Capitolo terzo (seconda parte)
Talvolta, nei sogni di febbre, sentendo passare sopra il suo letto la corrente d'aria che venendo dall'ingresso passava sibilando per gli anditi e le infermerie, essa si era figurata che quella corrente trascinava con sé la gente involontariamente; che veniva dalle più lontane e remote vie della città, traendo seco, come un fiume impetuoso, i più disgraziati e i più deboli. Barberina non vedeva l'ora di uscire dall'ospedale. I primi giorni della convalescenza le parvero interminabili.
La sua padrona non si faceva viva, non mandava neppure a chiedere le sue nuove.
Finalmente una mattina, all'ora della visita, il medico le concesse il tanto sospirato permesso di uscire. Barberina si sentiva ancora molto debole, ma non lo disse. Appena finita la visita si alzò; si vestì del modesto abitino di tela col quale era entrata nell'ospedale, fece un piccolo involto di quel po' di biancheria che aveva portata seco, salutò e ringraziò la suora e le infermiere che l'avevano assistita, disse addio a due o tre donne che le erano state vicine di letto, baciò i bambini, e se ne andò. Appena uscita dalla porta dell'ospedale trasse un gran respiro di consolazione. Le vie le parvero più larghe, le case più belle, il cielo più azzurro e più limpido di prima. Era una mattina chiara e fresca di settembre. La città era animata da un lieto andirivieni di carrozze e barocci, di gente a piedi e di venditori ambulanti.
Alla Barberina non pareva vero di rivedere un po' di cielo, un po' di gente che rideva e chiacchierava e che non soffriva e non si lamentava, come ne aveva vista tanta all'ospedale. Quella bella mattina, tutta quella lieta attività intorno ad essa, non soltanto le infondevano coraggio, ma le facevano dimenticare la debolezza della quale pativa ancora e i timori che le erano sorti dal non aver riveduto la padrona da tanto tempo. Provava una contentezza quasi spensierata; adesso le pareva d'essere più vicina di prima al suo paese, più vicina al conseguimento di tutti i suoi desideri. E pensava a Luca, pensava a' suoi, e camminava più lesta che poteva verso la casa della sua signora. Rinvigorita da quella buon'aria le sue guancie pallide si colorivano leggermente, e i suoi occhi grandi e ingenui s'aprivano pieni di sorrisi alla vista d'ogni cosa. La gente per la strada la guardava con simpatia.
Il contegno modesto e gentile, il volto giovanile, fatto pallido e delicato per la malattia e pei lunghi giorni passati nell'ombra di una sala di malati, la veste umile, ma pulita e attillata, lasciavano una grata impressione a chi, passando, fermava gli occhi sopra di lei. La Barberina, troppo timida per chiedere la via che metteva alla casa ove abitava la sua signora e che era assai discosta dall'ospedale, guardava con attenzione ogni bottega, ogni cantonata, ogni svolta, cercando di rammentarsi i luoghi già veduti altre volte quando usciva per fare le commissioni o per accompagnare i bambini. Camminò molto, prima di giungere alla dimora dè suoi padroni.
La casa ove essi abitavano era situata in uno stretto crocicchio di viuzze anguste e buie, che formicolavano di gente e di carrozze. Quando Barberina la vide da lontano, e scorse le gelosie bigie del salotto e l'altre mezze aperte delle camere dei bambini, e poi, più giù, al mezzanino, quelle della sua cucina, provò una gran gioia, quasi rivedesse la casa paterna dopo essere stata lungo tempo in mezzo a gente straniera; affrettò il passo, e non sentì più né stanchezza né debolezza. Entrò nella porta e passò subito nell'andito di una stretta e bassa portineria, nella quale, pressoché nascosta da una vetrata sudicia e affumicata, cuciva la vecchia portinaja, con un grosso gatto accoccolato fra le pieghe della sottana. - Eh, eh! - fece questa con una vocina stonata, vedendola passare così di furia. - Eh, ragazzina, chi cerca?
- Sono la Barberina, signora Rosa, - rispose subito quella, affacciandosi ad uno sportello nella vetrata e salutandola con un sorriso. - Sono guarita e torno dalla mia signora.
