L'Apostata (361-363) - Ep. 8 (2)
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Nel 359, dopo il cedimento di Liberio, Costanzo fece convocare due concili delle chiese orientali e occidentali, in simultanea. Si tratta dei concili di Seluci e di Rimini. In entrambi gli ariani erano ben rappresentati e con pressioni, minacce di esilio e la sensazione che la storia stesse girando verso gli ariani alla fine i Niceni finirono per cedere e approvare la formula semi-ariana secondo cui il Figlio, creato dal Padre e di simile sostanza, fosse a lui subordinato.
Le cose stavano così nel tardo 361, quando morì Costanzo. In questa battaglia si inserisce Giuliano che dichiara di non volere prendere alcuna posizione a riguardo: ognuno nell'impero sarà libero di credere quel che vuole e qualunque variante del cristianesimo che preferisca, lo stato non si prenderà la briga di stabilire quale credo sia corretto e quale sbagliato e non userà il suo potere per dare ragione a questa fazione o quell'altra.
Può sembrare un ammirevole editto di libertà religiosa, ma Giuliano era un astuto politico: sapeva che i vescovi si sarebbero combattuti senza sosta pur di far trionfare questa o quella versione del cristianesimo e fece capire in modo chiarissimo che lo stato ritirava qualunque appoggio diretto alla chiesa o alle chiese. Senza il provvidenziale intervento di Giuliano oggi credo che la chiesa sarebbe ariana, visto come stavano andando le cose. Ma Giuliano intervenne e revocò tutte le condanne all'esilio e liberò i Niceni, permettendogli di tornare all'attacco: Giuliano ovviamente non voleva che i Niceni vincessero ma si augurava che Ariani e Niceni si sbranassero l'un l'altro, privi dei mezzi dello stato per decidere chi fosse davanti a chi. Liberio ad esempio annullò pubblicamente le decisioni di Rimini e Seluci e confermò nel loro incarico i vescovi che rifiutarono la dottrina ariana. Inoltre, firmò un decreto che vietava di ribattezzare coloro che avevano ricevuto il battesimo ariano.
Ma Giuliano non si accontentò di mettere zizzania tra i cristiani. Fece capire che le Chiese dell'impero sarebbero oramai state trattate come culti tollerati ma non appoggiati. I vescovi, abituati ad essere alla pari di ufficiali pubblici nelle rispettive città, sarebbero stati trattati dallo stato romano come meri cittadini. Una serie di privilegi di natura fiscale fu eliminata, il sostegno finanziario alle spese ecclesiastiche soppresso o spostato sui culti antichi. Il passaggio più importante fu forse sui beni: Le proprietà dei templi pagani, spesso passate dallo stato alla chiesa cristiana, furono ristabilite. Non contento di ciò, diede perfino mandato di ricostruire il tempi di Gerusalemme, in modo da portare gli Ebrei dalla sua e avere un'altra religione monoteistica legata al potere imperiale. Gli ebrei avevano un bel po' di cose delle quali lamentarsi nei confronti dei Romani e non diedero molto retta alle ouverture di Giuliano mentre la costruzione del tempio fu interrotta dopo il presentarsi di prodigi divini contrari (dando retta alla tradizione) o a causa di un terremoto, se si dà retta agli storici.
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Questo per quanto riguarda quello che Giuliano intraprese da subito per ostacolare i cristiani, ma cosa voleva di converso costruire Giuliano? Per capirlo dobbiamo fare un breve excursus sulla filosofia neoplatonica dominante ai tempi di Giuliano, e per diversi secoli dopo di lui. Parliamo della filosofia Neoplatonica.
I Neoplatonici sono l'ultima grande corrente filosofica dell'antichità. Il loro capostipite è di solito considerato essere Plotino, vissuto nel terzo secolo dopo cristo. Ora sono ancor meno filosofo di quanto sia storico, ma quello che importa capire è che il neoplatonismo costruì una filosofia che assomigliava molto ad un monoteismo, con un “uno” universale e creatore da cui si emanano in ordine discendente l'intelletto, l'anima e la materia semplice. Tutta la realtà è concepita come emanazione dell'entità divina assoluta, l'Uno: compito supremo dell'uomo è cercare di risalire a quell'unità, giungendo all'assimilazione mistica con il divino. In questo quadro i neoplatonici avevano dato anche una spiegazione dell'antico Pantheon, come rappresentazioni di diversi aspetti dell'uno percepiti dagli antichi. La filosofia neoplatonica si inserisce sicuramente nella corrente culturale del terzo secolo, tendente a sorpassare gli antichi culti politeistici, e sarà di fondamentale influenza sul cristianesimo: molti dei grandi padri fondatori del cristianesimo e non ultimo S. Agostino saranno neoplatonici, o influenzati dal pensiero neoplatonico. Giuliano non si mise quindi di lena per riportare in auge il vecchio Pantheon ma cercò di costruire qualcosa di nuovo, una sorta di religione semi-politeista neoplatonica.
