Smart working: Come Trovare i Migliori Collaboratori, con Silvia Zanella. - YouTube
Ciao sono Cecilia Sardeo, fondatrice di Impact Girl il podcast italiano dedicato alla crescita
professionale e imprenditoriale, prevalentemente al femminile anche se, nauralmente, come sapete,
gli strumenti, le strategie e la tattiche sono praticamente sempre unisex. E non è
da meno il tema della puntata di oggi, che è lo Smart working, impareremo cioè a capire
come possiamo implementare la gestione remota di un team alla nostra azienda. E lo faremo
prendendo in prestito delle idee chiave piuttosto potenti, tratte da un gruppo imprenditoriale
abbastanza grosso, l'Adecco Group. Prima di tuffarci nel cuore della nostra puntata ti
ricordo come sempre di iscriverti al canale YouTube, attivando la campanellina delle notifiche,
oppure di iscriverti via mail se stai guardando l'episodio dal sito Biz-Academy.it/podcast
per non perderti nemmeno un episodio. Siamo pronti per cominciare.
C: Ciao e benvenute ad una nuovissima puntata di Impact Girl. Oggi ho il piacere di essere
qui con Silvia Zanella responsabile a livello globale del Digital Marketing per Adecco Group.
Ciao Silvia e Benvenuta! S: Ciao, Buongiorno a tutti!
C: Silvia tu hai una vastissima esperienza nel mondo del marketing e della comunicazione
e oltre questo hai anche una grande passione per il futuro del lavoro, digitale e non digitale.
In qualità di giornalista tra l'altro, professionista, collabori con testate importanti: ilcorriere.it
dove scrivi per la nuvola del lavoro, che è il più importante blog italiano sul tema
del lavoro e anche su wired.it A proposito di lavoro oggi affrontiamo un
tema che peraltro non solo è molto attuale ma mi tocca anche molto da vicino perché
ho trasformato un pò tutto il mio modo di lavorare in termini appunto
imprenditoriali, da un set-up molto tradizionale in ufficio ad un set up completamente, direi
caotico inizialmente, quindi un set up remoto, dove tutto il team è distribuito in vari
paesi in varie time-zone ed è stata ed è tuttora una bella sfida, con un sacco di
vantaggi un sacco però anche di ostacoli che magari non siamo abituati ad affrontare.
E di questo parleremo oggi dalla selezione, alla formazione, alla retention dei talenti
che poi sono tutte problematiche che affronta qualunque tipo di azienda tradizionale, diventano
però tematiche quasi incognita nel momento in cui ci addentriamo in questo ambito dello
smart working che di cui, diciamo, parlano tutti e su cui dobbiamo fare un pò di chiarezza.
Quindi Silvia ti chiedo direttamente facci un pò di chiarezza su questo benedetto smart
working e aiutaci e capire se è davvero per tutti intanto.
S: Ok, allora la parola Smart working è entrata un pò diciamo nel gergo comune da circa 4-5
anni inizialmente sembrava un privilegio di pochi ed soltanto ad appannaggio delle grandi
multinazionali, di quelle strutture che guardavano un pò più in là del proprio naso, mentre
adesso comincia ad essere qualcosa che riguarda più personalità e più tipologie d'aziende.
Nel concreto si tratta di trovare un bilanciamento diverso tra vita privata, quindi i propri
interessi personali, la propria cura familiare, le proprie passioni e tutto ciò che riguarda
diciamo il nostro intimo, rispetto alla nostra vita aziendale e professionale. Quindi evidentemente
c'è stato uno shift molto forte tra quella che era la visione tradizionale del lavoro,
il classico 9-5 quindi entro, timbro il cartellino ed esco, a una situazione in cui la gestione
del carico di lavoro era assolutamente resa autonoma grazie appunto all'introduzione del
cosiddetto Lavoro Agile. Lavoro agile che prevede da pochi mesi in Italia anche una
nuova legislazione, finalmente, il legislatore intervenuto è andato a definire più nel
dettaglio di che tipologia di lavoro si tratta, come viene regolamentata, che tipo di retribuzione
viene assegnata e quant'altro e va in qualche modo a regolamentare e a dare soprattutto
un'interpretazione, una cornice di senso a qualcosa che era già realtà. Come dicevi
tu prima una delle mie grandi passioni è il futuro del lavoro ma continuo a pensare
in maniera sempre più insistente che il futuro del lavoro sia in realtà già qui. Le persone,
tu per prima, hanno esigenze diverse si lavora in team cross nazionali se non se non continentali,
si lavora più ore del giorno in più momenti si lavora il weekend. Quindi, diciamo, l'attenzione
del legislatore verso lo smartworking è stata proprio quella di capire come meglio conciliare
le esigenze da un lato di produttività dell'azienda con quelle personali del singolo lavoratore,
così da poter concentrarsi sulla sua performance invece che se la sua permanenza in ufficio.