- Dalla sua signora! - esclamò la portinaja levandosi gli occhiali e fissandola con maraviglia.
- La sua signora? Ma quale?...
- Quale? - replicò la Barberina. Ma la mia, la signora Rossi, - e si sentì invadere da uno sgomento indefinibile, quasi le sovrastasse una sventura.
La portinaja la guardò un momento con aria di compassione e di curiosità ad un tempo.
- Come mai non ha saputo...? - E si fermò di nuovo per guardarla.
- Che cosa? - disse la Barberina tutta impaurita. - Che cosa è stato? La mia signora è forse malata? Sta male?
E vedendo nel viso della portinaja un che di affermativo, come se dicesse di sì, fece un movimento per andar via e correr su per le scale; ma la signora Rosa la trattenne con un gesto imperioso.
- Dove va? Stia qui... Su non c'è più nessuno. La sua signora è partita.
- Partita! - ripeté sgomenta la Barberina. - E le parve che il tetto della vecchia casa calasse giù a poco a poco e la coprisse, la soffocasse, le togliesse l'aria e la luce. Si appoggiò ad un lato della vetrata, e dopo un momento sussurrò di nuovo: - Partita! partita senza dirmi niente, senza avvisarmi...
- Eh bambina mia, - replicò la portinaja, che stava attenta e aveva udite le sommesse parole della Barberina. - Certe partenze non si possono strombettare tanto, prima di farle. La tua povera signora ha dovuto partire da un momento all'altro, senza cerimonie: suo marito è fallito. - Fallito! - disse Barberina guardandola. - Che cosa vuol dire?
- Vuol dire... vuol dire... Santa ignoranza! Non sa ancora che cosa vuol dire un negoziante che fallisce! - replicò la signora Rosa, che non aveva l'abitudine di dare lì per lì pronte definizioni delle sue parole. - Per carità, signora Rosa, mi dica che cosa è stato, dove sono andati, - tornò a dire la Barberina con tono supplichevole, mentre le balenava una lontana speranza che non fossero andati tanto distante da X da non poterli raggiungere.
- Dove sono andati? - esclamò la portinaja con un mezzo sorriso e una soffiatina stridula che significava per lei il concetto di una distanza ignota e incommensurabile. - Dove sono andati? - aggiunse servendosi di nuovo della parola. - Lo sa la Madonna dove sono andati. Certamente dove sperano che non si possa ritrovarli.
- E non torneranno più? - domandò ingenuamente la Barberina, che non poteva convincersi di quello che le diceva la portinaja.
- Vuole che il signor Rossi torni qui per farsi mangiar vivo da tutti quelli cui deve dei denari? - replicò con ironia la portinaja. Vi fu un breve silenzio. - Povera signora Rossi, era buona e non si meritava una disgrazia così grossa! Ma gli uomini, gli uomini sono tutti farabutti. Se ne guardi, ragazzina, se ne guardi bene.
La Barberina non rispondeva. Fissava il gatto della portinaja che le dormiva ai piedi, e lo guardava come fosse un essere mostruoso che le metteva spavento.
- Perché mi guarda il gatto a quel modo? - disse dopo un momento la portinaja impensierita, e temendo che quella ragazza avesse il mal occhio e potesse portar disgrazia al suo favorito. Ma la Barberina non le dava retta.
- Al primo piano ora chi ci sta? - domandò dopo un pezzetto, quasi pensasse ad alta voce.
- Chi ci sta? - rispose con diffidenza la signora Rosa. - Ci sta una famiglia tedesca; hanno seco le loro persone di servizio, tutte tedesche, e quando parlano non si capisce un'acca. Perché lo vuol sapere? - domandò.
- Non lo so, - rispose la Barberina quasi fosse mezza stupida. E ricadde nel silenzio di prima.
Avrebbe voluto poter andar di sopra, guardare in quelle camere, e convincersi che veramente i suoi padroni non c'erano più. La portinaja la fissava sospettosa e compassionevole; ora diffidando della propria compassione, ora vergognandosi, per pietà, d'essere troppo sospettosa. - Che cosa debbo fare adesso? - disse finalmente la ragazza, raccogliendo il povero involto dei suoi panni e poggiandolo con una mossa di abbandono e disperazione sull'assicella che serviva da parapetto allo sportello della portinaja. - Che cosa debbo fare, dove andare?
