Radar ep.6 Se mi offendi ti cancello con Alessandro Portelli
Quello che noi chiamiamo cancel culture è, spesso e volentieri, semplicemente il gesto
di qualcuno che si permette di criticare qualcun altro.
Oggi la metafora, appunto, per cui se io ti critico ti ho ucciso, se io ti critico ti
cancello, viene presa eccessivamente alla lettera.
Quello che rischiamo di cancellare, giustamente riconoscendo gli eccessi e i dogmatismi e
i settalismi, ma quello che rischiamo di cancellare è il diritto di critica.
E questo a me sembra la tendenza prevalente in questo momento negli Stati Uniti.
Radar è una serie di conversazioni settimanali sulle questioni essenziali del nostro tempo,
ogni volta in compagnia di un esperto per cercare di andare in profondità, rimettere
ordine e orientarsi.
Da qualche tempo, anche in Italia, si parla di cancel culture, un fenomeno che da molti
anni caratterizza la scena culturale americana.
Sulla definizione di questa espressione c'è molto dibattito, come vedremo tra breve, ma
possiamo dire che comunemente per cancel culture si intende l'idea che vadano cancellati
dal discorso pubblico i personaggi che si esprimono in maniera offensiva per la sensibilità
di minoranze di solito o comunque di gruppi che hanno minore accesso al discorso pubblico,
o lo hanno avuto in passato.
Oggi ci concentreremo su un aspetto particolare, ma molto importante, cioè la cancel culture
relativa al passato, per l'appunto alle opere del passato che sono monumenti, per esempio,
ma anche film e anche libri che, secondo alcuni, andrebbero cancellati o comunque ridimensionati
di importanza perché portatori di messaggi violenti, alcune volte razzisti e comunque
discriminatori.
Facciamo un esempio, tanto per capirci.
A Bristol, il 7 giugno 2020, è stata buttata giù una statua eretta molto tempo prima,
nel 1865, ed era una statua di Edward Colston, un mercante vissuto nel Seicento che aveva
fatto molte azioni filantropiche ed è per questo che gli hanno fatto la statua, ma si
era anche arricchito col commercio di schiavi ed è per questo che è stata abbattuta.
Pochi giorni prima dell'abbattimento della statua c'era stato l'episodio tragico dell'uccisione
di George Floyd da parte di un poliziotto americano che aveva originato il movimento
Black Lives Matter e quindi la statua Colston, in quanto mercante e razzista, è stata abbattuta.
Altre statue non state rimosse, ma su un altro settore, nel giugno del 2020, la HBO rimuove
dal suo catalogo, anche se poi lo ripristina, addirittura un film famosissimo come Via Colvento
giudicandolo razzista. E addirittura in diverse università americane sono state censurate
o quantomeno si è richiesto di censurare dei testi letterari antichi, anche classici,
nel Metamorfosi di Ovidio, l'Odissea, giudicati anche questi per certi versi discriminatori
o violenti. Ecco, al di là di alcuni aspetti, forse anche un po' eccessivi, comunque parossistici,
della cancel culture, si pone una questione molto interessante, che è quella del rapporto
nostro con la memoria collettiva, col passato, in cui si ripropongono dal passato dei conflitti
più o meno attuali. Abbiamo pensato di affrontarlo con uno storico che se ne è occupato molto,
in maniera molto articolata, anche con delle tesi molto chiare, che è Alessandro Portelli.
Alessandro Portelli è uno dei maggiori storici della cultura americana, si è occupato molto
di letteratura, ma anche di musica, per esempio ha pubblicato con l'edizione dei Donzelli
due libri dedicati a Bruce Springsteen e a Bob Dylan. Con noi, con Laterza, ha fatto
un podcast che poi è diventato uno spettacolo intitolato Mystery Train, che è dedicato
al mito del treno nella cultura americana. Alle questioni di cui parleremo oggi con lui,
ha dedicato una sezione del suo libro Il ginocchio sul collo, l'America, il razzismo e la violenza
tra presente, storia e immaginari, in cui approfondisce questi aspetti. Buongiorno
Alessandro. Buongiorno, buongiorno e grazie di questo incontro. Grazie a te. Partiamo
con una prima domanda. Alcuni hanno detto e hanno sostenuto che non è mai giustificato
l'abbattimento di statue che magari sono state erette appunto cent'anni prima, anche se durante
regimi politici lontani, perché alcuni sostengono che sono una parte ormai dello scenario urbano,
ecco tu invece come la vedi? Ma guarda, a me vengono in mente tre episodi. Non so se è
presente la prima pagina della Certosa di Parma di Stendhal. Nella prima pagina della
Certosa di Parma, Stendhal scrive, i milanesi erano rimasti immersi nella notte profonda,
dato il perdurare del geloso dispotismo di Carlo V e di Filippo II. Rovesciarono le loro
statue e d'un tratto si trovarono inondati di luce. Il secondo episodio che mi viene in
mente, cito da Internazionale, l'8 dicembre del 2013, una folla urlante si raduna in un
viale che porta al centro di Kiev, in Ucraina. L'obiettivo della manifestazione è abbattere
dal suo piedistallo una statua di marmo di Lenin, alta circa tre metri e mezzo. Appena
la statua cade, i giovani ucraini, avvolti in bandiere e striscioni gialli e azzurri,
cominciano a distruggerla a colpi di martello, mentre un nostalgico comunista cerca di proteggere
con il suo corpo quello che rimane dell'icona di Lenin. Infine, dal National Geographic,
il 1 luglio 2020. Il 9 luglio 1776, mentre i cittadini di New York erano radunati per
ascoltare il testo della dichiarazione d'indipendenza appena giunto da Filadelfia, una folla tirò
giù e fece a pezzi la solenne statua equestre di Giorgio III, re d'Inghilterra. Quasi
tutto il piombo recuperato fu usato per fare proiettili dell'esercito coloniale rivolta.
