XXIX puntata
Da Mosca La Voce della Russia.
Vi invitiamo all'ascolto della XXIX puntata del ciclo ”1812.
La bufera napoleonica” a cura di Dmitri Mincenok. Kutuzov arrivò a cospetto dell'esercito e lo trovò in piena ritirata.
Nel passare in rassegna la truppa e salutando a gran voce i soldati egli esclamò piu di una volta: “ Come si fa ritirarsi con valorosi così….” I soldati lo acclamavano con entusiasmo.
Kutuzov aveva imparato da Suvorov a parlare ai soldati con semplicità e simpatia e tutti lo capivano, perché parlava alla loro maniera. Con le sue parole rafforzò il convincimento che Mosca non sarebbe stata consegnata al nemico. Contrario ad ogni forma di pomposità lui si presentava in sella ad una cavallina, con una vecchia divisa da campo, la bustina con il fregio bianco e rosso, la sciarpa su una spalla, mentre dall'altra pendeva il rozzo frustino cosacco.
Questi attributi esteriori ricordavano il comportamento di Suvorov e servivano egregiamente a mantenere vivo l'entusiasmo che la sua nomina aveva suscitato nelle truppa. Avversario delle formalità egli approvò tutte le libertà che i soldati si erano presi per semplificare la complicata divisa dell'epoca rendendo così più facile la vita di tutti i giorni.
Poi ridusse drasticamente il lavoro di fureria liberando i sottoposti dall'obbligo di scrivere continui rapporti con lo scopo di suscitare in loro un certo spirito di autonomia perché nei momenti critici sapessero prendere le decisioni del caso.
Anche in questo caso fece ricorso all'astuzia.
Incominciò a prendere tempo nella firma delle carte che arrivavano a lui tirando in ballo l'età e la poca memoria. Generali e ufficiali capirono che il comandante in campo aveva fiducia in loro.
Scontenti furono soltanto gli amanti di ogni corrispondenza burocratica. Intanto fra i soldati si diffuse un modo di dire: “ È arrivato Kutuzov a battere i francesi!” .
E senza un ordine preciso la ritirata si fermò da sola. Allora il quartier generale delle truppe russe si trovava in un villaggio di Gzhatsk.
Dopo una ricognizione compiuta insieme a Barklai ,Kutuzov disse che le posizioni erano ottime per dare battaglia. Allora la Russia poteva schierare 110 mila uomini. Tutti pensarono che l'indomani ci sarebbe stata battaglia e incominciarono a prepararsi. Ma il giorno dopo, era il 19 agosto, arrivò, sorprendente per tutti, l'ordine di ritirarsi.
Potrebbe sembra un paradosso, ma Kutuzov, notabile della vecchia corte di Caterina, era convinto che alla sua ritirata, le truppe e il popolo avrebbero guardato con occhio diverso.
E aveva ragione. In una lettera al sovrano egli spiegò la sua decisione con la necessità di assegnare personalmente ai vari reggimenti, alquanto provati dai combattimenti seguiti alla ritirata da Smolensk, i rinforzi che stavano arrivando da Mosca.
Probabilmente Kutuzov aveva bisogno di tempo per familiarizzarsi con la situazione, conoscere le truppe e prima di tutto i suoi collaboratori.
Kutuzov era prudente e voleva evitare ogni rischio.
Ricominciò la ritirata, ma i soldati marciavano già con un altro spirito.
Avevano capito che Mosca non sarebbe stata consegnata al nemico senza combattere e che il vecchio Kutuzov voleva soltanto scegliere il posto migliore per dare battaglia, ma dopo che sarebbero arrivati i rinforzi. “I nostri soldati volevano combattere” – avrebbe scritto Fedor Glinka che dopo la guerra avrebbe dato vita alla Loggia massonica “ Heirug” (Libertà in ebraico) e animatore delle società segrete decabriste.
In marcia verso Mosca i soldati gridavano: “ Vediamo già le barbe canute dei nostri padri, possiamo forse abbandonarli al disonore?
E l'ora di battersi!” La continua ritirata non permetteva a Napoleone di prevedere dove le truppe si sarebbero fermate e questa era una fonte di irritazione permanente.
Arman De Colencour scrive che Bonaparte era stato spaventato dalla notizia che i russi volontariamente avessero dato fuoco a Smolensk.
Non si aspettava una tale resistenza e rimase stupito dal fatto che contro i suoi soldati ormai combattessero i servi della gleba che egli non aveva mai preso in considerazione.
Per lui la guerra contro Alessandro, come quelle contro gli altri sovrani di Europa, era una guerra politica e mai avrebbe pensato che potesse trasformarsi in guerra di popolo.
La conquista di enormi territori era assolutamente priva di senso.
E lui si trovava a riflettere sulla necessità di non avanzare oltre Smolensk e di cercare la via delle trattative. A Smolensk al conte Orlov, arrivato come parlamentare per visitare il generale Tuckov, caduto prigioniero, egli consegnò una lettera per l'Imperatore Alessandro.
In quella missiva egli indicava di non nutrire nei suoi confronti nessuna ostilità, che la guerra in corso era esclusivamente un fatto politico e che in ogni momento era possibile trovare un accordo.
Il silenzio del governo russo lo preoccupò ancor di più.
Intanto da Londra i suoi agenti lo informavano che: “ gli emissari inglesi in Russia” soffiano sul fuoco, incitano la nobiltà a combattere fino all'ultima goccia di sangue impedendo così ad Alessandro di trovare un accordo con Napoleone.
Alessandro viene convinto che Bonaparte gli vuole strappare tutte le province polacche e che questo sarebbe il prezzo della pace.
E lui non può accettare una simile pace perche in caso contrario i nobili, che hanno tante proprietà in Polonia, gli avrebbero fatto fare la fine del padre.
E in tutto questo non mancava una certa dose di verità.
Il 22 agosto l'esercito russo prese posizione a Borodinò.
Alla battaglia decisiva mancavano 15 giorni.
Avete ascoltato la XXIX puntata del ciclo "1812.
La bufera napoleonica" a cura di Dmitri Mincenok.