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Pasolini - Ragazzi di Vita, V. LE NOTTI CALDE (4)

V. LE NOTTI CALDE (4)

Nel frattempo le due ragazzine che dormivano una da testa e una da piedi, s'erano svegliate, e restandosene lì distese con gli occhietti aperti si stavano a godere le novità. Nadia dopo un po' ritornò, ancora vergognosa, asciugandosi la punta degli occhi con una mano, e sorridendo per la sciocchezza del suo comportamento di poco prima, con l'aria di dire: -Nun ce fate caso! - A matta! - ripeté la madre, sempre in tono di sfida contro quelle persone che sapeva lei, - che, c'è da vergognasse c'è-e? - E noi forse nun c'annamo a rubbà? - fece sempre per tirarla su di morale, con la sua solita delicatezza, il Lenzetta, - semo disoccupati, semo!

- Nun c'è da meravijasse, - aggiunse con aria quasi salottiera il Riccetto, - tutti rubbano, chi più chi meno.

A quelle belle consolazioni la ragazza stette quasi quasi per farsi riprendere dal mammatrone: per fortuna che in quel momento entrò tutta acchittata la sorella, quella di diciotto anni. C'aveva messo tanto a presentarsi perché aveva indossato la veste bona di seta nera, e s'era persino dato un po' di rossetto. Calcolava sulla sorpresa della sua apparizione, e si fece avanti tutta modesta. - Te presento sti du' bravi ragazzi, amichi mia, - rifece per la terza volta cerimonioso il vecchio. -Questa è l'altra fija mia. - Lucianna, - lei disse con voce strascicata, facendo la cucciolona come le ragazze dei giornaletti.

- Mastracca Claudio, - Di Marzi Arfredo, - ripeterono i due bravi ragazzi.

- Piascere, - lei fece, tirandosi indietro con una mano i capelli.

- Molto lieto de fà la sua conoscenza, - ciancicarono il Riccetto e il Lenzetta, compiaciuti e rossi come due gallinacci. Poco dopo venne pure la terza figlia, una roscetta, con la faccia piena di lenticchie, e con un nastro sui capelli, che non entrò in cucina, ma se ne stette mezza fuori e mezza dentro a guardare i due bravi ragazzi senza dire una parola, come le due ragazzine nel letto.

E infatti era poco più che una ragazzina pure lei, con la vesta a fiorellini, liscia come quella dei frati, che c'aveva, e sotto le due gambette secche e nodose. La madre intanto aveva ricominciato con la sua moina fuoriscena, spinta a parlare da una convinzione profonda e ben radicata, e lo sapeva lei il perché, e contro chi se la doveva pigliare.

- C'avete raggione, signò, - concluse il Lenzetta, quando quella ebbe finito, - è regolare! - Ma il suo calore proveniva da un'altra ragione, ossia dal fatto ch'era completamente arrazzato per tutta quella centrale del latte che c'aveva attorno. - Che ve potemo offrì? - fece il sor Antonio. - Che, l'accettate un caffè? - E lassate perde, a sor Antò! - fece il Riccetto, mentre il Lenzetta aveva drizzato gli orecchi all'offerta. - Che, ve volete disturbà pe noi due? -aggiunse il Riccetto, con un'inaspettata e allegra aria di disprezzo per quei due morti de fame ch'erano lui e il compagno suo. Il sor Antonio non s'era accorto però che alla parola «caffè» le quattro donne, e pure le due ragazzinette nel letto, s'erano guardate in faccia. Perciò insistette: - Ma quale disturbo, anzi, ce fa piacere, - disse, trascinato dalla sua cortesia. Le occhiate intorno a lui si fecero sgomente. La sora Adriana aprì un po' la bocca come se volesse dire qualcosa, ma poi la richiuse e se ne stette zitta, con le figlie che la guardavano con apprensione e con finta indifferenza negli occhi. - E faje sta tazzina de caffè, - fece tutto preso dal suo dovere di padrone di casa il sor Antonio.

La moglie non si muoveva, all'impiedi tra le figlie che ora guardavano lei ora si guardavano tra di loro, con la Nadia che quasi stava per ricominciare a piangere e la Luciana che faceva un sorrisetto imbarazzato, dando dei colpetti con la testa per far andar indietro i capelli sulle spalle. Sora Adriana scuotendo la testa svelta svelta, e mettendosi una mano sul petto, fece: - Pe fallo, je lo farebbe, solo che... che t'ho da ddì... ce semo scordate d'annà a comprà lo zucchero... - Il sor Antonio accusò il colpo. -Ah, Antonio mio, che voi fà, - fece la moglie, - co tutti sti pensieri io 'a testa nun la tengo più a posto, sa... - E che je fa, - disse allegro il Riccetto, mantenendosi sempre sul tono della più completa sottovalutazione di se stesso e del compare, - pe noi va bbene pure senza zucchero!

