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Conversazioni d'autore, 'La musica della luce' di Giovanni Bietti

'La musica della luce' di Giovanni Bietti

Buonasera e benvenuti a questo incontro di Casa La Terza e questa volta parliamo di un

libro che si chiama La Musica della Luce, dal flauto magico alla nona sinfonia. Ne parliamo

con l'autore Giovanni Bietti. Buonasera Giovanni. E ne parliamo con un altro autore, anche lui della

casa editrice, uno storico di cui adesso vi dico due parole, Alberto Mario Banti. Buonasera Alberto.

Buonasera. Io sarò qui soltanto pochi secondi per introdurvi e poi vi lascio al vostro dialogo.

Sono molto contento, particolarmente contento di avervi con noi oggi perché ci sono molti punti

di congiunzione, secondo me nei vostri interessi, che pur appaiono diversi. Perché? Perché Giovanni

Bietti è un musicista, un compositore, un divulgatore musicale che ha lavoro in molti

ambiti. Mi ricordo soltanto tra questi per esempio la radio, dove è un seguitissimo speaker o

musicista su Radio 3 ed è anche un autore di molti libri. Per noi ha scritto su Mozart, su Beethoven.

In particolare l'ultimo libro prima di questo di Giovanni è Lo spartito del mondo, breve storia

del dialogo tra culture e musica. Già in questo libro c'era molto evidente quello che in tutta

l'opera di Giovanni, ma ancor più in questa opera, è la musica della luce, cioè il mettere insieme

la sfera della musica in senso proprio, un'analisi dall'interno della grammatica musicale, con la

sfera culturale in senso generale. E fare vedere come le due abbiano molti punti di coniugazione,

molto più di quanto si attribuisce di solito alla musica una fortissima carica sentimentale,

emotiva, non sempre si ne riconosce la correlazione ideale. Ed è qui che entra in gioco Alberto Banti,

perché Alberto è uno dei più originali storici italiani. Alberto ha iniziato lavorando su

Risorgimento, poi si è spostato anche sulla Contemporaneità. Da ultimo, lo ricordo perché

è un libro abbastanza straordinario da tutti i punti di vista, ha fatto un libro che si chiama

La democrazia dei followers, neoliberismo e cultura di massa. Siamo in pieno novecento in

questo caso, come sul suo libro precedente si chiamava Wonderland, ed è un'analisi dei consumi

culturali alla luce, diciamo, della cultura di massa, della politica, dell'economia della nostra

epoca. In realtà Alberto Banti già nei suoi studi su Risorgimento aveva fatto Storia della Cultura,

quelli che in America, come sapete, sono molto sviluppati, si chiama Cultural Studies. Da noi,

diciamo, ci sono ormai studi su questo, un po' meno, e Alberto è sicuramente uno dei più originali

storici che ha fatto Storia della Cultura, cioè ha fatto capire, e questo per una cosa si dice

come la terza è, come dire, il nostro budino, non so come dire, il nostro cup of tea, il nostro

ideale, come la cultura abbia un enorme impatto su tutte le sfere della vita, e non è una riserva

indiana quella degli intellettuali. Gli intellettuali, chi fa cultura, quindi anche i musicisti,

naturalmente determinano e cambiano i comportamenti delle persone, determinano le sfere della politica,

della società, dell'economia. Mi fermo qui, do la parola poi a Giovanni, ecco perché io, come credo

voi, sono molto interessato e incuriosito da questo dialogo tra persone che hanno seguito

percorsi diversi dal punto di vista degli ambiti, ma che credo abbiano molto in comune dal punto di

vista della curiosità intellettuale, che mi sembra alla fine nel nostro lavoro, credo sia

d'accordo, è quello che conta. Arrivederci, vi saluto, buon dialogo, a te la parola Giovanni.

Grazie. Allora, vorrei essere inquadrato bene. Intanto buonasera a tutti, volevo ringraziare

Alberto Mario Banti per la disponibilità, anche per la semplicità con cui ha accettato questo

dialogo e il modo in cui ci siamo immediatamente relazionati. Siamo d'accordo che io faccio una

rapida introduzione generale del libro per spiegare come è organizzato, quali sono i contenuti e poi

dopo cominciamo a dialogare, a interagire sui contenuti di questo libro e perché no anche su

altri aspetti. Il libro è un libro, credo, molto agile, sono 120 pagine di testo e poi c'è una

sezione di apparati abbastanza nutrita con un glossario, cosa che io amo sempre inserire nei

miei testi musicali. Ci sono degli esempi audio, ossia ogni capitolo è in qualche modo correlato

attraverso una possibilità di ascoltare qualcosa della musica di cui si parla nel corso di quel

capitolo e gli esempi sono sia suonati che raccontati, che spiegati a voce, è una formula

che ho già sperimentato e che funziona molto bene, devo dire. L'argomento, la musica della luce,

è la musica del luminismo essenzialmente e il libro si concentra su tre grandi autori che sono

probabilmente i tre massimi rappresentanti delle idee dei lumi attraverso la musica che sono Haydn,

Mozart e Beethoven, tre musicisti che vivono nella stessa città, vivono a Vienna, tre musicisti che

interagiscono fra loro perché Mozart e Haydn erano amici, collaboravano, suonavano insieme,

si influenzano a vicenda e poi Beethoven che arriva a Vienna l'anno dopo la morte di Mozart,

non sappiamo se i due si siano in precedenza conosciuti, pare di sì ma non è certo, in ogni

modo Beethoven va a Vienna per studiare con Haydn e quindi questa che viene normalmente chiamata la

triade classica, il grande classicismo viennese, in qualche modo è composta questa triade da tre

musicisti strettamente collegati fra loro che affrontano gli stessi generi musicali, usano un

tipo di linguaggio che ha molte caratteristiche comuni, si influenzano a vicenda, si passano il

testimone musicalmente e in particolare prendo in esame in questo libro cinque grandi composizioni,

cinque delle composizioni più celebri di ogni tempo che sono il flauto magico di Mozart,

la creazione, il grande oratorio di Haydn che chiude il settecento, viene eseguita per la prima

volta nel 1799, l'unica opera di Beethoven, il Fidelio, che ha una storia lunghissima, la prima

esecuzione del 1805, la terza versione addirittura del 14, l'anno in cui si apre il congresso di

Vienna e poi le due grandi sinfonie, forse i pezzi sinfonici più famosi in assoluto della storia

della musica che sono la quinta e la nona sinfonia di Beethoven. Queste cinque composizioni sono

esaminate nel corso del libro, c'è un capitolo introduttivo che cerca di affrontare in senso

generale il modo in cui i musicisti reagiscono alle idee dei lumi e quindi in questo capitolo

prendo in esame alcune caratteristiche del linguaggio musicale, parlo della forma sonata,

parlo del singolare ruolo della musica strumentale che all'inizio del settecento è un genere

subordinato decisamente secondario e a fine secolo, all'inizio dell'ottocento, diventerà

invece, sarà considerata forse la forma in assoluto più alta di espressione musicale,

parlo della peculiare singolare caratteristica del linguaggio musicale che questi compositori

sviluppano per dar vita, rappresentare nella loro musica la metafora per eccellenza dei lumi,

l'idea del passaggio dal buio alla luce, il passaggio dal buio alla luce in molte composizioni

di Mozart, di Hagen, di Beethoven è esplorato attraverso un espediente tecnico preciso,

il passaggio dal modo minore al modo maggiore, ci sono degli esempi nel libro ma credo che sia

molto semplice far capire questa differenza, questo è un accordo minore, ha un carattere

piuttosto oscuro, drammatico, malinconico se lo vedete, ora vi faccio lo stesso accordo ma in

modo maggiore, cambia una sola nota ma il carattere viene completamente trasformato.

Ecco questa semplicissima differenza, c'è una sola nota che differenzia questi due accordi,

però come sentite una differenza molto potente che nel corso del settecento finisce per identificare

molto chiaramente delle sensazioni di malinconia, di tristezza, di oppressione, delle sensazioni

drammatiche e delle sensazioni invece che possono essere trionfali o luminose o gioiose, questo

percorso si sviluppa naturalmente in particolare attraverso il teatro d'opera ma passa nella

musica strumentale dove viene espresso e utilizzato molto chiaramente per costruire dei percorsi.

L'aspetto interessante è che la musica in questo periodo, la musica di Mozart, la musica di Haydn,

la musica di Beethoven soprattutto, comincia a raccontare qualcosa, a mostrarci una trasformazione

progressiva, la musica diventa un processo, questa è la caratteristica fondamentale dello schema

formale che questi compositori usano maggiormente, la forma sonata che ci detta e quindi per esempio

una grande sinfonia beethoveniana in modo minore, la quinta, comincia in minore

ma queste famose quattro note

se fosse maggiore sarebbe

la differenza nel carattere, se io provo a suonare in modo maggiore questo inizio cambia completamente

il pezzo, bene, la quinta sinfonia comincia con questo drammatico modo minore, Beethoven disse

a un albiero che questo inizio era il destino che bussava la nostra porta, quindi un elemento di

conflitto, un elemento di lotta e la sinfonia finisce in modo maggiore capovolgendo lo stesso gesto

io ho riassunto 30 minuti di grande musica in due semplicissimi frammenti ma essenzialmente detta

sinfonizzando al massimo questo è il percorso della sinfonia, ossia attraverso un pezzo di

musica strumentale senza le vocole un compositore a fine 700 e inizio 800 è in grado di darci un'immagine

del mondo, è in grado di darci in qualche modo una metafora del percorso illuminista, del passare

dal buio e il buio naturalmente come dire simbolicamente ma non solo per illuministi il buio

è il buio dell'oppressione politica, è l'oscurantismo, è il buio dell'ignoranza e la luce invece è la

luce degli ideali della libertà, della legalità, della fraternità e soprattutto è la luce della

conoscenza. Attraverso la tecnica musicale, attraverso la trasformazione continua dei

materiali musicali, un compositore, in questo periodo in particolare questi tre grandi viennesi, ci

danno un'immagine del mondo, ci mostrano una possibilità ideale naturalmente di passare

dall'ignoranza alla conoscenza, dal buio alla luce, di conquistare la libertà. Schiller proprio

esattamente in questo periodo, a fine 700, scrive le famose lettere sull'educazione sentimentale

dove dice che la bellezza è l'unico modo per raggiungere la libertà. Ecco questo è uno degli

ideali a cui Mozart, Haydn e Doven intendono dare vita attraverso molte loro composizioni,

non tutte in realtà, soprattutto Mozart è un compositore che mantiene sempre dei lati oscuri,

magari non nel flauto magico, non nelle nozze di Figaro, ma chi conosce il Don Giovanni,

forse la più famosa delle sue opere, sa che quell'opera ha comunque un lato oscuro e infatti

è un'opera in cui non a caso il modo maggiore e il modo minore sono continuamente dialetticamente

messi in confronto l'uno con l'altro. Mozart è un personaggio che per alcuni aspetti ha un ruolo

un po' eccentrico, un po' particolare in questo percorso, cerco di esaminare molto semplicemente,

molto brevemente anche questo aspetto nel corso del libro. Quindi c'è una breve introduzione,

ci sono cinque capitoli, il primo è il capitolo che cerca di definire il problema dando degli

elementi all'ottore, quindi esaminando aspetti tecnici, aspetti storici, parlo della evoluzione

del concetto di orchestra che è molto interessante, forse su questo potremmo anche dire qualcosa,

perché l'orchestra viene vista nel corso del Settecento come metafora che cambia in continuazione,

all'inizio del Settecento l'orchestra, per esempio un francese del 1700, è praticamente lo specchio

dell'assolutismo, del regno di Luigi XIV, c'è un grande scrittore, Charles Freni, che proprio

dice specificamente che l'orchestra è una capricciosa popolazione, c'ha bisogno di un capo

che con il suo scettro, ossia il bastone del direttore, che è un rotolo di musica, deve in qualche

modo dominarla, governarla e questo, il battero del visor si chiamava, deve avere un potere assoluto.

