paesi europei ed è in diminuzione costante, parliamo di fare che le cose non
funzionino oltre al definanziamento c'è stato un blocco del turnover del personale che è più che
decennale, anche lì abbiamo tra il personale medico più anziano d'Europa e probabilmente
del mondo siamo su una media di 53-55 anni di media e anche lì sul far arrabbiare le persone
si getta molto discredito su quello che è il servizio sanità nazionale ma con delle accuse
che spesso sono improprie, si parla di insostenibilità, è un sistema che non è assolutamente
insostenibile dal punto di vista economico viene raccontato così ma basti il dato che ho dato
prima cioè che spendiamo rispetto ad altri paesi europei molto meno in percentuale sul PIL quindi
già questo ci dà la dimensione del fatto che ci sia moltissimo margine per lavorare su questo.
Viene detto spesso che è un sistema inefficiente, che il pubblico è inefficient mentre il privato
invece lo è, grandissima panzana, basti vedere il caso studio degli Stati Uniti che spendono il
triplo di noi pro capite in spesa sanitaria con degli asidui di salute pessimi in confronto
guardando qualsiasi indicatore dall'aspettativa di vita alla morte per cancro per diabete e
all'equità, l'accessibilità, tutti gli indicatori quindi e questo succede per una serie di ragioni
che sono intrinseche al sistema privato già il fatto di avere tanti provider che ti garantiscono
delle cose genera dei costi amministrativi altissimi ma soprattutto non potranno se tu
concepisci la salute come merce per farne del profitto non potrai mai andare a incastrare quello
che è il bisogno di salute alla popolazione con quella che la tua offerta perché non tutti i
bisogni di salute sono profittevoli dal punto di vista economico un intervento ortopedico un
intervento di cardiologia sicuramente ti possono dare degli ottimi rimborsi e infatti abbiamo un
investimento del privato su questi aspetti ma per esempio non il privato non investirà mai su un
pronto soccorso in cui arrivano tutti e devi curare tutti non investiranno men che meno sulla
promozione della salute la prevenzione pensate i vaccini sono una delle più grandi dimensioni
dell'umanità ma proprio perché sono costano poco e con pochissimo abbattono moltissime malattie e
quindi sostanzialmente al privato quello è un business che non conviene conviene molto di più
la pillolina per l'ipertensione che devi prendere tutti i giorni quindi per chiudere strutturalmente
l'idea di profitto sulla salute e la salute come merce non è compatibile con l'idea di cura la
salute è un diritto è un diritto umano anzi come dice Marzia Sen è la precondizione per godere di
tutti gli altri diritti quindi forse il diritto più importante di tutti e non è assolutamente
compatibile appunto con invece la concezione mercificata che se ne fa nel privato ecco mi
hai dato un po di un po di spunti ma volevo partire prima dalla domanda di dal pubblico
c'è Walter che dice lo stato deve tornare ad occuparsi di sanità scuola e trasporti le regioni
sono solo apparati di spesa pubblica però è vero anche che all'interno delle regioni cioè ci sono
grandissime differenze all'interno delle regioni all'interno del sistema italia regioni quindi
Giuseppe volevo volevo chiedere a te a livello di tutela sanitaria quali sono le differenze che ci
sono all'interno dell'italia e come andrebbero affrontate le differenze sono enormi le differenze
sono enormi come aspettativa di vita sono enormi come accessibilità le cure sono enormi come
possibilità di arrivare anche soltanto ai livelli essenziali di assistenza cui molte regioni del sud
non possono accedere come si possono affrontare intanto secondo me quello che noi dovremmo fare
la pandemia è riguardare al nostro servizio sanitario nazionale mettere al centro la prevenzione
già stato detto fare in modo che tutti capiscano che dobbiamo essere gelosi del nostro servizio
sanitario nazionale perché è l'unico che ci consente davvero di prevenire le malattie e di
vivere in buona salute senza avere le esigenze di aumentare il fatturato il problema del pubblico
privato è che il privato deve privato accreditato parliamo oggi è un grande equivoco perché quello
che noi chiamiamo privato è in genere privato accreditato out of pocket come diceva Mattia
relativamente poco anche se è in continuo aumento io peraltro su quello non avrei niente
da dire non è che io sia contro il privato purché sia privato però se deve essere privato supportato
da fondi pubblici per fare quello che vuole senza una governance cioè noi dobbiamo avere un piano
avere un'idea molto chiara che deve essere basata sul nostro servizio sanitario nazionale quello
che è stato fondato nel 78 e di cui dobbiamo essere gelosi questo piano deve avere una governance
a livello delle regioni e deve esserci un'uniformità perché il servizio sanitario nazionale prevedeva
una equità in tutte le regioni e qui ci sono tantissime cose che si possono fare perché le
