'Prima gli italiani! (sì, ma quali?)' di Francesco Filippi
eccoci mi sa che siamo live buon pomeriggio Francesco Filippi buon pomeriggio a tutti
tutte le persone che sono collegate con noi io sono veramente molto contento di presentare
insieme all'autore questo bel libro questo libro direi importante eccolo qui Francesco
Filippi prima gli italiani sì ma quali che è della serie non a caso fact checking la storia
alla prova dei fatti editore la terza è un libro che tanto godibilissimo da tanti punti di vista
no piccolo ma intenso spieghiamo prima all'autore che la prima volta che l'ho ricevuto qui in
redazione come titolo è fortissimo no prima gli italiani è diciamo un marchio di fabbrica
della politica degli ultimi anni che ci ha seguito c'è anche un po' ossessionato negli
ultimi anni no quindi pensavo adesso questo sarà un libro in cui andrà a vedere un po' da vicino
che cosa c'è dietro questa questo slogan che sembra avere così tanto successo sembra raccogliere
così tanto consenso ma anche comprendere così tanti fenomeni diversi in realtà è un libro che
che indaga diciamo la natura del nostro essere italiani proiettato nella storia di questo nostro
piccolo paese e lo fa con una profondità una densità dal punto di vista storico argomentativo
nonostante non sia un libro di 800 pagine no è un libro piccolo però ogni capitolo poi ha un
rimando bibliografico importante per chi volesse approfondire e insomma ecco insomma l'autore non
è cascato nella trappola di scrivere un parfum è politico ma in realtà ha fatto molto di più
cioè ha scavato la povertà di questo slogan la scavata dall'interno ha scavato riproiettando
nella storia del nostro paese e la cosa che forse mi ha colpito e che subito si capisce sin
dall'inizio che mi ha colpito molto di più e quanto sia difficile rispondere a una domanda
semplice che noi diciamo non ci poniamo quasi mai nel presente della nostra vita no in che
cosa siamo italiani ecco Francesco Filippi perché è così difficile rispondere a questa domanda
innanzitutto grazie al dottor Iacona per aver accettato di farmi da accompagnatore in questa
prima uscita infatti sono un po' emozionato questa prima uscita online con il nuovo libro
grazie alla terza per lo spazio grazie a tutte e a tutti voi che state in questo momento in questo
pomeriggio ad ascoltare ad ascoltarci rispondo subito la bomba perché abbiamo meno tempo di
vorrei perché è difficile rispondere a questa domanda perché nella parola italiana nell'espressione
prima gli italiani ognuno ci mette un po' quello che vuole ed è da secoli che va avanti così il
problema è identificare una linea di continuità all'interno proprio del significato delle parole
e per questo che cominciò il libro interrogandomi ma che cosa significa essere italiani italiani
sono quelli che hanno la cittadinanza italiana ebbene una larga fetta dei abitanti della penisola
rimane fuori da questo contesto per i motivi più vari e la maggior parte li sappiamo già
il suo tema caldo è italiano chi parla italiano anche in questo caso c'è della difficoltà a
mantenere all'interno dei confini storici nazionali dello stivale il tema della lingua
per esempio senza poi andare ad addentrarci su di cento di 700 anni di dante senza poi andare
ad addentrarsi su che cosa effettivamente significhi la parola italiano e la lingua
italiana italiano che ha cultura italiano che ha origini e che cosa significa avere origini
italiane un papà una mamma nonni un antenato un cognome insomma è molto complicato e nel momento
stesso in cui questa parola ci passa sotto al naso in diciamo inosservata ognuno di noi la
carica del proprio significato diretto ecco io per esempio nasco in una regione in cui la parola
italiana ha un suo peso specifico sono del trentino alto adige quindi nemmeno un secolo
che questa partina d'italia si comprende con il proprio colore evidentemente la parola italiano
per me ha un significato diverso rispetto a quella che può avere per altri romani toscani
milanesi piemontesi napoletani e via via andando a spezzettare proprio nella ricerca della
costruzione di questo libro andando a spezzettare quali sono le molte facce di questa parola
abbiamo scoperto che alla fine questa parola di facce non ne ha o meglio riflette la faccia
che ognuno di noi le proietta addosso cosa sono gli italiani tutto e niente e direi che
propenderei più per la seconda. Senti ma e perché è una domanda importante? Uno potrebbe dire va bene
siamo quello che siamo come si dice a Napoli, abbiamo avuto la fortuna direi finora di nascere
in questa bellissima penisola e ci accontentiamo di questo. Perché invece è una domanda importante?