A tal fine Giuliano studiò molto attentamente i suoi avversari. Giuliano riconosceva i punti di forza della religione cristiana: in particolare la sua organizzazione in una struttura parastatale di vescovi e sacerdoti, l'apertura verso le masse, le donne, gli oppressi e infine l'appeal di una religione monoteistica. Giuliano non puntava a riportare in auge il vecchio pantheon greco-romano ma cercò di creare una struttura religiosa ai culti politeistici che non erano mai stati una religione coerente, ma un coacervo di credenze disparate. Istituì un clero pagano strutturato come la chiesa cristiana: al vertice era l'imperatore, nella sua qualità di pontefice massimo, seguito da sommi sacerdoti, responsabili ciascuno per ogni provincia i quali, a loro volta, sceglievano i sacerdoti delle diverse città. Diede impulso a che i sacerdoti pagani entrassero di più nella società romana, praticando la carità e l'assistenza ai poveri. A guida dell'intero movimento doveva esserci un vago monoteismo neoplatonico che riconduceva ad una divinità maggiore – il dio Sole – la responsabilità della creazione delle varie anime del Dio rappresentate nelle divinità classiche. Pianificò perfino che fossero introdotti libri di preghiera ed Inni per una liturgia pagana universale basata anche questa sul modello cristiano.
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In questo si vede come Giuliano guardasse al lungo periodo: era giovane, aveva poco più di trent'anni, e contava di essere al potere per un ventennio o più. Con un po' di fortuna avrebbe mantenuto il potere su tutto l'impero più a lungo di Costantino e Costanzo e avrebbe potuto riportare la cristianità in una scatoletta della dimensione di una minoranza dell'impero: la maggior parte delle campagne restavano pagane, il cristianesimo aveva avuto un successo spettacolare negli ultimi cinquanta anni soprattutto nelle città perché lì si concentravano gli amministratori pubblici, i vescovi, gli stipendiati dallo stato che avevano abbracciato la nuova fede per mettersi in pari con i voleri dello stato centrale. Ora, spostando il patronage sulla sua nuova, antica religione, Giuliano contava di fare lo stesso, ma al contrario: dare più potere, soldi, status al suo nuovo sacerdozio e meno ai vescovi, dare più ruoli nelle forze armate e nell'amministrazione ai pagani. Ma il colpo più grosso lo aveva riservato al meccanismo più potente di trasmissione di qualunque religione: l'educazione.
I gesuiti dicono giustamente “datemi un bambino nei primi sette anni di vita e io vi mostrerò l'uomo”: l'istruzione influenza in modo fondamentale chi siamo. Ai tempi dell'impero l'istruzione superiore – pur riservata alle classi cittadine e agiate dell'impero – era comunque relativamente di massa e la chiave fondamentale per assicurare un futuro di successo per la propria progenie. L'impero era una struttura statale costruita da, per e attraverso le città e i cittadini dell'impero dovevano studiare il corso di studi pubblici se fossero voluti accedere a qualunque carica pubblica o di rilievo nella società, sarebbe stata una caratteristica dello stato romano considerata indispensabile dalle famiglie. Più leggo a riguardo dell'Impero Romano del quarto secolo più questo finisce per sembrare un mondo talmente familiare ai nostri occhi moderni da sembrare irreale.