Beh, invece all'inizio dell'Ottocento l'orchestra sarà definita, tra l'altro da un commentatore

delle opere di Haydn, come un esempio di repubblica attraverso i suoni, un esempio di uguaglianza

tra i musicisti perché ognuno ha il suo ruolo e ognuno collabora per raggiungere un risultato

armonico complessivo, quindi c'è una trasformazione impressionante nel corso del Settecento che,

certo non a caso, in qualche modo replica, rispecchia la trasformazione nel modo di pensare,

la trasformazione sociale, la trasformazione politica che si realizza nel corso di questo

secolo. Il libro, vi dicevo, è ugualmente, alla fine, dopo i cinque capitoli ci sono

delle sinossi delle opere in cui parla, in particolare nel Flotto Magico del Fidelio,

c'è un glossario molto articolato che cerca in qualche modo di spiegare i principali termini

tecnici utilizzati nel corso del libro e poi ci sono, lo ripeto ancora, i cinque esempi audio che,

per esempio, le cose che vi ho fatto sentire adesso della Quinta Sinfonia sono spiegate

esattamente in questo modo, anche un po' più articolato all'interno degli esempi musicali,

questo permette al lettore anche di farsi a un certo punto ascoltatore, di entrare proprio nel

vivo della materia musicale, un aspetto secondo me sempre fondamentale. Roberto, io ho cercato

di condensare al massimo i contenuti di questo libro anche per dare spazio al dialogo, alle

tue suggestioni, cosa cosa pensi? Dunque trovo che hai tracciato in modo limpido un'analisi,

un'esplorazione di queste musiche, delle musiche di Haydn, di Mozart, di Beethoven e di quelle sulle

quali in particolare ti sei soffermato che è molto convincente, questa metafora del passaggio dal

buio alla luce e come tu argomenti e come fai vedere e sentire soprattutto la dialettica del

modo minore rispetto al modo maggiore, traccia un percorso e io sono molto colpito dal fatto che tu

abbia descritto questa musica come una musica che racconta e che è una musica che ha una chiara

politicità, una proposta politica da sostenere, da comunicare e io ho trovato convincente il

riferimento che fai in apertura a una bellissima pagina di Kant, nella pagina di apertura del suo

saggio risposta alla domanda che cos'è l'illuminismo, un testo del 1784 e Kant scrive

l'illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso,

minorità è l'incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro, imputabile

a se stesso è questa minorità se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza ma

dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati

da un altro. Sapere aude, abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza, è questo

il motore dell'illuminismo. Ecco questo passaggio dal bui alla luce poi è ben descritto in modo

straordinario da Kant con queste sue osservazioni, è l'uscita dell'uomo e della donna, poi c'è una

questione che dobbiamo affrontare sul lato del genere in questo tipo di produzione in particolare

nel flauto magico e nel Fidelio ma in tutto ciò c'è una chiara politicità. La contestualizzazione

che tu fai di questi autori nello spazio culturale politico della fine del diciottesimo

secolo e dell'inizio del diciannovesimo secolo è del tutto convincente ma a questo punto ti

pongo un problema perché diciamo, posto che io sono persuaso dalla tua argomentazione,

cerchiamo di ragionare su una questione che pure trovo interessante ed è la questione

della ricezione delle opere musicali e della storicità della ricezione, nel senso che la

ricezione cambia col cambiare del tempo e da questo punto di vista c'è un elemento di debolezza

in queste o di fragilità, se mi posso permettere, di rivolta delle musiche così assolutamente

straordinarie ma quando se ne parla cercando di esplorare la politicità, ovvero che questo

tracciato, questo gradus ad parnassum, questa salita dal buio alla luce, questo movimento

verso il progresso, resta però un pochino indeterminato alla fine dal punto di vista

del contenuto politico specifico, lo è quando siamo di fronte a musica strumentale e lo è

ancora quandoppure c'è un'azione scenica o c'è un testo o c'è pure appunto siamo nello spazio di

un'opera lirica di un lavoro come il flauto magico o come il filello, qui si pone un problema che tu

a un certo punto sei, che credo debba essere un po' discusso, questi tre autori sono stati

largamente utilizzati nel contesto del nazismo, tutti e tre gli autori sono stati considerati

come l'espressione da quintessenza della germanicità e tutte queste opere, anche il

flauto magico che potenzialmente è quella meno coerente con l'impianto nazista sia per il contenuto

sia per i riferimenti massonici, nonostante ciò è stata messa in scena più di una volta,

apprezzata da Hitler, incastonata dentro lo spazio della cultura specifica costruita dal nazismo.

Allora come la mettiamo con questo? Perché tu dici noi dobbiamo recuperare queste musiche oggi

perché ci troviamo in uno spazio in cui i prodotti culturali, in particolare la cultura di massa,

non ci incoraggiano a riflettere, a potenziare i nostri strumenti cognitivi, ma come

la mettiamo con delle musiche che non hanno offerto materiali resistenti a una manipolazione

così forte come quella operata nel contesto del nazismo? Oppure ce lo risolviamo semplicemente

dicendo no è stata un'operazione, una distruzione totale, dobbiamo mettere frappadenti, ce la dobbiamo

dimenticare? O non c'è un elemento di fragilità per dire altre musiche offrono materiali molto

più resistenti? Non voglio dire le musiche di Schoenberg, non sarebbe mai stato accolto

nello spazio del nazismo essendo ebreo, ma quelle di Webern o musiche atonali in ogni caso non

potrebbero entrare dentro quello spazio, non offrono materiali più resistenti. Per loro,

per i nazisti c'era proprio quest'idea dell'arte degenerata che era la musica contemporanea

essenzialmente e poi c'era la musica degli ebrei, la musica di Mendelssohn per esempio,

che viene completamente proibita. Il problema che è tutto che è un problema molto importante,

in qualche modo lo accenno in questo libro, ne ho parlato molto più a fondo nel libro precedente

che citava prima Giuseppe III nello spartito del mondo, il problema è che le opere d'arte

vengono continuamente rilette, cioè l'opera d'arte, al di là delle operazioni di recupero,

ma le opere d'arte che restano vive nel tempo, in qualche modo vengono sempre reinterpretate e

questo è un punto di forza ed è una debolezza ed è in particolare una specificità della musica,

perché la musica come linguaggio è un linguaggio indeterminato, cioè che non funziona sul rapporto

tra significante e significato. Se io prendo una nota musicale, questo è un do per esempio,

questa nota di per sé non ha significato, io posso interpretarla...

posso continuare, ossia posso interpretare questo elemento linguistico in decine di modi.

Quindi il linguaggio musicale di per sé è un linguaggio, infatti per gli illuministi per esempio,

per Kant, la musica strumentale non era in grado di disporre lo spirito alle idee, non parlava

effettivamente, aveva delle caratteristiche di linguaggio anche per un solo, cioè l'idea della

della musica come linguaggio che significa delle cose specifiche è un'idea che si realizza tra

la fine del settecento e l'inizio dell'ottocento. Questo credo di scriverlo nel libro, cioè c'è

proprio un problema di ricezione anche, cioè il fatto che per esempio la musica di Beethoven

viene fruita e in qualche modo viene, si appropria di lei un pubblico che... ma Beethoven leggeva Kant,

quindi in qualche modo, come posso dire, la sua musica interpreta la propria epoca e viene fin

dall'inizio interpretata in maniera che forse potrebbe non corrispondere esattamente alle

idee del musicista. Questo aspetto secondo me è, lo dicevo, allo stesso tempo una debolezza e un punto

di forza. Un punto di forza perché permette a un'opera d'arte, magari una cosa composta 300

anni fa, di continuare a essere attuale, di parlarci con la letteratura, per esempio, questo è molto

più difficile. Chiaro che ci sono Dante, Shakespeare, ma pensiamo alle opere letterarie

dell'illuminismo, cioè oggi quanti leggono Diderot? Eppure, voglio dire, le idee sono fortissime, sono

modernissime, lì abbiamo a che fare con una forma, con un modo di organizzare il linguaggio, con lo

stesso lessico utilizzato che in qualche modo ci ha distanziato nel tempo. Raramente è stato riletto,

dico Diderot ma potrei parlare di Fielding, potrei parlare di Parini, di Alfieri per fare degli esempi

nostri, no? Invece la musica ha questa capacità, siccome il linguaggio è più astratto, passa

attraverso i secoli, però viene continuamente reinterpretata e proprio questa ambiguità

linguistica permette probabilmente delle reinterpretazioni che possono apertamente,

dichiaratamente, distorcere il messaggio che il compositore voleva trasmettere. Facciamo

l'esempio della Nonna Sinfonia di Beethoven. Nel finale della Nonna, questo è un tema che tutti

conosciamo benissimo, non a caso questa melodia è diventata l'inno europeo? È diventata l'inno

europeo perché? Perché Beethoven mette in musica nel finale della Nonna Sinfonia un testo di Schiller,

un testo illuminista, un testo del 1785, che canta la fratellanza ideale di tutti gli uomini,

cioè il verso fondamentale dell'inno alla gioia, dell'ode alla gioia di Schiller è

alle Menschen werden Brüder, tutti gli uomini saranno fratelli, questo è inequivocabile,

non si può equivocare il messaggio di questo testo e quindi di questo pezzo di musica e giustamente

questo pezzo è diventato l'inno dell'Unione Europea. Immaginate che l'idea di trasformare

questo pezzo nell'inno dell'Unione è un'idea che risale agli anni 20 del 900 fra le due guerre e

succederà effettivamente nel 1700, nel 1972, quindi 50 anni più tardi, più o meno, e tanto per dire

qual è la problematicità di un'operazione di questo tipo, beh, il testo di Schiller nel finale della

Nona Sinfonia è cantato in tedesco, un inno europeo non può essere cantato in una lingua

specifica e, diciamola tutta, nel 72 ancora meno forse in tedesco, beh, che cosa succede? Che bisogna

realizzare una versione solo strumentale dell'inno che però Beethoven non ha iscritto, quindi si

commissiona a un musicista importante la trascrizione, l'arrangiamento del Lode alla

gioia come inno europeo in versione strumentale. Sapete a chi è stata commissionata questo

arrangiamento? È stato commissionato a Hemper von Karajan, che era un grandissimo direttore d'orchestra

ma era un ex nazista. Ancora oggi, questa è una cosa che pochi sanno, gli eredi di Karajan prendono

i diritti di esecuzione dell'inno europeo. Quindi ci sono delle delle contraddizioni stridenti. Un

musicologo tedesco durante la guerra, mi pare nel 41, nel 42, si chiamava Hans-Joachim Moser,

lui scrisse un libro nel quale sosteneva che l'umanità cantata da Beethoven, cioè la fratellanza

cantata da Beethoven nel finale della Nona Sinfonia, andava intesa come un'umanità naturalmente

germanizzata. Purtroppo, purtroppo o comunque voglio dire per uno storico, per qualcuno che

si occupa di provare ad analizzare i fenomeni e a seguirne anche le trasformazioni, l'esezione,

questi sono aspetti in qualche modo inevitabili e tanto più la composizione è importante, forte

e ha significati simbolici, quanto più queste distorsioni sono possibili. Adesso non voglio

allungare il discorso ma il caso del finale della Nona è interessantissimo. Nel corso della sua

della sua recezione questo pezzo di musica viene interpretato, per esempio, nel centenario

beethoveniano del 1927, ci sono dei musicologi sovietici che sostengono che l'inno alla gioia