Io trovo che sia un passo culturale gigantesco e sono fiera che il comune di Milano abbia
abbracciato prima di altri questa onda, introducendo qualche anno fa la settimana del lavoro agile,
che si svolge tutti gli anni a fine maggio ed è qualcosa che in qualche modo provoca
discussione e provoca cambiamenti nella leadership mi spiego meglio inizialmente era visto come
una cosa per farsi i fatti propri: “Fai lo smartworking”, “Fai vacanza”, “Stai
a casa”, “Stai in pigiama”, “Chissà come fai le conference call”. In realtà
si tratta invece di focalizzarsi su quello che è l'obiettivo professionale, che quindi
deve essere molto chiarito dal proprio manager, e anche questo non è banale perché spesso,
come dire, chi comanda non ha bene in mente cosa vuole che tu faccia. E dall'altra parte
l'attenzione viene invece posta sul raggiungimento dei risultati: quindi non mi interessa dove
sei, non mi interessa come lo fai, mi interessa che tu raggiunga l'obiettivo diciamo nel tempo
che abbiamo prestabilito. Che tu ci lavori la sera, che tu ci lavori la mattina, che
tu ci lavori da un parco, che tu ci lavori da una spiaggia mi interessa poco. Chiaro
che poi diciamo tutte queste novità a raffronto di un approccio forbista o comunque somma
simil-fabbrica, che ha dominato fino a fino a pochissimo tempo fa, sembrava da un lato
utopistico ma dall'altro anche diciamo poco serio, si è invece cominciato a capire che
innanzitutto non era per nulla poco serio, anche perché se non produci smartoworking,
come dire, si auto elimina, non ci sono grandi possibilità di fare diversamente e poi perché
veramente le persone, forse proprio perché sfidate ad essere più performanti, lo diventano
davvero. Quindi siccome sanno di avere un privilegio che appunto in una giornata di
smart working al posto di essere qua fissa da mezzogiorno a mezzogiorno e mezzo possa
andare a quell'appuntamento che mi ero prefissata fuori che mi avrebbe richiesto di prendermi
tre ore di permesso, ci consente appunto di raggiungere anche un benessere. É chiaro
che poi ci sono benefici più in generale per la società nel suo complesso. Pensiamo
ad esempio alla riduzione del traffico: io abito a Milano, tu ha vissuto fino a poco
tempo fa a Kuala Lumpur, sappiamo perfettamente e il Commuting time, quindi il pendolarismo
che tipo di costi abbia costi sulle persone, costi economici costi sulle persone intendo
ore spese a stare su un treno piuttosto che peggio ancora, in macchina, e spese ovviamente
di ambiente, cioè diciamo la pollution, l'inquinamento legato alla mobilità è un tema importante
sul quale si può cominciare a ragionare in maniera molto forte, senza contare che tutto
quello che non fai in pendolarismo lo puoi fare a casa, quindi può lavorare di più
alla fine dei conti. Quindi è facile in qualche modo riassumere
così: ci sono tanti impatti dello smart working: sulla singola persona, sulla sua vita personale
sulla sua vita professionale, sull'organizzazione sulla leadership, sulle modalità di promozione
e di riconoscimento del lavoro delle persone, ma anche sulla società nel suo complesso
dal punto di vista urbanistico e dal punto di vista ambientale.