Il Lenzetta approvò ridendo tutto chiazzato di rosso. A quell'uscita tutta la famiglia Bifoni si sentì rincuorare. La sora Adriana dicendo: - Io pe me ve lo fò... - prese la caccavella e accendette il fornello, con l'assistenza delle figlie, e quell'attività sparse tanto entusiasmo intorno che mentre i due bravi ragazzi e il sor Antonio chiacchieravano affabilmente, pure le due ragazzine vennero fuori in camicia da sotto le lenzuola e si misero a far caciara per la stanza . In quattro e quattr'otto il caffè fu pronto, e fu servito in due tazzine scompagnate al Lenzetta e al Riccetto, mentre il sor Antonio e la moglie se lo bevvero in due tazze da caffellatte tutte scrostate. Soffiandoci sopra per raffreddarlo il Riccetto fece: - Mo bevemo, e poi levamo il disturbo! - Ma quale disturbo! - fece grande il sor Antonio. La sora Adriana, bevendo il caffè, non nascose il suo disgusto, anche per mettere le mani avanti. «Baah, che ciufega!» pensavano dentro di sé i due bravi ragazzi, nascondendo il brivido di schifo sotto un'aria cordiale e mondana, sorbendosi il caffè allegramente, e, infine, rimettendo le tazzine sul tavolo tra le mosche. - Mo è ora che se n'annamo! - rifece poi il Riccetto.

- Come diggià? - disse il sor Antonio, con un gesto di meraviglia, come se invece delle due o tre di notte fosse appena dopocena.

- Ammazza, - fece il Lenzetta, - fra poco è mezzogiorno è!

- E fermateve ancora un pochetto, no, - insistette il vecchio allargando le braccia.

- Ve salutamo aaaa sor Antonio, - fece sbrigativo il Riccetto, allungando virilmente e con aria un po' paragula la mano al vecchio. - Aòh, allora v'accompagno, - fece il neno. Lungo e bianco come un baccalaccione gli fece strada fino alla porta, e li aspettò sul pianerottolo, mentre che facevano i saluti, stringendo meticolosamente a una a una la mano alla sora Adriana, a Nadia, a Luciana e all'ultima, che s'era fatta avanti, per l'operazione, sempre muta come un pesce, a partecipare al cicaleccio mondano dei saluti. Diede la mano senza batter ciglio, senza dire una parola, mentre le altre due già se ne andavano per i fatti loro, dietro il paravento, ormai con le facce che avevano quand'erano sole. Il sor Antonio scendeva tutto scavicchiato le scale, facendo gli scalini di sguincio, senza rumore a causa delle scarpe di pezza. Il Riccetto urtò il gomito al Lenzetta, approfittando che il sor Antonio andava avanti. Il Lenzetta lo guardò. - Damme li sordi, - fece a voce bassa e feroce, per paura che quello non gli desse retta, il Riccetto. Infatti il Lenzetta si scurì in faccia, e fece finta di non aver sentito. - Nun fà l'indiano, - disse sempre a voce bassissima, più cogli sguardi che con le parole, il Riccetto, stringendo i denti e lanciando al Lenzetta una occhiata furente, - dammi li sordi, daje. - Il Lenzetta si sentì in dovere di darglieli, e li cacciò nero dalla saccoccia. Già erano arrivati in fondo alle scale, sull'androne scrostato, e il vecchio aprì il portone. Fuori era già un po' chiaro: dietro i quaranta scatoloni in fila della Borgata degli Angeli, oltre il Quadraro, oltre la campagna, oltre le sagome nebbiose dei colli Albani, si stampava nel cielo una luce rossiccia, come dietro un'invetriata, e pareva che laggiù, dall'altra parte del cielo, ci fosse un'altra Roma, che andasse silenziosamente a fuoco. - Mbè, mo ve saluto, a moretti, - fece il sor Antonio, mo vado a dormì.

- Ce mancherebbe, - fece il Lenzetta, - che ve dovessi da disturbà ancora!

Il vecchio sorrise, con la testa bassa, stirando le mascelle come se masticasse una manciata di castagne secche.

- Tenete, aaa sor maè! - fece sbrigativo il Riccetto allungandogli in un mucchietto tutto ciancicato la piotta e mezza. Il sor Antonio guardò la grana, osservandola attentamente. - Ma no ma no, ce mancherebbe... - fece.

- Annamo, pijatela, - l'incoraggiò il Lenzetta. Il vecchio continuò a fare un po' di polemica, ma intanto però, alla fine, si prese la piotta e mezza. - Ammazzete, che sole! - disse il Lenzetta come il vecchio se ne fu rientrato, e furono rimasti soli in mezzo alla borgata: infatti una luce poco più che viola era venuta a galleggiare limpida negli spazi delle strade, tra palazzo e palazzo, riverberata fin laggiù da quella specie d'incendio lontano e invisibile, dietro i colli, mentre tra un cornicione e l'altro due o tre civette svolazzavano lanciando qualche strillo. Il Lenzetta, ascoltandole preoccupato, e mettendo tutt'insieme in un mucchio il pensiero della parte di bravi ragazzi che avevano fatto, della famiglia Bifoni, e della morte, e sentendosi venire il latte alle ginocchia, stette un momento fermo soprappensiero, come in raccoglimento, poi tirò su una gamba col ginocchio contro la pancia, e mollò un peto. Ma gli venne sforzato, perché non era de core.