è un inno al bolscevismo, è un inno proletario, ci sono negli anni 60 e 70 del novecento delle

studiosi femministe che dicono che questo è un pezzo maschilista, ci sono delle altre visioni

che invece lo vedono come un pezzo elitario, i nazisti lo vedevano con un simbolo nazionalista,

un pezzo che canta la fratellanza universale. Nel 74 l'inno alla gioia viene, naturalmente il

testo viene cambiato, viene cantato in africano e diventa per un brevissimo periodo l'inno della

rodesia, di uno stato razzista. Quindi in qualche modo il simbolo viene privato di tutto l'aspetto

semantico, cioè di ciò che connota, perché il messaggio beethoveniano, ripeto, è inequivocabile

e viene coscientemente, volutamente distorto. Questo aspetto mi chiedo però se sia, è chiaro che

è un elemento di fragilità, ma mi chiedo se sia un, se non sia un punto di forza nei confronti

della Nona Sinfonia, cioè se non dimostri il fatto che il valore simbolico e artistico,

evidentemente, di questa composizione continua a essere talmente forte che abbiamo bisogno di

continuare a rileggerla e probabilmente anche di continuare a travisarla. Ma questa è una

caratteristica che attraversa la storia romana. Sì, da un lato, dall'altro ecco, sono del tutto

molto persuasiva la tua risposta, soprattutto il tuo lavoro, nel senso che abbiamo necessità

della ricostruzione storica, abbiamo necessità di rispettare l'intenzio autoris, cioè l'intenzione

l'autore ha messo nella sua opera, nella sua produzione, così come l'intenzio operis, cioè

la struttura dell'opera. Se uno segue il percorso che tu ricostruisci e dialoga con Haydn, con Mozart,

con Beethoven, nel loro contesto e li ascolta per quello che dicono, non sono amissibili le

distorsioni che tu citavi un attimo fa. Quindi, diciamo, rispetto alla mia provocazione, queste

opere, questi autori sono stati utilizzati dal nazismo, e dai, lì c'è una manipolazione,

una distruzione che non vuole tenere in considerazione il contesto storico all'interno

del quale Haydn, Mozart e Beethoven hanno lavorato e quello che hanno detto. Per inciso,

il riferimento alla lettura femminista, cioè alla polemica, e il fatto che si usa l'uomo

nel senso di umanità, ma è così veramente, si usa veramente sia nel Fidelio che nell'Inno

alla gioia o nel flauto magico questo tipo di visione della società o ci sono dei problemi

dal punto di vista della rappresentazione delle identità di genere? Perché tu osservi a un certo

punto, parlando del flauto magico, che Pamina è un personaggio straordinario dotato di una agency

o di un'autonomia, il che trovo che sia vero. Però forse nel flauto magico c'è qualche problema

ulteriore, c'è Sarastro che punisce la regina della notte perché ha peccato di superbia,

ma non si capisce bene poi che causa, quali danni, quali cattiverie abbia fatto poi questo

personaggio negativo e cattivo. Sarastro poi si appiglia pure come un moro, un monostato,

forse ci sono degli elementi che fanno intravedere delle inclinazioni a discriminazioni

di genere o discriminazioni che corrono lungo la linea del colore o, se io ti faccio una domanda

di questo genere, siamo di nuovo nello spazio delle cattive interpretazioni che si danno al

flauto magico alfiderio, cioè c'è un problema di marginalizzazione dei ruoli femminili dentro

queste opere o no? O invece c'è un potenziamento delle opere? Questa è una domanda interessantissima

e attualissima, anche perché oggi, in questi giorni, girava una fake che diceva che a Oxford

non insegneranno più la musica di Mozart e di Beethoven perché erano colonialisti, a parte il

fatto che non è vero, cioè non c'è nessuna loro dichiarazione a favore del colonialismo,

basta di fatto che loro vivevano in un mondo colonialista. Io dico sempre appunto quando ci

sono persone che mi dicono ma come fai a apprezzare, ascoltare la musica di Wagner che era antisemita?

Io dico sì, però se noi ragioniamo nello stesso modo pensiamo che, la cosa che secondo me sarebbe

sempre possibile, magari fra 50 anni i diritti degli animali sono equiparati ai diritti dell'uomo

e quindi boicottiamo chi di noi va in giro portando il cane al guinsaglio. Il problema è esattamente

questo, cioè che ci sono dei modi di pensare, delle mentalità, dei modi di interpretare la

realtà e il mondo che ha intorno che sono, in ogni epoca, sono completamente condivisi. Quindi,

da questo punto di vista, lo sforzo di relativizzare, lo sforzo di osservare con occhi

storici ciò che succede nel passato, andrebbe fatto, secondo me, con più frequenza e con più

profondità di come non si faccia oggi. Naturalmente questo non toglie che la figura di Monostatos

nel Clauto Magico, per esempio, si ha volutamente messa in ridicolo perché lui canta con uno stile,

con un certo tipo di accompagnamento orchestrale, il suo stile vocale, il tipo di tenore che Mozart

ha in mente. E' sicuramente un personaggio che è messo in ridicolo come sarà messo in ridicolo

80 anni più tardi, mime nella tetralogia di Wagner, voglio dire che proprio diventa uno

stereotipo dell'ebreo in qualche modo e questo è innegabile. Mentre invece, secondo me, è interessante

il fatto che nella Nona di Beethoven, quindi 30 anni più tardi, le culture extreuropee sono,

in qualche modo, comprese nello sguardo universale perché Beethoven usa quelle che si chiamavano

all'epoca le percussioni turche, quindi una connotazione apertamente non euroscientica.

Questo ha uno spazio nel finale della Nona e probabilmente in questo si vede anche il passaggio

del secolo, si vede un percorso storico. Diciamo che dal punto di vista delle figure femminili

il discorso, secondo me, è particolarmente interessante se ampliamo, toccando non solo

il Clauto Magico in cui Pamina che comincia, che sembra una bambina spaventata, però alla fine

dell'opera invece è una donna consapevole ed è lei che guida Tamino attraverso le prove iniziatiche.

Nel Fidelio di Beethoven, nel 1805, questa donna incredibile si travesse da uomo, diventa guardia

carceraria, lotta contro il malvagio governatore per salvare il marito, cioè una vera eroina.

Queste figure, secondo me, andrebbero viste esattamente al contrario, cioè sono figure di

una modernità impressionante. Provate a pensare a quello che succede dopo la morte di Beethoven,

cioè nell'opera ottocentesca, nell'opera romantica fino alla fine del secolo, ancora in Puccini,

la donna è l'essere fragile che muore, che viene insidiata, oggetto di desiderio, cioè, rispetto

alla donna mozartiana, che è veramente una donna illuminista. Susanna nelle nozze di Figaro se la

gioca alla pari con il conte che vorrebbe approfittare degli uspri mai notti, se riesce

a giocarlo per tutta l'opera. La figura è di una modernità, di una... al di là di come è delineata,

è delineata in modo straordinario, ma trovo che la donna illuminista, la donna mozartiana,

anche la donna beethoveniana, sia molto più moderna della donna di Verdi o di Wagner. Da

questo punto di vista i frutti dell'illuminismo si vedono molto nettamente e si vede molto

nettamente, nell'opera invece pienamente ottocentesca, l'operato della restaurazione,

secondo me si vede molto chiaramente, molto nettamente. Anche da questo punto di vista io

trovo che queste composizioni abbiano molto da dire. È chiaro, pretendere di ascoltare il flauto

magico come se fosse una composizione scritta nel 2015 e quindi giudicarla secondo i parametri

contemporanei è un travisamento. È evidente che dobbiamo continuare a pensare a che cosa di

universale, cosa c'è di importante per noi nelle cose che Mozart voleva dirci nel 1791 e alcuni

valori di quell'opera sono valori ancora attualissimi, fortissimi. Altri naturalmente

sono valori settescenteschi, fanno parte di una società in cui non ci si ponevano una serie di

problemi di tipo etico, non c'era il politically correct, non c'era una certa serie di categorie

che oggi ci servono per interpretare la realtà. Io trovo che sarebbe, come dire, un po' strano,

un po' forzato, pretendere che Mozart o Beethoven già vivessero in qualche modo attraverso queste

categorie. Non so se ho risposto. Sì, sì, assolutamente. E senti, già che ci siamo,

provocazione per provocazione, visto che tu poi proponi questa tua lettura, anche come un invito

all'ascolto di queste musiche, di queste opere, proprio nella contemporaneità, allora vorrei

ritornare su questo punto facendoti la domanda in questo modo. Per quale motivo un ragazzo o una

ragazza che adesso ascolta la trap dovrebbe mettersi a ascoltare Beethoven o il flauto

magico o Haydn? Oppure per quale motivo una persona di qualunque età che ascolta le musiche

uscite da Sanremo dovrebbe mettersi a fare un'operazione di questo genere? Terza tipologia,

aspetta, ti metto sul terreno anche questa. Perché una persona sempre di qualunque generazione che

magari ascolta prevalentemente Miles Davis o John Hassel o Steve Reich dovrebbe mettersi a ascoltare

musiche di cui tu parli nel libro. Qual è il punto chiave da questa prospettiva? Complimenti per John

Hassel che non viene citato tanto spesso. Mi piace da morire. Dunque, intanto una piccola premessa,

oggi sempre più, e in particolare durante quest'ultimo anno di pandemia, sta diventando

normale ascoltare la musica riprodotta, magari attraverso le cassettine di un pc e in uno schermo,

mentre invece la musica è un'esperienza che dà frutta dal vivo. E questo aspetto in parte

già risponde alla domanda, perché ti posso garantire, io molto spesso lavoro con i ragazzi,

con le scuole, con gli iscei, quindi è un tipo di target il primo a cui facevi riferimento che

conosco molto bene, se i ragazzi si portano all'opera e vedono la traviata dal vivo è molto

raro che non si rondono. Molto raro perché la forza dello spettacolo dal vivo, del suono,

dell'orchestra, delle scene, delle luci... e poi c'è un altro aspetto secondo me molto importante,

e qui parlo soprattutto dell'opera, quindi in questo caso del Fidelio, del flauto magico,

pensiamo un attimo al contenuto, cioè di che cosa parla un'aria del flauto magico? Che cosa parla

l'aria di Tamino del primo atto, l'aria della regina della notte del secondo atto, l'aria di