Nella tua ricerca, avendo posto questa domanda, che cosa hai scoperto di importante? E' una domanda
importante, anzi, userei dire fondamentale, prima di tutto da un punto di vista evidentemente storico,
per questa parola e per il suo significato e per i vari significati che questa parola ha nel corso
del tempo, milioni di persone sono vissute o meglio sono morte, basti pensare al concetto
di identità come qualcosa di esclusivo, l'identità nazionale esclusiva che ricordiamoci ha regalato
a questo paese due guerre mondiali, nemmeno una, alla base di entrambi i conflitti c'è un tratto
escludente del noi versus loro in cui questo noi non è ben definito e il loro è molto facile da
capire perché loro hanno tutte le caratteristiche che non ci piacciono e questo però a seconda del
passare del tempo cambia, cambia di fronte ai loro che ci troviamo ad avere, a dove sono questi loro,
permettetemi una battuta, che siano al di là del Piave o che siano al di là della costa del
Mediterraneo e questo peso identitario con una sorta di inerzia inesorabilmente caratterizza
non solo la parola di ieri ma anche la parola di oggi, se volessimo, io sono uno storico quindi
permettetemi una battuta, dovrei parlare solo di gente morta però in realtà se noi volessimo
andare all'attualità più vera, leggevo poco prima di collegarmi che la Turchia ha risposto alla frase
del Presidente del Consiglio Mario Draghi sul dittatore Erdogan dicendo non prendiamo lezioni
da chi ha inventato il dittatore Mussolini e il fascismo. Ecco da questo punto di vista per me è
illuminante il peso di questa parola anche perché ne io, ne lei, credo, dottor Iacona, abbiamo
inventato alcun che però in questo momento la proiezione, almeno di questo tipo, non mi risulta
però la proiezione di questo significato in qualche modo ci riguarda. Ecco perché è importante capire
che cosa si nasconde dietro la parola perché la maggior parte delle volte in cui questa parola
ci definisce, ci definisce malgrado l'identità che noi stessi abbiamo di noi e questo è stato
storicamente molto solido. Beh c'è una parte molto affascinante del suo racconto è quando lei in
maniera veramente molto plastica e piena di contributi anche importanti dal punto di vista
storico e filologico ci ricostruisce la potenza di fuoco con cui la casa Savoy ha cercato di
riempire questa parola italiano nel momento in cui aveva veramente bisogno perché doveva anche
farla questa Italia che era radicalmente diversa sostanzialmente dal Regno di Sardegna. Ci vuole
ricordare alcuni passaggi di questa potenza di fuoco? Sì, il caso di casa, scusate mia cacofonia,
Savoy è illuminante perché Vittorio Emanuele II diventa padre della patria ad un certo punto,
non vorrei dire, ovviamente non lo devo e non lo posso dire, suo malgrado, ma ha di fronte,
diciamo, la narrativa sabauda una serie di incognite molto pesanti. Quando si fa l'unificazione,
quando nel 1861 questo aggregato di qualcosa che prima era altro diventa Italia, sul piatto ci
sono molte possibilità, ci sono molte riflessioni che una classe, diciamo, intellettuale molto
ristretta all'epoca, ricordiamolo, pochi intellettuali pensatori illuminanti, ma sicuramente pochi,
portano avanti. C'era l'idea dell'Italia federale, l'idea giubertiana della federazione con a capo
il Papa, c'era l'idea unitaria, c'era l'idea democratica, c'erano i rivoluzionari duri e puri,
c'era l'idea della nazione come libertà del popolo, ricordiamoci che cosa portava in giro Garibaldi
prima di diventare un medaglione o il nome di tante tante vie. Ebbene, nel 1861 quale di queste
narrazioni, quali di questi racconti vince? Permettetemi una battuta, vince quello con la
pistola in mano, vince l'agglomerato militare industriale più solido e più forte, cioè quello
del Regno di Sardegna che si espande, che espande proprio non da un punto di vista di conquista e di
amalgama, ma proprio duplica la propria costruzione, tant'è vero che il modello Sabaudo sarà il modello
dell'unità italiana che verrà seguito, verranno bocciate le idee di federalismo, verrà gettato
nel dimenticatoio tutt'attualmente l'esperienza governativa di tanti altri stati italiani,
della penisola italiana, Gran Ducato di Toscana, il Lombardo Veneto, il Regno di Napoli, nessuna di
queste costruzioni statuali viene presa a modello, ma tutto viene replicato perché? Perché chi ha
vinto ha la possibilità di dire oggi si fa come vogliamo noi ed è una implicazione percettiva
molto potente. Quando dicevo ho torto collo Vittorio Emanuele II diventa re d'Italia, bene,
ci sono dei sintomi del fatto che questa unità in qualche modo sia stata non solo subita, ma letta
in maniera differente a seconda delle prospettive. Dal mio punto di vista è emblematico che Vittorio
Emanuele II non voglia abbandonare la propria denominazione e il proprio conteggio dinastico,
il primo re di questa nazione in Fieri che doveva nascere è già secondo perché la linea successoria
Savoiarda-Savauda vedeva lui come il secondo rispetto a Vittorio Emanuele I che c'era già
stato. Questo dal mio punto di vista è indicativo di come la stessa Corte di Torino, poi Firenze,
poi Roma, in maniera quindi molto graduale, lo racconto nel saggio, la Corte di Torino veda in
realtà non l'unificazione italiana come coronamento di un'idea bimillenaria di questi
italiani che ancora non si capiva bene come fossero fatti, ma un ampliamento molto importante
dei vecchi confini del regno savaudo. Sarà solo il figlio di Vittorio Emanuele II a rendersi conto,
che viva, di avere una nuova entità sotto i piedi e a farsi chiamare Umberto I nel suo nome,
questa ovviamente marca già una decina e più d'anni di rivolgimenti, rimuginamenti e tentativi
di costruire quello che, nella frase attribuita ad Azelio, si dice quel processo di fare gli
italiani. Ora, quindi questo significa, anche questo è molto interessante, che via via,
nelle svolte più importanti della nostra storia, questa italianità prende significati diversi che
però comportano delle perdite. Quando tu scegli una strada e non ne prendi un'altra,
comportano delle perdite, però in un certo modo costruiscono un immaginario nazionale. Forse
proprio quello risorgimentale è quello che è più potente, rimasto, anche perché poi si fa forte di
un'alfabetizzazione di massa, delle prime scuole, di alcuni libri chiave che insegnano agli italiani
come devono essere italiani e che cosa fa la differenza tra un italiano e non un italiano,
è così? Sì, assolutamente, è così. Quella delle svolte all'interno dei racconti pubblici dell'Italia
è una bellissima metafora, anzi io userei addirittura quella della lavagna mal cancellata.
In questa tabula rasa originaria che doveva essere il concetto, il racconto del concetto
d'Italia, troviamo molte spezioni di frase, chiamiamola così, tracciata mal cancellata,
quelli che possiamo definire degli stop and go, nel momento in cui appunto gli italiani che cosa
sono, come si raccontano. Questa lavagna alla fine, che noi ci ritroviamo diciamo dietro la schiena,
è una lavagna piena di segni, ma non è assolutamente detto che questi segni siano
coerenti gli uni con gli altri o che da soli, insieme, rionificati, compiano un disegno
particolareggiato e soprattutto coerente. L'ansia di costruire questo disegno è palpabile dal mio
punto di vista e dal punto di vista, in realtà, dell'analisi storica e dalla maggior parte
degli storici che se ne sono occupati, proprio per esempio sul caso propagandistico risorgimentale.
