ITA True Crime - Jeffrey Dahmer - Il Cannibale Di Milwaukee
(Testo inizia alle 0:59)
---TRIGGER WARNING, QUESTA PUNTATA È MOLTO ESPLICITA--
Non so perché tutto è cominciato. Non mi sono mai dato nessuna risposta. Se conoscessi le vere ragioni, le ragioni reali per cui tutto è cominciato, prima che ancora che cominciasse, non avrei probabilmente fatto nulla di tutto questo.
Si, po' dei rimorsi. No, non sono sicuro io stesso. Che siano profondi in [incomprensibile].
Anzi mi sono sempre domandato perché ho l'impressione di non sentire più nulla. Tra il 1978 e il 1991, Jeffrey Dahmer uccide per 17 volte. La sua prima vittima la fa che ha soltanto 18 anni. È un serial killer che poteva doveva essere fermato prima.
Se non fossero stati commessi errori da parte degli investigatori. Errore clamoroso.
22 luglio 1991, Milwaukee, pomeriggio. Una giornata afosa. Un uomo si aggira in un centro commerciale. È Jeffrey Dahmer. Ha mangiato una pizza e bevuto qualche birra. Sta tornando a casa, quando incontra tre i ragazzi di colore. Con uno di loro, ha già scambiato due chiacchiere qualche settimana prima. Parlando con i ragazzi, Dahmer racconta che si annoia. Gli offre 100 dollari a chi vorrà tenergli compagnia. Soltanto compagnia.
Uno dei ragazzi accetta. Il suo nome è Tracy Edwards. Prendo un taxi, ma Dahmer non si fa portare all'ambassador hotel, dove mentendo ha detto di abitare. Chiede al tassista di fermarsi sulla venticinquesimo strada in periferia. È qui, che ora vive Jeffrey Dahmer.
Casa Dahmer. Un ambiente ordinato, pulito, ma c'è qualcosa di strano. Su tutto... un odore nauseante. Sul pavimento ci sono alcuni scatoloni. Dentro, contenitori di acido muriatico. Danner dice a Tracy Edwards di usare d'acido per pulire. Tracy Edwards è già pentito di aver accettato per un strano invito, cerca di stare calmo. Chiede una birra e Dahmer li dice che può prenderne una nel frigorifero.
Poi, mentre l'altro di dalle spalle, a sorpresa lo ammanetta. Edwards è terrorizzata. Chiede spiegazioni, Dahmer di risponde che sta scherzando e che le chiavi delle manette sono in camera da letto. Edwards si mostra accondiscendente, perché Dahmer ha portato di mano un grosso coltello da cucina. È spaventato. Si guarda intorno. Poster di uomini nudi alle pareti e poco più nell'angolo... un grosso barile blu. Mi ha ordinato di stendermi a terra a faccia in giù, e di mettere le mani dietro la schiena. Poi è cambiato, è diventato ancora più aggressivo.
Il ragazzo dice che accetterà di farsi fotografare, ma ad una condizione: deve mettere via il coltello. Poi promette che andrà in bagno e si spoglierà. E per dimostrare che intende collaborare, si toglie la camicia. Mi ha detto che se non facevo quello che mi diceva, mi uccideva. Ma improvvisamente qualcosa cambia. Dahmer è rilassata, quasi assente. Con voce calma, quasi amichevole, chiede a Edwards di stendersi sul letto, e poggia la sua testa sul petto del ragazzo. Poi si è steso di traverso su di me, è appoggiato la testa sul mio petto. Mentre ascoltava i battiti del mio cuore, mi ha detto che lo avrebbe mangiato.
Dahmer ora è rilassato. Tracy Edwards inizia a pensare alla fuga. Ad un tratto ha smesso di prestarmi attenzione, ha iniziato a canticchiare, dondolando avanti e indietro. Ho detto che doveva andare in bagno e lui non mi ha seguito. In un attimo mi sono alzato l'ho colpito e sono fuggito. La guerra residua sta per uscire dall'appartamento, quando Dahmer li afferra un braccio. Con uno scossone, il ragazzo si libera e corri in strada, il più velocemente possibile.
Sono le 23.30, è notte. Una macchina della polizia raggiunge l'angolo tra Kimple Avenue alla 25esima strada. Per Tracy Edwards, è come un miraggio.