Pamina del secondo atto? Parlano dell'amore, del dolore, della sofferenza, della rabbia,

parlano dei sentimenti e guarda caso sono esattamente le stesse cose di cui parlano

le canzoni di oggi. Perché? Perché, questo è un aspetto che non tratto in questo libro,

l'ho trattato in un precedente libro, la terza, quello dedicato alle opere di Mozart, perché la

musica, e questo lo scoprono i compositori nel corso della storia, ci dobbiamo secoli per arrivare

proprio a definire questo concetto, che però è un concetto fortissimo, la musica anche quando

quando si sovrappone a un testo verbale ha la possibilità di fare qualcosa che le parole non

riescono a fare. Le parole hanno, il discorso parlato può fare tante cose che musicalmente

sono difficili da raggiungere, ma la musica può invece raggiungere un risultato in maniera

sicuramente più immediata e più forte rispetto alla parola e questo è rendere evidente l'interiorità,

esprimere i sentimenti, esprimere le sensazioni. Come posso dire, per esprimere una sensazione,

parlo a chiunque ci ascolta, è un esempio che faccio molto spesso ai ragazzi, dico provate,

nel momento in cui siete emozionati, siete innamorati, provate a spiegare questa cosa in

parole, è molto complicato. La prima cosa che vi viene da fare invece di cantare,

cioè di tirar fuori da dentro il suono, e questo è un aspetto fortissimo ed è uno degli elementi

che rende sempre attuale in particolare la musica vocale, cioè l'idea di musica come

espressione di emozioni. Questo credo che sia un concetto molto chiaro che ci rende straordinariamente

vicini Mozart o Beethoven o Berli o Rossini o in particolare i grandi compositori d'opera. Non è

un caso che quando si sente un pezzo di musica strumentale un ascoltatore medio tenda automaticamente

a associare i suoni a dei sentimenti. Questo mi fa sognare questo, questo mi fa pensare, cioè si

immaginano delle situazioni emotive perché la musica ha questa caratteristica e questa è

soltanto però la prima parte della risposta. Ti chiedo scusa, devo dare una risposta un po'

articolata. C'è un altro aspetto che è molto importante secondo me e che è stato, per una serie

di ragioni che non possiamo analizzare, è stato cancellato e sommerso nella ricezione non solo

musicale, secondo me proprio nella storia della cultura, nell'ultimo secolo direi, ed è il fatto

che esistono dei generi differenti. Cioè noi oggi tendiamo a pensare che la musica sia una cosa,

infatti io molto spesso sento confrontare, posso dire, la canzone di Sanremo con il quartetto di

Beethoven, ma queste sono due cose, sono due generi musicali che hanno esigenze e obiettivi

completamente differenti. Cioè esiste una musica che serve a ballare, esiste una musica che serve

per cantare insieme, esiste una musica di intrattenimento, poi esiste una musica, che è

una musica nobilissima, che magari si rivolge a tre persone all'interno di un salotto e non era

neanche previsto, quando il compositore la scriveva, che quella musica uscisse fuori dal

salotto e fosse invece eseguita su un palcoscenico davanti a 500 persone, perché è una musica che

pretende una fruizione intima, una fruizione rapprocinata e questo è un tipo di rapporto che

nella storia dell'arte è sempre esistito. Pensate alla differenza che c'è tra una fresco e una

miniatura. La Cappella Sistina va vista a distanza di 30 metri e la possono vedere, se la possono

godere, 500 persone. Oggi magari anche di più, siamo tutti stretti come sardine quando entriamo

nella Cappella Sistina. Andate a vedere I Coniugi Arnolfini di Jan van Eyck alla National Gallery di

Londra, è un quattro piccolo così, è impossibile vederlo insieme in due persone. Quindi ovviamente

la fruizione deve cambiare. Se noi pretendiamo di avere lo stesso identico tipo di fruizione

per qualunque genere musicale, è evidente che i generi che sono in qualche modo volutamente, non è

un difetto, che sono più semplici, più immediati e magari anche più rumorosi, perché sono fatti per

quello, è evidente che quei generi finiscono per prevalere, ma l'obiettivo dovrebbe essere diverso,

cioè la comprensione della differenza tra i generi è una ricchezza. Il fatto che noi possiamo

dedicarci all'ascolto di una canzone e invece in un altro momento possiamo con grande piacere

sentire un quartetto per archi, andare a sentire un'improvvisazione jazz e magari ascoltare,

vi posso dire, un motetto rinascimentale. Sono tutte musiche che hanno funzioni differenti e

che quindi andrebbero ascoltate in modo diverso. Purtroppo oggi noi abbiamo appiattito completamente

il concetto di ascolto, infatti oggi quando si parla di musica, e non solo di musica,

si parla essenzialmente solo di intrattenimento. Solo scusa? Non ho capito di? Intrattenimento.

Ah sì. Sotto una funzione, non esiste il fatto che la musica o l'arte possa farti pensare,

farti riflettere, che sia un modo per scandire la giornata. Non dimentichiamo che le culture,

già le culture dei nostri nonni, vivevano in gran parte attraverso il canto. Ancora i

contadini siciliani avevano canti per ogni momento della giornata. C'erano canti di lavoro,

canti di vendemmia, canti di tonnara, canti d'amore, preghiere naturalmente, serenate,

canti d'austeria. La musica era, poi si è stata forse soppiantata da un orologio più brutale,

più immediato, come l'orologio della televisione, poi adesso lo schermo del computer, ma invece la

musica serviva anche in qualche modo a articolare il ritmo della giornata e il ritmo della vita.

Forse c'è anche, non so cosa pensi, ma c'è anche diciamo nello spazio della comunicazione,

della comunicazione intorno alla musica, una sorta di segmentazione abbastanza rigida,

di frammentazione. Nella colonna dei commenti, con un certo slancio illuministico, Teodosio Orlando

e Riccardo della Torre mi dicono, va beh, ma chi ascolta Miles Davis, John Hustler o Steve Reich

sicuramente apprezza anche Mozart e Beethoven. Certo, il riferimento, fra l'altro, l'esempio è

modellato su di me, perché apprezzo Hustler, Reich, Miles Davis, sono le cose che sto ascoltando

negli ultimi giorni e certamente conosco Mozart e Beethoven. Però nello spazio della comunicazione,

in realtà, i generi musicali, i tipi di musica dialogano con difficoltà. Se tu compri Amadeus,

trovi una quantità di articoli sulla musica dal XVII a XIX secolo e poi difficilmente altre cose.

Se tu compri musica jazz, solo di recente, molto giustamente, hanno introdotto degli articoli su

musicisti classici e musicisti rock, ma prevalentemente gli articoli sono su jazz. Se tu

compri Prog Italia, hai solo esclusivamente articoli che riguardano il prog e così se vai

negli spazi web che trattano di musica, sono molto segmentari. C'è un problema da questo punto di

vista, secondo me? Forse, guarda, forse 6 gradi su radio 3 è uno degli spazi in cui si mescolano

musiche molto diverse e molto brillantemente, tra l'altro, ma se no c'è questo imperialismo del

genere, del tipo di musica che costruisce delle bolle, a volte non tanto comunicanti, fra loro.

È proprio questo il punto, sì. La differenziazione dei generi per un musicista del 700, dell'800,

era quanto di più normale, voglio dire. Mozart scriveva la musica leggera, la musica di danza,

la messa, l'opera che sarebbe il cinema, la colonna sonora mobilitata in qualche modo,

perché naturalmente è uno spettacolo multimediale, il quartetto, la sonata per pianoforte e la

sinfonia, cioè scriveva in qualche modo, soddisfaceva interamente il fabbisogno

musicale della sua epoca. Oggi invece, questo è un fenomeno che ha almeno un centinaio d'anni,

viviamo in un'epoca di specializzazione, ma la specializzazione è per definizione

nemica dell'arte. Un grande problema. Cioè, oggi ci sono grandissimi pianisti classici che non

hanno mai improvvisato una nota in vita loro, ci sono, per fortuna sempre meno, ci sono dei

jazzisti fantastici che non sanno leggere il pentagramma, questo ormai quasi non succede più,

ma insomma lo stereotipo era questo, perché era vero. E quindi, in qualche modo, queste due forme

di espressione che in Chopin erano perfettamente fuse per loro, perché sappiamo che Chopin era

un improvvisatore clamoroso, straordinario, o Beethoven, questa ricchezza è stata coscientemente

separata man mano che si costruiva questa idea di una cultura appunto divisa in compartistani,

ma di per sé invece l'arte pretende di essere antispecialistica, cioè pretende di essere,

di poter parlare con tutti. Questa è l'aspirazione della maggior parte dei compositori, o se è per

questo secondo me dei pittori, degli scrittori. Oggi invece abbiamo il poeta che se poeta scrive

un romanzo, un saggio o un racconto breve sembra una stranezza. Questa cosa la trovo incredibile,

prendete appunto Goethe che viene definito, George Eliot lo chiama l'ultimo uomo universale a

camminare sulla terra, quello scrive a trattati scientifici, romanzi straordinari, teatro,

poesia, scriveva di tutto, favole. Questo aspetto, non pretendo che si possa recuperare,

ma è chiaro che averlo perso è secondo me un impoverimento spaventoso proprio dell'esperienza

culturale, del gesto culturale, del nostro modo di intendere la cultura oggi. Infatti

moltissime persone conoscono moltissimi ascoltatori tra virgolette classici,

musica classica è un termine che io odio, non lo uso normalmente perché è usato in maniera

impropria, però diciamo molti ascoltatori medi di musica classica non sanno nemmeno

qual è il gruppo che ha vinto quest'anno e questo secondo me è stupido perché fa

parte è un fenomeno di cultura e un fenomeno di società, poi dopo vuole un piacere.

Forse si è bloccato...

Non so come dire, una costruzione per compartimenti stagni della fruizione

culturale e di conseguenza della produzione culturale che secondo me è dannosa e innosciva

da ogni punto di vista. Io in questo momento sto preparando un progetto didattico per una

serie di festival jazz italiani nei quali all'interno di questo progetto io intendo

a mostrare tutte le ramificazioni e gli addentellati, i punti di collegamento fra queste due culture,

non solo ma anche fra musica popolare, le musiche del mondo, che bisogna ricominciare

a parlare della musica e non delle musiche.

Tra l'altro è questo quello che fanno Mozart e Beethoven, tu lo mostri, cioè utilizzano

materiali che vengono dalla musica popolare dell'epoca, naturalmente rielaborandoli,

incastonandoli o utilizzandoli in modo funzionale all'interno delle loro opere, quindi dialogano

con un universo musicale molto vario.

Esattamente, proprio perché siccome vivono in una società che aveva un'aspirazione cosmopolita,

la Vienna di fine settecento, la Vienna che sta... vedete una carta geografica, guardate

dove sta Vienna, è impressionante quanto sta a est.

Quindi a Vienna si parlava il cieco, l'ungherese, moltissimi nobili, nobilità per cui scrive

Beethoven per esempio, i suoi quartetti si chiamano tutti Rasumovski, Galitsin, sono

tutti nomi russi e ovviamente rappresentare questa società significava anche attingere

a stili musicali vari, stili musicali che nel flauto magico parlano fra loro, c'è

questo esempio che ho fatto...

Si è bloccato il collegamento...

Ci sono?

Adesso sì, adesso seguimo...

Sentite l'ouverture del flauto magico è la forma più alta, più raffinata che non

è fatto che esistesse all'epoca perché era una fuga...

Non vi suono tutta l'ouverture naturalmente ma comincia con una fuga, con una...

Poi l'opera comincia, comincia con, è un'opera che ha una trama, come dire, particolare,

comincia con un principe vestito in abito giavanese che scappa in seguito da un enorme

serpente, è un po' come le, lo dico nel libro questo, è un po' come le tre fiere...

È stato di nuovo?

Sì Giovanni ti abbiamo perso nell'ultimo...

No dicevo lo stile che era all'inizio lo stile del contrapunto qui diventa lo stile dell'opera

seria, dell'opera drammatica...

Sentite proprio questa concitazione dello stile dell'opera seria, poi improvvisamente

escono fuori queste tre dame da un tempio sullo sfondo che hanno una lancia d'argento

con la lancia uccidono il serpente, si avvicinano al principe e si avvicinano a un'altra dama

che è una dama di un'altra vita, una dama di un'altra vita, una dama di un'altra vita

uccidono il serpente, si avvicinano al principe che è svenuto, si rendono conto come avrebbe

detto Rossini che si tratta di un bel principotto e quindi cominciano a disputarselo, la prima

dice ma sapete che fa?

Io resto qui con lui e voi andate a avvertire la regina e la seconda dice no, io resto qui

e voi andate...

e la terza dice che sembra il film di Totò...