C: Mi piace moltissimo introduzione peraltro hai toccato due aspetti che davvero ho vissuto
da vicino e che sono a mio avviso cruciali perché la gestione di un team da remoto come
Leader, come Manager, come Supervisor a seconda di quale è il nostro ruolo possa effettivamente
risultare efficace. La prima è la chiarezza della comunicazione, che peraltro spesso non
è chiara neanche in un contesto fisico, lì però è quasi e la norma nel senso che hai
la possibilità di andare ad interrompere aprire la porta dell'ufficio, chiedere delucidazioni,
fare il poking nella spalla del collega, insomma in qualche modo, questo poi aumenta le interruzioni
però è considerata quasi la norma laddove se c'è mancanza di chiarezza e di comunicazione
in un team da remoto il lavoro ristagna, cioè non si va avanti, soprattutto se poi all'interno
del team il lavoro di ciascuno è legato al a quello di qualcun altro, c'è una timeline
abbastanza precisa. Quindi la prima sfida che mi viene in mente
è che in effetti ho vissuto io stessa è capire quando all'interno di un team da remoto
non viene raggiunto un risultato, capire quanto effettivamente ha dovuto alla mancanza di
comunicazione del risultato stesso, quindi dell'aspettativa, e quanto invece sia dovuto
o magari ad un misfit, quindi al fatto che la persona in questione no lavora nel modo
più efficace in un contesto dove diciamo è puramente libera di scegliere. Perché
io credo sia anche giusto dire che lo smartworking non è per tutti, c'è chi ha bisogno di un
continuo confronto, o di una continua, non mi piace chiamarlo micro-managing però in
un certo senso è così quindi di un di un rapporto costante con chi effettivamente ci
si affida a un certo compito, ha bisogno di un contenitore, laddove quando lavori da casa
o da un coffee shop o da una biblioteca lì sta a te e cioè nel senso è devi gestirlo
tu questa tua libertà e non è sempre facile. Quindi come capire dov'è l'inghippo quando
qualcosa va storto e non riusciamo a raggiungere il risultato che ci eravamo detti? S: Allora
tocchi un tema cruciale perché come dice lo smart working non è per tutti ma secondo
me è importante introdurre in ogni caso una qualche forma di formazione perché lo diventerà,
necessariamente. C'è un tema di real estate, c'è un tema di mobilità internazionale,
c'è un tema di cross team, c'è un tema di automazione, quindi verosimilmente non solo
il tuo collega non è più lì, non è più in quella nazione, ma magari è un robot.
Quindi evidentemente si cambiano anche le modalità di relazione tra peers. Quindi questo
fa sì che sia essenziale cominciare a ragionare su modalità diverse di lavoro. Tornando ai
tuoi due punti: in primo luogo la comunicazione è essenziale e lo dico usando un termine
diciamo che deriva anche dalla teoria dell'informazione che è ridondanza. A scapito di essere come
dire insistenti, a scapito di essere ripetitivi è sempre meglio mettere in piano un progetto
di comunicazione che ripeto, ribadisca i vari step e che abbia diversi punti di contatto
e punti di controllo in cui si verifichi qual è lo stato di avanzamento del progetto.
Proprio perché non ci sono punti di contatto di viso, faccia a faccia, la comunicazione
deve essere più cristallina possibile e il più chiara, e ripeto, ridondante possibile,
a costo di sembrare un pò anziani, ma è proprio quello che serve per far trasferire
determinati concetti e dare alla persona la possibilità di farli diciamo di digerire
il più possibile. Poi c'è il secondo punto che quello che dicevi
tu. Ci sono persone che fanno fatica a lavorare in un contesto da remoto, e quindi a volte
il fallimento di un progetto non è legato alla mancata comunicazione o la mancata implementazione
determinati tool, perché per fortuna se ne sono sviluppati un sacco negli ultimi anni,
che hanno oggettivamente facilitato molto il lavoro, ma esiste anche un tema diciamo
caratteriale di formazione. C'è chi ha bisogno fisicamente ad incontrarsi molto spesso, c'è
chi ha bisogno di avere appunto una relazione diretta. Io credo che questa cosa sia comprensibile,
sia umana e non ci sia anche in un nulla di male di per se. Metto soltanto un piccolo
campanello d'allarme o comunque solo un punto di attenzione nel dire Attenzione perché
quel tipo di lavoro verosimilmente da qui a 10 anni non dico che non esisterà, più
perché evidentemente dipende anche dal tipo di professionalità che hai, ma sarà molto
modificato. Quindi è importante essere molto plasmabili e aperti alla novità e perché
questo ci permetterà diciamo di avere anche un certo di benessere sul luogo di lavoro
perché nel momento in cui digeriamo male la distanza nel momento in cui facciamo veramente
fatica a relazionarsi con persone lontane piuttosto che con non umani, con tool.. con
quel che è, veramente stiamo mettendo un pò le al tarp hanno un po le ali alla nostra
professionalità e tenuto conto che anche per chi è nei suoi 40 anni né altri 30 barra
40 davanti a lavorare mettere già un tappo adesso forse non è un'ottima idea.
C: Quindi abbracciarla come opportunità di crescita anziché come un ostacolo per il
quale non siamo portati, questo dal punto di vista del candidato.