cose poi funzionano sugli uomini quindi deve essere chiaro che la sanità è l'unica cosa in cui libera
scelta e mercato non funziona il mercato per quello che ha detto Mattia la libera scelta perché
la libera scelta la fai su che cosa sulla trattamento alberghiero dove non sono le strutture
private sono fatte meglio dal punto di vista strutturale è vero fino a un certo punto perché
se voi venite a vedere il mio ospedale a Bergamo è più bello dal punto di vista della struttura
dei muri delle stanze e dei saloperatori e delle terapie intensive non so la nostra
terapia intensiva pediatrica è una cosa meravigliosa non c'è nessuna struttura
privata una cosa del genere e le persone sono dedicate sono sono giovani sono entusiasti è
un sogno andare lì e oppure la fai sui risultati risultati dipende da quello che tu curi perché se
tu man mano più induci un bisogno abbiamo visto il caso prima della mutua di certe aziende più
induci un bisogno e finisci per curare delle persone non dico sane ma molto poco malate
migliori sono i risultati e quello che fa sicuramente l'attività privata perché deve
giustamente aumentare il fatturato mentre noi dobbiamo diminuire è l'unica attività in cui
bisogna diminuire il fatturato avere meno protesi dell'anca meno interventi sui coronari e meno
interventi di valvolo perché fai prevenzione perché stai attento perché fai tutto sommato
le cose che sono state descritte in modo meraviglioso in Uganda in cui tu fai informazione
vai ai questi piccoli medici che si incontrano insieme queste piccole strutture in cui i medici
si incontrano insieme lavorano con gli infermieri coinvolgono la popolazione coinvolge la popolazione
è fondamentale perché il malato si deve curare tutto questo però porta a ridurre il fatturato
ed è in conflitto con la libera scelta del mercato allora quando abbiamo riformato il nostro servizio
sanitario nazionale in alcune parti essenziali abbiamo messo in chiaro il rapporto tra ospedale
territorio abbiamo cambiato la possibilità dei medici di famiglia su cui si regge tutto di essere
liberi professionisti cioè professionisti liberi di fare quello che decidono convenzionati col
servizio sanitario nazionale la cosa non funziona perché qualunque riforma tu faccia che vuole
mettere insieme territorio e specialistica dell'ospedale se non è basata su poter contare
sulle stesse persone tu non riesci perché uno va da una parte uno va dall'altra uno dipende
dello stato l'altro dipende dalle regioni e quindi non li metterai mai insieme insomma ci sono
tantissime cose che vanno fatte per uniformare quello che noi possiamo dare ai cittadini in tutte
le regioni ma c'è una cosa più importante di tutti la scelta dei direttori generali la scelta
del direttore generale degli ospedali e del territorio va fatta in modo da prendere persone
competenti indipendentemente dalla politica cioè c'è un'alda in principle che diceva un uomo
inglese di tanti anni fa dell'ottocento che mescolare politica e gestione è la ricetta
del disastro la gestione deve essere separata dalla politica. Come avviene oggi? In Italia purtroppo nonostante
sia stati fatti degli sforzi recentemente la Lovelsina ha fatto degli sforzi in questa
direzione anche Maroni in Lombardia ha fatto degli sforzi in questa direzione quindi di creare
degli albi dei direttori generali insomma devono essere i direttori generali persone competenti
appassionate che lavorino per la gente non per un partito politico perché sono stati messi lì da
determinati voi vedete ancora adesso a tanti anni di distanza che nessuno si scandalizza se legge
il giornale questo direttore generale è in quota Lega quest'altro è in quota a un altro partito è
una cosa pazzesca se uno ci pensa eppure succede tutti i giorni e lì c'è questo problema in tanti
posti del sud la corruzione rappresenta un problema enorme che non si riesce a risolvere
perché se tu hai corruzione ma la vita che sono legate alla sanità c'è dappertutto ma in certi
posti del sud questo veramente impedisce alle persone di lavorare perché nessuno ha mai mai
riuscito a risolvere il problema della Calabria, il problema della Calabria è un problema piccolissimo
se voi pensate al numero di abitanti alle esigenze che possono avere se Milano si mettesse
d'impegno a risolvere il problema della Calabria si risolverebbe in tre mesi il problema è che non
si può e allora come tu riesci a governare il sistema una volta che hai stabilito le cose migliori
da fare adesso mi sembra che lo sappiamo e lo scriviamo da tutte le parti ma poi è necessario
che il sistema sia governato regione per regione da qualcuno che lo fa non perché risponda un
partito perché se no poi nominerai primari degli ospedali con la stessa filosofia e insegniamo ai
giovani che tu per far carriera devi avvicinarti in qualche modo alla politica essere protetto da
qualcuno e quella è una cosa terribile. E quello lo vediamo anche quello lo vediamo