Giovanni ti abbiamo preso...

diventa lo stile dell'opera buffa, poi le tre dame se ne vanno, lasciano il principe

svenuto che si risveglia, si chiede che è successo, perché il serpente è morto e arriva

a un altro personaggio, un personaggio fantasmagorico, uno dei più grandi personaggi della storia

che canta con questo stile.

E questo è il Papageno, avete sentito che siamo passati dal contrapunto aulico allo

stile drammatico dell'opera seria, allo stile brillante, vivace e arguto dell'opera buffa,

allo stile della musica popolare, al punto che questa melodia nell'Ottocento a lungo

si è pensato che fosse un canto popolare tirolesi utilizzato da Mozart, invece poi abbiamo

trovato degli appunti e sappiamo che è un pezzo originale di Mozart ma scritto nello

stile della musica popolare tirolese, che tra l'altro era la sua musica d'infanzia perché

Mozart era di Salisburgo naturalmente.

Tutto questo avviene, come vedete, grado dopo grado e senza nessuna frattura stilistica,

è una cosa impressionante.

Questo è il senso di quello che noi oggi chiamiamo il classicismo viennese, cioè la capacità

di usare tutte queste suggestioni in maniera armoniosa senza far mai percepire fratture.

Io faccio l'esempio, lo scito forse in una nota, cento anni più tardi, qui siamo nel 1791,

se andiamo nel 1891 e prendiamo una sinfonia di un altro autore che lavora a Vienna come Mahler,

e lì ci sono citazioni di musica popolare in continuazione, sono sempre delle fratture

spaventose, cioè diventano degli elementi straniati, invece in questo istante, proprio

perché volevano mettere in musica ideali luministi, cioè questo ideale di fratellanza,

questo ideale di egalité, la capacità di questi tre compositori di fondere fra loro,

di far discutere fra loro, di far dialogare fra loro stili differenti, è probabilmente

ancora oggi insuperata, che è uno degli aspetti secondo me che li rende così attuali, perché

veramente ci offrono la possibilità di osservare un mondo, metaforicamente, in cui ognuno ha il

suo posto, le differenze hanno un valore, che credo che sia una lezione straordinaria dal punto

di vista proprio anche semplicemente sociale del mondo contemporaneo. Giuseppe? Ma io ho un ruolo

terribile, cioè quello di dirvi che è passata l'ora, in realtà rimarremmo tutti ad ascoltare voi due,

anzi voi tre, perché in realtà siete due più un terzo, che è il piano, un terzo che,

devo dire, dà una voce straordinaria, perché sentir parlare voi due, sentire la voce del piano è una cosa

meravigliosa, però come disse una volta un grande uomo di spettacolo, oltre che un grande giornalista,

Corrado Augas, presentando il suo libro, dopo 50 minuti finì, tutti avevano molte domande, lui disse

sempre finire prima con un po' di appetito, quindi vogliamo che le persone poi leggono il libro,

ritornino ad ascoltare, leggono i libri anche di Alberto, tra l'altro l'ho detto a Anpassà, ma Alberto

ha scritto libri appunto sulla musica specificamente, non solo sulla musica, diciamo sulla narrativa di massa,

anche al cinema, eccetera, però come dire, la musica entra moltissimo nella sua riflessione anche

di questi ultimi libri sulla musica contemporanea, quindi grazie a Giovanni, a Pietti, grazie ad Alberto Banti,

io vi porto i prossimi appuntamenti della nostra intensa attività online, la Casa di Triscia si è rinnovata

nell'ultimo anno con tutta una generazione di trentenni che fanno attività intensissime, quindi la terza è

quasi ogni giorno, e infatti la prossima settimana, martedì 13, avremo un dialogo sul libro di Andrea Riccardi

La chiesa brucia, la crisi e le prospettive del cristianesimo con Romano Prodi e Corrado Augas, e ci sarà la mia collega

Lia Di Trapani a interrogarli, poi avremo il 14 pomeriggio nella rubrica interregno in cui si confrontano generazioni,

il tema sarà la sanità, avremo Beppe Remuzzi che è un grande medico e che parlerà della situazione attuale,

con due giovani che interloquiranno con lui, e poi avremo il venerdì 16, di nuovo un libro di storia con un titolo

panflettistico, Francesco Filippi ha scritto un libro che si chiama Prima gli italiani, punto esclamativo,

sì ma quali, dove affronta il tema dell'identità che peraltro Alberto Banti conosce molto bene e lo affronta

in dialogo con un giornalista, perché ci piace spiazzare, che è Riccardo Iacono, che come sapete fa dei bellissimi servizi

inchieste in televisione. Quindi vi do appuntamente prossimi incontri, vi invito ad andare in libreria, le librerie per fortuna

a zona rossa, a zona arancione, sono sempre aperte, bisogna sostenerle perché è giusto comprare su Amazon,

ma è anche giusto e bene comprare in libreria, tante librerie grandi e piccole, sono veramente presidie,

per fortuna la buona notizia è che i libri vanno molto bene, anche all'inizio di quest'anno abbiamo avuto risultati straordinari,

la gente legge tanto e questo credo renda felice tutti e tre noi e tra l'altro, come si è dimostrato in questa conversazione,

leggere libri non è alternativa ad altre funzioni, in particolare quella musicale e anzi si legge e si ascolta insieme

oppure a distanza. Quindi grazie mille ancora e a presto.

Grazie a voi. Arrivederci.

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'La musica della luce' di Giovanni Bietti La música de la luz" de Giovanni Bietti

Buonasera e benvenuti a questo incontro di Casa La Terza e questa volta parliamo di un

libro che si chiama La Musica della Luce, dal flauto magico alla nona sinfonia. Ne parliamo

con l'autore Giovanni Bietti. Buonasera Giovanni. E ne parliamo con un altro autore, anche lui della

casa editrice, uno storico di cui adesso vi dico due parole, Alberto Mario Banti. Buonasera Alberto.

Buonasera. Io sarò qui soltanto pochi secondi per introdurvi e poi vi lascio al vostro dialogo.

Sono molto contento, particolarmente contento di avervi con noi oggi perché ci sono molti punti

di congiunzione, secondo me nei vostri interessi, che pur appaiono diversi. Perché? Perché Giovanni

Bietti è un musicista, un compositore, un divulgatore musicale che ha lavoro in molti

ambiti. Mi ricordo soltanto tra questi per esempio la radio, dove è un seguitissimo speaker o

musicista su Radio 3 ed è anche un autore di molti libri. Per noi ha scritto su Mozart, su Beethoven.

In particolare l'ultimo libro prima di questo di Giovanni è Lo spartito del mondo, breve storia

del dialogo tra culture e musica. Già in questo libro c'era molto evidente quello che in tutta

l'opera di Giovanni, ma ancor più in questa opera, è la musica della luce, cioè il mettere insieme

la sfera della musica in senso proprio, un'analisi dall'interno della grammatica musicale, con la

sfera culturale in senso generale. E fare vedere come le due abbiano molti punti di coniugazione,

molto più di quanto si attribuisce di solito alla musica una fortissima carica sentimentale,

emotiva, non sempre si ne riconosce la correlazione ideale. Ed è qui che entra in gioco Alberto Banti,

perché Alberto è uno dei più originali storici italiani. Alberto ha iniziato lavorando su

Risorgimento, poi si è spostato anche sulla Contemporaneità. Da ultimo, lo ricordo perché

è un libro abbastanza straordinario da tutti i punti di vista, ha fatto un libro che si chiama

La democrazia dei followers, neoliberismo e cultura di massa. Siamo in pieno novecento in

questo caso, come sul suo libro precedente si chiamava Wonderland, ed è un'analisi dei consumi

culturali alla luce, diciamo, della cultura di massa, della politica, dell'economia della nostra

epoca. In realtà Alberto Banti già nei suoi studi su Risorgimento aveva fatto Storia della Cultura,

quelli che in America, come sapete, sono molto sviluppati, si chiama Cultural Studies. Da noi,

diciamo, ci sono ormai studi su questo, un po' meno, e Alberto è sicuramente uno dei più originali

storici che ha fatto Storia della Cultura, cioè ha fatto capire, e questo per una cosa si dice

come la terza è, come dire, il nostro budino, non so come dire, il nostro cup of tea, il nostro

ideale, come la cultura abbia un enorme impatto su tutte le sfere della vita, e non è una riserva

indiana quella degli intellettuali. Gli intellettuali, chi fa cultura, quindi anche i musicisti,

naturalmente determinano e cambiano i comportamenti delle persone, determinano le sfere della politica,

della società, dell'economia. Mi fermo qui, do la parola poi a Giovanni, ecco perché io, come credo

voi, sono molto interessato e incuriosito da questo dialogo tra persone che hanno seguito

percorsi diversi dal punto di vista degli ambiti, ma che credo abbiano molto in comune dal punto di

vista della curiosità intellettuale, che mi sembra alla fine nel nostro lavoro, credo sia

d'accordo, è quello che conta. Arrivederci, vi saluto, buon dialogo, a te la parola Giovanni.

Grazie. Allora, vorrei essere inquadrato bene. Intanto buonasera a tutti, volevo ringraziare

Alberto Mario Banti per la disponibilità, anche per la semplicità con cui ha accettato questo

dialogo e il modo in cui ci siamo immediatamente relazionati. Siamo d'accordo che io faccio una

rapida introduzione generale del libro per spiegare come è organizzato, quali sono i contenuti e poi

dopo cominciamo a dialogare, a interagire sui contenuti di questo libro e perché no anche su

altri aspetti. Il libro è un libro, credo, molto agile, sono 120 pagine di testo e poi c'è una

sezione di apparati abbastanza nutrita con un glossario, cosa che io amo sempre inserire nei

miei testi musicali. Ci sono degli esempi audio, ossia ogni capitolo è in qualche modo correlato

attraverso una possibilità di ascoltare qualcosa della musica di cui si parla nel corso di quel

capitolo e gli esempi sono sia suonati che raccontati, che spiegati a voce, è una formula

che ho già sperimentato e che funziona molto bene, devo dire. L'argomento, la musica della luce,

è la musica del luminismo essenzialmente e il libro si concentra su tre grandi autori che sono

probabilmente i tre massimi rappresentanti delle idee dei lumi attraverso la musica che sono Haydn,

Mozart e Beethoven, tre musicisti che vivono nella stessa città, vivono a Vienna, tre musicisti che

interagiscono fra loro perché Mozart e Haydn erano amici, collaboravano, suonavano insieme,

si influenzano a vicenda e poi Beethoven che arriva a Vienna l'anno dopo la morte di Mozart,

non sappiamo se i due si siano in precedenza conosciuti, pare di sì ma non è certo, in ogni

modo Beethoven va a Vienna per studiare con Haydn e quindi questa che viene normalmente chiamata la

triade classica, il grande classicismo viennese, in qualche modo è composta questa triade da tre

musicisti strettamente collegati fra loro che affrontano gli stessi generi musicali, usano un

tipo di linguaggio che ha molte caratteristiche comuni, si influenzano a vicenda, si passano il

testimone musicalmente e in particolare prendo in esame in questo libro cinque grandi composizioni,

cinque delle composizioni più celebri di ogni tempo che sono il flauto magico di Mozart,

la creazione, il grande oratorio di Haydn che chiude il settecento, viene eseguita per la prima

volta nel 1799, l'unica opera di Beethoven, il Fidelio, che ha una storia lunghissima, la prima

esecuzione del 1805, la terza versione addirittura del 14, l'anno in cui si apre il congresso di

Vienna e poi le due grandi sinfonie, forse i pezzi sinfonici più famosi in assoluto della storia

della musica che sono la quinta e la nona sinfonia di Beethoven. Queste cinque composizioni sono

esaminate nel corso del libro, c'è un capitolo introduttivo che cerca di affrontare in senso

generale il modo in cui i musicisti reagiscono alle idee dei lumi e quindi in questo capitolo

prendo in esame alcune caratteristiche del linguaggio musicale, parlo della forma sonata,

parlo del singolare ruolo della musica strumentale che all'inizio del settecento è un genere

subordinato decisamente secondario e a fine secolo, all'inizio dell'ottocento, diventerà

invece, sarà considerata forse la forma in assoluto più alta di espressione musicale,

parlo della peculiare singolare caratteristica del linguaggio musicale che questi compositori

sviluppano per dar vita, rappresentare nella loro musica la metafora per eccellenza dei lumi,

l'idea del passaggio dal buio alla luce, il passaggio dal buio alla luce in molte composizioni

di Mozart, di Hagen, di Beethoven è esplorato attraverso un espediente tecnico preciso,

il passaggio dal modo minore al modo maggiore, ci sono degli esempi nel libro ma credo che sia

molto semplice far capire questa differenza, questo è un accordo minore, ha un carattere

piuttosto oscuro, drammatico, malinconico se lo vedete, ora vi faccio lo stesso accordo ma in

modo maggiore, cambia una sola nota ma il carattere viene completamente trasformato.