Si avvicina agli agenti, chiede che gli tolgono le manette. Ma i poliziotti non ci riescono. Allora il trip hanno verso casa di Dahmer, Dahmer vi invita ad entrare. All'inizio è disposta a collaborare, dichiara di lavorare come miscelatore presso la fabbrica di cioccolato ambrosia in centro. Riconosce di aver messo le manette a Edwards ma non sa dire perché. Dice agli agenti che le chiavi delle manette sono in camera da letto. Uno dei due poliziotti nota subito il grosso coltello sotto il letto e decine di polaroid con uomini nudi. Tra questi anche fotografie di cadaveri fatti a pezzi e che sono state scattate proprio in quella stessa casa.
Quando poi continuando la perquisizione, gli agenti aprono il frigo... fanno una terribile scoperta. Una scatola di cartone e dentro: la testa mozzata di un uomo di colore.
In questo modo termina la carriera di serial killer di Jeffrey Dahmer. Nella sua casa, gli investigatori trovano i resti scheletrizzati delle sue vittime, parti del corpo conservate nel congelatore. Jeffrey Dahmer, che la qui in avanti verrà chiamato “il mostro di Milwaukee”, ha certamente superato la linea d'ombra. È da poco passata la mezzanotte. Oxford apartments. Interno 213, 25a strada. Quartiere abitato da famiglie di neri e asiatici. Dahmer è uno dei pochi bianchi. La sua casa è come un fortino blindato. Doppie serrature e un rudimentale sistema d'allarme. Pochi mobili. Un piccolo salotto. Un divano e una poltrona. Alle pareti, fotografie poster di nudi maschili. In un angolo, un frigorifero e un grosso congelatore. Un breve corridoio porta al bagno e alla camera da letto.
22 luglio 1991, la polizia scientifica entra nell'appartamento di Jeffrey Dahmer. Un odore disgustoso, pungente. Lattine di birra vuote, cassette di video pornografici sono sparsi in giro. il frigorifero contiene una testa umana. Nel freezer, tre sacchetti di plastica. All'interno due cuori umani e pezzi di muscolo. Nel congelatore a pozzetto... tre teste e un torso umano. Prodotti chimici e teschi sbiancati. Una grossa pentola di alluminio che contiene resti umani. Sul letto macchie di sangue. Una macchina fotografica polaroid. In camera da letto, due teschi dipinti grigio e uno scheletro umano completo. Nel como, 64 fotografie di uomini nudi, di morti. Di particolari macabri. In un angolo, un barile industriale blu da 250 litri, che emana un odore di sostanze chimiche, che prende alla gola. Viene rimosso dall'unità materiali pericolosi dei vigili del fuoco. Il macabro contenuto del barile: 3 torsi umani immersi nell'acido, in vari stadi di decomposizione. E poi documenti di riconoscimento sparsi un po ovunque. È la prima identificazione: Oliver Lacy, 24 anni. È sua, la testa nel frigorifero. Il cuore, lo scheletro nel congelatore. Ma anche altri oggetti che fanno paura. Un ago ipodermico, guanti di gomma resistente agli acidi. Scatole di soda sbiancante. Un trapano. Martelli. Seghe.
Jeffrey Dahmer diventa un cannibale, forse immagina di assimilare il valore virtù delle sue vittime, mangiando il corpo. Dahmer narcotizza le sue vittime mettendo dei sonniferi nell'alcol. Abusa sessualmente di loro, scatta fotografie, prima e dopo i rapporti. Poi li uccide per strangolo. A volte con le mani, a volte con un laccio di cuoio. E le fa a pezzi. Le fa a pezzi nella vasca da bagno, e lascia colare il sangue direttamente nello scarico. Prima taglia la testa, poi le braccia e le gambe, e alla fine rimuove gli organi interni.
Quando decide di conservare lo scheletro, usa due grosse pentole con acqua soda, a volte conserva solo la testa, la scarnifica, la pulisce, e dipinge il teschio con una vernice color granito.
Ho conservato la testa mummificata e le ossa di una vittima in una valigetta nascosta nel mio armadietto in fabbrica. Le mie pulsioni erano talmente forti da spingermi a conservare parti di loro. Chi quando non è interessato a tenersi lo scheletro, fa a pezzi il cadavere con l'aiuto di seghe e coltelli. Poi frantuma le ossa con una massa. Immerge tutto nell'acido. Dahmer uccide la prima volta che non ha nemmeno 18 anni.
La sua vittima, li incontra per caso, per la strada, ma nelle indagini su il serial killer, che primo delitto è fondamentale, perché avviene sempre vicino a casa.
Lo hanno scoperto gli uomini dell'unità di scienza del comportamento della febbaio, come ha ripreso anche un film famoso: “In silenzio innocente”. Si uccide ciò che si desidera, e si desidera quello che si vede, ogni giorno.