Questi episodi non fanno parte di una presunta furie iconoclastica del politically correct
contemporaneo, fanno parte di una plurisecolare tradizione storica in cui tutti e tre questi
momenti, l'abbattimento di Carlo V, l'abbattimento di Lenin, l'abbattimento di Giorgio III, sono
raccontati come momenti di liberazione, cioè non sono cancellazione della storia, sono essi stessi
storia. Cioè è un grande fatto storico la caduta del comunismo e tra l'altro nessuno ha mai parlato
di cancel culture per la, secondo me, giustificatissima cancellazione delle statue di Marx e Lenin
dalle città dell'Europa dell'Est, lo dico da marxista più o meno immaginario. Hanno fatto bene.
Quindi mentre noi vediamo come momenti di liberazione l'abbattimento delle statue dei
nostri tiranni, non riusciamo a vedere lo stesso quando vengono abbattute le statue dei tiranni di
qualcun altro, la statua di un mercante di schiavi, di un generale schiavista. Io credo perché nel
episodio che ho citato vediamo l'irrompere nella storia dei nostri antenati, i nostri fratelli,
cioè maschi, bianchi, occidentali, liberal democratici più o meno. Ma quando quelli che
rivendicano la liberazione dello spazio pubblico, del discorso pubblico, sono soggetti che finora
erano tenuti in condizioni di subalternità e che per il solo fatto di emergere irrompono in uno
spazio che sembrava solo nostro, allora noi sentiamo una minaccia. Noi siamo tutti sinceramente
antirazzisti, antimaschististi, però alla fine sentiamo che la storia dell'antirazzismo e della
liberazione la dobbiamo raccontare noi, non loro. Per esempio la statua di Lincoln con lo schiavo
in catene ai piedi del suo liberatore, la statua di Roosevelt recentemente rimossa con lui a cavallo
e il nero seminudo e l'indiano con le penne a suo seguito, perché siamo noi che liberiamo loro.
Quando quello inginocchiato si alza e pretende di essere lui a raccontare, e magari si porta
dietro, come diceva Ernesto De Martino, tutte le storie di secoli di oppressione, allora
diciamo che cancella la storia, la sta facendo la storia. E infatti l'altro elemento, le statue non
sono la storia, le statue non sono la memoria, le statue sono una narrazione storica dettata da chi
ha il potere di erigerle. Abbattendo quelle statue non è che sia stata cancellata la memoria storica
di Carlo V, di Lenin o di Giorgio III. Carlo V sappiamo tutti chi è, sta pure nei manuali delle
scuole medie, Lenin tutte le biblioteche se uno lo vuol leggere, Giorgio III sappiamo benissimo chi è.
Non è stata cancellata la storia, può darsi che dopo aver buttato giù quelle statue i cittadini di Milano,
di Kiev e di New York avessero un'idea un po' diversa, meno manipolata della loro storia.
E vorrei aggiungere che noi confondiamo molto spesso la irruzione dal basso di nuovi soggetti
nella storia e la censura del potere dall'alto, non sono la stessa cosa. In questo momento, e noi
tacciamo e non ne parliamo, a raffica vengono emessi negli Stati Uniti provvedimenti in cui per
legge si impone come deve essere raccontata la storia. In Florida, per esempio, il governatore
De Santis ha varato una legge in cui non si può raccontare la storia della schiavitù in maniera
da generare sensi di colpa nei bambini bianchi. La Florida è lo stesso stato, a proposito di
cancellazioni, in cui un ragazzo nero, Trevor Martin, è stato ammazzato perché stava nel
quartiere sbagliato dopo il tramonto e l'assassino assolto. Ecco, c'è una relazione fra il divieto
di parlare della storia della schiavitù da parte del potere e il rischio fisico che corrono quelli
da questa scena del potere stanno. Lo stesso a me pare la questione delle chiusure dei
dipartimenti, a parte il fatto che in Italia, ma in tutto il mondo, stanno tagliando a tappeto da
generazioni il finanziamento, i fondi e il personale delle discipline classiche, delle
discipline umanistiche, puntando solo sulle peraltro necessarissime discipline scientifiche.