Al Bar della Pugnalata o del Tappeto Verde gli avvizziati imberbi della Maranella, giocando al biliardo, tra un colpo di stecca e l'altro, oppure assistendo al gioco, appioppati con aria stanca lungo le pareti della stanzuccia dove i due biliardi ci stavano appena appena, e alzando un poco un braccio si toccava il soffitto, tra i molti argomenti su cui dire la loro opinione, ebbero anche quello del fidanzamento del Riccetto. Secondo come gli andava, qualche volta ne discorrevano fraternamente, con aria allusiva, prendendo la cosa molto sul serio; altre volte, invece, senza che gliene fregasse niente. Lui, il Riccetto, dal canto suo, si sentiva il più interessante lì in mezzo: e come tale, s'era sentito in obbligo di comprarsi almeno un paio di calzoni nuovi. Tutto affabile e scherzoso, ma conservando un'aria di mistero a proposito delle sue faccende private, veniva con quei calzoni nuovi infilati sui suoi fianchi stretti di bulletto facendo la camminata. Erano grigi, a tubo, con le saccocce di traverso, e veniva avanti un po' piegato, con i pollici nella cinta, strascinando un po' i piedi, con aria un po' affaticata e goffa da burinello. Erano come tanti tubi, intorno alla fessa, che camminando si spostavano, tubo qua tubo là, tubo su tubo giù, e quando si fermava, appoggiandosi con le gambe in croce alla parete o all'orlo del biliardo, formavano un solo bozzo, teso, tranquillo e minaccioso. Quanto al resto, dormiva ancora col Lenzetta nei bidoni sui prati della Borgata Gordiani: ma questo sistema di vita durò ancora per poco, perché non era più adatto alle nuove condizioni del Riccetto.

Il Lenzetta sapeva un posto, in via Taranto, all'ultimo piano d'uno stabile di sette o otto piani: era un pianerottolo che da una parte dava attraverso una porta sganganata e sempre aperta, s'una specie di granaio dove c'erano i cassoni dell'acqua, dall'altra in un appartamento disabitato, con la porta che doveva esser chiusa da parecchi mesi. Si portarono lassù un pacco di giornali, che poi di giorno nascondevano tra i cassoni dell'acqua, e la loro roba, e scelsero come loro stanza da letto quel pianerottolo. Il fidanzamento comportava una vita seria: e difatti il Riccetto - tutto contento di recitare quella parte di ragazzo serio, ch'era quella su cui al Bar della Pugnalata si facevano i commenti più solidi che gli davano più piacere - s'era messo a lavorare. Faceva l'aiutante d'un pesciarolo che aveva banco lì al mercatino della Maranella. E la domenica, sempre per esser del tutto fedele alla sua parte, rinunciava, misticamente, a andarsene a spasso col Lenzetta e gli altri, o a Centocelle o dentro Roma, e si portava al cinema la sua ragazza. La sua ragazza, poi, non era quella che aveva vent'anni, e nemmeno quella che ne aveva diciotto: ma la roscetta lenticchiosa, e un po' bruttarella, quella che la sera che i due compari erano stati dal sor Antonio, non aveva detto una parola e se li era stata a filare contro la tenda sporca della porta. Quand'era con lei, e non paccava - e questo era raro, perché non erano mai proprio soli, ma non è che a nessuno dei due gliene dispiacesse molto - il Riccetto s'annoiava tanto che alle volte gli venivano le madonne per davvero. Allora metteva una scusa qualsiasi per litigare, e finiva sempre col darle qualche ceffone. Non vedeva l'ora che venisse il momento d'andarsene, al Bar della Pugnalata, e ritrovare il Lenzetta e la banda dei paraguletti; ci si presentava con aria soddisfatta, naturalmente, come di uno che ormai s'è sistemato, ha superato tutte le inquietudini e non ha più niente da aspettare dalla vita. Contemporaneamente, però, mica rinunciava, per fare il ragazzo serio, alle altre tentazioni e occupazioni d'un dritto fijo de na mignotta, come continuavano a essere gli altri. Se c'era da far caciara la faceva, e non mancava mai di prender parte ai furtarelli che ogni tanto organizzavano ai danni del padrone del Bar della Pugnalata, ch'era un pezzo di pane, e la mattina dopo, facendo le pulizie, si sfogava e si lamentava proprio con loro. Siccome che il Lenzetta e qualcuno degli altri già era stato a Porta Portese, sapevano i metodi d'educazione «moderni» che ci volevano con dei discoli come loro erano fieri e compiaciuti di considerarsi: e allora, siccome la sorella del padrone li trattava male, per scusarsi e mettere a posto le loro coscienze - non che gliene fregasse niente, ma perché avevano comodamente il modo di farlo - dicevano che quei colpetti li organizzavano perché lei non li sapeva prendere, per castigarla... D'altra parte, al Riccetto, i quattro soldi che guadagnava facendo il pischello del pesciarolo, non gli bastavano. E allora come fai a comportarti da ragazzo onesto! Quando c'era da rubare, rubava, capirai, con quella fame addietrata di grana che teneva! Adesso poi c'aveva pure l'anello da fare alla ragazza... Così, col Lenzetta, decisero di organizzare un furto in grande: di farsi un bottino di semiassi e altro ferrovecchio da restare ingranati almeno per una mesata. Partirono in quattro: il Riccetto, il Lenzetta, Alduccio e un certo Lello, un amico del Lenzetta, ch'era di quelli che frequentavano il Bar della Pugnalata. Erano col carrettino.