Cerco di fare un'analisi proprio della nascita della parola risorgimento e poi della diffusione
della parola risorgimento. È uno dei pochi casi che mi viene al momento in mente nella storia
dell'onomastica cronologica, cioè di come si chiamano i tempi, è uno dei pochi casi in cui,
che mi risulti, le persone sapevano di essere nel risorgimento, cioè conoscevano questa parola e si
rendevano conto di essere parte di un fenomeno che era allora cronaca ma che sarebbe diventato
immediatamente un fenomeno storico, che si storicizza in maniera diretta e non perché le
persone la sentano, diciamo in qualche modo, abbastanza lontana da sé per leggerla questa
epopea, cioè come di solito avviene la storicizzazione dei fatti, ma proprio perché la
volontà delle generazioni che si alternano e si susseguono al potere è proprio quella di
costruire l'epopea, quella che chiameremo la mitopoesi dell'Italia. Insomma Vittorio Manuel
II sapeva di essere il pater patria. Cavour non lo sa, ma lo intuisce, non lo sa perché muore
prestissimo nel 61 e non riesce a vedere questa proiezione. Garibaldi addirittura subisce il
mito di sé stesso e diventa una sorta di, diciamo, ambasciatore, oserei dire, uso una brutta parola,
di brand di questa nuova Italia, un'Italia che tra l'altro probabilmente Giuseppe Garibaldi
immaginava molto diversa, lui democratico, repubblicano, internazionalista, ogni tanto si
sente dire Garibaldi è il Che Guevara dell'ottocento, no, permettetemi, per evitare un
anacronismo, è Che Guevara che è Garibaldi del novecento. Quindi riappropriamoci di questi tipi e
di questi simboli e permettetemi di dirlo. Ma la foga con cui si costruisce questa epopea indica
il bisogno disperato che un'intera classe politica ed economica ha di puntellare il racconto. Ecco,
giustamente si è detto una delle prime cose che si fa è far entrare il risorgimento all'interno
della vita quotidiana degli italiani ed esaltarlo come base da cui partire per una nuova patria. Lo
si dice nelle scuole, lo si dice sui manuali, lo si costruisce passo passo con delle operazioni
cariche di significato da un lato pedagogico ma anche dall'altro evidentemente propagandistico.
In alcune pagine di questo saggio mi sono peritato di commentare un libro stracommentato,
evidentemente, parlo del libro Puore di Edmundo De Amicis, che è una delle pietre angolari del
racconto pubblico del risorgimento che non a caso nasce nel momento in cui i protagonisti viventi
del risorgimento scompaiono e quindi, diciamo, è la malta che tiene insieme i tanti racconti e che
deve essere messa in ogni interstizio. La scuola italiana in questo all'epoca compie un enorme
lavoro di coesione sociale, probabilmente molto più forte che in epoche successive,
benché costretta a farlo, molto più forte la penetrazione rispetto all'epoca fascista,
per non parlare di quella democratica. Ecco, il risorgimento viene costruito, dipinto e raccontato
come la base da cui partire per la nuova Italia e possiamo dirlo che anche oggi, bene o male,
ci troviamo nelle stesse condizioni. Comprendere che questo non è un fenomeno, diciamo, in qualche
modo assoluto di valori universali che si incontrano e scendono per illuminarci, ma è
un'operazione di carattere eminentemente tecnico. Se all'epoca ci fossero stati,
avremmo avuto dei grandi esperti di comunicazione a lavorare a questa struttura immaginata,
a questa comunità appunto immaginata, come giustamente va definita. Comunità immaginata,
però poi dopo, diciamo, la storiografia più attenta, poi anche andando a studiare le fonti,
lo ha tirato fuori, in realtà quest'operazione risorgimentale, oltre ad avere delle difficoltà
immediate, però cancellate, diciamo, anche per molto tempo dalla storia, con perdite, feriti,
morti, stragi, con un Sud, resistenze e così via, si affaccia su questa giovane Italia alla storia
subito e immediatamente con operazioni imperialistiche in Africa, nasce il concetto
di nazione. Quanto conta questa perdita? Poi parleremo delle acquisizioni più avanti,
mi interessava moltissimo, nella fase finale del nostro dialogo, parlare di oggi, di quello che
siamo noi, che siamo poi il risultato di questa storia, di tutte queste fragilità. Però anche i
contemporanei erano consapevoli di queste fragilità, fratture, fratture violente, distruzioni di pezzi
di economia all'interno del nostro Paese. Il racconto risorgimentale fallisce nella pratica
quasi subito. Il racconto risorgimentale non ha la funzione, la dico forte, non ha la funzione di
costruire gli italiani, ma di impedire che gli italiani, gli abitanti della penisola,
possano rimanere senza un racconto. Cerca il risorgimento di dare delle risposte a delle
domande che molti tra l'altro nemmeno si pongono. Ecco, una delle cose da non fare in ambito storico
è credere che, per esempio, elementi fondamentali, spesso nella prima e nella seconda parte del
Novecento, come l'opinione pubblica, siano uno dei fattori di rimenti anche per questioni pre,
diciamo, Novecento, pre era della comunicazione diffusa. Nel momento in cui nasce l'Italia Unita,
si sta parlando di un Paese di milioni di abitanti in cui però solo qualche centinaio di miliardi
di persone ricchi, ambienti e maschi possono accedere, per esempio, al diritto di voto,
in cui, tra l'altro, la cosiddetta democrazia liberale è qualcosa di molto lontano dall'idea
di democrazia che abbiamo noi oggi. E quindi dobbiamo pensare che questo racconto non ha
la funzione di tenere amalgamate le masse da subito perché si ha paura che le masse esplodano,
perché non c'è ancora quella massa attiva che poi arriverà e che farà...
Molto presto.
Sì, esatto, arriverà molto presto ma troppo tardi per entrare nella discussione,
mettiamola così. Sarà poi sempre un fatto contrappositivo. Il risorgimento è un quadro
dipinto da poche persone che dipingono se stesse, sostanzialmente, i propri interessi
all'interno di questo quadro, questo quadro che si asciuga subito e viene appeso sopra il cammino,
sopra la parete del cammino e che quindi tutti possono continuare a vedere. E alla grande domanda
ma perché stiamo insieme si risponde con la prima e più terribile, permettetemi, delle risposte,
stiamo insieme perché qualcuno è morto per farci stare insieme. Perché la più terribile
delle domande, perché poi sarà la domanda, la più terribile delle risposte, perché poi sarà
la risposta che si darà, per esempio, durante la prima guerra mondiale, ma perché stiamo a morire
nel trinceo, perché c'è già morta dell'altra gente, dobbiamo ricordare il cadavere l'altro.