Ma uno degli scandali che sono emersi era quando Howard University, l'università storicamente nera,
ha chiuso il dipartimento di studi classici, peraltro distribuendo gli insegnanti in altri
dipartimenti, dicendo che l'università di Kamala Harris cancella Aristotele. Non è quello il punto,
è che il taglio di finanziamenti a tutte le discipline scientifiche e storiche, dettato non
dal politically correct di sinistra, ma dal potere statuale e finanziario, costringe a tappeto la
chiusura dei dipartimenti degli studi filosofici, chiudono una quantità di facoltà di filosofia
negli Stati Uniti. Tutto questo. Noi confondiamo alcuni gesti, una giornalista che si è permessa
di criticare l'autrice di Harry Potter e ci dimentichiamo per esempio che i libri di Harry
Potter sono sistematicamente dati alle fiamme, al rogo, nelle università cattoliche negli Stati
Uniti e anglicane negli Stati Uniti. Bruciano i libri e noi siamo zitti, però se una giornalista
si permette di dire che la Rowling ha detto una stupidaggine, cancel culture. Ecco, io credo che
noi non possiamo ignorare gli accessi del politically correct, ma a forza di vedere la
pagliuzza nell'occhio nostro accettiamo tranquillamente la trave nell'occhio altrui
che poi ce la picchiano sulla schiena. Ecco, mi sembra molto chiaro quello che tu ci hai detto,
mi vengono in mente due questioni. La prima è che in fondo forse il tema è che qualunque voce,
anche la più sgradevole, si pensa non debba essere zittita, anche perfino una voce razzista,
magari bisogna contrastarla, ma dire stai zitto in una società pluralista non sembra una cosa buona,
sembra un atto comunque violento. La seconda questione è se c'è una differenza tra la
rimozione di una statua, come è successo anche negli episodi che ho citato prima, da parte
addirittura di un governatore di uno Stato che è stato eletto e quindi esprime una maggioranza
dei cittadini e invece da parte di una minoranza che in quel momento si prende e si arroga il diritto
di buttare giù una statua contro magari l'opinione della maggioranza. Ecco, tu che ne pensi di questo?
Direi questo, in primo luogo il governatore della Virginia ha fatto rimuovere quella statua
per evitare che venisse abbattuta e quindi è stato un modo di salvarla, tant'è vero che
quella statua non è stata distrutta ma è tuttora visibile da un'altra parte. Lo stesso avviene per
la statua che lo Stato del Tennessee ha elevato subito dopo l'assassinio a Memphis di Martin Luther
King, il governo del Tennessee ha elevato una statua equestre al fondatore del Ku Klux Klan.
Questa non è memoria, questa è politica e ci dice da che parte stiamo. Questa statua
finalmente è stata rimossa e però non distrutta, quindi a me sembra che ci sia
semplicemente il fatto che qualche volta le istituzioni per evitare che le persone agiscano
di loro iniziativa preventivamente spostano. Vorrei aggiungere che quella statua di Robert E. Lee,
la richiesta di rimuoverla è stata avanzata per la prima volta nel 1893, l'anno stesso in cui è
stata elevata e non ha niente a che vedere con la memoria perché la guerra civile era finita da 30
anni quando fanno i monumenti a Robert E. Lee. I monumenti agli eroi del razzismo del sud sono
stati tutti elevati non durante la guerra civile ma in momenti successivi in cui bisognava ribadire
il suprematismo bianco, negli anni 20 che sono gli anni di gloria del Ku Klux Klan e tra gli anni
50 e 90 che sono gli anni in cui il sud resiste al movimento per i diritti civili che è un movimento
se vogliamo esattamente il contrario della cancel culture. Sul fatto che anche i razzisti hanno
diritto di parola certo e infatti in tutto il sud continuano a parlare tranquillamente. Il presidente
degli Stati Uniti, il precedente Trump, è stato eletto tranquillamente su una piattaforma
dichiaratamente e apertamente razzista. Quindi io non mi preoccupo tantissimo per il diritto di
parola dei razzisti che continua a esistere. Io mi preoccupo per il corpo fisico di quelli che i
razzisti continuano ad ammazzare e questa è una delle conseguenze di una modalità di narrare la
storia. Continuo a tornare sull'esempio della Rowling. Quando alcune giornaliste femministe si
sono permesse di dire che la Rowling aveva detto delle stupidaggini, non è che la Rowling è stata
cancellata. Ha continuato a parlare, ha fatto centomila interviste, non si è parlato d'altro
che di lei. Il problema è che sono state cancellate loro che l'avevano criticata. Quindi se da una
parte i razzisti hanno diritto a parlare, primo non sono obbligato io a farli parlare a casa mia,
secondo avrò anche io il diritto di dire che fanno schifo. Quindi questo a me sembra assolutamente
importante. Quello che noi chiamiamo cancel culture è spesso e volentieri semplicemente il gesto di
qualcuno che si permette di criticare qualcun altro. Oggi la metafora appunto per cui se io
ti critico ti ho ucciso, se io ti critico ti cancello, viene presa eccessivamente alla lettera.