S: Assolutamente. Nel senso questo lo verifichiamo anche, io l'enorme fortuna di avere un punto
di osservazione molto privilegiato, sia come azienda per la quale lavoro, Adecco Group,
chiaramente ci occupiamo di tutta una serie di soluzioni legata alle risorse umane, in
primis ricerca e selezione, ma anche come team. Il mio team è fatto da 60 paesi, quindi
tutte le time-zone che potete immaginare ce le ho tutte. Ho una sola persona in Italia
e tra l'altro di origine polacca, quindi in realtà non parlo italiano nemmeno quando
sono fisicamente in ufficio, quindi non ho possibilità di parlare in italiano con nessuno.
Il mio capo è a Londra, il resto del marketing communication team è a Zurigo. Ciononostante
ho mille modi di entrare in contatto con loro e di auto formarci. Quindi proprio perché
anche le altre persone sono nella stessa situazione e comunque dobbiamo raggiungere degli obiettivi
comuni perché chiaramente facciamo dei progetti insieme, credo che scoprire questa dimensione
sia stato uno degli elementi più arricchenti del mio percorso professionale negli anni
più recenti, perché proprio è un altro modo di lavorare che fa sì che quando io
mi trovo in Italia magari partecipi a riunioni classiche rimanga un attimo basita, perché
in realtà hai poi uno shock culturale inverso quando vedi quanto tempo si perde, quanto
poco si arriva preparati quanto poco di brief c'è. Invece quando sei alla lontana, diciamo,
devi per forza misurare quello che fai perché sennò lo spago si perde nel giro di tre giorni
e invece avendo la necessità di fare il punto periodicamente non puoi nasconderti. Quindi
è il paradosso che mentre in una sala riunioni gremita ti puoi nascondere e a distanza non
lo puoi fare. C: Silvia a costo di sembrare un pochino egoisti
c'è anche da dire che è vero lo smart working è qualcosa che come dici tu sollevando un
po un campanello d'allarme tutti dobbiamo considerare come parte del nostro futuro.
È anche vero che quando abbiamo un team, quando non siamo parte di un gruppo enorme
quindi una grande corporation, e abbiamo comunque un piccolo team che stiamo creando da zero
che stiamo costruendo da soli, piccolo, medio, grande che sia in realtà però quando ci
troviamo comunque in una dimensione un pochino più ridotta in termini di risorse e di tempo
necessario per la formazione è chiaro che, appunto, a costo di sembrare egoisti dobbiamo
cercare di individuare subito i talenti giusti cioè le persone che sono effettivamente in
grado di autogestirsi. Certo la formazione è importante però riuscire a cambiare il
Mindset, l'atteggiamento, le abitudini che magari si sono costruite in anni anni anni
di lavoro completamente diverso è chiaro che possono risultare poi un peso per tutto
il resto del team e una perdita importante ingente di risorse, sia economiche che di
tempo per l'azienda. Quindi, una delle delle sfide più grandi che io personalmente mi
trovo ad affrontare costantemente sono i famosi colloqui, dico famosi perché avvengono su
Skype e quindi sono nel nostro caso spesso la prova del nove, nel senso che oltre a quello
non c'è altro. Facciamo un sacco di colloqui ma spesso la persona comincia a lavorare con
noi prima ancora che noi l'abbiamo mai vista noi come team e l'abbiamo mai vista fisicamente.
Quando poi incontri la persona fisicamente immediatamente individui tutta una serie di
pattern, di aspetti che prima non avevi notato e che poi ti aiutano anche a capire come mai
magari quella persona, non si sta rivelando, o il lavoro di quella persona, non quella
persona, il lavoro di quella persona non si sta rivelando all'altezza delle aspettative
inizialmente settate. Quindi dopo tutto questo preambolo, ci sono delle domande particolari
che faresti ad un candidato su Skype o candidata che sia, per ridurre il margine d'errore nella
selezione di qualcuno che deve lavorare da remoto?