La costruzione è veramente posticcia, talmente posticcia che quasi da subito si intuisce la
necessità di rafforzarla anche al di fuori dei tremolanti confini di allora del regno d'Italia.
Giustamente si citava l'avventura africana che è il primo afflato imperialista ma è anche il
tentativo di rispondere a una domanda che tipo di stato è quello che è appena nato? L'Italia
è una potenza, come si diceva nell'epoca d'oro dell'imperialismo? Sì, no, forse. Che cosa deve
avere una potenza europea per essere definita tale? Un impero coloniale. Ed ecco che, per esempio,
questo diventa il primo dei grandi racconti pubblici che, tra l'altro, permettetemi, sarà per
lo più brandito da quella che all'epoca si chiamava, o che chiamiamo oggi, sinistra storica, cioè l'idea
che il popolo abbia bisogno di qualcosa attorno a cui polarizzarsi per indirizzarsi verso quelle che
poi verranno chiamate le missioni costitutive, le missioni secolari della patria e della nazione.
E quindi via l'imperialismo, il tentativo di crescita economica evidentemente fallito, la
prima guerra mondiale che è il grande primo lavacro di italianità, nel senso brutale del termine,
nel senso che per la prima volta centinaia di migliaia di persone sono costrette a riconoscersi
tra loro come appartenenti ad un popolo e come tali sono costrette a morire fianco a fianco.
E' la prima volta che decine, centinaia di migliaia di uomini sentono la parola patria ed è magari il
momento in cui la parola patria viene utilizzata per mandarli al massacro contro le mitragliatrici.
Diciamo che il discorso risorgimentale traballa fino a quando, per fortuna di chi questo discorso
ha costruito, non cominciano ad esserci dei morti con cui ammantare le bandiere di questa
supposta patria. Che a quel punto diventa sacra. Esatto, esatto. L'altare della patria a Roma è
questo. Esatto, esatto. Nel momento in cui questo noi ha una contrapposizione chiara e netta,
verso un loro. Questi loro sono cattivi per definizione, sono tutto quello che non vogliamo
essere noi e quando si comincia a morire contro questi loro allora la missione diventa sacra. Non
solo diventa sacra nell'ideale ma diventa sacra nel significato vero delle parole che vengono
utilizzate. Ecco una delle cose che spero traspaia dal saggio di cui stiamo discutendo oggi dal mio
ultimo libro è che la parola e le parole sono fondamentali all'interno di questo racconto. La
Prima Guerra Mondiale per esempio è un fiorire di parole sacre che rimandano all'idea che quella
che si sta a compiutare è una missione di civilizzazione teistica. Non è un caso se i morti
in battaglia sono caduti perché l'idea è che un giorno risorgeranno nella gloria della patria. Non
è un caso se per la prima volta vengono utilizzate anche figure retoriche ed espressioni volutamente
sudole. Fino ad ora noi abbiamo parlato di maschi bianchi che costruiscono la loro idea. La prima
volta in cui nel concetto di Italia sorge anche il concetto di femminile. Quindi per la prima volta
si ammanta di un genere che non sia quello maschile. L'italianità è proprio nel momento
in cui la patria, cioè la terra dei padri, diventa con una parola molto brutta che tra l'altro
etimologicamente non sta nemmeno in piedi, la madrepatria. E che cos'è la madrepatria? È la
personificazione di tutto ciò che si ha di più caro. La mamma appunto che ci ha dato la vita e
che è una donna, debole, e come tale va difesa. Ci sono pacchi e pacchi di fogli di propaganda
che raccontano per esempio la lascivia sessuale dei nemici. Dobbiamo resistere perché sennò questi
arrivano e stuprano le nostre donne. Esatto, lo si dice assultiabile. È incredibile, è incredibile
questo è molto importante, come questa roba qui passa cento anni di storia, 160 anni di storia,
poi magari ce la troviamo nelle ansie di chi ha paura dei migranti, degli stranieri nel nostro
paese, anche perché possono insidiare le nostre donne. Parlo di cose veramente contemporanee.
Però uno potrebbe dire, vabbè a sto punto abbiamo pagato tantissimo, abbiamo avuto milioni di morti,
finalmente dopo la prima guerra mondiale gli italiani sanno che cosa significa essere italiani?
Cioè questa italianità si è solidificata in qualcosa che ha un suo ubicom system indiscutibile
oppure no? Il fatto che non sia discutibile il concetto di italianità è dato dal fatto banalmente
che il più grande scossone che la società italiana riceve dopo la fine della prima guerra mondiale è
uno scossone che viene da lontano ed è uno scossone evidentemente internazionalista. Gli
operai, i soldati, gli sbandati che alla fine della prima guerra mondiale capiscono l'insensatezza
di questa morte per una patria, in qualche modo sta diventando semplicemente uno stato che dà
regole. Uno dei motti di queste persone che si ribellano, uomini e per la prima volta anche
donne, che escono dalle fabbriche è facciamo come in Russia. Cioè il primo afflato post prima
guerra mondiale che se vogliamo è stato il trionfo delle bandiere su cui appunto morivano
eroicamente i caduti e in cui i caduti venivano fasciati per citare De Andrè, la fine della prima
guerra mondiale è un'esplosione di internazionalismo, è una volontà da parte del popolo
di uscire da questa narrativa verticale di padri e di figli e poggiarsi su una narrativa
orizzontale con un termine che purtroppo è passato evidentemente di moda con un'ottica di classe. La
gente ha cominciato a notare che i poveri sono molto più simili tra loro indipendentemente
dalle lingue che parlano e questa è stata la più grande minaccia al nazionalismo che il nazionalismo
stesso abbia mai avuto. Insomma dire che il re di Spagna è molto più simile al re d'Italia rispetto
al fatto che il re d'Italia sia simile all'ultimo degli operai della Fiat di Torino dell'epoca pare
rivoluzionario ma non lo è, anzi per molti di noi sembrerebbe ovvio. Questo afflato di classe
mette in crisi in maniera evidente il concetto di patria perché si basa sull'interesse più diretto,
si basa sull'unione di chi ha fame, si basa sull'opinione sull'unione di chi ha la volontà
di conquistare dei diritti che non ha e quindi diciamo questa suddivisione, questa frattura,
questa spaccatura di una società che evidentemente nemmeno la prima guerra mondiale era riuscita a
solidificare come si traduce, come o meglio come si fa a rientrare? Si fa rientrare un po' anzi
molto con la violenza squadrista e altrettanto molto con una propaganda di solidarietà nazionale.