18 giugno 1978, una piccola cittadina agricola dell'Ohio. Jeffrey Dahmer è da giorni solo in casa. Fa un caldo soffocante. È stanco. Perseguitato da fantasie sessuali, ossessionanti e inconfessabili, così decide di uscire. Di fare un giro in macchina.
Sono le cinque del pomeriggio. Sul lato della strada vede un autostoppista. Un bel ragazzo in jeans e scarpe da ginnastica. Steven Hicks dell'Illinois. Si presenta. Si fa tentare dalla proposta di Dahmer. Qualche birra e uno spinello a casa sua.
Quando arrivano a casa, Hicks alla marijuana preferisce una birra. Per un po i due ascoltano la musica e bevono una birra dopo l'altra. Dahmer vorrebbe avvicinarsi al ragazzo, toccarlo.
Ma... non vuole farlo fuggire. Non vuole che capisca che è un omosessuale. Dahmer ormai, è ubriaco. Sente montare dentro di sé, la rabbia per quei desideri irrealizzabili, che non riesce a scacciare, che non può confessare. Dopo un paio d'ore, Hicks gli dice che deve andare via. Dahmer allora scende in cantina e prende un manubrio per il sollevamento pesi. Vuole calmarsi. Quando risale, colpisce Hicks alla testa con il manubrio. Quando crolla a terra, Dahmers lo strangola. Poi lo spoglia. Con cura.
Quando si fa buio, trascina il corpo fuori. Lo nasconde in un intercapedine tra la casa il terreno e va a dormire. Dahmer ha paura, ma capisce che l'unica cosa che gli resta da fare è cancellare ogni indizio. Il giorno dopo, compra un grosso coltello. Per prima cosa tagliavia le braccia e le gambe, infine la testa. Mette i resti di Steven Hicks in due sacchi per la spazzatura. Non sa cosa fare, passa tutta la giornata in casa. Alla fine, a notte fonda, decessi in un burrone a 10 miglia di distanza. Dopo qualche birra per farsi coraggio, mette i sacchi nel bagagliaio della macchina. Alle tre del mattino affronta la strada, ma è confuso. Una pattuglia della polizia lo ferma. I poliziotti ispezionano la macchina e notano i sacchi. Chiedono spiegazioni. Dahmer racconta che si tratta di spazzatura, la sta portando alla discarica. Racconta che i suoi genitori stanno divorziando e lui non riesce a dormire.
I poliziotti gli credono, non multano per guida pericolosa e lo lasciamo andare. Dahmer ritorna a casa. La notte del giorno dopo, Dahmer aggette i sacchi con il busto e gli arti di Steven Hicks giù per un largo e profondo canale di scolo nel giardino.
Più tardi, guida fino ad un fiume e getta nell'acqua una collana, insieme al coltello che ha usato per fare a pezzi la sua prima vittima. A Jeffrey Dahmer non è più sufficiente adescare le sue vittime, portarle nella casa dell'orrore che poi drogarla e torturarla. Dopo averle uccise, le sezioni a rapporti sessuali con i cadaveri e poi un'altra cosa: un'accelerazione. Non riesce più a restare senza una vittima.
Jeffrey Dahmer è un ragazzo solo, presto abbandonato dai genitori. Scopre la sua omosessualità e poi comincia a bere. Jeffrey Dahmer uccide per 17 volte. Tutte le vittime sono state narcotizzate, violentata, fatti a pezzi. A volte sciolte nell'acido, altre conservate in un grosso congelatore, altri ancora fatte sparire. Erano quasi tutti ragazzi di colore.
26 maggio del 1991, Milwaukee. È domenica. Per terra, nella camera da letto di Jeffrey Dahmer, giace il corpo senza vita di Tony Hughes. Dahmer decide di andare al grande centro commerciale sulle grande avente per mangiare in un ristorante tedesco.
Rimane a guardare le vetrine fino alle cinque del pomeriggio. Sta per tornare a casa quando nota un ragazzo di origini asiatiche. Dahmer lo ferma, gli chiede se vuole guadagnare 50 dollari posando per delle fotografie. Il ragazzo accetta di seguirlo a casa.
Konerak Sinthasomphone è la tredicesima vittima di Jeffrey Dahmer. Si lascia fotografare in mutande. Accetta una bibita, poi spente. Mentre il ragazzo è privo di conoscenza, il killer abusa di lui. Poi finisce per addormentarsi. Quando si sveglia, Dahmer tenta un esperimento. Prende un trapano e fa un piccolo foro nel cranio del ragazzo. Vuole raggiungere i lobi frontali. Poi con una siringa, linee tacito muriatico nel cervello.