S: Allora la selezione non è una scienza esatta. E quindi ovviamente si procede diciamo
per grandi numeri e la selezione come è stata fatta fino adesso è stata fatta nella storia
della selezione il 95% è stato fatto diviso. Quindi è chiaro che ancora non abbiamo sufficiente
esperienza dei colloqui via Skype o via altre forme di video intervista, che fra l'altro
stiamo testando anche noi con l'intelligenza artificiale e quant'altro, che ci possono
dare dei risultati diciamo ancora statisticamente rilevanti. Fatta questa doverosa premessa
perché ovviamente il selezionatore è comunque e sempre una persona a sua volta, quindi è
chiaro che non ha la sfera di cristallo e può avere dei bayas a sua volta. Io credo
che ci siano delle cose che possono essere utilizzati in maniera segnaletica, ovvero
delle cose che ci possono suonare bene piuttosto che ci possano in qualche modo insospettire,
rispetto al profilo che cerchiamo. Quindi chiaramente un'esperienza, parto dalla cosa
più banale.. un'esperienza precedente è il chiaro punto di partenza che aiuta a capire
se questa persona ha ancora voglia di rimettersi in gioco in una situazione del genere, situazione
precedente che potrebbe essere anche un banalissimo e comunissimo freelancing, perché non è
detto che una persona debba aver necessariamente varcato i sette mari per essere brava nello
smartworking o nel remote working, lo può essere tranquillamente nel momento in cui
aveva 60 mila stakeholder perché è un grafico e lo fa per tanti clienti in tutta Italia
e banalmente è la stessa cosa che succede in Spagna, quindi non è così diverso. Quindi
diciamo un'attitudine al freelancing e l'auto imprenditorialità secondo me è qualcosa
da testare in maniera molto molto molto precisa. Auto imprenditorialità che secondo me si
vede anche da fattori più fini. Quindi per esempio, una domanda che faccio sempre è
“Come organizzi le vacanze?” Cerco di capire se questa persona ama andare in giro
con lo zaino in spalla, come traccia, diciamo, i suoi percorsi, come si fa le sue escursioni..
entro abbastanza nei dettagli di questa cosa.. oppure cerco di capire magari mi dice no vado
in resort 15 giorni all'anno e chiudo bambini dentro il playground e non se ne parla più.
E ci può stare di quello che non necessariamente, però dipende ovviamente sempre da come è
motivato. Quindi incuriosirsi rispetto alla modalità delle vacanze secondo me è sempre
e sempre una buona cosa da fare perché ci dà veramente il senso di come questa persona
fa le sue cose a cui tiene. E come se lo organizza che è stato di libertà che è stato di autorganizzazione
a come prende informazioni su quel determinato posto, se va su internet, che canale attiva..
Insomma c'e tutta una serie di cose che non replicabile assolutamente sul mondo diciamo
del lavoro che hanno a che fare con appunto, con la gestione del tempo libero e questa
è assolutamente una domanda. Dopodiché bisogna un pò capire questa persona se fa delle attività
o se la ha fatte in passato che la l'abbiano portata a lavorare per obiettivi. Quindi per
esempio capire meglio come ha gestito una situazione particolarmente difficile, come
ha gestito l'assenza, per esempio, di un capo o di un, ci sono contesti in cui soffri un
pò della mancanza, magari andare a indagare, a sondare un pò le situazioni che in quel
caso sono più estreme, perché nella situazione di ufficio classico non è la norma non vedere
il tuo capo no, e quindi capire quanto a disagio, o quanto magari invece questa persona si sentisse
galvanizzata dal poter gestire le cose da se. Quindi ci sono secondo me degli aspetti
che non sono tanto la singola esperienza e la singola competenza ma perché quello le
do in qualche modo per scontate. Cioè se sei arrivato a fare il colloquio significa
che almeno sulla carta un certo tipo di skills le hai e un certo tipo di esperienza le hai
fatte. Tu facevi la premessa: “Sono un pò egoista”..tutti i datori di lavoro sono
egoisti, tutti i responsabili del personale sono egoisti perché voglio una cosa migliore
per far funzionare meglio la propria famiglia, la propria famiglia professionale, il proprio
staff. E meno male che sono egoisti, meno male che siamo egoisti perché se no se facessimo
le cose senza metterci diciamo della dell'emotività e come dire del desiderio di fare meglio,
sarebbe tutto appiattito nella migliore dei casi insomma. Quindi davvero, io andrei a
sondare aspetti soft proprio perché ci dicono molto più della persona di quanto non possa
mila che ovviamente non sia una figura strategica in cui devi capire se poi questa persona sa
farlo o non sa farlo, ma questo lo devi guardare comunque. Preferirei diciamo mettere un pochino
più di carboni ardenti su altre due domande, ovviamente senza mai scadere nell'aggressività
o nell'intrusione della vita personale, questo è ovvio, per capire un po come si relazioni
situazioni di un pò di disagio secondo me è una buona cosa.
C: Quando facciamo la tipica domanda che non so in realtà se sia parte delle domande che
fate voi però “Come gestisci il tuo tempo” una delle cose che chiedo spesso è “La
giornata tipo”, soprattutto se parliamo di qualcuno che effettivamente è un freelance
e ha già un'esperienza di lavoro in remoto la giornata tipo. Chiaro che ti arriva una
giornata tipo che è assolutamente perfetta. È la giornata tipo che troveresti sul manuale,
la giornata tipo che probabilmente neanche tu, con tutti gli anni di esperienza che hai
alle spalle, sei mai riuscita a vivere se non forse una volta. Come cerchi di filtrare,
tra realtà patinata e invece e autenticità su Skype?