lo leggiamo sui giornali Chiara vedevo che annuivi mentre parlava. Tu ti stai occupando
anche di campagna vaccinale queste differenze queste criticità come come si sono presentate
all'interno del tuo lavoro? Io ho partecipato alla stesura nazionale per la vaccinazione
contro il covid e diciamo che il nostro obiettivo era cercare proprio di dare delle linee di
indirizzo a livello nazionale a cui le regioni si dovevano ottenere il più possibile poi insomma
stiamo vedendo tutti quanti gli occhi sentendo come e quanto sia difficile garantire che ogni
regione questa campagna di vaccinazione effettivamente vada avanti allo stesso
modo perché sono evidenti insomma le differenze tra le varie regioni. Credo che questa sia una
ripercussione una riflessione proprio di tutto quello che abbiamo detto fino ad ora di tutto
che ha detto sia Mattia che il professor Remuzzi ed è veramente una cosa drammatica che ci siano
queste differenze perché la vaccinazione è ovviamente un mezzo di prevenzione e
è fondamentale durante questa pandemia in cui poi dobbiamo proteggere tutte le fasce d'età
della popolazione mentre invece normalmente noi ci occupiamo di vaccinazioni per l'infanzia,
vaccinazione per gli anziani insomma adesso che questa vaccinazione riguarda tutta la popolazione
senza distinzione è vero con priorità diverse naturalmente per le varie fasce d'età o per le
varie situazioni si doveva fare di tutto per far sì che queste differenze non ci fossero e invece
purtroppo a causa di tutti questi problemi organizzativi che ci trasciniamo da anni,
problemi gestionali, problemi manageriali che si sono evidenziati insomma negli anni nelle varie
regioni abbiamo purtroppo i problemi che vediamo anche sulla campagna vaccinale che invece doveva
essere un qualcosa che doveva procedere in maniera veloce e con le stesse modalità e
assolutamente in maniera uguale per il cittadino Lombardo, per il cittadino Pugliese, per il
cittadino Valdostano insomma senza assolutamente nessuna differenza. In questo modo che cosa
succede? Il risultato appunto è quello che vediamo oggi cioè il fatto che non abbiamo,
ogni cittadino non ha la possibilità di vincere. Ti sentiamo un po' a scatti Chiara. Quindi anche
uscire poi da questa pandemia diventa sempre più difficile insomma e sicuramente in maniera diversa
ecco perché poi le ripercussioni non sono solo a livello regionale ma sono a livello nazionale,
quindi appunto è proprio questo che tra l'altro in una situazione del genere non c'è un...
Mi sentite ora? Adesso meglio sì. Niente, si è staccata. Comunque stavo notando che appunto
a livello vaccinale abbiamo avuto quasi un dato interessante che è stato proprio quello del fatto
che in Lombardia ad esempio siamo molto indietro rispetto... siamo, parlo perché io sono milano,
siamo molto indietro rispetto ad altre regioni cosa che appunto in qualche modo è un dato
particolare, un dato diverso da quello che tendenzialmente ci si aspetta quando prima
il professor Remuzzi diceva se tutti noi milanesi ci mettessimo a cercare di risolvere un problema
incalabile. In realtà in questo momento a livello vaccinale c'è stato proprio un rivaltamento,
no Chiara? Sì esatto, è proprio così. Diciamo la Lombardia che conoscevamo fino a ieri per
la sua eccellenza effettivamente nella gestione della sanità con la campagna vaccinale ha visto
ecco notevoli problemi, problemi effettivamente organizzativi e già abbiamo sentito anche a
livello di gestione del sistema di prenotazione quindi effettivamente su aspetti su cui non ci
appunto non ci saremo mai immaginati che potessi avere delle difficoltà mentre invece sì altre
regioni come non so ne cito una a caso la Puglia si è dimostrata molto efficiente nonostante sia
una regione del sud insomma e quindi assimilata e nota per le varie difficoltà che sono presenti
nelle regioni del nostro meridione. Quindi sì sicuramente come dicevo prima ecco la campagna
vaccinale ha mostrato, ha messo in evidenza ancora più delle difficoltà che già vedevamo in passato
e banalmente ecco su certi aspetti ne ha esacerbati altri. Che significa? La Lombardia appunto perché
ha mostrato queste debolezze? Perché effettivamente negli anni precedenti non ha mostrato di investire
nel territorio mentre invece la pandemia è un qualcosa che andava gestita soprattutto a livello
territoriale e altre regioni molto vicine cito appunto il Veneto che invece hanno deciso di
investire di più negli anni precedenti appunto nella parte territoriale hanno reagito in maniera
diversa hanno saputo ecco affrontare meglio sicuramente tutte le difficoltà legate all'emergenza
pandemica. Chiaro tra l'altro questa diciamo che questa pandemia non era, si è detto spesso in
questi in questi mesi non era imprevedibile ecco è una cosa che è avvenuta e tra l'altro negli
ultimi 30 anni praticamente il 70 per cento delle nuove malattie è stato di origine zoonotica e
c'è una grande probabilità che arrivino altri virus che sono appunto di origine zoonotica.