Ecco questa semplicissima differenza, c'è una sola nota che differenzia questi due accordi,

però come sentite una differenza molto potente che nel corso del settecento finisce per identificare

molto chiaramente delle sensazioni di malinconia, di tristezza, di oppressione, delle sensazioni

drammatiche e delle sensazioni invece che possono essere trionfali o luminose o gioiose, questo

percorso si sviluppa naturalmente in particolare attraverso il teatro d'opera ma passa nella

musica strumentale dove viene espresso e utilizzato molto chiaramente per costruire dei percorsi.

L'aspetto interessante è che la musica in questo periodo, la musica di Mozart, la musica di Haydn,

la musica di Beethoven soprattutto, comincia a raccontare qualcosa, a mostrarci una trasformazione

progressiva, la musica diventa un processo, questa è la caratteristica fondamentale dello schema

formale che questi compositori usano maggiormente, la forma sonata che ci detta e quindi per esempio

una grande sinfonia beethoveniana in modo minore, la quinta, comincia in minore

ma queste famose quattro note

se fosse maggiore sarebbe

la differenza nel carattere, se io provo a suonare in modo maggiore questo inizio cambia completamente

il pezzo, bene, la quinta sinfonia comincia con questo drammatico modo minore, Beethoven disse

a un albiero che questo inizio era il destino che bussava la nostra porta, quindi un elemento di

conflitto, un elemento di lotta e la sinfonia finisce in modo maggiore capovolgendo lo stesso gesto

io ho riassunto 30 minuti di grande musica in due semplicissimi frammenti ma essenzialmente detta

sinfonizzando al massimo questo è il percorso della sinfonia, ossia attraverso un pezzo di

musica strumentale senza le vocole un compositore a fine 700 e inizio 800 è in grado di darci un'immagine

del mondo, è in grado di darci in qualche modo una metafora del percorso illuminista, del passare

dal buio e il buio naturalmente come dire simbolicamente ma non solo per illuministi il buio

è il buio dell'oppressione politica, è l'oscurantismo, è il buio dell'ignoranza e la luce invece è la

luce degli ideali della libertà, della legalità, della fraternità e soprattutto è la luce della

conoscenza. Attraverso la tecnica musicale, attraverso la trasformazione continua dei

materiali musicali, un compositore, in questo periodo in particolare questi tre grandi viennesi, ci

danno un'immagine del mondo, ci mostrano una possibilità ideale naturalmente di passare

dall'ignoranza alla conoscenza, dal buio alla luce, di conquistare la libertà. Schiller proprio

esattamente in questo periodo, a fine 700, scrive le famose lettere sull'educazione sentimentale

dove dice che la bellezza è l'unico modo per raggiungere la libertà. Ecco questo è uno degli

ideali a cui Mozart, Haydn e Doven intendono dare vita attraverso molte loro composizioni,

non tutte in realtà, soprattutto Mozart è un compositore che mantiene sempre dei lati oscuri,

magari non nel flauto magico, non nelle nozze di Figaro, ma chi conosce il Don Giovanni,

forse la più famosa delle sue opere, sa che quell'opera ha comunque un lato oscuro e infatti

è un'opera in cui non a caso il modo maggiore e il modo minore sono continuamente dialetticamente

messi in confronto l'uno con l'altro. Mozart è un personaggio che per alcuni aspetti ha un ruolo

un po' eccentrico, un po' particolare in questo percorso, cerco di esaminare molto semplicemente,

molto brevemente anche questo aspetto nel corso del libro. Quindi c'è una breve introduzione,

ci sono cinque capitoli, il primo è il capitolo che cerca di definire il problema dando degli

elementi all'ottore, quindi esaminando aspetti tecnici, aspetti storici, parlo della evoluzione

del concetto di orchestra che è molto interessante, forse su questo potremmo anche dire qualcosa,

perché l'orchestra viene vista nel corso del Settecento come metafora che cambia in continuazione,

all'inizio del Settecento l'orchestra, per esempio un francese del 1700, è praticamente lo specchio

dell'assolutismo, del regno di Luigi XIV, c'è un grande scrittore, Charles Freni, che proprio

dice specificamente che l'orchestra è una capricciosa popolazione, c'ha bisogno di un capo

che con il suo scettro, ossia il bastone del direttore, che è un rotolo di musica, deve in qualche

modo dominarla, governarla e questo, il battero del visor si chiamava, deve avere un potere assoluto.

Beh, invece all'inizio dell'Ottocento l'orchestra sarà definita, tra l'altro da un commentatore

delle opere di Haydn, come un esempio di repubblica attraverso i suoni, un esempio di uguaglianza

tra i musicisti perché ognuno ha il suo ruolo e ognuno collabora per raggiungere un risultato

armonico complessivo, quindi c'è una trasformazione impressionante nel corso del Settecento che,

certo non a caso, in qualche modo replica, rispecchia la trasformazione nel modo di pensare,

la trasformazione sociale, la trasformazione politica che si realizza nel corso di questo

secolo. Il libro, vi dicevo, è ugualmente, alla fine, dopo i cinque capitoli ci sono

delle sinossi delle opere in cui parla, in particolare nel Flotto Magico del Fidelio,

c'è un glossario molto articolato che cerca in qualche modo di spiegare i principali termini

tecnici utilizzati nel corso del libro e poi ci sono, lo ripeto ancora, i cinque esempi audio che,

per esempio, le cose che vi ho fatto sentire adesso della Quinta Sinfonia sono spiegate

esattamente in questo modo, anche un po' più articolato all'interno degli esempi musicali,

questo permette al lettore anche di farsi a un certo punto ascoltatore, di entrare proprio nel

vivo della materia musicale, un aspetto secondo me sempre fondamentale. Roberto, io ho cercato

di condensare al massimo i contenuti di questo libro anche per dare spazio al dialogo, alle

tue suggestioni, cosa cosa pensi? Dunque trovo che hai tracciato in modo limpido un'analisi,

un'esplorazione di queste musiche, delle musiche di Haydn, di Mozart, di Beethoven e di quelle sulle

quali in particolare ti sei soffermato che è molto convincente, questa metafora del passaggio dal

buio alla luce e come tu argomenti e come fai vedere e sentire soprattutto la dialettica del

modo minore rispetto al modo maggiore, traccia un percorso e io sono molto colpito dal fatto che tu

abbia descritto questa musica come una musica che racconta e che è una musica che ha una chiara

politicità, una proposta politica da sostenere, da comunicare e io ho trovato convincente il

riferimento che fai in apertura a una bellissima pagina di Kant, nella pagina di apertura del suo

saggio risposta alla domanda che cos'è l'illuminismo, un testo del 1784 e Kant scrive

l'illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso,

minorità è l'incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro, imputabile

a se stesso è questa minorità se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza ma

dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati

da un altro. Sapere aude, abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza, è questo

il motore dell'illuminismo. Ecco questo passaggio dal bui alla luce poi è ben descritto in modo

straordinario da Kant con queste sue osservazioni, è l'uscita dell'uomo e della donna, poi c'è una

questione che dobbiamo affrontare sul lato del genere in questo tipo di produzione in particolare

nel flauto magico e nel Fidelio ma in tutto ciò c'è una chiara politicità. La contestualizzazione

che tu fai di questi autori nello spazio culturale politico della fine del diciottesimo

secolo e dell'inizio del diciannovesimo secolo è del tutto convincente ma a questo punto ti

pongo un problema perché diciamo, posto che io sono persuaso dalla tua argomentazione,

cerchiamo di ragionare su una questione che pure trovo interessante ed è la questione

della ricezione delle opere musicali e della storicità della ricezione, nel senso che la

ricezione cambia col cambiare del tempo e da questo punto di vista c'è un elemento di debolezza

in queste o di fragilità, se mi posso permettere, di rivolta delle musiche così assolutamente

straordinarie ma quando se ne parla cercando di esplorare la politicità, ovvero che questo

tracciato, questo gradus ad parnassum, questa salita dal buio alla luce, questo movimento

verso il progresso, resta però un pochino indeterminato alla fine dal punto di vista

del contenuto politico specifico, lo è quando siamo di fronte a musica strumentale e lo è

ancora quandoppure c'è un'azione scenica o c'è un testo o c'è pure appunto siamo nello spazio di

un'opera lirica di un lavoro come il flauto magico o come il filello, qui si pone un problema che tu

a un certo punto sei, che credo debba essere un po' discusso, questi tre autori sono stati

largamente utilizzati nel contesto del nazismo, tutti e tre gli autori sono stati considerati

come l'espressione da quintessenza della germanicità e tutte queste opere, anche il

flauto magico che potenzialmente è quella meno coerente con l'impianto nazista sia per il contenuto

sia per i riferimenti massonici, nonostante ciò è stata messa in scena più di una volta,

apprezzata da Hitler, incastonata dentro lo spazio della cultura specifica costruita dal nazismo.

Allora come la mettiamo con questo? Perché tu dici noi dobbiamo recuperare queste musiche oggi

perché ci troviamo in uno spazio in cui i prodotti culturali, in particolare la cultura di massa,

non ci incoraggiano a riflettere, a potenziare i nostri strumenti cognitivi, ma come

la mettiamo con delle musiche che non hanno offerto materiali resistenti a una manipolazione

così forte come quella operata nel contesto del nazismo? Oppure ce lo risolviamo semplicemente

dicendo no è stata un'operazione, una distruzione totale, dobbiamo mettere frappadenti, ce la dobbiamo

dimenticare? O non c'è un elemento di fragilità per dire altre musiche offrono materiali molto

più resistenti? Non voglio dire le musiche di Schoenberg, non sarebbe mai stato accolto

nello spazio del nazismo essendo ebreo, ma quelle di Webern o musiche atonali in ogni caso non

potrebbero entrare dentro quello spazio, non offrono materiali più resistenti. Per loro,

per i nazisti c'era proprio quest'idea dell'arte degenerata che era la musica contemporanea

essenzialmente e poi c'era la musica degli ebrei, la musica di Mendelssohn per esempio,

che viene completamente proibita. Il problema che è tutto che è un problema molto importante,

in qualche modo lo accenno in questo libro, ne ho parlato molto più a fondo nel libro precedente

che citava prima Giuseppe III nello spartito del mondo, il problema è che le opere d'arte

vengono continuamente rilette, cioè l'opera d'arte, al di là delle operazioni di recupero,

ma le opere d'arte che restano vive nel tempo, in qualche modo vengono sempre reinterpretate e

questo è un punto di forza ed è una debolezza ed è in particolare una specificità della musica,

perché la musica come linguaggio è un linguaggio indeterminato, cioè che non funziona sul rapporto

tra significante e significato. Se io prendo una nota musicale, questo è un do per esempio,

questa nota di per sé non ha significato, io posso interpretarla...

posso continuare, ossia posso interpretare questo elemento linguistico in decine di modi.