Quello che rischiamo di cancellare, giustamente riconoscendo gli eccessi e i dogmatismi e i
settalismi, ma quello che rischiamo di cancellare è il diritto di critica. E questo a me sembra la
tendenza prevalente in questo momento negli Stati Uniti. La tendenza per cui in Virginia si esclude
dalle scuole persino le opere di Toni Morrison, perché giustamente non raccontano la schiavitù
come la racconta la statua di Robert E. Lee. E non dimentichiamoci che se c'è una censura in
Italia è stata la censura dei libri accusati di promuovere la ideologia gender dalle biblioteche
di una serie di comuni italiani, anche importanti, amministrati dalla destra. Questo mi sembra che
sia stato un episodio importante in cui le istituzioni, il potere, decidono che cosa possiamo
leggere e che cosa no. Sì, devo dire peraltro su quello che hai detto a proposito del diritto di
parola sono totalmente d'accordo. Io credo che Laterza non pubblicherebbe un libro di un razzista.
Dopodiché ci sono dei limiti che la legge pone. Per esempio due o tre anni fa, alzano nel libro,
ci fu una grande discussione perché c'era un editore che aveva chiesto uno stand e non gliel'hanno
dato, un editore che aveva nel suo catalogo dei libri che facevano un'apologia del fascismo,
comunque esprimeva un apprezzamento, lì c'era una norma del Salone che prevedeva questa possibilità
e però ci fu una grande discussione. Ora, a proposito di questo, nel tuo libro, Il ginocchio
sul collo, scrivi a un certo punto che ogni volta che tu vai allo Stadio Olimpico rimpiangi di non
avere con te una carica di dinamite da mettere sotto l'obbedisco di Mussolini, Mussolini Dux,
ce lo confermi? Ma è chiaramente una metafora, però se ce l'avessi non lo so. Però il punto
qual è? Ci lamentiamo sempre, sacrosantamente, del razzismo nelle curve dello stadio. Se uno va
allo Stadio Olimpico non passa solo sotto le forche caudine del monumento a Mussolini,
ma si fa un intero viale fiancheggiato da stelle marmoree che esaltano le glorie del regime fascista,
peraltro mentendo, quindi intanto è una narrazione storica non solo propagandistica ma anche falsa,
camminando su mosaici su cui c'è scritto, a parte Dux, Dux, Dux, molti nemici, molto onore. Ecco,
questo molti nemici, molto onore è uno degli slogan fatti propri dalle curve estremiste dello
stadio. Tutti siamo convinti che gli arbitri ce l'hanno con noi. Devo dire che per fortuna,
almeno me lo metto sotto i piedi queste scritte quando vado allo stadio. Noi non ci possiamo
lamentare se il fascismo non è più un fatto del passato ma è una inquietante presenza contemporanea,
anche perché a questa gente una lezione di fascismo le facciamo tutte le settimane,
dopodiché ci lamentiamo se diventano fascisti. Ecco, io in questo ho un serio problema,
il Foro Italico è peraltro un'opera d'arte importante, non va toccata, eccetera, eccetera,
però mi ricordo che almeno Gianni Rodari suggeriva, beh, visto che l'altro lato di
quelle stelle è vuoto, scriviamoci almeno come sono andate davvero le cose, che già sarebbe
un pochino di compensazione, anche se istituirebbe una specie di par condicio fra la narrazione
fascista e quella democratica. Ecco, io credo che in qualche misura un'operazione che permettesse,
nel caso del Foro Italico, di mantenerlo, ma di leggerlo in maniera critica, in maniera che non
appaia come un messaggio destinato a chi lo frequenta in questo momento, forse dovremmo
trovarla, in questo caso senza bisogno di distruggerlo, anche se poi tanto intangibile
non è, visto quante volte è stato rifatto quello stadio, coperto, scoperto, allargato,
quindi tanto intangibile non è, però in qualche misura sarebbe utile che aiutassimo i cittadini
italiani che frequentano quel luogo a non essere sottoposti ogni domenica a una falsa
narrazione della storia.
LM – Ecco, ma viene da porsi la domanda, quanta distanza deve passare perché una testimonianza
non sia più un'esaltazione, un messaggio attivo e entri dentro una parte, come dire,
di più distaccato rapporto con la storia? Come valutiamo l'attualità di un messaggio?
Sì, possiamo dire che Giulio Cesare nel suo atteggiamento nei confronti dei popoli del
nord non è razzista e quindi non fa danni la stato a Giulio Cesare, come ci poniamo
nei confronti del passato più o meno remoto?