Come imboccarono la Casilina, cominciò a soffiare il vento e delle colonne di polvere bianca e d'immondezza cominciarono a girare qua e là sui larghi e sugli spiazzi, suonando sui fili della ferrovia di Napoli come su una ghitarra. In quattro e quattr'otto, dietro tutto quel bianco il cielo si fece nero, e contro quel fondale nero come l'inferno, le facciate rosa e bianche della Casilina brillavano come carte di cioccolatini. Poi anche quella luce si offuscò, e tutto fu scuro, spento, ormai freddo, sotto gli sfregamenti delle ventate che riempivano gli occhi di granelli di polvere.

I quattro s'andarono a riparare sotto un portoncino appena in tempo per non prendersi addosso il primo rovescio d'acqua. Tuonava con dei rimbombi che pareva che sei o sette cupoloni di San Pietro, messi dentro un bidone che li potesse contenere tutti, fossero sbattuti uno contro l'altro lassù in mezzo al cielo, e i loro botti si sentissero poi un po' fasulli qualche chilometro discosto, dietro le file delle case e le distese dei quartieri, verso il Quadraro o verso San Lorenzo, o chissà in che posto, proprio magari là dove c'era ancora un po' di cielo azzurro e ci volavano i passeretti. Dopo una mezzoretta spiovve e i quattro arrivarono infreddoliti e bagnati come pulcini a Porta Metronia, dalle parti dov'erano stati a rubare l'altra volta: era spiovuto, ma il cielo ancora era tutto buio, come ci fosse stato messo davanti un velo per coprirci qualche cosa di pauroso, e questo velo fosse più pauroso ancora: qua e là lo sgaravano dei lampetti rossi. Era venuto sera almeno due ore prima, e a Porta Metronia era tutto deserto e gocciolante. I quattro fecero la conta: al Riccetto toccò a star fuori col carrettino. Gli altri entrarono, e come furono dentro il magazzino, fecero un'altra volta la conta per chi doveva entrare per primo col sacco. Toccò a Lello. Con uno spagheggio che tremava come una foglia Lello entrò, e riempì il sacco di semiassi, trapani e altra roba, in modo che non ce la faceva più quasi a smuoverlo. Allora riuscì a chiamare il Lenzetta e Alduccio che lo aiutassero a portare il sacco, visto che ormai il peggio era fatto. Uscì ma non trovò più gli altri due. Allora corse fuori dal magazzino, dal Riccetto che stava lì ad aspettare col carretto, e gli chiese dov'erano andati. E il Riccetto gli disse che lui li aveva visti entrare. Lello allora rientrò, per cercare di portar fuori da solo il sacco sul carrettino. Il Riccetto lo vide sparire dentro il magazzino ma, come dopo un po' ricomparve trascinando il sacco, venne fuori il guardiano e gli si gettò addosso. Intanto il Lenzetta e Alduccio, ch'erano entrati in un magazzino che stava dietro il deposito di ferrivecchi, che dalla strada non si vedeva, ora stavano risortendo da laggiù con l'altro sacco pieno di roba che il Riccetto non capiva, ma che erano delle forme di formaggio. Come furono nel cortile del deposito, però, smicciarono Lello acchiappato dal guardiano che cercava di svincolarsi e di tagliare, ma non ce la faceva. Allora, per aiutarlo, lasciarono perdere il sacco del formaggio, e si gettarono pure loro addosso al guardiano: questo però, poveraccio, cominciò a chiamare aiuto, e così corsero fuori da un forno lì presso il padrone del forno e i suoi garzoni. Soltanto Alduccio riuscì a svignarsela: ma prima d'arrivare sulla strada, dove il Riccetto, facendo finta di niente, lo stava ad aspettare, proprio sul cancello gli si mise davanti dell'altra gente ch'era corsa lì: lui allora filò giù lungo la rete metallica verso un altro cancello più piccolo ch'era più avanti: fece per scavalcarlo ma nella fretta scivolò con un piede sul ferro bagnato, e rimase infilato con una coscia s'una sbarra a punta come una lancia, che gli si conficcò tutta dentro. Ma poté lo stesso saltare dall'altra parte, e il Riccetto gli corse incontro per aiutarlo: gli altri due o tre che gli erano corsi dietro, vedendo che s'era fatto male, lo lasciarono perdere, per non avere niente che fare. Il Riccetto prese Alduccio sotto braccio, lo accompagnò un po' più giù, verso la Passeggiata Archeologica, e come furono in un punto scuro, gli fasciò stretto con un pezzo di canottiera la ferita; poi andarono ancora avanti, presero la circolare, restando di dietro, sulla piattaforma, e scesero al Ponte Rotto. Il Riccetto lasciò Alduccio all'ingresso dell'ospedale Fatebenefratelli. Intanto, piano piano, era ricominciato a piovere e tuonare, per quei quartieri e quelle strade per dove il Riccetto, pensando che o Alduccio all'ospedale o gli altri due in camera di sicurezza, presi a ceffoni o a sacchettate di sabbia, avrebbero parlato, si preparava a vagabondare per tutta la notte.