Non è un caso se le grandi dittature della prima metà del novecento in paesi come Italia e Germania
parlavano della necessità di fare il socialismo della nazione, cioè fascismo italiano e il
nazionalsocialismo tedesco. Perché poi io mi occupo del caso italiano ma è un caso scuola,
diciamo che tutte le identità nazionali per come le intendiamo tra l'otto e novecento costruite
su base diciamo continentale europea soffrono degli stessi problemi e possiamo notare che
soffrono purtroppo anche delle stesse soluzioni. Tutte? Anche gli stati diciamo che erano riconosciuti
come tali da più tempo che dalla povera Italia che si è costituita intorno al 1860? Tutti? Anche
i francesi? Anche gli austriaci? Diciamo che è un'ottima domanda perché diciamo che a questo
enorme tavolo da poker siedono tutti e dipende molto da quante carte ha in mano, la dico
brutalmente. In una fase di scienza positivistica in cui conta l'origine, in cui conta l'antichità,
sicuramente l'inglesità ha un peso maggiore rispetto a quella che è l'italianità. Tra l'altro ho commesso
un errore perché ho parlato di inglesità ma come sappiamo gli inglesi sono solo una parte di quella
complessa costruzione statuale che è il regno di Gran Bretagna e Irlanda. Anche lì costato furiose
guerre civili. Sì, guerre più che civili direi quasi di annientamento in determinati momenti. Però si inventa
la britishness, si costruisce questo mito e come tra l'altro si inventa la francesità, uno dei
punti focali da ricordare per esempio per quanto riguarda il nazionalismo francese che fino al 1789
più della metà dei sudditi francesi non parlavano la lingua francese così come la intendeva R di
Francia. Quindi diciamo che sono costruzioni molto giovani, molto traballanti. La differenza vera
tra i vari giocatori di questa partita di poker è che poi tutti perdono,
permettetemi lo spoiler, è la solidità dei traguardi raggiunti e la possibilità di vantare
traguardi raggiunti. Ecco, mentre la giovine Italia, il giovine regno d'Italia ha al proprio attivo tre
guerre di indipendenza di cui un paio vinte, una malamente persa ma con l'alleato giusto,
parlo della terza guerra di indipendenza e poi con una guerra mondiale che evidentemente non
ha soddisfatto le idee di molti, sicuramente l'impero britannico ha una proiezione di sesso
i propri sudditi molto più vincente anche se basterebbe leggere romanzi come Oliver Twist
per capire che cosa significhi la forza di questo modello britannico. Modello britannico che tra
l'altro rimane in piedi anche dopo la seconda guerra mondiale e possiamo dircelo è stato uno
di nuovi una delle vecchie bandiere rispolverate dopo gli anni 10 del 2000 quando si è cominciato
a parlare di Brexit. E' peculiare e secondo me andrà studiato nel tempo il fatto che la prima
cosa che una parte dell'establishment britannico fa nel momento in cui vuole staccarsi dalla
narrazione extra o pluri nazionale dell'Europa è quello di andare a rispolverare la britannicità e
soprattutto l'impero. Ecco diciamo che per non allargare troppo il campo i nazionalisti italiani
ce l'hanno un po' più dura a raccontarsela perché hanno meno argomenti e quando ne diano li
inventano. Questo sì. E qui entra il fascismo che da questo punto di vista è stato un laboratorio
straordinario perché gli argomenti li va a ripescare in 2000 anni di storia. Assolutamente
sì. Costruisce un immaginario simbolico andando ad attingere una storia che non è la nostra già da
2000 anni. Sì il fascismo compie un'operazione incredibile dal punto di vista della comunicazione.
Io mi è già capitato anche presentando i libri che ho scritto prima di questo mi spiace dirlo
ma se c'è una cosa che sapeva veramente fare bene fascismo italiano era la comunicazione e lo ha
insegnato ai noi possiamo dire nelle sue regole fondamentali a molti fino ad oggi e fino all'era
dei social. Il fascismo che cosa fa? Punta sui punti forti già individuati nel risorgimento.
Il mito di Roma è peculiare nasce già nel 1870 quando Roma viene occupata liberata di
sempre anche parte di Porta Pia Timetti, occupata liberata dal dominio temporale dei papi e diventa
la capitale d'Italia. Si punta molto su Roma perché? E sul mito romano? Perché a ben guardare
in 2000 e passa anni di storia l'unica compagine statale di un certo rilievo che è riuscita a dare
continuità al territorio che oggi noi chiamiamo Italia effettivamente è stato Roma. Il mito
dell'impero romano che tra l'altro tutto era fuorché un ente nazionale. Certo. Però è così
che la si racconta. Già l'idea di cittadinanza romana mi sembra che lei ne parli nel libro
molto moderna oggi sarebbe. Lo accenno io penso si possa chiudere il discorso attorno a quel famoso
discorso che fa l'imperatore Claudio e che arriva fino ai nostri giorni quando si tratta di accogliere
alcuni senatori della Gallia all'interno del senato romano e i senatori di antica origine
si scandalizzano e l'imperatore Claudio dice ma vi rendete conto che i vostri nonni e bisnonni
erano Etruschi, Sabini, Sanniti, tutta gente che la mia gente ha. Mi piacerebbe sentirlo in
parlamento questo discorso. Però non tanti e stiamo per arrivare al punto d'Olenz su questo
non tanti perché diciamo quello che io vedo adesso e lo si capisce attorno a alcune fratture
sono fratture politiche ma sono anche di più. No, noi siamo partiti con questa frase, con questo
slogan che ha tanto consenso. Io credo che è uno slogan che ha tanto consenso perché si basa,
perché le radici di questo slogan sono profondi, cioè profonde, cioè prima gli italiani, prima
ancora di essere una piattaforma politica è un po' come il richiamo alla madrepatria,
cioè c'è qualcosa di nascosto, di inconscio che fa sì che effettivamente tante persone
possano riconoscere per esempio un pericolo anche contro i numeri, contro le statistiche,
contro il buonsenso nella presenza di molti stranieri. A parte il fatto che poi questo
prima gli italiani quando lo vai a spezzettare poi alla fine prima questa parte italiana,
questa altra parte italiana, lasciamolo perdere. Perché così c'è ancora così tanto bisogno di
sapere perché siamo italiani? Al punto che chi appella a questo ha un immediato successo,
cioè solo per il fatto che dice prima gli italiani, magari non sa neanche motivarlo, no?