Era solo una ossessione, poi ho cercato di tenere in vita una persona, trasformandola in zombie. Gli sto iniziando d'acido e acqua calda, ma non ha funzionato. Vuole creare uno zombie. Un essere privo di volontà, che gli obbedisca e soprattutto che non lo abbandoni mai. Il giovane però non si sveglia, allora Dahmer va a bere una birra in un bar nelle vicinanze. Nel frattempo, Konerak Sinthasomphone riprende coscienza ed esce dall'appartamento. È frastornato. Tre ragazze di colore lo aiutano. Lui non riesce a parlare. Si regge la testa tra le mani, sembra drogato. Non si accorgono della piccola ferita sulla fronte. Dahmer, che sta tornando a casa, vede la sua vittima all'angolo della strada. Cerca di portarlo via, è rassicurante. Promette che si occuperà del suo amico. Ma mentre cerca di trascinarlo via, il ragazzo fa resistenza.
Allora una delle ragazze chiama la polizia. Dahmer appena vede la pattuglia, si comporta con più calma, è l'unico tranquillo mentre tutti gli gridano contro. E visto che collera, che appare stordito e non dice niente, chiedono spiegazioni all'uomo più lucido. Dahmer racconta che il ragazzo è un suo amico e gira mezzo nudo per chi ha bevuto troppo.
I poliziotti invitano Dahmer a riportarsi e ragazzo a casa. Non ascoltano le proteste delle tre ragazze di colore. Preferiscono credere al pacato ch'era bianco. Konerak Sinthasomphone cerca di resistere anche poliziotti, che lo tirano per le braccia e lo spingono in quelle del suo killer. Una volta a casa, Dahmer mostra i poliziotti due polaroid che ritraggono il giovane in bikini. È per tutti la prova definitiva che i due sono una coppia. Uno dei veggenti nota che nonostante la casa sia in ordine, c'è un puzzo insopportabile ma si limita a dare un'occhiata dentro la camera da letto, senza neanche accendere la luce. Dopo 5 minuti e senza investigare ulteriormente, lasciano l'appartamento. Uno dei due dice a Dahmer “Se ne prenda cura”. Un'ora più tardi, Konerak Sinthasomphone è morto. Dahmer gli ha iniettato un'altra siringa di acido nel cervello, poi lo decapita. Lo spente e lo fotografa. Elimina il suo corpo insieme a quello di Tony Hughes.
21 maggio del 1960, Evangelica di Connis hospital, Milwaukee. 4.34 del pomeriggio, nasce Jeffrey Lionel Dahmer. Passerà alla storia come “il mostro di Milwaukee”, la sua non è un infanzia felice. I genitori lo trascurano e litigano spesso. Il padre chimico, facile all'ira, sta tutto il giorno al lavoro. A casa e spesso violento. Jeffrey Dahmer è ancora un ragazzo ed è già un alcolizzato. Un adolescente fuori controllo di cui nessuno si occupa.
Non ho mai vissuto violenza fisica o verbale, la mia è stata un'infanzia normale. Non ha vissuto nessuna storia familiare di malattia mentale o di violenza, la sua era una famiglia della media borghesia, e l'unica anomalia da segnalare è lo strano comportamento della madre, che a un certo punto decise di lasciare la famiglia per trasferirsi in California con uno dei figli, di diventare una terapista. Ma non credo e tra i suoi parenti ci siano mai stati casi individui affetti del disordini mentali.
Primavera 1964, Jeffrey subisce un intervento di ernia inguinale, alla quale segue una lenta convalescenza. Diventa più vulnerabile, più riservato, più chiuso. Dahmer conserva un ricordo traumatico di quell'intervento. Racconta suo padre a 4 anni, “Jeffrey mi chiese cosa sarebbe successo se qualcuno gli avesse tolto l'ombelico”. Una volta mi raccontò di un fatto che gli capita quando frequentava le superiori e potrebbe aver avuto una qualche influenza su di lui.
Durante una visita di gruppo al museo di storia naturale, si trova davanti a una vetrina contenente quello che veniva definito “sezioni coronali del corpo umano”. Si tratta di una cosa che qualsiasi studente di anatomia tenuto a studiare. Ma su di lui quella vista avrebbe un effetto sconvolgente. Rimase indietro a guardare quelle fette di corpo umano, il resto del gruppo sordi nuova girone. Quella vista lo affascinava. Credo che quello sia stato un momento molto significativo per lui.
La sua fantasia interiore cominciava a mostrarsi anche fisicamente, se ne stava per ore in silenzio, alleva un piccolo buffo e gioca in continuazione con delle ossa trovate sotto casa.