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V. LE NOTTI CALDE (4) V. WARME NÄCHTE (4) V. THE WARM NIGHTS (4) V. NOCHES CÁLIDAS (4)

Nel frattempo le due ragazzine che dormivano una da testa e una da piedi, s'erano svegliate, e restandosene lì distese con gli occhietti aperti si stavano a godere le novità. Nadia dopo un po' ritornò, ancora vergognosa, asciugandosi la punta degli occhi con una mano, e sorridendo per la sciocchezza del suo comportamento di poco prima, con l'aria di dire: -Nun ce fate caso! - A matta! - ripeté la madre, sempre in tono di sfida contro quelle persone che sapeva lei, - che, c'è da vergognasse c'è-e? - E noi forse nun c'annamo a rubbà? - fece sempre per tirarla su di morale, con la sua solita delicatezza, il Lenzetta, - semo disoccupati, semo!

- Nun c'è da meravijasse, - aggiunse con aria quasi salottiera il Riccetto, - tutti rubbano, chi più chi meno.

A quelle belle consolazioni la ragazza stette quasi quasi per farsi riprendere dal mammatrone: per fortuna che in quel momento entrò tutta acchittata la sorella, quella di diciotto anni. C'aveva messo tanto a presentarsi perché aveva indossato la veste bona di seta nera, e s'era persino dato un po' di rossetto. Calcolava sulla sorpresa della sua apparizione, e si fece avanti tutta modesta. - Te presento sti du' bravi ragazzi, amichi mia, - rifece per la terza volta cerimonioso il vecchio. -Questa è l'altra fija mia. - Lucianna, - lei disse con voce strascicata, facendo la cucciolona come le ragazze dei giornaletti.

- Mastracca Claudio, - Di Marzi Arfredo, - ripeterono i due bravi ragazzi.

- Piascere, - lei fece, tirandosi indietro con una mano i capelli.

- Molto lieto de fà la sua conoscenza, - ciancicarono il Riccetto e il Lenzetta, compiaciuti e rossi come due gallinacci. Poco dopo venne pure la terza figlia, una roscetta, con la faccia piena di lenticchie, e con un nastro sui capelli, che non entrò in cucina, ma se ne stette mezza fuori e mezza dentro a guardare i due bravi ragazzi senza dire una parola, come le due ragazzine nel letto.

E infatti era poco più che una ragazzina pure lei, con la vesta a fiorellini, liscia come quella dei frati, che c'aveva, e sotto le due gambette secche e nodose. La madre intanto aveva ricominciato con la sua moina fuoriscena, spinta a parlare da una convinzione profonda e ben radicata, e lo sapeva lei il perché, e contro chi se la doveva pigliare.

- C'avete raggione, signò, - concluse il Lenzetta, quando quella ebbe finito, - è regolare! - Ma il suo calore proveniva da un'altra ragione, ossia dal fatto ch'era completamente arrazzato per tutta quella centrale del latte che c'aveva attorno. - Che ve potemo offrì? - fece il sor Antonio. - Che, l'accettate un caffè? - E lassate perde, a sor Antò! - fece il Riccetto, mentre il Lenzetta aveva drizzato gli orecchi all'offerta. - Che, ve volete disturbà pe noi due? -aggiunse il Riccetto, con un'inaspettata e allegra aria di disprezzo per quei due morti de fame ch'erano lui e il compagno suo. Il sor Antonio non s'era accorto però che alla parola «caffè» le quattro donne, e pure le due ragazzinette nel letto, s'erano guardate in faccia. Perciò insistette: - Ma quale disturbo, anzi, ce fa piacere, - disse, trascinato dalla sua cortesia. Le occhiate intorno a lui si fecero sgomente. La sora Adriana aprì un po' la bocca come se volesse dire qualcosa, ma poi la richiuse e se ne stette zitta, con le figlie che la guardavano con apprensione e con finta indifferenza negli occhi. - E faje sta tazzina de caffè, - fece tutto preso dal suo dovere di padrone di casa il sor Antonio.

La moglie non si muoveva, all'impiedi tra le figlie che ora guardavano lei ora si guardavano tra di loro, con la Nadia che quasi stava per ricominciare a piangere e la Luciana che faceva un sorrisetto imbarazzato, dando dei colpetti con la testa per far andar indietro i capelli sulle spalle. Sora Adriana scuotendo la testa svelta svelta, e mettendosi una mano sul petto, fece: - Pe fallo, je lo farebbe, solo che... che t'ho da ddì... ce semo scordate d'annà a comprà lo zucchero... - Il sor Antonio accusò il colpo. -Ah, Antonio mio, che voi fà, - fece la moglie, - co tutti sti pensieri io 'a testa nun la tengo più a posto, sa... - E che je fa, - disse allegro il Riccetto, mantenendosi sempre sul tono della più completa sottovalutazione di se stesso e del compare, - pe noi va bbene pure senza zucchero!