C'è stato un dato che mi ha abbastanza sconvolto, 500.000 in questo momento si stima che siano
500.000 i virus sconosciuti di origine animale tra l'altro quindi quando si parla di salute ormai
non si può più parlare di una salute soltanto territoriale cioè bisogna parlare del territorio
ma bisogna parlare anche a livello globale. A maggior ragione quando ci alziamo di livello
pensiamo a una salute globale bisogna capire che cosa significa una salute per tutti quindi equa.
Giuseppe in che modo possiamo raggiungere un sistema sanitario migliore ed equo ma poi anche
che non così troppo? Questa è una tendenza verso cui vorremmo tutti andare e è la tendenza di vari
piani che sono stati fatti globali per che tutti i paesi possano avere il servizio di accedere ai
servizi fondamentali. Prima se l'ho detto per il 2035 l'Organizzazione Mondiale della Sanità
vorrebbe che ottenessimo certi risultati di lotta alla povertà di mortalità infantile e in effetti
è stato fatto moltissimo anche in molti paesi poveri anche in molti paesi del Sud America.
C'è grande sensibilità naturalmente il virus ha sconvolto tutto e quindi tutto quello che si è
guadagnato in lotta alla povertà nei passati vent'anni adesso in certi paesi del mondo,
pensate al Brasile, è stato messo in crisi. Quindi quello che noi possiamo fare è non fare
quello che è stato fatto e quindi cercare di diminuire il ruolo dell'Organizzazione Mondiale
della Sanità ma potenziare il ruolo dell'Organizzazione Mondiale della Sanità che si è
occupata finora di tantissime cose di cui noi non abbiamo neanche la minima idea. Basta pensare alla
povertà dei bambini, basta pensare a delle malattie più frequenti nei paesi in via emergenti e qui
Mattia è molto più esperto e competente di me per poter commentare. Ci sono delle iniziative
importanti nel mondo, questo Global Viral Disease che è basato a Seattle ma parte dalla iniziativa
di Richard Horton, l'editor di Lancet, e quello che dice se vogliamo risolvere il problema che
ha posto Silvia, la prima cosa è conoscerlo. Adesso noi, lavorando da più di 15 anni,
dico noi perché il nostro gruppo si sta occupando di malattie renali e dell'apparato genitorinario
in questa attività che coinvolge tutto il mondo. La prima cosa è sapere dove sono i problemi,
se noi sappiamo dove sono i problemi possiamo anche immaginare di affrontarli. Quindi ci sono
due strade, la prima è quella della conoscenza, dobbiamo conoscere i problemi e oggi li conosciamo
molto di più di prima. Abbiamo ormai 15 anni di lavoro di Global Viral Disease che ci dice di
che cosa ci sia male e di che cosa si muore in qualunque paese del mondo. Questo serve per
portare alla conoscenza dei governi qual è la situazione del loro paese e poterlo confrontare
con altri paesi con lo stesso numero di abitanti, con le stesse situazioni geografiche, vedere come
pian piano ciascuno riesce a crescere rispetto alle cose fondamentali. Le cose fondamentali
della salute dovrebbero essere a disposizione di tutti. Questo è il primo goal, il traguardo è
il 2035 e per il 2035 si vorrebbe che tutti i paesi del mondo possano avere a disposizione
le cose fondamentali di salute pubblica che servono per il benessere di quella nazione.