Jeffrey va malvolentieri a scuola. È timido, insicuro, rigido. Con una preoccupante incapacità di stare in mezzo agli altri. In terza elementare fa amicizia con un bambino, si affeziona ad una maestra che gli regala una scatola di girini. Quando scopre che la donna l'ha regalato al suo amico, all'girini, li uccide versando nell'acqua dell'olio per motore. È il primo episodio di violenza. Il suo lato oscuro comincia ad emergere. Nel 1970, la madre viene ricoverata in un reparto di neuropsichiatria. Jeffrey incolpa se stesso per la malattia della madre. Tra i 10 ei 12 anni, l'atteggiamento fisico, il suo modo di comportarsi, cambiano radicalmente. È sempre teso, con il corpo sempre rigido. È sempre più solo. Non mostra alcun interesse per gli altri. Trascorre il tempo raccogliendo scheletri di piccoli animali, conserva insetti in formalina. Un piccolo cimitero di animali.
Da adolescente diventa sempre più passivo, ingrassa inspiegabilmente. È già un alcolizzato. Così comincia a coltivare fantasie segrete. Era un uomo sorprendentemente sensibile e gestibile, in modo che molti vorrebbero difficile da comprendere. I suoi crimini non erano motivati dalla rabbia o dal desiderio di distruggere, ma piuttosto da un complesso assolutamente particolare di bisogni sessuali perversi, nel contesto di un uomo a patologicamente timido, che non sapeva come trovare un boyfriend. E di un alcolista che riusciva a liberarsi delle sue inibizioni. Solo quando era ubriaco.
Sogna di dominare, di possedere, di far a pezzi un essere umano, e intanto beve. Si rifugia nell'alcol per sfuggire alle sue fantasie. Si è scoperto omosessuale, compra riviste pornografiche con foto di uomini nudi per eccitarsi.
Un uomo il cui desiderio essere qualcosa di diverso da se stesso, riesce invariabilmente a diventare ciò che vuole. Questa è la sua punizione. Loro che vogliono una maschera, devono indossarlo.
Credo che devianze sessuali come... le possiamo chiamare... e alcolismo, che nel caso di Dahmer lo andavano assieme, non siano cose separate, sono la stessa cosa. Sono tutte e due l'espressione di una profonda inquietudine di una profonda infelicità. Io credo che ci sia anche ad aggiungere una cosa, probabilmente Dahmer beveva come spesso, succede per curarsi. Per curare la propria angoscia, la propria ansia, la propria tensione. Usava l'alcol come sedativo perché qualcosa dentro di lui contrastava. Questa sua tendenza all'azione distruttiva, l'azione omicida e per sedare questo elemento di contrasto, per sedare questa angoscia, che era un angoscia salutare, se l'avesse lasciata stare, sarebbe stato meglio. Ma per sedare aiutarsi nella sua attività, beveva. Si curava con l'alcol, Dahmer. Ero alla deriva e sono arrivato al cannibalismo a mangiare il cuore. Si, il cuore. Era un modo per sentire l'altro come una parte di me. Davanti alla casa dei Dahmer passa regolarmente un giovane che fa jogging. Ogni giorno, certo lo aspetta. Lo guarda, lo desidera. Poi decide di assalirlo. Percorre e ripercorre più volte il sentiero armato di bastone. Ma per sua fortuna, il giovane non passerà più davanti alla casa di Dahmer.
Qualche anno più tardi il padre lo costringe ad arruolarsi nell'esercito. Dahmer inizialmente frequenta la scuola di polizia militare di Fort Selling in Alabama. Ma cade di nuovo nel tunnel dell'alcol, viene congedato per l'alcolismo insubordinazione, dopo dieci mesi di servizio in una breve esperienza, come infermiere in germania. Passano altri 4 anni e Dahmer trova lavoro come operaio in una fabbrica di cioccolato.
1986 viene riconosciuto colpevole di atti osceni e turbamento dell'ordine pubblico. In questo periodo incontra la sua seconda vittima. Poi non si fermerà più. Incapace di controllarsi per soddisfare le sue morbose necessità. Il resto è storia nota.
Ogni dolore viene scritto su lastre di una sostanza misteriosa. Al paragone della quale il granito è burro. E non basta un'eternità a cancellarlo. Come si può vedere, Dahmer era un polyperverso, un personaggio che... se un intero trattato di psichiatria della devianza sessuale, un personaggio particolare, addirittura per Dahmer c'era poi la tendenza all... come possiamo chiamarlo... al Frankesteinismo. Lui voleva creare il morto che cammina lo zombie, i suoi... i suoi, i suoi morti poi dovevano con quel qualche strana idea, sicuramente delirante che aveva lui, non potevano cercava di rimettere in funzione di farli funzionare con morti.
