Stagione 4 - Episodio 5 (1)
Siamo abituati a pensare alle campagne elettorali – e agli sforzi di persuasione delle campagne elettorali – innanzitutto come grandi operazioni di comunicazione. Propaganda, si sarebbe detto una volta; oggi si usa sempre più spesso la parola marketing. In quest'ottica, siamo abituati a pensare al prodotto che vende ogni campagna elettorale, la persona candidata, come al risultato di attente valutazioni. Nessun candidato viene creato in laboratorio, naturalmente, ma la sua identità ha un certo peso sui suoi successi o insuccessi: e quell'identità può essere modificata, enfatizzata, raccontata in molti modi diversi. La scelta delle parole da usare può essere elaborata e modificata, e lo stesso vale per il modo in cui presentare e modificare il proprio aspetto. Non c'è niente di necessariamente sbagliato o impuro in tutto questo: se la politica è insieme persuasione e rappresentanza, è naturale che le persone che decidono di farla cerchino modi e strade per meglio rappresentare e persuadere gli elettori. Eppure ogni tanto emergono politici che rompono le consuetudini e cambiano gli standard; persone che alterano aspettative e modelli costruiti nel tempo. Politici il cui successo e la cui popolarità mettono in discussione tesi che pensavamo consolidate, che avvengono malgrado sulla carta non sarebbero dovute accadere, e costringono tutti a mettere in discussione qualcosa. La persona attorno alla quale sta gravitando l'intera campagna elettorale del Partito Democratico nelle primarie del 2020 è una di queste, e la sua storia è un arco che attraversa un pezzo importante della storia americana. Il suo nome è Bernie Sanders.
Bernie Sanders è un candidato improbabile. Avete presente i presidenti dei film americani? Belli, carismatici, sorridenti, energici, quasi statuari? Avete presente quel tipo umano che fa parte del nostro immaginario non solo grazie ai film e alle serie tv, ma anche a presidenti come Ronald Reagan, come Bill Clinton, come John Fitzgerald Kennedy o come Barack Obama? Ecco, Bernie Sanders non gli somiglia per niente. Bernie Sanders è un uomo anziano, ha 78 anni, e il suo aspetto non proietta energia: è ingobbito, ha la forfora sulle spalle ed è perennemente spettinato. Parla con un accento molto marcato, urla; e chi lo conosce dice che ha un carattere scontroso e irascibile. Qualche settimana fa è circolato molto online un video che mostra Tom Steyer andare a salutarlo alla fine di un confronto televisivo, con Sanders che risponde semplicemente “Sì, sì, va bene”. Ma c'è un'altra storia esemplare di questo carattere. Qualche anno fa Sanders andò a fare un comizio nel collegio di un candidato del Partito Democratico alla Camera, e sceso dal palco fu fermato da alcuni sostenitori: chi voleva stringergli la mano, chi scattare un selfie. Sanders si sottopose a questo rito con una certa riluttanza e quindi cercò di attraversare la folla nel minor tempo possibile. A un certo punto gli si parò davanti una signora con in mano un vassoio pieno di biscotti. “Bernie, li ho fatti per te!”. La donna evidentemente si aspettava un po' di entusiasmo, almeno un sorriso!, ma Sanders le rispose sbrigativamente “Ok, grazie, dalli al mio assistente”, lasciando la donna di sasso. Qualche minuto dopo, nel backstage, il candidato raggiunse Sanders per ringraziarlo per il suo comizio, e prima di salutarlo gli disse: “Ah, hai incontrato mia mamma? Ha fatto dei biscotti per te!”.
Come avete ascoltato, lui stesso qualche tempo fa ha parlato del suo carattere durante un'intervista, facendo un po' di autocritica: non sono il tipo che ti telefona quando arriva il tuo compleanno, ha detto. Lo so che le persone sono molto felici quando lo faccio, ma non è il mio stile. Ma come il carattere e lo stile di ciascuno di noi è plasmato dalla nostra vita, lo stesso vale per il carattere e lo stile di Bernie Sanders.