S: Ma io sono molto alla “Skype aiuta” perché comunque tu vedi l'espressione del
volto delle persone e io devo dire che sono molto Tranche ah nel senso che se uno mi rappresentasse
una realtà dorata gli farei subito challenge. Cercherei immediatamente di mettere in discussione
questa cosa perché non è possibile che la giornata funzione in maniera ideale perché
magari se ha la soluzione che venga immediatamente a lavorare qui. E cercherei di come dire di
mettere questa persona come dire in qualche modo, non dico in difficoltà, ma porterei
in evidenza, porterei in risalto quegli elementi che mi sembrano quantomeno contraddittori
o non realistici, ovviamente sempre in maniera gentile, la professionalità, non viene mai
meno, però sicuramente gli chiederei appunto anche in maniera ironica qual è il suo segreto
perchè sarei curiosa di capire la sua reazione. E son convinta che la persona di fatto lo
faccia con la migliore delle intenzioni senza nessuna volontà di dolo è semplicemente
che pensano che quella che il selezionatore si aspetta mentre selezionatore una persona
impressionista come te che sa che le giornate non sono mai come dovrebbero essere e quindi
vuole sentire la tua versione più autentica quindi io farei challenge pesante.
C: Mi piace molto il usare l'ironia che in effetti è forse anche il modo più più simpatico
e leggero di S: Senza come dire polemizzare o senza essere senza essere in nessun modo
violenti, però sicuramente come dire, la messa in discussione è la base di ogni relazione
e quindi il senso critico me lo aspetto anche da questa persona.
C: Assolutamente, qui abbiamo trovato il nostro candidato ideale. Ora c'è la fase forse più
delicata che quella dell'inserimento di questo candidato in un team che non vede o che si
vede solo virtualmente. C'è un onboarding process, un processo appunto di integrazione
che utilizzate e se sì quale, per quanto tu possa condividere, per aiutare qualcuno
ad integrarsi nel team che lavora da remoto. S: Ok, qui secondo me bisogna fare una distinzione:
persona che lavora da remoto in qualità di freelance perché l'azienda è piccolina e
quindi a una persona qui, persona qui, persona qui, e persona che lavora da remoto perché
l'azienda è multinazionale quindi ha molteplici sedi.
In questo secondo caso è più facile, perché è vero che lavora da remoto con te, ma contestualmente
ha un secondo team diciamo di accoglienza che pur non essendo il suo team di origine
gli dà comunque una mano, quindi per esempio fa i piano di induction, illustra dove trovare
le cose se gli si rompe il computer sa come aiutarlo eccetera quindi stiamo parlando di
cose che sono comunque più o meno strutturate. Nel caso invece diciamo di start up o di situazioni
più piccole, in cui veramente l'azienda è fatta da quei singoli nodi, la cosa è da
un lato più difficile però secondo è più divertente, nel senso che comunque ci si possono
inventare delle cose. A me piacerebbe molto per esempio laddove ci fosse come vero nuovo
membro al mio team che ci fosse sempre per esempio un regalo per iniziare, no quella
mattina con la persona riceve che ne so una tazza per il caffè che insomma ci porta a
brindare al nuovo inizio e magari quel caffè lo prendiamo veramente insieme e usciamo,
entrambi ci diamo appuntamento da Starbucks io a Milano, tu a Singapore, però finalmente
ci beviamo qualcosa insieme e parte diciamo il via alla nostra collaborazione. Quindi
anche piccoli segnali di vicinanza perchè chiaramente, se lo faccio da casa, con la
libreria, è comunque contesto di lavoro che indichino che comunque voglio che tu avverta
anche l'aspetto diciamo più emotivo, più umano, più relazionale della della nostra
appunto della nostra collaborazione. Poi ci sono invece degli step che sono secondo me
obbligatori poi si decide come modularli ma che sono chiaramente la condivisione di tutti
i materiali e strumenti che questa persona avrà a disposizione, quindi un momento di
induction che deve essere molto chiaro e a cui si deve dedicare del tempo. Quindi io
quello che tendo a fare è darlo prima. Io do prima materiali anche se questa persona
non ha cominciato, mi auguro che sia sufficiente e quindi dico comincia a familiarizzare, comincia
a vedere, così che quando si parte siccome non è che il giorno dopo è operativo cioè
non è che firma con contratto e il giorno dopo è operativo. Così che da lì a 15 giorni
la persona abbia avuto modo diciamo di farsi un'idea della cosa e possiamo strutturare
diciamo l'induction con delle domande, invece con me che ti leggo dei documenti o che ti
sfoglio dei powerpoint. Questa è la prima cosa, ovviamente se non ci sono cose stra
segrete, stra confidenziali ma questo di nuovo va al buon senso di chi eroga. Quindi faccio
una Pre-induction così anche per creare un po di engagement, nel senso modo che la persona
arrivi motivata, desiderosa e curiosa che arrivi con delle domande. Questo mi aiuta
anche a capire se la persona è adatta poi già i primi giorni dalle domande che mi fa
capisco che interessi ha, dove si dirige il suo, come dire, il suo interesse per l'appunto.