No, no, ma meglio non motivarlo. La forza di prima gli italiani e la sua poliedricità è il fatto che
nel momento in cui sei in coda al pronto soccorso e hai voglia che ti sia riconosciuto uno status
diverso da chi hai intorno, gridi prima gli italiani e lo riempi in quel momento il contenitore,
frase logico, del contenuto che vuoi. Prima gli italiani nel momento in cui sei in Nazione di
rugby e finalmente la nazionale italiana vince, allora ti sembra di aver vinto anche a te il
meccanismo del gioco del calcio. È importante che il contenitore rimanga vago, proprio perché
in questo modo ognuno ci mette quello che vuole. Però rimane il fatto che io sento il bisogno di
definirmi come italiano. Perché questo bisogno è importante? Perché l'identità è una cosa
necessaria, perché l'identità è qualcosa che caratterizza tutte le comunità umane e tutti
gli individui. È bello sapere chi sono ed è bello saperlo senza pormi delle domande dirette che
potrebbero complicare. È consolante sapere di appartenere ad una comunità. Ti faccio un esempio,
l'anno scorso, proprio in questi giorni, anzi no, più di un anno fa in realtà, ai primi giorni di
lockdown ci fu una reazione più o meno spontanea a livello imitativo da parte di molti in molte
città. In molti esposero la bandiera italiana ai balconi e cominciarono ad ore specifiche del
giorno a cantare l'inno di Mameli. È un atto consolatorio per molti perché significa che io
posso sentire la voce del mio vicino di Pianerottolo e sapere di avere con lui una comunità in quel
momento di bisogni, di esperienze, di dolori e di prossima. E non è un valore positivo questo,
ci siamo emozionati in quei giorni, ci siamo emozionati tutti, anche noi, anch'io, di quelle prime
settimane perché abbiamo detto, vedi, il paese ha capito, stiamo soffrendo tantissimo, c'è tante
persone che stanno morendo, faremo il possibile per uscirne tutti assieme. Qui non si trattava
di andare a fare la guerra all'Etiopia, no? No. La guerra ce l'avevamo in casa e questi italiani
che abbiamo visto ai balconi, c'erano anche i nostri amati stranieri che vivono insieme a noi
ma non hanno la cittadinanza, anche loro sono uccisi sui balconi, no? Quindi le faccio questa
domanda perché uno potrebbe contrapporre a questo racconto che da una parte, lo dico in maniera
semplice, decostruisce l'idea di un'identità stessa, te la fa capire nel suo spessore storico,
te ne legge le fragilità, ti fa comprendere quanto abbiamo perso per esserci adeguati a
quell'idea di italiano. Abbiamo perso la democrazia per dirne una sola, no? Già nel
risorgimento, cioè le idee più progressiste che circolavano nel risorgimento in nome di
quell'italianità sono state annientate prima di rivederle abbiamo dovuto assistere a due guerre
mondiali, no? E ancora oggi la difendiamo questa democrazia. Però questo è la parte deconstruenza,
poi c'è la parte invece costruttiva, questa benzina enorme che è per noi dire siamo italiani. Ecco,
su questo che cosa da dire? Io mi permetto di notare, perché ritengo sia interessantissimo,
il modo in cui io e lei abbiamo condotto il racconto dei balconi, usando una frase che per
me e per lei è corretta, noi siamo tutti. Ecco, in questo noi, io e lei comprendiamo evidentemente
delle cose che altri non comprendono, in questo siamo c'è l'atto e il tutti, il problema è proprio
quel tutti. All'interno di una costruzione nazionale come quella che oggi noi abbiamo
davanti, quel tutti è escludente in maniera più o meno evidente per non decine di migliaia,
ma per milioni di persone. E' escludente per chi appunto ha i miei stessi doveri, ma non i miei
stessi diritti, perché pur essendo nato qui non ha la cittadinanza italiana e quindi una regola
di questo tutti che comprende me e lei non comprende altri. E' escludente per chi per esempio
non ha il mio stesso diritto di sposarmi, di creare un'unione, di adottare dei bambini,
la vogliamo fare più brutale, in un paese in cui il gap salariale tra uomo e donna passa dal 15%
al 30% a parità di mansione, direi che questo tutti è escludente. Se noi andassimo a vedere,
facessimo un piccolo gioco, mettendo per terra tutte le bandierine italiane che possiamo
raccogliere, dicendo noi tutti abbiamo gli stessi diritti. Ecco, vedremo questo enorme gruppo di
persone che siamo noi che abitiamo in questa penisola ben delimitata da dei confini, i cui
ultimi ritocchi datano 2017, quindi anche il sacrosuolo è molto giovane della nostra patria,
vedremo che mano a mano che si avanza in questa concezione del noi, allora avremo delle bandierine
che rimangono a terra per un sacco di gente. Noi tutti abbiamo gli stessi diritti, noi tutti
possiamo viaggiare, noi tutti con questo lino di Mameli ci sentiamo parte di una comunità. Ecco,
nel momento in cui sei un ragazzino di 16 anni, nato, vissuto qui, magari sei di Roma, hai un
pesante accento romano, ma il tuo pantone, il tuo colore di pelle non è quello che il tutti,
tutti noi altri, immaginiamo. Ecco, per esempio tu, sedicenne, adolescente, di colore, da questo