Bernie Sanders è nato l'8 settembre del 1941 a Brooklyn, New York. Suo padre era nato in quella che alla sua epoca si chiamava Austria-Ungheria, sua madre era nata a New York ma aveva origini russe. Entrambi erano ebrei – i loro familiari rimasti in Europa furono deportati e uccisi prima e durante la Seconda guerra mondiale – ma Sanders non è particolarmente religioso e non frequenta la sinagoga; qualcuno ha ipotizzato che sia ateo, sarebbe il primo importante candidato ateo nella storia statunitense, ma lui dice di credere in Dio “a modo suo”. La famiglia Sanders non era particolarmente ricca: a lui e suo fratello non mancavano né i vestiti né il cibo, ma dormivano su un divano e non potevano permettersi grandi spese. Entrambi frequentavano le scuole pubbliche, facevano i compiti e passavano il resto del tempo a giocare per strada.
Gli anni più importanti per la crescita e la formazione di Bernie Sanders furono quelli del college. Dopo un anno al Brooklyn College, nel 1960 decise di andare a studiare Scienze politiche all'università di Chicago. Non furono anni semplici. Sanders stesso ha raccontato poi che al college era uno studente mediocre. Trovava le lezioni noiose e irrilevanti, e investiva invece la gran parte del suo tempo nella partecipazione ad associazioni e comitati studenteschi di sinistra.
Gli anni di Chicago furono per Sanders soprattutto anni di grande attivismo politico: erano gli anni Sessanta, stavano nascendo quei movimenti e quelle sensibilità che pochi anni più tardi sarebbero sfociati nelle grandi contestazioni degli studenti, e Sanders era al centro di tutto questo. Protestava per il disarmo, per i lavoratori, contro la guerra; fu arrestato durante una manifestazione per i diritti civili e partecipò alla marcia durante la quale Martin Luther King pronunciò il famoso discorso “I have a dream”. L'attivismo politico gli prendeva così tanto tempo e così tante energie che a un certo punto fu convocato dal preside della facoltà, alla luce dei suoi risultati deludenti nello studio, ma invece di suggerirgli di mettersi a studiare il preside gli consigliò di prendersi una pausa dalla politica. L'attivismo da un lato gli permetteva di far parte di una comunità di persone, di sentirsi un pezzo di una storia più grande, ma dall'altra gli faceva sentire il peso di una certa marginalizzazione. Sanders militava in partiti e gruppi di sinistra radicale, socialisti e trotzkisti; passava ore immerso dentro libri che raccontavano cose che i suoi coetanei non conoscevano, e idee e persone che attorno a lui non attecchivano. Ottenuta in qualche modo la laurea, qualche anno dopo, Bernie Sanders si trovava nella condizione di smarrimento simile a quella di molti ventenni che finiscono di studiare e si dicono: e ora? Nel suo caso, però, la sensazione di solitudine che prova ogni persona quando lascia la casa dei genitori fu accentuata dal fatto che suo padre e sua madre erano morti a distanza di pochi anni, e suo fratello si era trasferito a vivere in Inghilterra. Insomma, Bernie Sanders non aveva un soldo né un posto nel mondo: era solo. Alla convention del Partito Democratico del 2016, il voto della delegazione del Vermont fu annunciato da suo fratello Larry, tornato apposta dall'Inghilterra. Larry in lacrime citò i nomi dei suoi e loro genitori, dicendo che non avevano avuto vite facili ed erano morti giovani, ma sarebbero stati orgogliosi di lui. Bernie pianse seduto nelle tribune, inquadrato dalle telecamere.
Dopo la laurea Sanders tornò a New York e cambiò molti lavori, ma senza trovare la sua strada: fece l'insegnante, l'assistente in una comunità psichiatrica e il falegname. Poi, nel 1968, prese una decisione radicale: lasciò New York e si trasferì a Stannard, un paese del Vermont che all'epoca aveva appena 88 abitanti. Sanders ha raccontato che era affascinato dalla vita di campagna, dalla vita rurale, e con i pochi soldi che aveva ereditato dai suoi genitori comprò una casetta e un terreno in uno dei posti più sperduti e inospitali del New England. Continuò a lavorare come falegname, si sposò e divorziò, ebbe un figlio dalla sua successiva compagna. Nel tempo libero scriveva articoli per una rivistina underground, il Vermont Freeman; produceva materiali didattici per le scuole e iniziò ad allacciare dei contatti con i gruppi politici di sinistra dello Stato, quando non a fondarli lui stesso.