Quindi questo è qualcosa che trovo sia fondamentale. Purtroppo porta via tempo e non può essere
fatto one shot, quindi non è che dici ok tu entri lunedì e di facciamo lunedì pomeriggio
informazione e poi addio. Non si può fare. Purtroppo la lontananza ha moltissimi elementi
di efficienza ma anche qualche elemento di in un efficienza che è questo. E la non efficienza
di nuovo, torno con il tema della ridondanza, cioè touchpoint continui, rispiegare la stessa
cosa, webinar, podcast, qualsiasi cosa che uno è lì, se la legge, se la guarda anche
poi appunto puoi riutilizzare perché non è improvvisamente business e cambia. Se sei
in un contesto per quell'annetto gli più o meno i contenuti da veicolare saranno quelli
no. Quindi in continuazione far sentire diciamo la propria voce alla persona così che si
senta innanzitutto affiancata e accompagnata ma poi che sappia di poter fare delle domande.
E specialmente nei primissimi tempi farei dei momenti di video conference molto molto
frequenti. Proprio perché laddove c'è distanza si creano spesso malintesi, si creano spesso..leggere
le mail non basta, hai bisogno del tocco umano. Asserire una cosa è importantissima ma quando
poi vedi le persone ti fai tutt'altra idea. Nel mio caso io avendo 60 paesi non vedrò
mai tutte le persone. Ne ho viste sì e no un 10 per cento e soprattutto in Europa quindi
insomma, c'è anche un tema di diversità culturale che oggettivamente non so padroneggiare
se non per macro sentimenti, diciamo. È chiaro che quando il team è più piccolo si può
anche pensare diciamo a degli incontri trimestrali, semestrali che io consiglio sempre cioè laddove
non c'è diciamo un focus sul budget e sulle spese troppo alto, io un paio di giorni per
vedersi li stra consiglio, perché comunque come dicevi tu la visione è l'interazione
dei visi ha con sé, porta con sé una serie di informazioni che non sapevi. Devo dire
che quello che mi ha aiutato in questi anni è stato anche la vicinanza a questi miei
colleghi attraverso i social network. Io so di bambini che nascono, magari anche di colleghi
maschi, perché li vedo e quindi so in che momento è. Non è che vado a spulciare, è
semplicemente come se fossero miei amici. Comunque sono persone, ovviamente non sono
connesse con tutti altrimenti avrei 60 mila contatti sarebbe un pò complicato, però
diciamo con alcuni di loro sono solo in connessione, mi fa piacere vedere appunto come hanno passato
le vacanze, mi fa piacere che abbiano letto un bel libro, ed è un modo anche per star
vicini alle persone. Io trovo che sia un'enorme possibilità. Uno può dire: “ma è un modo
di conoscere superficiale” ma non è che quando si va in pausa pranzo si parli dei
massimi sistemi. Non è che conosci veramente le persone. Io mi sono trovata in uffici in
cui c'erano magari delle macro situazioni personali che proprio perché macro venivano
tenute abbastanza giustamente segrete, quindi magari rischiava anche di fare mega gaffe
con persone con cui letteralmente condividevi la scrivania. Quindi un pò come dire lo stereotipo
dell'odore della carta che c'è verso il digitale è esattamente questa cosa per l'organizzazione.
Non è che se stai fisicamente nello stesso palazzo nello stesso ufficio, nello stesso
piano allora sai delle cose. E' innegabile che la macchinetta del caffè secondo me sia
il primo social network, perché alla macchinetta del caffè ci si raccontano un sacco di cose,
sai i gossip, eccetera.. Però ci avviamo a lavorare in un mondo in cui non possiamo
che bere il caffè che non sia da Starbucks da remoto. Quindi insomma dobbiamo cercare
di fare l'uno e l'altro nelle condizioni fisiche che abbiamo.