Il Lenzetta approvò ridendo tutto chiazzato di rosso. A quell'uscita tutta la famiglia Bifoni si sentì rincuorare. La sora Adriana dicendo: - Io pe me ve lo fò... - prese la caccavella e accendette il fornello, con l'assistenza delle figlie, e quell'attività sparse tanto entusiasmo intorno che mentre i due bravi ragazzi e il sor Antonio chiacchieravano affabilmente, pure le due ragazzine vennero fuori in camicia da sotto le lenzuola e si misero a far caciara per la stanza . In quattro e quattr'otto il caffè fu pronto, e fu servito in due tazzine scompagnate al Lenzetta e al Riccetto, mentre il sor Antonio e la moglie se lo bevvero in due tazze da caffellatte tutte scrostate. Soffiandoci sopra per raffreddarlo il Riccetto fece: - Mo bevemo, e poi levamo il disturbo! - Ma quale disturbo! - fece grande il sor Antonio. La sora Adriana, bevendo il caffè, non nascose il suo disgusto, anche per mettere le mani avanti. «Baah, che ciufega!» pensavano dentro di sé i due bravi ragazzi, nascondendo il brivido di schifo sotto un'aria cordiale e mondana, sorbendosi il caffè allegramente, e, infine, rimettendo le tazzine sul tavolo tra le mosche. - Mo è ora che se n'annamo! - rifece poi il Riccetto.

- Come diggià? - disse il sor Antonio, con un gesto di meraviglia, come se invece delle due o tre di notte fosse appena dopocena.

- Ammazza, - fece il Lenzetta, - fra poco è mezzogiorno è!

- E fermateve ancora un pochetto, no, - insistette il vecchio allargando le braccia.

- Ve salutamo aaaa sor Antonio, - fece sbrigativo il Riccetto, allungando virilmente e con aria un po' paragula la mano al vecchio. - Aòh, allora v'accompagno, - fece il neno. Lungo e bianco come un baccalaccione gli fece strada fino alla porta, e li aspettò sul pianerottolo, mentre che facevano i saluti, stringendo meticolosamente a una a una la mano alla sora Adriana, a Nadia, a Luciana e all'ultima, che s'era fatta avanti, per l'operazione, sempre muta come un pesce, a partecipare al cicaleccio mondano dei saluti. Diede la mano senza batter ciglio, senza dire una parola, mentre le altre due già se ne andavano per i fatti loro, dietro il paravento, ormai con le facce che avevano quand'erano sole. Il sor Antonio scendeva tutto scavicchiato le scale, facendo gli scalini di sguincio, senza rumore a causa delle scarpe di pezza. Il Riccetto urtò il gomito al Lenzetta, approfittando che il sor Antonio andava avanti. Il Lenzetta lo guardò. - Damme li sordi, - fece a voce bassa e feroce, per paura che quello non gli desse retta, il Riccetto. Infatti il Lenzetta si scurì in faccia, e fece finta di non aver sentito. - Nun fà l'indiano, - disse sempre a voce bassissima, più cogli sguardi che con le parole, il Riccetto, stringendo i denti e lanciando al Lenzetta una occhiata furente, - dammi li sordi, daje. - Il Lenzetta si sentì in dovere di darglieli, e li cacciò nero dalla saccoccia. Già erano arrivati in fondo alle scale, sull'androne scrostato, e il vecchio aprì il portone. Fuori era già un po' chiaro: dietro i quaranta scatoloni in fila della Borgata degli Angeli, oltre il Quadraro, oltre la campagna, oltre le sagome nebbiose dei colli Albani, si stampava nel cielo una luce rossiccia, come dietro un'invetriata, e pareva che laggiù, dall'altra parte del cielo, ci fosse un'altra Roma, che andasse silenziosamente a fuoco. - Mbè, mo ve saluto, a moretti, - fece il sor Antonio, mo vado a dormì.

- Ce mancherebbe, - fece il Lenzetta, - che ve dovessi da disturbà ancora!

Il vecchio sorrise, con la testa bassa, stirando le mascelle come se masticasse una manciata di castagne secche.

- Tenete, aaa sor maè! - fece sbrigativo il Riccetto allungandogli in un mucchietto tutto ciancicato la piotta e mezza. Il sor Antonio guardò la grana, osservandola attentamente. - Ma no ma no, ce mancherebbe... - fece.

- Annamo, pijatela, - l'incoraggiò il Lenzetta. Il vecchio continuò a fare un po' di polemica, ma intanto però, alla fine, si prese la piotta e mezza. - Ammazzete, che sole! - disse il Lenzetta come il vecchio se ne fu rientrato, e furono rimasti soli in mezzo alla borgata: infatti una luce poco più che viola era venuta a galleggiare limpida negli spazi delle strade, tra palazzo e palazzo, riverberata fin laggiù da quella specie d'incendio lontano e invisibile, dietro i colli, mentre tra un cornicione e l'altro due o tre civette svolazzavano lanciando qualche strillo. Il Lenzetta, ascoltandole preoccupato, e mettendo tutt'insieme in un mucchio il pensiero della parte di bravi ragazzi che avevano fatto, della famiglia Bifoni, e della morte, e sentendosi venire il latte alle ginocchia, stette un momento fermo soprappensiero, come in raccoglimento, poi tirò su una gamba col ginocchio contro la pancia, e mollò un peto. Ma gli venne sforzato, perché non era de core.