- Ma... ah! - fece la donna. - Che cosa vuole che le dica io?... È una disgrazia per lei; ma si faccia coraggio.
- Coraggio... sì, ne ho, ma non possiedo nulla, non conosco nessuno qui... Dove posso andare? - disse ancora la povera Barberina.
- Si cerchi un servizio, - replicò la portinaja. - È una brava ragazza, sana, giovane, onesta; che diamine! lo troverà sicuramente un padrone, e un buon padrone... meglio di questi che sono andati via.
E la portinaja, che sapeva l'arte del consolare e credeva di confortare la Barberina parlandole male dei suoi padroni di prima, stava per incominciare una litania di recriminazioni confortatrici. Ma la ragazza l'interruppe subito. - Oh non ne parli male, - disse, - erano tanto buoni!
- Uhm, buoni... - fece la vecchia scontenta. - E l'hanno lasciata in questi panni. - Per carità, mi aiuti lei, signora Rosa. Mi cerchi un servizio... lavorerò, farò ciò che posso; e intanto mi lasci star qui.
- Qui! - esclamò la portinaja. - Ma se non c'è posto neppure per me! - Io ne prenderò così poco, signora Rosa, così poco, dormirò sopra una seggiola, non le darò maggior noia del gatto che le dorme costì fra i piedi. Mi tenga qui fintanto che ho trovato padrone! - diceva con voce supplichevole la giovanetta. - Lo troverò presto un padrone; mi accontento di fare i più duri lavori: mi vorranno bene, mi terranno di certo; potrò guadagnare qualcosa, e forse trovar modo di sapere dov'è la mia signora e raggiungerla. - Raggiungerla! - ripeté la portinaja, che guardava con maraviglia la Barberina che le parlava fra i singhiozzi.
La signora Rosa era molto noiata della piega che prendeva la conversazione, e pensava tra sé e sé al modo di districarsi da questo imbroglio. La Barberina la supplicava sempre, e parlava sempre di trovare il modo di raggiungere la sua signora; cosa che alla portinaja sembrava tanto ineffettuabile quanto assurda.
- La compiango, cara ragazzina! - disse finalmente. - Ma io sono una povera vecchia, che non può far altro che raccomandarla, raccomandarla tanto alla Madonna santissima perché la protegga, e raccomandarla anche a della brava gente, perché la prendano, o le trovino un servizio. Su via, coraggio; non faccia delle storie qui in portineria; se il padrone di casa passasse ora, sentirebbe il che mi tocca. Non si scherza con lui, sa? Mi manderebbe via senz'altro, se la tenessi qui anche soltanto fino a questa sera. La povera Barberina tacque sgomenta. In quella casa, fra quelle mura conosciute le pareva di non essere ancora del tutto abbandonata; ma uscire da quella porta, andare fra gente che non conosceva, andare… dove? Il pensiero della Barberina si fermava sbalordito dinanzi a questo terribile dilemma. Aveva paura, e le tremavano le gambe.
La portinaja, che si puliva le lenti degli occhiali con un vecchio fazzoletto di cotone color turchino, ebbe un po' di compassione. - L'ortolana qui sotto… la Beppa... La conosce la Beppa, - disse alzando la voce, perché le sembrava che la ragazza non udisse le sue parole. - Sì... - mormorò con voce fioca la Barberina.
- Ebbene, la Beppa sa di parecchi servizi, me ne parlò ieri, e tutti buoni; c'era una signora che cercava una donna subito. Vada dalla Beppa, vada a nome mio; dica che è la Rosa portinaja che la manda, e che venga pure da me chi vuole a prendere informazioni che le darò buone.
- Grazie, - disse la ragazza; e fè una mossa per levare l'involto dei suoi panni dal davanzale dello sportello; ma poi lo lasciò stare, perché non trovò in sé la forza di muoversi. Non poteva risolversi a lasciare quel luogo od andar via da quella casa.
