5. La ciociara (Racconti romani)
Al professore, quando insisteva, gliel'avevo detto e ripetuto:
– Stia attento professore, sono ragazze semplici... di campagna... stia attento a quello che fa... meglio per lei prendere una romana... le ciociare sono contadine e analfabete.
Quest'ultima parola soprattutto era piaciuta al professore:
– Analfabeta... ecco quello che ci vuole... almeno non leggerà i fumetti... analfabeta.
Questo professore era un uomo vecchio, con la barbetta e i baffi bianchi, che insegnava al liceo. Ma la sua occupazione principale erano le rovine. [...] In casa sua, poi, i libri sulle rovine e altri erano l'uno sull'altro come in una libreria: cominciavano all'ingresso [...] e continuavano per tutta la casa, corridoi, stanze, ripostigli: soltanto nel bagno e in cucina non ce n'erano. Libri a cui teneva molto, nessuno poteva toccarglieli [...].
Insomma, siccome ogni giorno passava dalla portineria, sempre insistendo con la ragazza ciociara e analfabeta, ho scritto al paese, a un mio amico, e lui mi ha risposto che conosceva la persona che ci voleva: una ragazza delle parti di Vallecorsa che si chiamava Tuda, che non aveva compiuto ancora venti anni. [...]
Tuda è arrivata una sera a Roma insieme con il mio amico e io sono andato a prenderla alla stazione. Al primo sguardo, ho capito che era di buona razza ciociara, [...] tra una domanda e l'altra, mentre in tram andavamo verso casa, ho capito che era proprio una selvaggia: non aveva mai visto un treno, un tram, una casa di sei piani. Insomma, analfabeta, come voleva il professore.
Siamo arrivati a casa [...], con l'ascensore, siamo saliti all'appartamento del professore. [...] Tuda, appena siamo entrati, gli ha detto: – Prendi, professore, prendi, t'ho portato le uova fresche.
Io le ho detto: – Non si dà del tu al professore... –; ma il professore, invece, incoraggiandola le ha detto: – Dammi pure del tu, figliola... – [...].
Il professore, poi, ha portato Tuda nella cucina che era grande, con il fornello a gas, le pentole di alluminio e, insomma, tutto il necessario, e le ha spiegato come funzionava. Tuda ha ascoltato ogni cosa seria, in silenzio. Finalmente, con quella sua voce forte, ha detto: – Ma io non so cucinare. [...] Al paese lavoravo... la terra. Cucinavamo sì, ma tanto per mangiare... una cucina come questa non ce l'ho mai avuta.
– E dove cucinavi?
– Nella capanna [...].
– Beh –, ha fatto il professore, tirandosi la barbetta, – mettiamo che tu debba cucinarmi un pranzo tanto per mangiare... che faresti?
Lei ha sorriso e ha detto: – Ti farei la pasta coi fagioli... poi ti bevi un bicchiere di vino... e poi un po' di frutta secca.
– Tutto qui... niente secondo?
– Come, secondo?
– Dico niente secondo piatto, pesce, carne?
Questa volta lei si è messa a ridere di gusto: – Ma quando hai mangiato un piatto di pasta e fagioli col pane, non ti basta?... che vuoi di più?...
[...] Finalmente, dopo molte discussioni, si è deciso: mia moglie per qualche tempo sarebbe venuta in cucina per insegnare a Tuda. Siamo passati, quindi, nella camera da letto della cameriera che era una bella camera che dava sul cortile, con un letto, un comò e un armadio. Lei ha detto subito, guardandosi intorno: – Dormirò sola?
[...] – È tutta per te.
[...] Uscendo, ho sentito il professore che le spiegava: – Guarda che a tutti questi libri devi togliere la polvere ogni giorno [...].
Lei, allora, ha domandato: – A che ti servono tutti quei libri...?
E lui ha risposto: – Per me sono come la zappa per te, al paese... ci lavoro.
E lei: – Sì, ma io di zappa ne ho una sola.
Dopo quel giorno il professore ogni tanto, passando in portineria, mi dava notizie di Tuda. Non era più tanto contento il professore, per dire la verità. Un giorno mi ha detto: – È rustica, proprio rustica...
Ho detto: – Professore, io l'avevo avvertito... roba di campagna.
– Sì, però –, ha concluso lui, – è una cara figliola... proprio una cara figliola.
La cara figliola, come la chiamava lui, ci ha messo poco tempo a diventare una ragazza come tutte le altre. Ha cominciato, appena ha preso il primo stipendio: ha comprato un vestitino [...] che sembrava proprio una signorina. Poi ha comprato le scarpette con il tacco alto. Poi la borsetta [...].