E anche lì vorrei tornare indietro e citarvi una cosa del 1700. Nel 1700,
un uomo che era un chirurgo e che si chiamava Jacques Tenon è andato a trovare in Inghilterra
Giorgio Terzo perché lui voleva fare un ospedale a Parigi che poi è diventato un grande ospedale,
l'Hospital Tenon. E è rimasto colpito perché il re gli ha detto che forze e prosperità nazionali
si ottengono solo proteggendo la salute di una popolazione numerosa e ciò compete al re. E
allora c'era il re. Il re si rendeva conto come la forza e la capacità economica, quello di cui
stiamo parlando oggi nel 1788, si rendeva conto che la prosperità della società dipendeva da lui,
adesso dipende dal governo. Noi vogliamo fare due cose, o possiamo fare due cose,
sapere come stanno le cose, sapere di che cosa ci siamare se muore e qui la comunità internazionale
ha fatto uno sforzo meraviglioso attraverso questa iniziativa che ha coinvolto centinaia
di gruppi di ricerca di tutto il mondo per mettere a disposizione i loro dati, per avere una mappa
con dei limiti per carità, ma per avere una mappa sempre più aggiornata e sempre più sofisticata
della situazione da cui partiamo e quindi quello di cui abbiamo bisogno, dove si muore soprattutto
l'incidente stradale, avremo bisogno di migliorare le strade, di migliorare il traffico, la circolazione,
gli automezzi, la mobilità. Dove si muore più di tumore e di certi tumori avremo bisogno di
trovare il modo di prevenire quei tumori. Dove ci sono altre situazioni, dove c'è una grande
mortalità della mamma e del bambino in certi paesi emergenti del mondo, ci dovremo concentrare sulla
mortalità infantile che è ancora molto alta in tanti paesi del mondo. Una volta che sappiamo,
l'idea è di arrivare al 2035 con una salute fondamentale, con le cose fondamentali a
disposizione di tutti e fornite dal re, cioè dal governo di quella nazione. Quindi i dati messi a
confronto a livello nazionale e internazionale, ricerca ma direi anche mattia, formazione. Cioè,
è mancata questa formazione in salute globale in questa pandemia? Cioè abbiamo visto che c'è
stata proprio una mancanza, no? Beh sì, penso che fosse abbastanza evidente anche prima, però
sicuramente poi col covid questa evidenza è stata proprio lampante. Durante tutti gli interventi di
oggi è venuto fuori che la salute è davanti delle sfide molto difficili. Abbiamo parlato di salute
mercificata, di equità, rapporto dell'uomo con la natura. Sono tutti temi che appunto stanno sotto
il grande cappello della salute globale nel senso semplice che non si può parlare di alcune cose
senza avere in mente che è un tutt'uno, con un approccio ecosistemico. Sistema interconnesso.
Sì, non si può parlare di salute, di sistema privato senza avere idea delle forze, di poteri
sociali ed economici che ci sottostanno, così come non si può parlare, o meglio, non si può
capire a fondo che cosa è stato il covid senza parlare, come diceva giustamente il professore,
di rapporto con la natura, di allevamenti intensivi, deforestazione, consumo del suolo.
Ci si perdono proprio dei pezzi importanti se si fa così. Devo dire, riguardo a come abbiamo
affrontato il covid, come questo tipo di competenze multidisciplinarie trasversali
sono passate. Su Nature è uscito un articolo qualche settimana fa che parlava del nostro
comitato tecnico-scientifico. Mi ha sorpreso perché non pensavo che una delle più grandi
riviste del mondo pubblicasse su questo. Era interessante perché parlava di la tesi,
era che molte delle proposte che erano state fatte al comitato tecnico-scientifico,
che erano state rifiutate, proposte fatte sulle migliori evidenze scientifiche,
su quelli che erano stati i migliori approcci alla pandemia, dei migliori paesi che l'hanno
affrontata, siano state rigettate sostanzialmente perché all'interno del comitato tecnico-scientifico
erano presenti una serie di figure importantissime, illuminate, però probabilmente non tutte le
figure che sarebbero servite. C'erano dei grandissimi clinici, degli pneumologi, degli
esperti di malattie effettive che ci vogliono assolutamente, c'era qualche epidemiologo,
ma per esempio mancavano esperti di salute globale, esperti di salute pubblica, esperti
di epidemiologia sociale, perché no, esperti di scienze del comportamento applicato alla salute,
sono tutte discipline che esistono, che in altri paesi sono molto diversificate,
più utilizzate, in alcuni paesi sono più studiate, più insegnate, da noi purtroppo
siamo ancora indietro e non vengono assolutamente considerate, però ecco,
ha degli effetti importanti. Io credo che le scuole di medicina che formano i professionisti
sanitari, ma la comunità scientifica tutta deve sentirsi un po' questa responsabilità,
soprattutto ora, di promuovere questo tipo di formazione, di competenze e di fare rete
anche fra queste competenze. Penso che non si può aspettare ancora da questo punto di vista.