tu ti sei escluso. Però sono d'accordo. No, è bellissimo, hai perfettamente ragione. Ebbè,
qui c'è anche la svolta quando lei racconta, diciamo, che fine fa il concetto di patria,
di nazione e con esso l'identità nazionale così faticosamente costruita su milioni di morti da
risorgimento fino alla fine della seconda guerra mondiale, dopo, diciamo, con la comparsa della
democrazia e del sottotitolo universale, dove improvvisamente il compito della nuova nazione,
non più così giovane, è proprio quello di redistribuire le occasioni e i diritti,
di costruire un paese uguale per tutti, che diventa, quello fa, diciamo, prende il posto
dell'immaginario collettivo. Sì, è il tentativo di risignificare ancora una volta la nazione,
dandole ancora le vesti di madre, in questo caso di madre attenta a tutti i suoi figli. Uno dei più
bei parti di questa idea nazionale, e lo dico senza l'ironia che in altri posti e in altri
momenti uso per il concetto di idea nazionale, è proprio la Costituzione italiana, che da un
punto di vista altissimo è una Costituzione antinazionale nel vero senso della parola,
perché dà significato a parole che prima banalmente non esistevano, avevano un significato
altro. L'idea che tutti possono avere determinati diritti è decisamente importante. Certo è una
Costituzione figlia del Novecento, è una Costituzione in cui i diritti spettano ai
cittadini ed è evidente che nella costruzione di Stato nazionale la citoyante, che è un concetto
inventato dalla Rivoluzione francese, ma sa taglia al 2020-2021 in cui siamo. Ecco,
diciamo che il processo di democratizzazione della nazione italiana negli anni 50 e 60 si
scontra con altre dinamiche e va subito a perdere quell'occasione vera che la guerra
patriottica, partigiana come la chiamava un grande storico Claudio Pavone, la guerra patriottica per
costruire la nuova patria italiana va un po' a sfumarsi, a perdersi. Gli italiani dopo il 1945
cominciano ad abbracciare identità subnazionali, un po' perché l'idea di nazione è stata
irrimediabilmente sporcata dal tentativo, dall'esperimento distruttivo del fascismo,
un po' perché ci sono altre dinamiche attorno, un po' perché diciamocelo, il mondo diventa molto
più grande della sua Italia dopo il 1945 ed ecco per esempio che le appartenenze politiche
cosiddette della Prima Repubblica, i rossi e i bianchi e i neri, hanno un peso maggiore rispetto
al concetto di italianità. Per decenni essere comunista o essere democristiano è stata la
prima teoria identificativa rispetto ad altre. Poi nel momento in cui anche queste ideologie
vanno a sfumare possiamo trovarci effettivamente in un cono d'ombra in cui quel bisogno di identità
di cui si parlava prima non viene soddisfatto se non in parte. Non credo sia un caso che uno
dei momenti in cui viene, cerco di parlarne nel libro, in cui viene rivalutata realmente la
nazione proprio attraverso dei simboli chiari come la bandiera sono occasioni di carattere
sportivo, sono guerre simulate come si potrebbe dire. Gli italiani tirano fuori la bandiera
nell'82. Immagino che chi c'era e se lo ricorda i mondiali mitici dell'82 che tra l'altro erano
perfetti per costruire una narrazione esaltante dell'Italia di allora perché era una nazionale
odiata con tanti problemi guidata da uno che sembravano... era tipicamente italiana! Quella
nazionale alla fine vince e allora si carica di contesto nazionale una vittoria di carattere
sportivo e ancora oggi, benché io abbia... nell'82 avessi un anno, ancora oggi dico,
magari in un contesto internazionale al bar con amici in giro per l'Europa, però nell'82
abbiamo vinto! Io non sono mai stato in campo in quella partita o in quel mondiale, però dico
abbiamo vinto ed è quel noi pesantissimo! L'ultimo passaggio veramente fondamentale,
l'ultimo tentativo di rianimazione, passatemi il termine, di questa identità nazionale non a caso
è un lavoro sapiente di comunicazione e ingegneria politica che quando crolla la
prima repubblica tenta di traslare il valore della nazionalità calcistica e della sloganistica
nella politica. Nel 1994... Lascia forza Italia! Esatto! Però adesso siamo in un periodo di pieno
revanchismo nazionalista, come lo motiviamo questo? Soprattutto che ha un grande consenso
perché se fosse diciamo semplicemente repertorio di piccoli partiti estremisti uno dice va beh ma
quelli sono nostalgici, ci sono pure quelli in Italia, no? Purtroppo ci sono pure quelli,
però cioè quelli che si chiamano proprio i simboli del nazismo e del fascismo. Però invece
ecco che la politica improvvisamente parla, ha scelto il sovranismo come chiave di lettura di
qualsiasi di tutto quello che ci succede, persino l'economia, ma pensi un po' in un mondo che è
globalizzato dove se uno fa uno starnuto in Cina a me mi chiudono la fabbrica improvvisamente
sembra utile una chiave di lettura sovranista in un mondo che si tiene tutto assieme e abbiamo
visto come l'effetto della pandemia lo abbia dimostrato in maniera plastica, una volta che
si sono interrotte le catene globali del valore del lavoro. Come mai? Sono follie della storia?