GZ – Guarda, io credo che intanto se noi pensassimo di spezzare le règne alla Francia,
forse i monumenti a Giulio Cesare potrebbero far parte di quel tipo di neonarrazione. Il
problema è che le cose non scompaiono mai, cioè il razzismo non è un residuo del passato
che a mano a mano va scomparendo, ma è una tentazione del presente che riemerge di volta
in volta. Quindi noi possiamo pure pensare che certe narrazioni siano ormai superate,
ma che ritornano, tendono a ritornare. Ovviamente dire «buttiamo giù il Colosseo perché lì
ci hanno ammazzati i cristiani» mi pare una reductio ad absurdum, anche perché non c'è
nessuno che lo rivendica. Questo forse è uno dei criteri, cioè se qualcuno oggi chiede
di buttare giù la statua di un mascalzone che si è arricchito vendendo esseri umani
e poi vuole andare in paradiso regalando i frammenti di questa ricchezza, se qualcuno
pensa di buttarlo giù è anche perché in questo momento alcune delle cose che rappresenta
sono attuali. Se nessuno pensa di buttare giù la colonna traiana forse è perché non
offende più. Io forse mi affiderei più che a un criterio astratto a un dato di discussione
politica. Poi non sempre quelli che dicono di buttare giù una cosa hanno ragione, ma
molto di rato quelli che dicono che ce la dobbiamo tenere hanno ragione anche loro.
Sui temi di cui stiamo parlando abbiamo sentito Costanza Rizzacasa d'Orsogna, una giornalista
del Corriere della Sera che proprio in questi giorni esce con noi, con Laterza, con un
libro intitolato «Scorrettissimi, la cancel culture nella cultura americana». Sentiamo
cosa ci ha detto. Nel mio libro che contiene analisi e interviste
esclusive come ad esempio con l'esperto di primo emendamento, cioè il Freedom of Speech
sulla libertà di parola, Greg Lukianoff che è autore con il sociologo Jonathan Haidt
di questo saggio seminale The Coddling of the American Mind, ma poi anche con Blake
Bailey che l'autore cancellato l'anno scorso della biografia di Philip Roth in quello che
è stato lo scandalo editoriale di maggior risonanza degli ultimi decenni, la biografia
che in uscita tra qualche mese è anche in Italia peraltro, nel mio libro dicevo porto
i lettori al cuore del dibattito sulla cancel culture che infuria nella società non solo
americana ormai, parole come appropriazione culturale, supremazia bianca, mascolinità
tossica, wokeness usate spesso, spessissimo ormai a sproposito, popolano le conversazioni
quotidiane, in particolare alla parola woke, una parola diventata il suo contrario nel
tempo, proprio come un po' è successo alle parole cancel culture e politically correct
dedico un intero capitolo del mio libro.
Sullo sfondo una polarizzazione politica del pensiero che negli Stati Uniti per esperti
ha raggiunto un punto di non ritorno, pensiamo solo a quanto si evochi sempre più frequentemente
in America la guerra civile, anche da parte ormai di grandissimi politologi come ad esempio
Barbara Walter che ha un passato alla CIA, un'evocazione fino a due anni fa ritenuta
risibile quella di una nuova guerra civile negli Stati Uniti e poi dall'altro lato il
modello parentale ed educativo del safetism, la sicurezza emotiva come valore sacro di
cui scrivono appunto Lukianov e Haidt e ovviamente la censura non è solo di sinistra, la retorica
di sinistra anzi che da anni in furia dentro e fuori campus eliminando tutto ciò che può
apparire politicamente scorretto, alimenta il bigottismo di destra che ha anche una sua
lunghissima storia in un ciclo vizioso in cui finiscono per perdere tutti. Le guerre
culturali dilaniano la scuola dell'obbligo poi con il numero dei libri banditi o contestati
che sfonda ogni mese nuovi record, ora è chiaro che mettere i libri al bando non è
nulla di nuovo nelle scuole americane, diverse poi oggi sono le tattiche e fortissima soprattutto
la politicizzazione e allora guardando agli autori Mark Twain, Harper Lee, Patricia Highsmith,
abbiamo già parlato di Philip Roth, la cancel culture vorrebbe cancellarli tutti
e poi ci sono anche Ernest Hemingway o Norman Mailer in verità cancellati da un pezzo,
notevole per esempio il caso Hemingway, l'anno scorso era uscito anche in Italia un importante
documentario del grande filmmaker Graham Barnes che concepito prima dell'avvento del MeToo
aveva poi dovuto cambiare, sterzare completamente, cambiare completamente direzione in seguito
all'avvento del MeToo e finito questo documentario per diventare un'excusatio della misoginia di Hemingway
sulla base della presunta malattia mentale ed è un po' risibile anche se il documentario poi chiaramente
è fatto bene, si tratta sempre di Ken Barnes, però è come se fosse necessario ricorrere alla malattia mentale
di Hemingway per giustificarne l'interesse e la lettura, ci stiamo parlando di un autore la cui
rivoluzione stilistica ha stravolto la letteratura americana e continua a influenzare, continuerà a farlo
generazioni di scrittori, contemporaneamente a destra poi si spinge per cancellare Toni Morrison,
Margaret Atwood e tantissimi altri autori afroamericani, autrici femministe, autori LGBT+.