Chiara, tu questa responsabilità l'hai sentita prima degli altri, a quanto pare,
perché tu collabori proprio con l'Istituto Italiano per la Salute Planetaria. Ci spiegheresti,
innanzitutto, che cos'è e in che modo i cambiamenti climatici, abbiamo parlato di
deforestazione, abbiamo parlato di sfruttamento del suolo, ma come questo ha a che vedere con la
nostra salute? Sì, ecco, dall'estate scorsa, diciamo, che ho la fortuna di condividere questo
percorso anche col professor Remuzzi, col professor Ricciardi, e si tratta proprio di una joint
venture, diciamo, tra l'Università Cattolica e l'Istituto Mario Negri. Il nostro scopo è proprio
quello di cercare di sensibilizzare, dal punto di vista della ricerca, ma poi anche della formazione
su questa tematica, che è la salute planetaria, che è ancora poco conosciuta, soprattutto a livello
nazionale. Devo dire che, insomma, l'igiene ambientale, tutto ciò che riguarda, anche se
vogliamo, la salute globale, è un qualcosa di abbastanza noto, però la salute planetaria,
intesa come tale, quindi salute e impatto sulla civiltà proprio umana, intesa in senso più globale,
è ancora un qualcosa di poco noto. Quindi è ovvio che, però, è la tematica del futuro, quindi bisogna
puntare tutto su questo, perché la pandemia ce l'ha dimostrato quanto la salute umana sia legata
alla salute dell'ambiente, e se andiamo a vedere, in realtà faccio anche io un escorso storico,
diciamo, un po' come ha fatto il professor Remuzzi, non è un tema nuovo, è un tema magari su cui ci
si è focalizzati poco dal punto di vista scientifico, o quantomeno lo si è fatto in
maniera settoriale, però in realtà è un qualcosa che sappiamo, insomma, dalla rivoluzione industriale,
quindi l'impatto, ecco, di ciò che l'uomo fa sull'ambiente e che poi si ripercuote sulla
salute umana, ecco, è un qualcosa che accade appunto già da tempo, già dai secoli passati,
e magari ci sono ecco delle aree meno esplorate, nel senso che l'impatto dell'inquinamento è un
qualcosa che è stato affrontato in misura maggiore, ma magari l'impatto, ecco, invece,
dei diversi sistemi di nutrizione e di alimentazione che ci sono a livello globale,
che sono tra l'altro uno dei filoni appunto di ricerca del nostro istituto, è un qualcosa su cui
si è approfondito di meno negli ultimi anni, quindi noi cercheremo, ecco, con questa nostra
iniziativa, con questo nostro istituto, di portare avanti questi impegni e cercare di
fare ricerca e anche formare le generazioni su queste tematiche, e devo dire che abbiamo,
ecco, parlo personalmente dell'impegno della mia università, abbiamo un gruppo proprio di
giovani che sono molto sensibili a questo argomento e questo mi fa, insomma, molto
piacere perché vuol dire che c'è un'attenzione anche verso le generazioni future, ecco,
che saranno quelle che vivranno la Terra nei prossimi anni e che devono viverla come l'abbiamo
vissuta noi, quindi non possiamo proprio lasciare in eredità un qualcosa che, insomma,
che abbiamo danneggiato, no? Ecco, quindi abbiamo visto un po' di, diciamo, speranza per il futuro
e un po' di critica al passato. Parlando di presente, invece, io volevo tornare al professore
Muzzi perché Mattia ha riportato questo studio interessante di cui io, peraltro, non era conoscenza
sul Comitato Tecnico Scientifico. Secondo te, Giuseppe, ci sono stati effettivamente degli,
sono stati fatti degli errori a posteriori? Guardate, è stato fatto un errore enorme di cui
non parla nessuno ed è stato fatto da noi. Io mi sento personalmente responsabile. Allora,
i politici della Cina all'inizio hanno cercato di minimizzare quello che sapevano, su questo
siamo tutti d'accordo, però l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato un'emergenza
planetaria alla fine di gennaio e dichiarare un'emergenza planetaria ha delle conseguenze
sociali e economiche enormi, quindi si è presa una grandissima responsabilità. Gli scienziati
cinesi sono stati meravigliosi perché nel giro di pochissimo tempo hanno identificato la gente,
sequenziato il gene e hanno dato alla comunità scientifica tutte le informazioni possibili.