Al Bar della Pugnalata o del Tappeto Verde gli avvizziati imberbi della Maranella, giocando al biliardo, tra un colpo di stecca e l'altro, oppure assistendo al gioco, appioppati con aria stanca lungo le pareti della stanzuccia dove i due biliardi ci stavano appena appena, e alzando un poco un braccio si toccava il soffitto, tra i molti argomenti su cui dire la loro opinione, ebbero anche quello del fidanzamento del Riccetto. Secondo come gli andava, qualche volta ne discorrevano fraternamente, con aria allusiva, prendendo la cosa molto sul serio; altre volte, invece, senza che gliene fregasse niente. Lui, il Riccetto, dal canto suo, si sentiva il più interessante lì in mezzo: e come tale, s'era sentito in obbligo di comprarsi almeno un paio di calzoni nuovi. Tutto affabile e scherzoso, ma conservando un'aria di mistero a proposito delle sue faccende private, veniva con quei calzoni nuovi infilati sui suoi fianchi stretti di bulletto facendo la camminata. Erano grigi, a tubo, con le saccocce di traverso, e veniva avanti un po' piegato, con i pollici nella cinta, strascinando un po' i piedi, con aria un po' affaticata e goffa da burinello. Erano come tanti tubi, intorno alla fessa, che camminando si spostavano, tubo qua tubo là, tubo su tubo giù, e quando si fermava, appoggiandosi con le gambe in croce alla parete o all'orlo del biliardo, formavano un solo bozzo, teso, tranquillo e minaccioso. Quanto al resto, dormiva ancora col Lenzetta nei bidoni sui prati della Borgata Gordiani: ma questo sistema di vita durò ancora per poco, perché non era più adatto alle nuove condizioni del Riccetto.

Il Lenzetta sapeva un posto, in via Taranto, all'ultimo piano d'uno stabile di sette o otto piani: era un pianerottolo che da una parte dava attraverso una porta sganganata e sempre aperta, s'una specie di granaio dove c'erano i cassoni dell'acqua, dall'altra in un appartamento disabitato, con la porta che doveva esser chiusa da parecchi mesi. Si portarono lassù un pacco di giornali, che poi di giorno nascondevano tra i cassoni dell'acqua, e la loro roba, e scelsero come loro stanza da letto quel pianerottolo. Il fidanzamento comportava una vita seria: e difatti il Riccetto - tutto contento di recitare quella parte di ragazzo serio, ch'era quella su cui al Bar della Pugnalata si facevano i commenti più solidi che gli davano più piacere - s'era messo a lavorare. Faceva l'aiutante d'un pesciarolo che aveva banco lì al mercatino della Maranella. E la domenica, sempre per esser del tutto fedele alla sua parte, rinunciava, misticamente, a andarsene a spasso col Lenzetta e gli altri, o a Centocelle o dentro Roma, e si portava al cinema la sua ragazza. La sua ragazza, poi, non era quella che aveva vent'anni, e nemmeno quella che ne aveva diciotto: ma la roscetta lenticchiosa, e un po' bruttarella, quella che la sera che i due compari erano stati dal sor Antonio, non aveva detto una parola e se li era stata a filare contro la tenda sporca della porta. Quand'era con lei, e non paccava - e questo era raro, perché non erano mai proprio soli, ma non è che a nessuno dei due gliene dispiacesse molto - il Riccetto s'annoiava tanto che alle volte gli venivano le madonne per davvero. Allora metteva una scusa qualsiasi per litigare, e finiva sempre col darle qualche ceffone. Non vedeva l'ora che venisse il momento d'andarsene, al Bar della Pugnalata, e ritrovare il Lenzetta e la banda dei paraguletti; ci si presentava con aria soddisfatta, naturalmente, come di uno che ormai s'è sistemato, ha superato tutte le inquietudini e non ha più niente da aspettare dalla vita. Contemporaneamente, però, mica rinunciava, per fare il ragazzo serio, alle altre tentazioni e occupazioni d'un dritto fijo de na mignotta, come continuavano a essere gli altri. Se c'era da far caciara la faceva, e non mancava mai di prender parte ai furtarelli che ogni tanto organizzavano ai danni del padrone del Bar della Pugnalata, ch'era un pezzo di pane, e la mattina dopo, facendo le pulizie, si sfogava e si lamentava proprio con loro. Siccome che il Lenzetta e qualcuno degli altri già era stato a Porta Portese, sapevano i metodi d'educazione «moderni» che ci volevano con dei discoli come loro erano fieri e compiaciuti di considerarsi: e allora, siccome la sorella del padrone li trattava male, per scusarsi e mettere a posto le loro coscienze - non che gliene fregasse niente, ma perché avevano comodamente il modo di farlo - dicevano che quei colpetti li organizzavano perché lei non li sapeva prendere, per castigarla... D'altra parte, al Riccetto, i quattro soldi che guadagnava facendo il pischello del pesciarolo, non gli bastavano. E allora come fai a comportarti da ragazzo onesto! Quando c'era da rubare, rubava, capirai, con quella fame addietrata di grana che teneva! Adesso poi c'aveva pure l'anello da fare alla ragazza... Così, col Lenzetta, decisero di organizzare un furto in grande: di farsi un bottino di semiassi e altro ferrovecchio da restare ingranati almeno per una mesata. Partirono in quattro: il Riccetto, il Lenzetta, Alduccio e un certo Lello, un amico del Lenzetta, ch'era di quelli che frequentavano il Bar della Pugnalata. Erano col carrettino.