No, no, no, no, sono usati sicuri, mi permetta la battuta. E' consolatorio, l'idea identitaria
è consolatoria ed è soprattutto messa nei modi in cui la vediamo messa oggi, ovvero urlare che
l'Europa non fa nulla, urlare all'Europa quando fa, urlare all'Europa quando non fa abbastanza,
lamentarsi sostanzialmente e tutto declinato. Io non ne sto facendo un caso italiano perché
il sovranismo è enorme. Infatti, adesso ne parleremo. Esatto, è stato un tema molto diffuso
a livello quanto meno europeo ma anche in maniera più larga. Il punto da centrare è che le vecchie
idee consolatorie che accendono quei campanelli d'allarme in ognuno di noi sono molto utili per
passare messaggi diretti, slogan diretti, sono lo sistema Pablo Milani, l'aggrapparsi alla paura,
è il poter dire fermi tutti, c'è un incendio, vi salvo io, che tradotto significa ho individuato
un problema, ho individuato nella soluzione, la soluzione al problema che sono io, ovvero quello
che si sarebbe detto una volta ma non molto tempo fa, l'uomo forte. Ora, questi sovranismi perché
prendono piede? Perché c'è un evidente momento di crisi dei modelli che finora questi sovranismi
avevano non solo messo da parte accantonato ma reso evidentemente obsoleti. Diciamo,
io sono figlio della generazione Erasmus, l'idea, io ho girato per fortuna quando si poteva,
pandemia nonostante, ho girato molto questo continente e sono tra quelli che ha riscontrato
la difficoltà oggi di viaggiare come una privazione. Ecco, dal punto di vista di chi ha
goduto del modello ampio, comunitario, chiamiamolo globale, di un mondo fatto non di cittadini ma di
persone banalmente, in cui le regole servivano semplicemente a mantenere all'interno di determinati
parametri gli interscambi tra le persone, o comunque così c'era stato raccontato, allora
andava tutto bene. Il problema è quando questo modello entra in crisi e non ci sono altri modelli
costitutivi e oppositivi che creassero, non c'erano modelli che riuscissero a creare altrettanta
comunità. Invece la comunità della paura è sempre quella diciamo più efficace, diretta e veloce. Sta
scoppiando un incendio, andate tranquilli, chiudetevi tutti in quella stanza, ci penserò io. Che cosa
abbiamo fatto noi? C'è un incendio attorno a noi, o meglio ci raccontano esserci un incendio, perché
poi dovremmo anche andare a fondo in queste che sono le narrazioni che prendiamo per buone. Una
su tutte, l'invasione. C'è un'invasione, quindi dobbiamo difenderci, detto in uno Stato che al
momento ha saldo nascite negativo. Non siamo un Paese che si sta riempiendo dell'Africa, come
qualcuno ci sta raccontando, ma che si sta svuotando di bambini. Su questo dovremmo riflettere. Questa
è un'emergenza, ma un'emergenza complessa, che indica banalmente la necessità di mettere mano
a dei meccanismi consolidati. Puoi mettere quanto è più semplice dare la colpa a chi non c'è, a chi
è arrivato per ultimo, a chi non può controbattere. L'epopea sovranista è un grande canto portato
avanti da chi saldamente tiene in mano il microfono del karaoke, che non sta dicendo nulla di nuovo,
sta ammorbando tutti col proprio canto, con la propria narrativa. Nessuno può controbattere e
fino a quando questo microfono gli sarà tolto di mano con degli argomenti altri, noi continueremo
sempre a sentire la stessa musica e a pensare che le cose vanno sempre allo stesso modo. Le
faccio l'ultima domanda che siamo in conclusione. Quindi oggi, secondo lei, come andrebbe definito,
in maniera, diciamo, con uno sguardo intanto all'Europa, ma forse neanche all'Europa,
al mondo libero, essere italiani? Sempre che abbia senso farsi questa domanda. Come potrebbe
dire? Io sono, faccio parte di quel mondo che per la mia fortuna, veramente grande fortuna,
di nascita e chiunque entra in questo mondo dovrebbe avere la cittadinanza perché accetta
di far parte di questo mondo, che si è dettato delle regole democratiche di vita, in cui diciamo
quello che conta è la ridistribuzione di diritti e ricchezza. E in questo modo posso essere il
cittadino del Canada, cittadino dell'Europa, non mi sento cittadino dell'Arabia Saudita?
Può essere questa una nuova definizione? Oppure appunto ha ancora senso cercare di definire chi è
un italiano? O dobbiamo gettarci, diciamo, come passeggeri molto provvisori di un mondo che non
abbiamo scelto? Due, è una bellissima domanda perché contiene tanta speranza e che spero di
poter interpretare. Due specificazioni su questa domanda. Primo, non possiamo gettarci dietro alle
spalle un racconto identitario che troppi proiettano su di noi. Mi spiego. Io quando,
quando andiamo all'estero e parliamo italiano, tre volte su quattro rischiamo di sentire Italia
mafia, pizza e mandolino. E quindi questo è un rapporto di identitario bionivoco e dobbiamo
rendercene conto. La seconda puntualizzazione che mi sentirei di dire è, bene, allora altri vedono
questo. Noi che cosa vediamo nel concetto di italianità? Ma dirci veramente, non con un prima
gli italiani che non vuol dire nulla. Ma banalmente dicendo, essere italiani significa
riconoscersi nei valori della carta costituzionale di questo paese? Sì, benissimo. La carta
costituzionale di questo paese è applicata in ogni suo articolo all'interno di questo paese? Mi
sento di dire con molta serenità, no. Per quanto riguarda il diritto all'istruzione, il diritto
alla casa, il diritto alla sanità? No. Il problema è che, per esempio, abbiamo un paese senza
carta costituzionale applicata in molti suoi punti. Allora la speranza per il futuro potrebbe
essere quella di dire, facciamo un ragionamento di carattere positivo. Chiediamoci innanzitutto
che cosa vogliamo essere, come singoli, come appartenenti ad una comunità e poi, più in
generale, guardandoci intorno, potremmo notare, come molti fecero all'alba della fine della
primavera mondiale, che i bisogni che abbiamo sono molto più simili delle differenze che ci
pesano o ci raccontano pesare sul nostro collo. Per chi da con uno slogan una cosa molto utile,
che potremmo fare in maniera anche molto semplice, pro futuro, è cambiare slogan. Perché gli slogan
servono, essendo semplificatori. Basta con i primagli italiani, che parla veramente a poca,
poca gente. Cominciamo per esempio a dire prima le persone e riempiamo questo slogan di significato.
Ecco, nel momento in cui diciamo prima le persone, alcuni temi che per noi sembrano difficili
diventano facilissimi. Chi può decidere di eleggere il sindaco in una determinata comunità? Chi vive
nella comunità? Le persone di quella comunità, noi cittadini. Chi dobbiamo salvare in mare?
Clandestini, migranti... Cominciamo a salvare le persone in mare. A chi dobbiamo pensare quando
vogliamo costruire un mondo migliore? Ai nostri interessi? Pensiamo agli interessi delle persone.
E via seguitando. Bene, grazie infinite Francesco Filippi. Tutto questo è molto di più, c'è nel
tuo bellissimo libro Prima gli italiani sì ma quali, con una grande densità storico-scientifica.
Complimenti veramente e leggetelo. Io mi ci sono veramente appassionato. Ti da una chiave per
rispondere a tanti quesiti che ci assillano in questo nostro mondo contemporaneo. Come sempre,
la cultura toglie la paura e apre nuovi orizzonti. Complimenti Francesco Filippi, grazie. Grazie,
un saluto a tutti e a tutti.