Quanto era misogino Philip Roth? Quanto era razzista Flannery O'Connor? Quanto era antisemita Patricia
Haismith? Ah sì certo, moltissimo, ma il punto è dovrebbe importarci, dobbiamo giudicare i capolavori
della letteratura del passato alla luce delle sensibilità odierne, dovremmo forse smettere di leggere
per esempio un autore come William Faulkner per non essere riuscito a fare i conti con il razzismo
sistemico, se cento anni dopo l'America stessa non riesce ancora a farli e d'altronde poi, certo è anche
vero, assolutamente, possiamo chiedere ai diritti di aspettare in nome di una presunta sacralità della
letteratura. Insomma, ecco, come siamo arrivati qui? Che sta succedendo? Nel mio saggio racconto questo
terremoto culturale, ne ricostruisco la genesi e le ragioni all'interno del contesto storico, politico
americano in cui è nato e tutto questo perché, per citare l'attivista afroamericano Eldridge Cleaver
che era uno dei leader dei Black Panthers, ecco come diceva lui, o sei parte della soluzione o sarai parte
del problema. E adesso torniamo alla nostra conversazione con Alessandro Portelli.
Dunque, noi abbiamo fatto molti esempi fin qui, soprattutto americani, ma ci sono stati anche fenomeni
in Europa. Recentemente si è discusso sul fatto che con la guerra si rimuovevano i letterati russi, per esempio
Dostoievski dai programmi culturali. Ha senso o non ha senso? E anche qui, io te lo chiedo in senso ampio,
in realtà non è soltanto in questo caso una rimozione dei testi. Per esempio si è scelto di non invitare
in alcuni casi alcuni artisti, ballerini o russi, oppure sportivi russi, perché si voleva dare un segnale
forte della nostra adesione, della nostra alleanza alle posizioni ucraine. Ti convince questo tipo di
atteggiamento? Ti sembra utile?
No, direi proprio di no. Tanto vorrei ricordare che io ho insegnato letteratura americana e in tutto il periodo
in cui gli Stati Uniti bombardavano e massacravano in Iraq e in Afghanistan e nessuno mi è venuto a dire
cancelliamo Mark Twain, vietiamo l'insegnamento di Henry James o altro. Questo perché in qualche modo
c'eravamo anche noi tra quelli che bombardavano. Oggi questo accanimento nei confronti, accanimento peraltro
a me pare occasionale e minoritario nei confronti di espressioni della cultura russa, mi sembra diverso
da quello che è successo a Bristol e a Charleston perché non nasce dal basso, ma è un eccesso di zelo
nell'aderire a quella che è la linea ufficiale del potere del governo. Buttare giù Robert E. Lee significa
andare contro la narrazione ufficiale dello Stato della Virginia. Vietare un seminario su Dostoevsky
è un eccesso di zelo a favore di una posizione che è la posizione ufficiale del nostro governo e della maggioranza
delle forze politiche che peraltro, sacrosantamente, sostiene la resistenza della nazione ucraina all'invasione russa.
Questo a me sembra che sia una differenza. Mentre gli episodi di cui parlavamo prima sono essenzialmente
episodi di dissenso nei confronti del potere, questi sono momenti di eccessivo zelo di consenso.
Questa è una differenza che ci ricorda anche che la riscrittura della storia, della letteratura, dei canoni
non avviene solo per colpa dell'irruzione dal basso di soggetti non autorizzati, ma avviene nella maggior parte
dei casi con le scelte e gli orientamenti che provengono dall'alto, dalle istituzioni e dal potere.
Tra l'altro in queste settimane, sentendo le notizie sull'esclusione di artisti sportivi russi, mi viene in mente
quanto scriveva qualche anno fa Amartya Sen, il saggio si chiamava Identità e violenza, e si diceva
ciascuno di noi ha tante identità, identità delle sue convinzioni politiche, un'identità anche religiosa
o quella professionale, i suoi interessi, i suoi hobby. Se noi rinunciamo a queste varie identità in nome di una
che prevale su tutti, che sia quella nazionale o quella religiosa, questo genera violenza.
Mentre ognuna di queste identità ha un'occasione per creare un ponte, un rapporto, e quindi voglio dire
al di là del fatto che quell'artista è russo, è anche un artista, è un musicista, ha rapporti potenziali
con musicisti di altri paesi, magari anche ucraini, e quindi recidere questo legame forse non è utile,
non è bene. E poi c'è una questione particolarmente importante, e cioè come tutto questo si cala nel tema
dell'insegnamento. Tu prima ricordavi il tuo insegnamento negli anni rispetto alla guerra in Iraq,
c'è un insegnamento anche a scuola, come dovremmo comportarci? Dovremmo forse cambiare le informazioni
o i giudizi, contestualizzare le cose che sono scritte nei manuali, ripensarle alla luce del dibattito attuale?