Come imboccarono la Casilina, cominciò a soffiare il vento e delle colonne di polvere bianca e d'immondezza cominciarono a girare qua e là sui larghi e sugli spiazzi, suonando sui fili della ferrovia di Napoli come su una ghitarra. In quattro e quattr'otto, dietro tutto quel bianco il cielo si fece nero, e contro quel fondale nero come l'inferno, le facciate rosa e bianche della Casilina brillavano come carte di cioccolatini. Poi anche quella luce si offuscò, e tutto fu scuro, spento, ormai freddo, sotto gli sfregamenti delle ventate che riempivano gli occhi di granelli di polvere.

I quattro s'andarono a riparare sotto un portoncino appena in tempo per non prendersi addosso il primo rovescio d'acqua. Tuonava con dei rimbombi che pareva che sei o sette cupoloni di San Pietro, messi dentro un bidone che li potesse contenere tutti, fossero sbattuti uno contro l'altro lassù in mezzo al cielo, e i loro botti si sentissero poi un po' fasulli qualche chilometro discosto, dietro le file delle case e le distese dei quartieri, verso il Quadraro o verso San Lorenzo, o chissà in che posto, proprio magari là dove c'era ancora un po' di cielo azzurro e ci volavano i passeretti. Dopo una mezzoretta spiovve e i quattro arrivarono infreddoliti e bagnati come pulcini a Porta Metronia, dalle parti dov'erano stati a rubare l'altra volta: era spiovuto, ma il cielo ancora era tutto buio, come ci fosse stato messo davanti un velo per coprirci qualche cosa di pauroso, e questo velo fosse più pauroso ancora: qua e là lo sgaravano dei lampetti rossi. Era venuto sera almeno due ore prima, e a Porta Metronia era tutto deserto e gocciolante. I quattro fecero la conta: al Riccetto toccò a star fuori col carrettino. Gli altri entrarono, e come furono dentro il magazzino, fecero un'altra volta la conta per chi doveva entrare per primo col sacco. Toccò a Lello. Con uno spagheggio che tremava come una foglia Lello entrò, e riempì il sacco di semiassi, trapani e altra roba, in modo che non ce la faceva più quasi a smuoverlo. Allora riuscì a chiamare il Lenzetta e Alduccio che lo aiutassero a portare il sacco, visto che ormai il peggio era fatto. Uscì ma non trovò più gli altri due. Allora corse fuori dal magazzino, dal Riccetto che stava lì ad aspettare col carretto, e gli chiese dov'erano andati. E il Riccetto gli disse che lui li aveva visti entrare. Lello allora rientrò, per cercare di portar fuori da solo il sacco sul carrettino. Il Riccetto lo vide sparire dentro il magazzino ma, come dopo un po' ricomparve trascinando il sacco, venne fuori il guardiano e gli si gettò addosso. Intanto il Lenzetta e Alduccio, ch'erano entrati in un magazzino che stava dietro il deposito di ferrivecchi, che dalla strada non si vedeva, ora stavano risortendo da laggiù con l'altro sacco pieno di roba che il Riccetto non capiva, ma che erano delle forme di formaggio. Come furono nel cortile del deposito, però, smicciarono Lello acchiappato dal guardiano che cercava di svincolarsi e di tagliare, ma non ce la faceva. Allora, per aiutarlo, lasciarono perdere il sacco del formaggio, e si gettarono pure loro addosso al guardiano: questo però, poveraccio, cominciò a chiamare aiuto, e così corsero fuori da un forno lì presso il padrone del forno e i suoi garzoni. Soltanto Alduccio riuscì a svignarsela: ma prima d'arrivare sulla strada, dove il Riccetto, facendo finta di niente, lo stava ad aspettare, proprio sul cancello gli si mise davanti dell'altra gente ch'era corsa lì: lui allora filò giù lungo la rete metallica verso un altro cancello più piccolo ch'era più avanti: fece per scavalcarlo ma nella fretta scivolò con un piede sul ferro bagnato, e rimase infilato con una coscia s'una sbarra a punta come una lancia, che gli si conficcò tutta dentro. Ma poté lo stesso saltare dall'altra parte, e il Riccetto gli corse incontro per aiutarlo: gli altri due o tre che gli erano corsi dietro, vedendo che s'era fatto male, lo lasciarono perdere, per non avere niente che fare. Il Riccetto prese Alduccio sotto braccio, lo accompagnò un po' più giù, verso la Passeggiata Archeologica, e come furono in un punto scuro, gli fasciò stretto con un pezzo di canottiera la ferita; poi andarono ancora avanti, presero la circolare, restando di dietro, sulla piattaforma, e scesero al Ponte Rotto. Il Riccetto lasciò Alduccio all'ingresso dell'ospedale Fatebenefratelli. Intanto, piano piano, era ricominciato a piovere e tuonare, per quei quartieri e quelle strade per dove il Riccetto, pensando che o Alduccio all'ospedale o gli altri due in camera di sicurezza, presi a ceffoni o a sacchettate di sabbia, avrebbero parlato, si preparava a vagabondare per tutta la notte. ||||||||trovejar||||||||||||||||||||||||||socos|||sacos de areia||||||||vagar||||