C: Silvia, ti chiedo, che mi è venuto in mente mentre parlarvi.. in relazione a questa
fase di “on boarding”, dove le comunicazioni sono necessariamente più frequenti, questa
è una cosa, per esempio uno degli impegni che io garantisco ogni volta che arriva un
nuovo candidato è trascorrere con loro il primo mese una mezz'ora ogni giorno. Poi è
chiaro che queste mezz'ore possono diradarsi nel momento in cui questa persona è estremamente
rapida e bastano dieci giorni per che assorba ogni cosa. L'altra cosa che diciamo, che hai
nominato anche tu, nei primi tre mesi c'è la possibilità di fare le stesse domande,
quante volte la persona voglia, senza timore di sembrare sciocca o stupida o non abbastanza
brillante quindi chiediamo proprio alle persone di continuare a ripetere le domande all'infinito,
purché qualcosa che non è chiaro lo diventi. C'è però un downside di questo, che in realtà
poi si protrae nel tempo e che credo sia una un lato oscuro un pò del lavoro in remoto,
che è la tendenza a volersi far sempre vedere online, come se il fatto di rispondere immediatamente
a un'email, immediatamente al messaggio del capo, del collega o nei gruppi Slack, Slack
è questo strumento che sta diventando sempre più cruciale per chi lavora da remoto e anche
non.. questo però porta delle continue interruzioni notifiche, ai bombardamenti continui, per
cui qual è il tipo di approccio che tu inviti il team a seguire perché si crei un equilibrio
tra momenti di interruzione di connessione quindi di comunicazione, e momenti invece
di focus dove non c'è non c'è la reperibilità online?
S: Questo ovviamente è un tema stra cruciale, su cui io sono attentissima e però vorrei
dividerlo in due in due risposte, se posso. La prima è che non è che improvvisamente
lo smart working è il lavoro perfetto, e quindi ha dei difetti e dei downside come
dicevi tu. Ha della delle cose che non funzionano, ha delle inefficienze, ha degli abusi anche,
persone che non sanno bene gestire il tempo e veramente divisione e poi forse non hai
colto come funziona. Quindi esattamente come ci sono i furbetti del cartellino, ci sono
i furbetti di Skype e ci saranno sempre di più, perché appunto poi la gente sarà sempre
più sgamata perché adesso siamo ancora un pò qua non con la paura della tecnologia
ma tempo dieci anni appena i nostri fratelli più giovani nel mercato del lavoro ciao diciamo
questa cosa. Quindi non poniamo aspettative irrealistiche nello smartworking, perché
non risolverà i problemi del mondo. Ci aiuta a risolverlo un sacco ma non sarà la panacea
di tutti i mali di questo paese, prima cosa. La seconda cosa riguarda la necessaria consapevolezza
sulla gestione dei propri tempi di lavoro. É chiaro che se si lavora su più times zone
la tentazione di essere sempre diciamo in prima fila nel rispondere o comunque a far
vedere che se anche tu sei a sei ore di distanza io ho visto la tua mail e quindi che rispondo
lo stesso cioè io per prima ce l'ho, nel senso che comunque c'è da sindrome della
prima della classe dice no ma loro che faccio vedere che le ho viste lo stesso. Poi ci ripensi
e dici ma forse non mi sembra un modo di agire professionale no, nel senso che comunque per
quanto essi stessi siano come innegabilmente dei segnali dire “sono sul pezzo” perché
è vero, piuttosto che uno non risponde mai chiaramente fa più bella figura a chi ti
risponde sempre. Però al tempo stesso chi risponde sempre perde un pò di vista il focus.
Quindi è importante, secondo me, nei momenti di feedback individuale ma magari anche nei
momenti collettivi, in cui magari ci si raffronta col team, far presente che appunto è importante
proprio perché si lavora distanza mantenere una dimensione umana alla reperibilità e
anche che ci sono dei sanissimi momenti in cui si può staccare e si deve staccare. Quindi
la come dire, la non reperibilità è qualcosa di sano da farsi, un detox.. non è una parola
che mi appassioni perché non credo che ci sia tossicità inerente. C'è tossiccità
rispetto a certi alla facilità con cui prendiamo in mano un telefono. Siccome una volta era
più difficile prendere in mano un computer, poi è diventato un pò più facile col computer
portatile, con lo smartphone la notifichina è sempre lì. La vita ti cambia dal punto
di vista dell'igiene mentale con la disattivazione delle notifiche. La disattivazione delle notifiche
è la cosa numero uno da fare. Io lo faccio da almeno cinque - sei anni, non sono mai
stata meglio. Eppure rispondo a tutte le mail, eppure faccio il mio, però non ho la continua