Quindi possiamo criticare la politica cinese che ha cercato, addirittura mettendo sotto accusa
l'oculista che aveva osservato per primo questo fenomeno, ha cercato di, soprattutto la comunità
locale, ha evitato che arrivassero a Pechino informazioni che potevano mettere in allarme e
generare poi delle ricadute a livello internazionale. Ma il Lancet, che è un giornale europeo,
il 24 gennaio riportava tutto quello che stava succedendo in Cina. Parlava del virus,
parlava della polmonite interseziale bilaterale, parlava delle manifestazioni cliniche, parlava
degli esami di laboratorio, parlava del fatto che questi pazienti avrebbero avuto bisogno di
ricovere in rianimazione, parlava di che cosa era possibile fare per prevenire la diffusione del
virus, sia dal punto di vista diagnostico che dal punto di vista delle misure di protezione
individuale. Tenete conto che se tutti avessero applicato strettamente per tempo due cose
semplicissime, mascherine e distanziamento e lavarsi le mani, che sono tre, non ci sarebbe
stato virtualmente bisogno di lockdown o comunque le chiusure si devono fare all'inizio
quando c'è una cosa abbastanza circoscritta in modo da poter poi andare a vedere dove sono
i contatti. Non ha molto senso fare le chiusure quando il virus è apertuto. Questo Lancet del 24
gennaio che descriveva tutto è stato completamente overlooked, come si dice in inglese,
trascurato dagli scienziati del mondo cosiddetto occidentale industrializzato, cioè dall'Europa e
dagli Stati Uniti. Probabilmente è stato visto di più in Africa e questo era un giornale europeo,
era scritto in inglese, non era scritto in cinese, c'era scritto assolutamente tutto e i medici non
se ne sono accorti. Lasciamo perdere i nostri medici, compreso me, che ho una posizione di
responsabilità come direttore del Mario Negri, ma non so, il dottor Fauci che è un grande esperto
di AIDS e che ha fatto delle cose enormi nel campo dell'AIDS, diceva ancora a febbraio che
in fondo questo virus era una cosa cinese e sarebbe rimasto lì, non sarebbe arrivato negli
Stati Uniti. Era già stato pubblicato il lavoro del 24 gennaio su Lancet. Se gli scienziati
occidentali avessero preso seriamente quel lavoro avremmo avuto quattro settimane di tempo per mettere
a posto il territorio, per fare tutto quello che non abbiamo fatto, per chiederci se avevamo le
mascherine, se avevamo l'ossigeno, se avevamo tutto quello che serviva per affrontare il problema
che i cinesi, i ricercatori cinesi, i nostri colleghi cinesi avevano scritto in un modo
perfetto nel Lancet del 24 gennaio. Invece abbiamo perso quattro settimane precise e il
virus circolava da noi da molto più tempo. Lo sappiamo perché c'erano 266 casi riportati dal
Guardian, descritti nei giornali cinesi a novembre, quindi con i contatti che c'erano tra Wuhan e il
nostro mondo, Europa e Stati Uniti, è chiarissimo che questo virus stava con noi da molte settimane.
Quindi quando ce ne siamo accorti è stato un dramma perché il virus ha avuto la possibilità
di circolare e tutte le persone hanno avuto la possibilità di contagiarci senza che noi
facessimo nulla perché non lo sapevano. Ecco quindi c'è stato sicuramente un certo grado
di trascuratezza di quello che erano delle informazioni scientifiche già curate. Ma adesso
in ultimo, proprio per chiudere, volevo chiedere sia a Chiara che a Mattia, proprio perché entrambi
lavorano lo stesso progetto da due aspetti diversi. Alberto nella chat ci dice l'approccio
italiano e europeo parte da presupposti errati. Parliamo di vaccinazione. Mattia,
tu sei stato in Uganda e quindi sai che la vaccinazione lì è molto indietro rispetto
a quello che è il grado, il livello nei paesi occidentali. Chiara, tu lo vivi invece perché
hai lavorato proprio a questo progetto. Perché? La mia domanda è perché abbiamo messo così in
secondo piano un'idea di equità che poi ci si potrebbe ritorcere contro da quello che abbiamo
detto fino ad ora. Chiara, prima. Sì, in realtà questo è un aspetto che anche a mio avviso è
stato trascurato o meglio non è stato analizzato profondamente perché comunque dobbiamo sottolineare
che l'Europa, in particolare anche l'Italia, ha dato dei fondi non indifferenti per l'iniziativa
COVAX che è quell'iniziativa che permette l'arrivo dei vaccini anche nei paesi più poveri. In realtà
però questa programmazione forse non è sufficiente o meglio si è incentrato tutto sull'Europa,
sui paesi occidentali e non è stata fatta una programmazione analogo ai paesi più poveri.