Cioè come si dovrebbe comportare un insegnante che ha a che fare con dei ragazzi giovani su questo tema?
Intanto una delle cose che forse è il caso di evitare è proprio la prescrittività, devi fare questo,
devi fare quest'altro. Penso che l'unica cosa che un insegnante può seriamente fare è usare al massimo
la sua buona fede e cercare di seguire i paradigmi, le procedure previste dalla ricerca storiografica.
Vorrei aggiungere che questo cambia continuamente e non è sempre necessariamente la politica di corrette
e sinistra. Nella regione Lazio sono stati dati alle fiamme, non più di tanti anni fa, dei libri colpevoli
di essere antifascisti durante la presidenza della regione storace. E se voi ci fate caso i manuali di storia
sono radicalmente cambiati. Molto giustamente si è introdotto per esempio il tema delle foibe,
che prima o non c'era o c'era molto poco. Questo è un cambiamento nei manuali che è dovuto sia a pressioni politiche,
sia anche a un riconoscimento di un dato storico vero. Quello che nei manuali completamente manca, per esempio,
è forse il fatto che oggi in Italia ci sia una presenza anche di cittadini italiani con un'altra storia.
Manca completamente la storia del colonialismo italiano. Il 21 di maggio si è celebrato la ricorrenza
della strage commessa dagli italiani, e dico italiani non dico fascisti, commessa dagli italiani a Debrali Banos.
Più di mille monaci, studenti, ammazzati nel quadro di un massacro generalizzato in tutta l'Etiopia,
altro che fosse Ardeadine. Non c'è una riga nei nostri manuali. Qui non è questione di politicamente corretto.
Qui chi è che cancella che cosa? E questo a me pare molto importante. Quello che stiamo cancellando
è la storia dei nostri crimini di guerra. Forse i nostri manuali dovrebbero aiutarci. Perché il problema è anche
quello di che cosa pensiamo che sia la memoria. E per questo c'è questo malinteso che i monumenti sono memoria.
Perché fanno parte di un'idea di memoria che racconta o quanto siamo gloriosi o quanto abbiamo sofferto.
Io credo che la memoria ci deve pure raccontare, queste cose va bene raccontarcele, ma ci deve pure raccontare
le schifezze che abbiamo fatto. Cioè la memoria non serve solo a farci sentire bene, la memoria serve anche a disturbarci.
E se noi invece continuiamo a coltivare un'idea di memoria che è solo le glorie patrie e i soprusi che ci hanno fatto i cattivi,
questa è cancellazione, questa è cancel culture.
Da questo punto di vista è molto interessante quello che scrivi anche nel tuo libro, a un certo punto, sulla risignificazione.
Cioè racconti, facendo alcuni esempi, su quello che per esempio è successo a Bolzano, dove c'è un grande fregio della Casa del Fascio
con scritto credere, obbedire e combattere, ma sotto c'è una frase sempre molto grande che hanno inserito dopo di Anna Arendt
in cui si dice che nessuno ha il diritto di obbedire e questa frase è in tedesco, in italiano e in ladino.
Ci si è scelto di non cancellare la scritta fascista, ma di aggiungere un'altra frase ugualmente evidente.
Quindi a una memoria violenta, razzista, se ne contrappone un'altra.
Può essere una soluzione quella di dare un messaggio diverso, completamente diverso, portando i nostri valori, i valori della nostra convivenza?
Ma io penso che quando è possibile è la soluzione giusta. Quando è possibile, non sempre è possibile.
E va fatto come hanno fatto a Bolzano, in maniera tale che tu non puoi vedere quel fregio o non puoi vedere l'arco della vittoria,
che è il simbolo del colonialismo italiano südtirolo, senza vedere anche la critica.
Se noi ci limitassimo sotto al monumento a Mussolini, a metterci dieci righe dicendo sì però questo è un mascalzone,
peraltro è quello che è stato fatto con le stelle di Travertino.
Cioè alla fine delle stelle di Travertino, siccome c'erano rimaste due vuote perché il regime si preparava a celebrare altre glorie,
c'è stato scritto il 25 luglio, caduta del regime, e 2 giugno mi pare.
Cioè sono state aggiunte queste due cose. Devo dire che non bastano.
Primo perché sono state aggiunte esattamente con la stessa grafica per cui sembra una continuazione della stessa narrazione.
Perché nessuno ci spiega perché è caduto quel glorioso regime di cui abbiamo avuto la narrazione fino a un sasso prima.
Quindi la risignificazione va fatta in maniera tale che non sia possibile non vederla.
Questa è la intelligenza di quello che hanno fatto a Bolzano.
Perché quel fregio, che non è un'opera d'arte, a me pare anche brutto, però non lo puoi buttare giù perché è troppo grande.