Lui perse il controllo della situazione che stava per essere sfrattato dal suo appartamento. Prima di potersi disfare di tutti i resti umani che ancora aveva in casa. Se avesse mantenuto il ritmo di una vittima al mese, avrebbe potuto andare avanti all'infinito, perché aveva un sistema di smaltimento dei cadaveri ormai collaudate. Possiamo ora stendere un profilo di Jeffrey Dahmer, conosciamo il suo modus operandi e anche le vittime che prediligeva. Durante il processo non è mai stata in discussione la sua capacità di intendere e di volere, nonostante fosse chiaramente col mostro. Nonostante fosse chiaramente malato. Era in grado di capire che ciò che stava facendo infrangeva la legge anche se non aveva nessuna capacità empatica, nessuna pietà per le vittime. Era lo psicopatico. Per Jeffrey Dahmer c'è una categoria di criminali, beh se viali chiama assassini per libidine. Un serial killer a edonista, orientato al piacere sessuale. Il piacere è ricercato attraverso il controllo totale della vittima. Questi assassini coniugano il binomio, sesso e morte. Sessualità, aggressione, tortura, mutilazione, cannibalismo... sono un'esperienza di erotismo estremo. Chi non controlla i propri sensi è come chi naviga su un vascello senza timone. E che quindi è destinato a infrangersi in mille pezzi, non appena incontrerà, il primo scogli.
Il cannibalismo ha una storia antica nel senso che ogni volta che per esempio si faceva le guerre tra le tribù, poi si mangiava il sangue o il fegato, il cuore del nemico, per introiettare alla forza. E quindi c'è una dimensione di immedesimazione con il proprio nemico in maniera acquisitiva, se sei stato forte, la tua forza diventa la mia forza. Naturalmente noi abbiamo superato questa cosa, semplicemente nel suo aspetto truce, poi dopo per esempio nell'epoca romana, quando si faceva il trionfo, il trionfo era per dire, la celebrazione della mia forza e tu sei semplicemente il vintore. Però non dimentichiamo che questa dimensione dell'introiettare la forza dell'altro diventa anche una configurazione delle religioni, quando noi facciamo la comunione, mangiava il corpo e il sangue di Cristo, che è una sorta di simbolica del cannibalismo e allora sotto questo profilo, il motivo sottostante questa dimensione è ll'accrescimento di forza, attraverso l'acquisizione della forza del nemico. Che tutti noi abbiamo un cannibalismo simbolico, quando incontriamo una persona che ci piace, e che può essere il nostro maestro, no, che da cui potremo… che vorremmo essere come lui, è in qualche modo mentalmente, infiliamo dentro le parti di lui addirittura, il suo modo di parlare.
Se il mio maestro ammirato diceva a mio modo di vedere, si vedranno tutti gli allievi e usano la stessa all'occasione, dicono tutti a mio modo di vedere. Hanno infilato dentro, incorporato un pezzo, questo è l'aspetto, diciamo sociale il primo, e questo psicologico. Il cannibalismo psicopatologico è un altro discorso, comporta il piacere particolare, del cibarsi.
È rarissimo, è una cosa che si vede assai di rado, ma la stessa origine di quello dei popoli primitivi.
I medici che lo interrogarono durante il processo, spiegano che Dahmer non è un serial killer come tutti gli altri. Soffre di diversi disturbi, tutti di carattere sessuale. Dahmer è affetto da necrofilia. Il necrofilo raggiunge la soddisfazione sessuale solo con un cadavere.
Non si lamenta, non chiedono, non abbandonano ed è proprio questo e credo Jeffrey Dahmer, andasse cercando appositamento. Talvolta si sdraiava colle cadavere, anche se questa non era certamente la sua situazione ideale. Avrebbe preferito un uomo via.
Pensò a disotterrare i cadaveri, una cosa risolto a traumatica, allora si comprò un manichino da tenere nel letto accanto a sé. Ma una parente lo trovò in cantina e lo buttó via.
Neanche il manichino aveva funzionato. Era disperatamente alla ricerca del partner passivo che non lo abbandonasse. Ritengo che sia questo il problema centrale della sua sessualità.
Ed è per questo che il termine che più si avvicina la condizione di Dahmer, quello di necrofilia.
L'assassino seriale necrofilo di solito è stato un bambino chiuso in se stesso. Il mondo della fantasia occupa un posto centrale nella vita di questo soggetto, a discapito del mondo reale. Con il quale il serial killer necrofilo, non ha molta dimestichezza. Il sesso con persone vive lo intimorisce, il cadavere è un oggetto completamente passivo sul quale il necrofilo può indirizzare la propria sessualità finalmente libera, da inibizioni.