Quindi il linguaggio musicale di per sé è un linguaggio, infatti per gli illuministi per esempio,

per Kant, la musica strumentale non era in grado di disporre lo spirito alle idee, non parlava

effettivamente, aveva delle caratteristiche di linguaggio anche per un solo, cioè l'idea della

della musica come linguaggio che significa delle cose specifiche è un'idea che si realizza tra

la fine del settecento e l'inizio dell'ottocento. Questo credo di scriverlo nel libro, cioè c'è

proprio un problema di ricezione anche, cioè il fatto che per esempio la musica di Beethoven

viene fruita e in qualche modo viene, si appropria di lei un pubblico che... ma Beethoven leggeva Kant,

quindi in qualche modo, come posso dire, la sua musica interpreta la propria epoca e viene fin

dall'inizio interpretata in maniera che forse potrebbe non corrispondere esattamente alle

idee del musicista. Questo aspetto secondo me è, lo dicevo, allo stesso tempo una debolezza e un punto

di forza. Un punto di forza perché permette a un'opera d'arte, magari una cosa composta 300

anni fa, di continuare a essere attuale, di parlarci con la letteratura, per esempio, questo è molto

più difficile. Chiaro che ci sono Dante, Shakespeare, ma pensiamo alle opere letterarie

dell'illuminismo, cioè oggi quanti leggono Diderot? Eppure, voglio dire, le idee sono fortissime, sono

modernissime, lì abbiamo a che fare con una forma, con un modo di organizzare il linguaggio, con lo

stesso lessico utilizzato che in qualche modo ci ha distanziato nel tempo. Raramente è stato riletto,

dico Diderot ma potrei parlare di Fielding, potrei parlare di Parini, di Alfieri per fare degli esempi

nostri, no? Invece la musica ha questa capacità, siccome il linguaggio è più astratto, passa

attraverso i secoli, però viene continuamente reinterpretata e proprio questa ambiguità

linguistica permette probabilmente delle reinterpretazioni che possono apertamente,

dichiaratamente, distorcere il messaggio che il compositore voleva trasmettere. Facciamo

l'esempio della Nonna Sinfonia di Beethoven. Nel finale della Nonna, questo è un tema che tutti

conosciamo benissimo, non a caso questa melodia è diventata l'inno europeo? È diventata l'inno

europeo perché? Perché Beethoven mette in musica nel finale della Nonna Sinfonia un testo di Schiller,

un testo illuminista, un testo del 1785, che canta la fratellanza ideale di tutti gli uomini,

cioè il verso fondamentale dell'inno alla gioia, dell'ode alla gioia di Schiller è

alle Menschen werden Brüder, tutti gli uomini saranno fratelli, questo è inequivocabile,

non si può equivocare il messaggio di questo testo e quindi di questo pezzo di musica e giustamente

questo pezzo è diventato l'inno dell'Unione Europea. Immaginate che l'idea di trasformare

questo pezzo nell'inno dell'Unione è un'idea che risale agli anni 20 del 900 fra le due guerre e

succederà effettivamente nel 1700, nel 1972, quindi 50 anni più tardi, più o meno, e tanto per dire

qual è la problematicità di un'operazione di questo tipo, beh, il testo di Schiller nel finale della

Nona Sinfonia è cantato in tedesco, un inno europeo non può essere cantato in una lingua

specifica e, diciamola tutta, nel 72 ancora meno forse in tedesco, beh, che cosa succede? Che bisogna

realizzare una versione solo strumentale dell'inno che però Beethoven non ha iscritto, quindi si

commissiona a un musicista importante la trascrizione, l'arrangiamento del Lode alla

gioia come inno europeo in versione strumentale. Sapete a chi è stata commissionata questo

arrangiamento? È stato commissionato a Hemper von Karajan, che era un grandissimo direttore d'orchestra

ma era un ex nazista. Ancora oggi, questa è una cosa che pochi sanno, gli eredi di Karajan prendono

i diritti di esecuzione dell'inno europeo. Quindi ci sono delle delle contraddizioni stridenti. Un

musicologo tedesco durante la guerra, mi pare nel 41, nel 42, si chiamava Hans-Joachim Moser,

lui scrisse un libro nel quale sosteneva che l'umanità cantata da Beethoven, cioè la fratellanza

cantata da Beethoven nel finale della Nona Sinfonia, andava intesa come un'umanità naturalmente

germanizzata. Purtroppo, purtroppo o comunque voglio dire per uno storico, per qualcuno che

si occupa di provare ad analizzare i fenomeni e a seguirne anche le trasformazioni, l'esezione,

questi sono aspetti in qualche modo inevitabili e tanto più la composizione è importante, forte

e ha significati simbolici, quanto più queste distorsioni sono possibili. Adesso non voglio

allungare il discorso ma il caso del finale della Nona è interessantissimo. Nel corso della sua

della sua recezione questo pezzo di musica viene interpretato, per esempio, nel centenario

beethoveniano del 1927, ci sono dei musicologi sovietici che sostengono che l'inno alla gioia

è un inno al bolscevismo, è un inno proletario, ci sono negli anni 60 e 70 del novecento delle

studiosi femministe che dicono che questo è un pezzo maschilista, ci sono delle altre visioni

che invece lo vedono come un pezzo elitario, i nazisti lo vedevano con un simbolo nazionalista,

un pezzo che canta la fratellanza universale. Nel 74 l'inno alla gioia viene, naturalmente il

testo viene cambiato, viene cantato in africano e diventa per un brevissimo periodo l'inno della

rodesia, di uno stato razzista. Quindi in qualche modo il simbolo viene privato di tutto l'aspetto

semantico, cioè di ciò che connota, perché il messaggio beethoveniano, ripeto, è inequivocabile

e viene coscientemente, volutamente distorto. Questo aspetto mi chiedo però se sia, è chiaro che

è un elemento di fragilità, ma mi chiedo se sia un, se non sia un punto di forza nei confronti

della Nona Sinfonia, cioè se non dimostri il fatto che il valore simbolico e artistico,

evidentemente, di questa composizione continua a essere talmente forte che abbiamo bisogno di

continuare a rileggerla e probabilmente anche di continuare a travisarla. Ma questa è una

caratteristica che attraversa la storia romana. Sì, da un lato, dall'altro ecco, sono del tutto

molto persuasiva la tua risposta, soprattutto il tuo lavoro, nel senso che abbiamo necessità

della ricostruzione storica, abbiamo necessità di rispettare l'intenzio autoris, cioè l'intenzione

l'autore ha messo nella sua opera, nella sua produzione, così come l'intenzio operis, cioè

la struttura dell'opera. Se uno segue il percorso che tu ricostruisci e dialoga con Haydn, con Mozart,

con Beethoven, nel loro contesto e li ascolta per quello che dicono, non sono amissibili le

distorsioni che tu citavi un attimo fa. Quindi, diciamo, rispetto alla mia provocazione, queste

opere, questi autori sono stati utilizzati dal nazismo, e dai, lì c'è una manipolazione,

una distruzione che non vuole tenere in considerazione il contesto storico all'interno

del quale Haydn, Mozart e Beethoven hanno lavorato e quello che hanno detto. Per inciso,

il riferimento alla lettura femminista, cioè alla polemica, e il fatto che si usa l'uomo

nel senso di umanità, ma è così veramente, si usa veramente sia nel Fidelio che nell'Inno

alla gioia o nel flauto magico questo tipo di visione della società o ci sono dei problemi

dal punto di vista della rappresentazione delle identità di genere? Perché tu osservi a un certo

punto, parlando del flauto magico, che Pamina è un personaggio straordinario dotato di una agency

o di un'autonomia, il che trovo che sia vero. Però forse nel flauto magico c'è qualche problema

ulteriore, c'è Sarastro che punisce la regina della notte perché ha peccato di superbia,

ma non si capisce bene poi che causa, quali danni, quali cattiverie abbia fatto poi questo

personaggio negativo e cattivo. Sarastro poi si appiglia pure come un moro, un monostato,

forse ci sono degli elementi che fanno intravedere delle inclinazioni a discriminazioni

di genere o discriminazioni che corrono lungo la linea del colore o, se io ti faccio una domanda

di questo genere, siamo di nuovo nello spazio delle cattive interpretazioni che si danno al

flauto magico alfiderio, cioè c'è un problema di marginalizzazione dei ruoli femminili dentro

queste opere o no? O invece c'è un potenziamento delle opere? Questa è una domanda interessantissima

e attualissima, anche perché oggi, in questi giorni, girava una fake che diceva che a Oxford

non insegneranno più la musica di Mozart e di Beethoven perché erano colonialisti, a parte il

fatto che non è vero, cioè non c'è nessuna loro dichiarazione a favore del colonialismo,

basta di fatto che loro vivevano in un mondo colonialista. Io dico sempre appunto quando ci

sono persone che mi dicono ma come fai a apprezzare, ascoltare la musica di Wagner che era antisemita?

Io dico sì, però se noi ragioniamo nello stesso modo pensiamo che, la cosa che secondo me sarebbe

sempre possibile, magari fra 50 anni i diritti degli animali sono equiparati ai diritti dell'uomo

e quindi boicottiamo chi di noi va in giro portando il cane al guinsaglio. Il problema è esattamente

questo, cioè che ci sono dei modi di pensare, delle mentalità, dei modi di interpretare la

realtà e il mondo che ha intorno che sono, in ogni epoca, sono completamente condivisi. Quindi,

da questo punto di vista, lo sforzo di relativizzare, lo sforzo di osservare con occhi

storici ciò che succede nel passato, andrebbe fatto, secondo me, con più frequenza e con più

profondità di come non si faccia oggi. Naturalmente questo non toglie che la figura di Monostatos

nel Clauto Magico, per esempio, si ha volutamente messa in ridicolo perché lui canta con uno stile,

con un certo tipo di accompagnamento orchestrale, il suo stile vocale, il tipo di tenore che Mozart

ha in mente. E' sicuramente un personaggio che è messo in ridicolo come sarà messo in ridicolo

80 anni più tardi, mime nella tetralogia di Wagner, voglio dire che proprio diventa uno

stereotipo dell'ebreo in qualche modo e questo è innegabile. Mentre invece, secondo me, è interessante

il fatto che nella Nona di Beethoven, quindi 30 anni più tardi, le culture extreuropee sono,

in qualche modo, comprese nello sguardo universale perché Beethoven usa quelle che si chiamavano

all'epoca le percussioni turche, quindi una connotazione apertamente non euroscientica.

Questo ha uno spazio nel finale della Nona e probabilmente in questo si vede anche il passaggio

del secolo, si vede un percorso storico. Diciamo che dal punto di vista delle figure femminili

il discorso, secondo me, è particolarmente interessante se ampliamo, toccando non solo

il Clauto Magico in cui Pamina che comincia, che sembra una bambina spaventata, però alla fine

dell'opera invece è una donna consapevole ed è lei che guida Tamino attraverso le prove iniziatiche.