E allora tu fai una scritta tale che anche chi passa casualmente non possa non leggerlo criticamente.
Per cui metterci una toppa, come avevamo detto, sotto la statua di Churchill, mettere un cartello con scritto
«Si però ha fatto morire di fame 3 milioni di indiani nella Seconda Guerra Mondiale».
E no, non basta. Perché è qualcosa che uno deve andarselo a cercare per vederlo.
La risignificazione deve essere tale che non sia più possibile leggerlo se non criticamente.
Su questo credo che ci siano fior di artisti, di architetti, di urbanisti che hanno delle idee e spero che vengano fuori.
Sì, d'altra parte tu stesso hai detto prima, la memoria deve essere anche disturbante.
Quindi in un certo senso se noi siamo disturbati da una memoria razzista violenta ci poniamo anche il tema, non il problema.
Perché se non ci fosse la statua dei Mussolini tu sei convinto che non ci sarebbero comunque tifosi razzisti
o residui fascisti nei partiti italiani? Cioè senza i monumenti non si produrrebbero forse comunque quei tratti
che Umberto Eco ha definito di fascismo eterno?
Ma in quanto eterno, poi lo dicevo, il razzismo rinasce sempre.
Però diciamo che in qualche modo sarebbero un pochino meno legittimati dall'uso pubblico ufficiale dello spazio.
Quindi quello che noi facciamo è legittimarli.
Mentre io condivido questa idea che se noi conserviamo e rileggiamo criticamente questi strumenti ci ricordiamo
che noi italiani siamo stati fascisti e forse è il caso di stare attenti a non ridiventarlo.
In questo senso sì, la memoria dei crimini commessi è molto importante.
Per cui qui ci vuole veramente un livello di creatività artistica, urbanistica, architettonica
di cui probabilmente poi nel nostro Paese siamo anche capaci.
L'ultima cosa che ti vorrei chiedere, stiamo parlando di atti forti, di eliminazione di monumenti,
di cancellazione di opere letterarie, però c'è qualcosa che tu scrivi anche nel libro
e cioè che esiste una per così dire cancellazione per incuria.
Tu fai l'esempio di due monumenti romani, uno a Giacomo Matteotti e l'altro a Garibaldi
che sono lasciati senza manutenzione nell'indifferenza generale.
Questa cancellazione per incuria può essere forse ancora peggio?
C'è anche questo.
Il punto è proprio che nel caso di Matteotti e Garibaldi per esempio, non è presente in questo momento
nel nostro discorso politico e sociale una forza culturale che dica quel monumento ci rappresenta.
Cioè lasciamo perdere Garibaldi che pure vale la stessa cosa a suo modo,
ma l'incuria al monumento di Matteotti è l'indicazione molto precisa del fatto che
l'antifascismo non è più il collante della nostra convivenza.
Anche questa è una risignificazione, una risignificazione che segnala che in quel monumento
evidentemente le nostre istituzioni non si riconoscono più.
Questo mi pare abbastanza preoccupante.
C'è questa geniale proposta di cancellazione per incuria da parte di questi urbanisti americani
che dicono che quel parco nazionale sopra l'Atlanta, in cui un'intera montagna è scolpita
per dare l'immagine di quei traditori che hanno combattuto contro il governo americano
per sostenere la schiavitù.
Siccome è un parco naturale, lasciamo semplicemente crescere l'erba
e piano piano la natura se lo riprenderà.
È un po' uno specchio di questa cancellazione per incuria del monumento di Matteotti
che io trovo veramente molto grave.
Aggiungerei che un'altra modalità di incuria è il fatto che due terzi delle statue che stanno in giro
nelle piazze nessuno sa più chi rappresentano e nessuno se ne ricorda più.
In qualche modo non rappresentano memoria ma magari uno spartitraffico.
Quindi possono anche essere sostituite o risignificate o tolte.
Grazie. Credo che veramente ci hai fatto vedere come questo è uno dei compiti fondamentali
di uno storico, cioè riportare la memoria nell'attualità collegando la storia passata
ma anche il presente, perché la storia come tu scrivi è anche presente
e va collegata poi con la vita di ogni giorno.
Questa storia ci interroga, ci ripropone continuamente delle questioni
e credo che la morale del nostro discorso, o almeno una delle possibili morali,
è che dobbiamo discuterne.
Discuterne con serietà, approfonditamente, capire cosa siamo e di come questo nostro modo di essere
si fa anche nel rapporto col passato e cosa vuol dire lasciare i segni del passato
nelle statue ma anche nei libri, nei romanzi, nei film.
Questo probabilmente ci fa capire come quello che noi facciamo è sempre
in una riflessione continua sul passato.
Ti ringrazio molto, credo che sia stato molto utile questa nostra conversazione
e mi auguro di risentirti presto.
Alle prossime, grazie.
Avete ascoltato Radar, un podcast degli Editori Laterza.
Post-produzione e musica a cura di Matteo Portelli.