In realtà Dahmer è un necrofilo unico nel suo genere, perché tenta di creare in tutti i modi degli schiavi, tenta di lobotomizzare le sue vittime creando degli zombie che non lo lascino mai. Che non li lascino mai.
Lo venivo piuttosto come un essere umano dalla personalità distorta, che aveva fatto cose straordinarie al servizio della sua perversione, cose che non avrebbe mai fatto se non fosse stato un alcolista.
Tutte le volte che abbiamo a che fare con questi fenomeni straordinari e terribili, che sono questi grandi omicidi multipli, è piuttosto usuale sentir dire che c'è di mezzo la famiglia, che c'è di mezzo una situazione familiare infantile, di fatto è difficile non trovarla, quindi diciamo è possibile che la situazione del conflitto infantile abbia prodotto qualcosa, ma qualcosa, non direi che sia sufficiente una situazione conflittuale infantile che vediamo molto frequentemente e molto comunemente, è difficile che sia sufficiente a creare un fenomeno di questa portata. Dahmer però è anche un feticista, conserva parti di cadavere. Il pesista cerca di rendere superfluo il partner, vuole raggiungere la soddisfazione sessuale senza di lui. L'attrazione provata da Dahmer per i resti delle sue vittime è un esempio estremo dei fantasi feticistico, detto parzialismo, ovvero il desiderio di una parte dell'oggetto del proprio interesse. Nel corso degli anni sviluppa un altro problema anche questo piuttosto insolito. Ne esistono solo pochissimi casi documentati ed è questo: in qualche modo gli organi interni del corpo umano con i giuro involucro viscido cominciarono ad attrarlo.
Ma quando la superficie viscida da cui si atratti è quella di un organo umano, la cosa diventa piuttosto inquietante. Ovviamente ciò accade mentre era intento a sezionare una delle sue vittime. Ho dato una definizione alla cosa, la sflanknofilia. Di questa insolita condizione potrebbe spiegare l'intensificarsi dei delitti e quindi dei dissezionamenti. In realtà Dahmer porta in sé così tante caratteristiche, generalmente non collegate fra loro, che si potrebbe considerare come il primo esempio di una nuova e agghiacciante categoria di serial killer. Nel momento in cui arrivò ad avere una serie di cadaveri allineati nell'appartamento, si è trovò in difficoltà. Era inevitabile che rischiava di essere scoperto. Non credo che lui o qualsiasi altro serial killer voglia realmente essere fermato e catturato, anche se a volte assistiamo a dei comportamenti che lasciano pensare che una parte di uno voglia veramente essere fermata.
30 gennaio 1992, Milwaukee, inizia il processo a quello che è diventato il più noto serial killer degli stati uniti. Sarà giudicato da una giuria popolare che dovrà stabilire intendere e di volere al momento in cui ha commesso gli omicidi dei quali il reo confesso.
Non è la prima volta che Jeffrey Dahmer si ritrova davanti ad un giudice. Era già successo, della riuscita a ingannare tutti, a dire che non l'avrebbe mai più rifatto, a convincerli che in fondo lui era una brava persona. Ma questa volta non riesce a ingannare nessuno.
Dahmer ha confessato 17 omicidi, ma chi le vengono contestati solo 15. Una vittima è stata uccisa in un Ohio, fuori della giurisdizione dello stato del Wisconsin. E di un'altra, non è rimasto alcun resto. Nessun ricordo. Solo l'identificazione attraverso una fotografia. La rabbia dei parenti delle vittime esplode violenta quando vengono raccontate le atrocità inflitte ai loro congiunti.
Tanto che in tribunale devono essere prese misure urgenti per evitare una vera e propria rivolta nei confronti del mostro. Dahmer invece, mentre vengono elencate le sue terribili imprese, rimane impassibile. Autorevoli psichiatri vengono chiamati a testimoniare. La difesa punta fargli ottenere l'infermità mentale. L'accusa il massimo della pena. Nell'autunno del 1991, Robert Wrestler il più famoso profiler dell'FBI, viene chiamato come consulente per la difesa. Come esperto dell'accusa, Parkevic. Noto psichiatra forense, una delle massime autorità sulla erotomania violenta.
13 gennaio 1992, Dahmer, in accordo con il suo avvocato Gerald Boyle, cambia la sua deposizione. Anziché dichiararsi non colpevole dei 15 omicidi di cui è stato accusato, perché incapace di intendere e di volere, decide di dichiararsi colpevole, ma affetto da infermità mentale. Questo indirizzo tutto il processo sulle sue condizioni psichiche. Il periodo buono lungo, quasi due anni, non macchiato da nessun crimine, viene citato da entrambe le parti come prova a sostegno della propria tesi. Potrebbe dimostrare che Dahmer era capace di controllarsi quando lo voleva, o che era impegnato in una lotta sovrumana con poteri più grandi di lui, e che alla fine, aveva perso.