La vaccinazione doveva progredire allo stesso modo anche in questi paesi. È naturale che,
come diceva prima Mattia, in Africa la piramide dell'età è differente rispetto alla nostra,
però nella programmazione secondo me era un aspetto che comunque poteva essere gestito
meglio. Non si è pensato al fatto che se non riusciamo a raggiungere delle percentuali elevate
di copertura vaccinale anche in questi paesi più poveri, come scriveva prima Alberto Cester,
nei tre commenti, nella chat, alla fine è un mondo globalizzato e rischiamo veramente di non
uscire da questa pandemia in termini concreti. Quindi sicuramente effettivamente poteva essere
fatta una programmazione migliore. Probabilmente l'errore è anche legato a questa volontà di
ripartire con l'economia al più presto e quindi ha una visione occidentalo-centrica,
se così si può dire, della questione. Mattia? Sì, l'ha detto il segretario generale dell'ONU,
Guttiere, si è detto che se la pandemia era un test di cooperazione internazionale questo test è
fallito ed è evidente da numerose situazioni che si sono verificate, dal discorso sui brevetti dei
vaccini appunto alla realizzazione del progetto COVAX che mirava a portare il vaccino in modo
più eco in tutto il mondo. Però secondo me c'è da fare una riflessione in più su questo,
perché in realtà nella comunità scientifica si sta discutendo moltissimo sulla possibilità o meno
di raggiungere l'immunità di greggio non solo in Africa ma anche nei contesti occidentali.
E questo è fondamentale perché in realtà se consideriamo che appunto in Africa o in molte
regioni povere del mondo la maggior parte delle persone sostanzialmente non è a grande rischio
di subire gravi effetti dalla covid, che logisticamente è sostanzialmente impossibile
vaccinare una percentuale di popolazione di quel tipo perché non lo si riesce a fare per la
poliomielite, solo per la popolazione infantile, non lo si riesce a fare per tantissime situazioni,
è francamente impensabile per la maggior parte dei paesi. Unito al fatto che in molti di questi
paesi tolte poche eccezioni, guardiamo la Nigeria e Sudafrica dove hanno preso più piede alcuni
tipi di variante, c'è stato anche un calo dell'attenzione sul tema, nel senso che non è
appunto un tema così sentito quindi sarebbe anche probabilmente difficile ottenere un'aderenza
vaccinale sufficiente. Tutti questi elementi messi insieme forse dovrebbero anche farci ripensare un
po' al tipo di strategia perché non è probabilmente raggiungibile l'immunità di greggio, me la
intendiamo, bisogna però sicuramente fare alcune cose, cioè una sorveglianza delle varianti perché
se non vaccini gran parte della popolazione mondiale anzi ci può essere una pressione
selettiva per cui se ne possono produrre di nuove più pericolose e poi la protezione comunque delle
fasce più deboli perché non dimentichiamo che comunque in Africa c'è un altissimo percentuale
per esempio di persone tubercolotiche con la tubercolosi anche spesso non in trattamento,
ci sono moltissimi HIV positivi non in trattamento, questi sono chiaramente dei
fattori di rischio per qualsiasi patologia compresa la covid, quindi probabilmente ora
non si sta ragionando ancora su questi aspetti però è anche possibile che si arrivi appunto
a travedere altri tipi di priorità anche rispetto alla vaccinazione anche perché sull'immunità di
grece si sta parlando così di 2023 forse per l'Africa quindi chiaramente non è una cosa che
ha senso secondo me immaginarsi in questo modo però ovviamente non sono nessuno per dirlo.
Certo quindi strategie, dobbiamo pensare a delle strategie eque sicuramente ma strategie globali
perché abbiamo capito che se era impensabile qualche tempo fa se lo stesso Fauci riteneva
il covid un virus limitato alla Cina ci siamo resi conto sulla nostra pelle che questo non è stato.
Io ringrazio tutti i nostri ospiti di stasera Chiara, Mattia e Giuseppe, professor Remuzzi per
essere stati con noi. Vi ricordo che tra due settimane quindi il 28 aprile sempre a 19 ci
incontriamo qui su facebook e instagram di Editori La Terza per il prossimo appuntamento di Interregno
che sarà sulla cultura di massa. Grazie per aver partecipato e alla prossima. Grazie.
Eccoci, grazie a tutti.