- Non perda tempo, - tornò a dire con tono più duro la portinaja. - Quel servizio può esserci ancora se la si spiccia. Vada; qui, come le ho già detto, non ci può stare. Il padrone non vuol chiacchiere. Ora dia retta a me, vada dalla Beppa, e qualcosa le capiterà. Si spicci, e se vuol tornare un altro giorno, venga pure.
Ormai bisognava che, per amore o per forza, la Barberina se ne andasse. S'asciugò le lagrime dagli occhi senza parlare, prese il suo involto, riannodò il fazzolettino che portava sul capo, e fece una mossa lenta per scostarsi dallo sportello. Provava una tenerezza indefinibile per quelle mura, per quella vecchia e oscura portineria, per quelle scale che mettevano al quartiere che era stato abitato dai suoi padroni, e del quale vedeva le finestre dal posto in cui era. L'angoscia di quel momento prestava ad ogni cosa già veduta un valore incalcolabile; a misura che il sentimento d'essere abbandonata da tutti le si faceva più vivo, nasceva fra essa e quella vecchia casa, fra quelle mura bigie e quelle penombre malinconiche un'affinità misteriosa, un legame nascosto, pieno di tenerezze e di ricordi. Alla Barberina s'affacciava con angosciosa insistenza la certezza che, se usciva di lì, non vi sarebbe mai più tornata, non avrebbe mai più riveduto, né quella casa, né quella portineria, né quella signora Rosa, che era il solo essere vivente che conoscesse un poco nella città. Chinò il capo e fece un cenno alla portinaja, come volesse parlarle, ma la parola non le uscì dalla gola, stretta convulsivamente. Fece alcuni passi per uscire, ma sull'uscio si fermò di nuovo. - Signora Rosa, - disse piano, - se la Beppa non mi trova un servizio subito, potrei tornare all'ospedale? - All'ospedale! - esclamò questa. - Che, le ha dato volta il cervello? Ma se è guarita, che cosa la ci vuol fare all'ospedale? Crede che sia una locanda? Dio buono, ragazzina, non la ci pensi neppure all'ospedale, e ringrazi la Madonna d'esserne uscita così sana e forte. Troverà di certo un posto e migliore di quello di prima, grazie al cielo. Vada, vada dalla Beppa.
E la Barberina, mormorando un grazie e un saluto, chinò il capo, e soffocando un singhiozzo, uscì.
La sua figura mesta e giovanile sparì dal varco della porta, ove si disegnava un momento prima sul fondo chiaro della luce di fuori. La portinaja ricordò ancora per qualche momento la curva leggera del capo, del collo e di tutta quella persona che pareva piegarsi non per forza di una pressione esterna, ma per opera di un accasciamento interno, come se una molla si rompesse o piegasse dentro di lei.
Ma quella memoria durò poco.
Alla signora Rosa non parve vero che fosse andata via. Si rimise gli occhiali, accomodò per bene i guanciali sudici e mezzi vuoti del suo seggiolone, e nella sua triste abitazione, nella sua povertà oscura e malinconica ebbe finalmente il piacere di godersi una volta in vita sua il lusso di un egoismo da signori, quello di sentirsi seduta comodamente, al sicuro, in un'abitazione pressoché sua, protetta dal freddo e dalla fame, mentre quell'altra se ne andava via sola, senza asilo, senza sapere se avrebbe trovato al giungere della sera un ricovero per la notte. E intanto il gattone dormiva saporitamente, e la portinaja chiudeva di tempo in tempo le palpebre sotto gli occhiali, e sembrava che l'egoismo soddisfatto mormorasse dolcemente, quasi russasse di piacere, sotto al pelo della bestia e sotto ai logori cenci della donna. Se a noi fosse dato un sesto senso per udire il segreto agitarsi del pensiero, udremmo così fors'anche l'intiera città mormorare dolcemente, e il brontolìo di piacere dell'egoismo soddisfatto, escendo dalle sue alcove, dalle sue case, dalle sue vie, ci assorderebbe, tormentoso e insistente, avvolgendoci dovunque. Ma l'egoismo è muto per noi; i suoi dolori e le sue gioje sono silenziose, e passa nelle fibre umane senza rumore, pudico e ignobile.