Qualche anno dopo cominciò a candidarsi alle elezioni. Nel 1972 si candidò al Senato con il Liberty Union Party, un partito pacifista di sinistra alternativo ai Democratici e ai Repubblicani, e perse prendendo solo il 2 per cento dei voti. Nello stesso anno si candidò a governatore e prese l'uno per cento. Si ricandidò a senatore nel 1974 e perse di nuovo, col 4 per cento. Due anni dopo si ricandidò a governatore e prese il 6 per cento. Durante una di queste campagne elettorali si stupì di come uno dei suoi avversari, il candidato del Partito Democratico, era riuscito ad attirare l'attenzione dei media con una trovata tutto sommato banale, cioè spostandosi da un comizio all'altro usando gli sci. Sanders era molto più giovane, ma era fatto proprio come potete immaginare fosse fatto un trentenne di sinistra radicale negli anni Settanta: insomma, era giovane ma era già vecchio, ed era frustrato da come le sue idee e le sue proposte non fossero abbastanza per ottenere non tanto i consensi delle persone ma almeno la loro attenzione. Anche in quel contesto, Sanders si sentiva ancora solo, isolato, incompreso. In quegli anni produsse un audio-documentario su Eugene Debs, un politico che si era candidato per cinque volte alla presidenza degli Stati Uniti con il partito socialista, e che Sanders considera ancora oggi un suo eroe personale. Nell'introduzione di questo documentario Sanders sembra lamentarsi di come la gran parte degli americani non avesse idea nemmeno dell'esistenza di Debs, e nell'amarezza con cui lo fa sembra temere che quello finisca per essere anche il suo destino. “Molti di voi”, dice Sanders, “conoscono Wonder Woman, conoscono tutti i cantanti e gli attori del momento, conoscono i nomi di tutti i più inutili e mediocri politici della loro città, e non sanno chi sia Eugene Debs. Non è colpa vostra, però, dice Sanders: se non lo conoscete è perché le persone che controllano i media considerano ancora oggi pericolose le sue idee”. Questo tratto è sempre stato presente nella retorica e nelle idee di Bernie Sanders, e lo è ancora oggi: l'idea che le regole del gioco e gli equilibri della società siano piegati a favore dei potenti, dei più ricchi, dei più influenti, e contro le persone comuni, contro gli interessi della società nel senso più ampio del termine. Lo stesso Sanders ha raccontato come una delle tappe formative di questo pensiero, in questo senso, sia arrivata quando era bambino, e scoprì che la squadra di baseball per cui tifava, i Brooklyn Dodgers, si sarebbero trasferiti a Los Angeles. “Uno pensa che se una squadra si chiama Brooklyn allora appartiene a Brooklyn, alle persone di Brooklyn”, ha raccontato più volte. “Invece quell'episodio, che mi spezzò il cuore, mi fece capire che la volontà di poche persone molto ricche può valere di più di quella di tante persone comuni”. Nel 1980, a 39 anni, Sanders provò una nuova ennesima candidatura. Anche questa doveva essere una candidatura di servizio, volta soprattutto ad avanzare le idee del partito e provare a condizionare un minimo i programmi dei candidati maggiori, ma stavolta le cose andarono diversamente. Sanders si candidò a sindaco di Burlington, la piccola città del Vermont in cui si era trasferito qualche anno prima, il cui contesto politico era particolare. Il sindaco della città era in carica da ben cinque mandati e di fatto da tempo non aveva veri sfidanti: faceva parte del Partito Democratico ma governava in pieno accordo con il Partito Repubblicano, tanto che gli avversari non presentavano nemmeno un candidato alle elezioni. La contesa, insomma, finì per ridursi al sindaco uscente contro Bernie Sanders. Sanders riuscì quindi a catalizzare attorno a sé tutte le energie della città che da anni non trovavano spazio, tutti quelli che per qualche motivo erano scontenti dello status quo o desideravano una qualche forma di cambiamento. E alla fine Sanders vinse le elezioni, per appena dieci voti.