La prima volta che l'ho vista con Mario, l'autista della signora del terzo piano, le ho detto: – Guarda che quello non fa per te... le cose che dice a te, le dice a tutte. [...]
Lei ha risposto: – Ieri mi ha portato in macchina a Monte Mario. [...]
Dopo un paio di settimane, il professore un giorno è passato dalla portineria, mi ha chiamato da parte e mi ha domandato a bassa voce:
– Senta un po', Giovanni... quella ragazza è onesta?
Ho detto: – Questo sì, professore, ignorante ma onesta.
– Sarà –, ha fatto lui poco convinto, – ma mi sono scomparsi cinque libri di valore... non vorrei...
[...] ho deciso di tenere gli occhi bene aperti. Una sera, qualche giorno dopo, vedo Tuda entrare nell'ascensore insieme con Mario. Lui aveva detto che doveva andare al terzo piano, per prendere ordini dalla signora, che era una bugia, perché la signora era uscita da più di un'ora e lui lo sapeva. Li ho lasciati salire, e poi ho preso l'ascensore, sono salito anch'io e sono andato direttamente all'appartamento del professore. Per caso, avevano lasciato la porta un po' aperta, sono entrato, cosa ho visto? Mario, salito in piedi su una sedia, si teneva alla libreria e tendeva la mano verso dei libri che stavano sotto il soffitto; e lei, la santarella dalle guance rosse, che gli teneva la sedia e diceva: – Quello lassù... quello bello grosso... quello bello grosso con la copertina di pelle.
Ho detto, allora, uscendo fuori: – Ma brava... ma bravi... vi ho presi... bravi... e il professore che me l'aveva detto e io che non ci credevo... bravissimi.
Io, allora, gliene ho detto tante e tante che un'altra, almeno, si sarebbe messa a piangere. Ma sì, con le ciociare è un'altra cosa. Mi ha ascoltato a testa bassa, senza parlare; poi ha alzato gli occhi, senza una lacrima, e ha detto: – E chi gli ha rubato? I soldi che mi avanzano dalla spesa glieli riporto sempre tutti quanti...
– Disgraziata... e tu non rubi i libri?... E questo non si chiama rubare?
– Ma ne ha tanti, lui, di libri.
– Tanti o pochi, tu non devi toccarli... e sta' attenta... perché, se ti trovo a fare la stessa cosa un'altra volta, te ne torni al paese direttamente.
Qualche giorno dopo, eccola che entra in portineria, con un pacco sotto il braccio: – Eccoli, i libri del professore... glieli riporto subito e così non potrà più lamentarsi.
Ho detto: – Professore... ecco i suoi libri... Tuda li ha ritrovati... li aveva prestati a un'amica per guardare le figure.
– Bene, bene... non parliamone più.
Si è gettato sui libri, ne ha preso uno, l'ha aperto e poi si è messo a gridare: – Ma questi non sono i miei libri!
– Che dice... Cioè?
– Erano libri di archeologia – ha continuato lui, sfogliando con nervosismo gli altri volumi, – e questi invece sono cinque volumi di diritto.
Ho detto a Tuda: – Ma si può sapere che hai fatto?
Questa volta lei ha protestato, con forza: – Cinque libri avevo preso... e cinque ne ho riportati... che volete da me?... li ho pagati cari... più di quanto mi avevano dato quando li ho venduti.
Il professore era così sorpreso che guardava me e Tuda a bocca aperta, senza dir parola.
Lei ha continuato: – Guarda... hanno le stesse copertine... anche più belle... guarda... e anche il peso è lo stesso... me li hanno pesati... sono quattro chili e seicento... come quelli tuoi.
Questa volta il professore si è messo a ridere, anche se amaramente: – Ma i libri non vanno a peso come la carne... ogni libro contiene cose diverse... di autore diverso...
Ma lei ha ripetuto, ostinata: – Cinque erano e cinque sono... con le copertine erano e con le copertine sono... io non so niente.
Insomma, il professore l'ha mandata in cucina, dicendole: – Va' a cucinare... basta...
Poi, quando se n'è andata, ha detto: – Mi dispiace... è una cara figliola... ma troppo di campagna.
– Colpa sua, professore.
– Lo riconosco –, ha detto lui.
Tuda è restata col professore ancora il tempo per cercarsi un altro posto. Lo ha trovato come lavapiatti in un negozio del quartiere.
Qualche volta viene a trovarci in portineria. Del fatto dei libri, non parliamo. Ma mi dice che sta imparando a leggere e scrivere.