Quello che irritava enormemente Giuliano era vedere i membri del clero cristiano insegnare nelle scuole imperiali: il corso di studi era fortemente incentrato su Omero, sui grandi classici latini e greci e questi venivano regolarmente interpretati con una visione cristiana dalla classe di insegnanti cresciuti nel periodo post costantiniano. Giuliano voleva far crescere una nuova generazione di Romani con la cultura e la filosofia classica del mondo greco-romano, pur aggiornata dal suo neoplatonismo semi-monoteistico. In applicazione di questa politica, nel 362 Giuliano emise un editto con il quale stabiliva l'incompatibilità tra la professione di fede cristiana e l'insegnamento nelle scuole pubbliche. Alla legge Giuliano fece seguire una lettera circolare che spiegava più approfonditamente il contenuto e il significato della norma: «È necessario che tutti gli insegnanti abbiano una buona condotta e non professino in pubblico opinioni diverse da quelle intimamente osservate. In particolare, tali dovranno essere coloro che istruiscono i giovani e hanno il compito di interpretare le opere degli antichi. Trovo assurdo che coloro che spiegano i loro scritti disprezzino gli dèi che quelli onoravano. Se i maestri cristiani considerano saggi coloro di cui sono interpreti e di cui si dicono, per così dire, profeti, cerchino prima di rivolgere la loro pietà verso gli dèi. Se invece credono che questi autori si siano sbagliati circa le entità da venerare, vadano allora nelle chiese dei Galilei a spiegare Matteo e Luca.»
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La riforma della scuola ovviamente causo occupazioni a catena dei licei da parte degli studenti e cortei a Roma organizzati dai sindacati: si lo so, a volte il passato sembra così simile al presente che tendo a confondermi. A parte gli scherzi trovo incredibile la modernità di uno stato come quello romano, basato sull'educazione di una fetta importante della popolazione e dove un argomento fondamentale era il tipo di educazione da dare agli studenti. Verranno diversi secoli – assai meno bui di quel che si creda ma sempre difficili – dove l'educazione e la scrittura saranno davvero appannaggio di pochi.
La riforma scolastica di Giuliano non fu popolare, come credo non furono popolari molte delle altre riforme che intraprese durante il suo breve regno. Va sottolineato però che Giuliano non ebbe nessun serio tentativo di rivolta e usurpazione, pur essendo imperatore unico di un impero oramai abituato ad averne diversi. Certo, forse con il tempo sarebbero venuti fuori ma credo sia comunque testamento della sua generale popolarità e della popolarità delle sue convinzioni religiose per una parte certamente ancora non minoritaria dello stato romano.
Ma Giuliano non ebbe il tempo di sedersi a riformare lo stato romano per decenni, perché incombeva la guerra persiana. Giuliano doveva dare una risposta a Shapur, che aveva minacciato le province mesopotamiche negli ultimi anni e saccheggiato l'importante città di Amida. Avrebbe potuto seguire l'esempio del cugino e impegnarsi in una guerra di posizione fino a stancare il suo opponente. Ma Giuliano non era fatto così e la sua naturale impulsività era stata alimentata dalla sensazione di essere un predestinato dagli idei, invulnerabile dagli attacchi del fato. In più aveva fascino su di lui l'antica maledizione di Alessandro Magno, il desiderio per ogni grande re e generale ellenistico e romano di ripercorrerne i passi. Giuliano aveva domandato agli oracoli. I sacerdoti lo designavano redivivo Alessandro, destinato a ripeterne le gesta di distruttore dell'antico Impero persiano, a raggiungere da dominatore quelle terre da cui proveniva il culto di Mitra, il suo nume tutelare, a eliminare una volta per tutte quella storica minaccia, e a fregiarsi del titolo di «vincitore dei Persiani. L'interno dell'Asia chiamava Giuliano, che decise di rispondere. Infine credo che pensò che una vittoria contro i persiani – una grande vittoria, non una vile guerra di posizione – sarebbe stata la spinta in termini di legittimità e prestigio che sarebbero serviti a Giuliano per davvero modellare l'impero a sua immagine e somiglianza, senza preoccupazione di opposizioni serie.
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Sta di fatto che Giuliano decise di lasciare Costantinopoli e recarsi ad Antiochia, la base naturale per ogni imperatore che volesse invadere la Persia Sasanide. Antiochia accolse festosamente Giuliano, che indisse giochi per la cittadinanza e perfino uno spettacolo all'ippodromo, spettacolo che odiava. Giuliano diminuì perfino le tasse. Ma l'armonia tra l'austero imperatore e gli abitanti della frivola città era destinata a spezzarsi. Antiochia era – con Alessandria – il centro pulsante del cristianesimo romano e in una città tanto cristianizzata la sua devozione agli dei e i frequenti sacrifici non potevano essere graditi. Presto cominciarono a circolare epigrammi che deridevano il suo aspetto “poco imperiale”: la sua barba fuori moda, i capelli arruffati, il comportamento per nulla ieratico anzi, stranamente alla mano, «democratico», le abitudini austere, la mancanza di senso dell'umorismo, una serietà che appariva eccessiva ai loro occhi, la sua stessa fede pagana.