L'avvocato dell'accusa ricorda la corte che il 23 maggio 1989, Dahmer era stato condannato per violenza sessuale a un anno di reclusione in un istituto decorazione. E a cinque anni di libertà vigilata, durante per periodo di detenzione, l'imputato ottiene il permesso di uscire dal carcere per recarsi al lavoro. Per quasi un anno, Dahmer riesce. Ma non commette alcun reato, non commette violenze sessuali, secondo l'accusa quindi Dahmer ha dei seri disturbi della personalità, ma non è uno psicotico. Anzi è un uomo lucido che organizza con meticolosità i suoi omicidi, è uno spietato assassino. La dottoressa Baker, perito della difesa, afferma che Dahmer e incapace di controllare i propri impulsi in quanto affetto da necrofilia, una condizione che lo obbliga ad avere rapporti sessuali con i cadaveri.
Parkevic, chi che rappresenta l'accusa invece, dimostra che la capacità di Dahmer di sospendere anche temporaneamente le sue attività, indica la sua capacità di controllo sui propri impulsi. Questa condotta demolisce la tesi della difesa, che parla di un soggetto sopraffatto da un irresistibile impulso omicida. Pensi in compatibile anche con la capacità di Dahmer di programmare e pianificare il delitto.
Di si ricorda i giurati che Dahmer preparava in anticipo i farmaci, teneva a portata di mano, tutto quanto di occorreva per ridurre la vittima all'impotenza, sceglieva la preda, uccideva all'inizio del weekend, per avere più tempo a disposizione, da trascorrere con la vittima. Per quel che riguarda la necrofilia Dahmer, Dissi crede che la perversione sessuale non implichi necessari l'attivita criminale. La maggior parte dei soggetti affetti da necrofilia infatti, si limita le fantasie e non commette reati per tutta la vita. Vostro onore è finita, non ho mai cercato di essere liberato, francamente volevo la morte per me stesso. Voglio dire al mondo che non l'ho fatto per odio non ho mai odiato nessuno. Sapevo di essere malato, cattivo, o entrambe le cose. Adesso credo ad essere veramente malato. Il dottore mi ha parlato della mia malattia, di quanto male ho causato, ho fatto del mio meglio per fare ammenda dopo il mio arresto, ma non importa, non posso eliminare così il terribile male che ho causato. Vi ringrazio vostro onore. Sono pronto per la vostra sentenza. E sono sicuro sarà il massimo. Non chieda attenuanti ma per piacere, dite al mondo che mi dispiace per quello che ho fatto.
In relazione al primo capo d'accusa, la corte stabilisce l'ergastolo più altri, più altri 10 anni per l'aggravante della continuazione. Secondo capo d'accusa, all'ergastolo più dieci anni dallo scadere della prima pena. Terzo capo d'accusa, vai ergastolo. Io credo che nessuno tragga beneficio dal fatto di sommare un ergastolo al un'altro. Tuttavia volevo spiegare che la sentenza è stata strutturata in modo tale che dell'imputato non sarà mai più libero. Non sarà mai più libero.
15 febbraio 1992, Dahmer viene riconosciuto pienamente capace di intendere e di volere. È condannato al carcere a vita per 15 volte. Un ergastolo per ognuna delle 15 vittime riconosciute. La giuria conclude che Dahmer essi affetto da disturbo mentale ma questo non ha abolito la sua capacità di resistere ai propri impulsi.
C'era in lui un certo grado di immedesimazione e di rimorso per aver ucciso quelle persone, ma non abbastanza forte da fermarlo. La fine di Jeffrey Dahmer è una finestra strana, è una morte strana. Nel Wisconsin, dove è stato condannato, non esiste la pena di morte. Allora forse si è trovato un modo alternativo per sistemare la faccenda. Una squadra di lavoro, un agente di custodia mette insieme tre persone: un uomo bianco che ha ucciso la moglie, ha tentato di scaricare la colpa addosso a un nero. Jeffrey Dahmer, che ha ucciso diciassette uomini e ragazzi di colore, e poi un uomo alto più di due metri, un energumeno di colore totalmente schizofrenico. Li lascia soli, la gente di quest'oggi. Quando ritorna 20 minuti dopo, trova il gigante nero che si fissa le mani. Le mani insanguinate. Appena ucciso gli altri due compagni di attenzione.