Nel Fidelio di Beethoven, nel 1805, questa donna incredibile si travesse da uomo, diventa guardia

carceraria, lotta contro il malvagio governatore per salvare il marito, cioè una vera eroina.

Queste figure, secondo me, andrebbero viste esattamente al contrario, cioè sono figure di

una modernità impressionante. Provate a pensare a quello che succede dopo la morte di Beethoven,

cioè nell'opera ottocentesca, nell'opera romantica fino alla fine del secolo, ancora in Puccini,

la donna è l'essere fragile che muore, che viene insidiata, oggetto di desiderio, cioè, rispetto

alla donna mozartiana, che è veramente una donna illuminista. Susanna nelle nozze di Figaro se la

gioca alla pari con il conte che vorrebbe approfittare degli uspri mai notti, se riesce

a giocarlo per tutta l'opera. La figura è di una modernità, di una... al di là di come è delineata,

è delineata in modo straordinario, ma trovo che la donna illuminista, la donna mozartiana,

anche la donna beethoveniana, sia molto più moderna della donna di Verdi o di Wagner. Da

questo punto di vista i frutti dell'illuminismo si vedono molto nettamente e si vede molto

nettamente, nell'opera invece pienamente ottocentesca, l'operato della restaurazione,

secondo me si vede molto chiaramente, molto nettamente. Anche da questo punto di vista io

trovo che queste composizioni abbiano molto da dire. È chiaro, pretendere di ascoltare il flauto

magico come se fosse una composizione scritta nel 2015 e quindi giudicarla secondo i parametri

contemporanei è un travisamento. È evidente che dobbiamo continuare a pensare a che cosa di

universale, cosa c'è di importante per noi nelle cose che Mozart voleva dirci nel 1791 e alcuni

valori di quell'opera sono valori ancora attualissimi, fortissimi. Altri naturalmente

sono valori settescenteschi, fanno parte di una società in cui non ci si ponevano una serie di

problemi di tipo etico, non c'era il politically correct, non c'era una certa serie di categorie

che oggi ci servono per interpretare la realtà. Io trovo che sarebbe, come dire, un po' strano,

un po' forzato, pretendere che Mozart o Beethoven già vivessero in qualche modo attraverso queste

categorie. Non so se ho risposto. Sì, sì, assolutamente. E senti, già che ci siamo,

provocazione per provocazione, visto che tu poi proponi questa tua lettura, anche come un invito

all'ascolto di queste musiche, di queste opere, proprio nella contemporaneità, allora vorrei

ritornare su questo punto facendoti la domanda in questo modo. Per quale motivo un ragazzo o una

ragazza che adesso ascolta la trap dovrebbe mettersi a ascoltare Beethoven o il flauto

magico o Haydn? Oppure per quale motivo una persona di qualunque età che ascolta le musiche

uscite da Sanremo dovrebbe mettersi a fare un'operazione di questo genere? Terza tipologia,

aspetta, ti metto sul terreno anche questa. Perché una persona sempre di qualunque generazione che

magari ascolta prevalentemente Miles Davis o John Hassel o Steve Reich dovrebbe mettersi a ascoltare

musiche di cui tu parli nel libro. Qual è il punto chiave da questa prospettiva? Complimenti per John

Hassel che non viene citato tanto spesso. Mi piace da morire. Dunque, intanto una piccola premessa,

oggi sempre più, e in particolare durante quest'ultimo anno di pandemia, sta diventando

normale ascoltare la musica riprodotta, magari attraverso le cassettine di un pc e in uno schermo,

mentre invece la musica è un'esperienza che dà frutta dal vivo. E questo aspetto in parte

già risponde alla domanda, perché ti posso garantire, io molto spesso lavoro con i ragazzi,

con le scuole, con gli iscei, quindi è un tipo di target il primo a cui facevi riferimento che

conosco molto bene, se i ragazzi si portano all'opera e vedono la traviata dal vivo è molto

raro che non si rondono. Molto raro perché la forza dello spettacolo dal vivo, del suono,

dell'orchestra, delle scene, delle luci... e poi c'è un altro aspetto secondo me molto importante,

e qui parlo soprattutto dell'opera, quindi in questo caso del Fidelio, del flauto magico,

pensiamo un attimo al contenuto, cioè di che cosa parla un'aria del flauto magico? Che cosa parla

l'aria di Tamino del primo atto, l'aria della regina della notte del secondo atto, l'aria di

Pamina del secondo atto? Parlano dell'amore, del dolore, della sofferenza, della rabbia,

parlano dei sentimenti e guarda caso sono esattamente le stesse cose di cui parlano

le canzoni di oggi. Perché? Perché, questo è un aspetto che non tratto in questo libro,

l'ho trattato in un precedente libro, la terza, quello dedicato alle opere di Mozart, perché la

musica, e questo lo scoprono i compositori nel corso della storia, ci dobbiamo secoli per arrivare

proprio a definire questo concetto, che però è un concetto fortissimo, la musica anche quando

quando si sovrappone a un testo verbale ha la possibilità di fare qualcosa che le parole non

riescono a fare. Le parole hanno, il discorso parlato può fare tante cose che musicalmente

sono difficili da raggiungere, ma la musica può invece raggiungere un risultato in maniera

sicuramente più immediata e più forte rispetto alla parola e questo è rendere evidente l'interiorità,

esprimere i sentimenti, esprimere le sensazioni. Come posso dire, per esprimere una sensazione,

parlo a chiunque ci ascolta, è un esempio che faccio molto spesso ai ragazzi, dico provate,

nel momento in cui siete emozionati, siete innamorati, provate a spiegare questa cosa in

parole, è molto complicato. La prima cosa che vi viene da fare invece di cantare,

cioè di tirar fuori da dentro il suono, e questo è un aspetto fortissimo ed è uno degli elementi

che rende sempre attuale in particolare la musica vocale, cioè l'idea di musica come

espressione di emozioni. Questo credo che sia un concetto molto chiaro che ci rende straordinariamente

vicini Mozart o Beethoven o Berli o Rossini o in particolare i grandi compositori d'opera. Non è

un caso che quando si sente un pezzo di musica strumentale un ascoltatore medio tenda automaticamente

a associare i suoni a dei sentimenti. Questo mi fa sognare questo, questo mi fa pensare, cioè si

immaginano delle situazioni emotive perché la musica ha questa caratteristica e questa è

soltanto però la prima parte della risposta. Ti chiedo scusa, devo dare una risposta un po'

articolata. C'è un altro aspetto che è molto importante secondo me e che è stato, per una serie

di ragioni che non possiamo analizzare, è stato cancellato e sommerso nella ricezione non solo

musicale, secondo me proprio nella storia della cultura, nell'ultimo secolo direi, ed è il fatto

che esistono dei generi differenti. Cioè noi oggi tendiamo a pensare che la musica sia una cosa,

infatti io molto spesso sento confrontare, posso dire, la canzone di Sanremo con il quartetto di

Beethoven, ma queste sono due cose, sono due generi musicali che hanno esigenze e obiettivi

completamente differenti. Cioè esiste una musica che serve a ballare, esiste una musica che serve

per cantare insieme, esiste una musica di intrattenimento, poi esiste una musica, che è

una musica nobilissima, che magari si rivolge a tre persone all'interno di un salotto e non era

neanche previsto, quando il compositore la scriveva, che quella musica uscisse fuori dal

salotto e fosse invece eseguita su un palcoscenico davanti a 500 persone, perché è una musica che

pretende una fruizione intima, una fruizione rapprocinata e questo è un tipo di rapporto che

nella storia dell'arte è sempre esistito. Pensate alla differenza che c'è tra una fresco e una

miniatura. La Cappella Sistina va vista a distanza di 30 metri e la possono vedere, se la possono

godere, 500 persone. Oggi magari anche di più, siamo tutti stretti come sardine quando entriamo

nella Cappella Sistina. Andate a vedere I Coniugi Arnolfini di Jan van Eyck alla National Gallery di

Londra, è un quattro piccolo così, è impossibile vederlo insieme in due persone. Quindi ovviamente

la fruizione deve cambiare. Se noi pretendiamo di avere lo stesso identico tipo di fruizione

per qualunque genere musicale, è evidente che i generi che sono in qualche modo volutamente, non è

un difetto, che sono più semplici, più immediati e magari anche più rumorosi, perché sono fatti per

quello, è evidente che quei generi finiscono per prevalere, ma l'obiettivo dovrebbe essere diverso,

cioè la comprensione della differenza tra i generi è una ricchezza. Il fatto che noi possiamo

dedicarci all'ascolto di una canzone e invece in un altro momento possiamo con grande piacere

sentire un quartetto per archi, andare a sentire un'improvvisazione jazz e magari ascoltare,

vi posso dire, un motetto rinascimentale. Sono tutte musiche che hanno funzioni differenti e

che quindi andrebbero ascoltate in modo diverso. Purtroppo oggi noi abbiamo appiattito completamente

il concetto di ascolto, infatti oggi quando si parla di musica, e non solo di musica,

si parla essenzialmente solo di intrattenimento. Solo scusa? Non ho capito di? Intrattenimento.

Ah sì. Sotto una funzione, non esiste il fatto che la musica o l'arte possa farti pensare,

farti riflettere, che sia un modo per scandire la giornata. Non dimentichiamo che le culture,

già le culture dei nostri nonni, vivevano in gran parte attraverso il canto. Ancora i

contadini siciliani avevano canti per ogni momento della giornata. C'erano canti di lavoro,

canti di vendemmia, canti di tonnara, canti d'amore, preghiere naturalmente, serenate,

canti d'austeria. La musica era, poi si è stata forse soppiantata da un orologio più brutale,

più immediato, come l'orologio della televisione, poi adesso lo schermo del computer, ma invece la

musica serviva anche in qualche modo a articolare il ritmo della giornata e il ritmo della vita.

Forse c'è anche, non so cosa pensi, ma c'è anche diciamo nello spazio della comunicazione,

della comunicazione intorno alla musica, una sorta di segmentazione abbastanza rigida,

di frammentazione. Nella colonna dei commenti, con un certo slancio illuministico, Teodosio Orlando

e Riccardo della Torre mi dicono, va beh, ma chi ascolta Miles Davis, John Hustler o Steve Reich

sicuramente apprezza anche Mozart e Beethoven. Certo, il riferimento, fra l'altro, l'esempio è

modellato su di me, perché apprezzo Hustler, Reich, Miles Davis, sono le cose che sto ascoltando

negli ultimi giorni e certamente conosco Mozart e Beethoven. Però nello spazio della comunicazione,

in realtà, i generi musicali, i tipi di musica dialogano con difficoltà. Se tu compri Amadeus,

trovi una quantità di articoli sulla musica dal XVII a XIX secolo e poi difficilmente altre cose.

Se tu compri musica jazz, solo di recente, molto giustamente, hanno introdotto degli articoli su

musicisti classici e musicisti rock, ma prevalentemente gli articoli sono su jazz. Se tu

compri Prog Italia, hai solo esclusivamente articoli che riguardano il prog e così se vai

negli spazi web che trattano di musica, sono molto segmentari. C'è un problema da questo punto di

vista, secondo me? Forse, guarda, forse 6 gradi su radio 3 è uno degli spazi in cui si mescolano

musiche molto diverse e molto brillantemente, tra l'altro, ma se no c'è questo imperialismo del

genere, del tipo di musica che costruisce delle bolle, a volte non tanto comunicanti, fra loro.

È proprio questo il punto, sì. La differenziazione dei generi per un musicista del 700, dell'800,

era quanto di più normale, voglio dire. Mozart scriveva la musica leggera, la musica di danza,

la messa, l'opera che sarebbe il cinema, la colonna sonora mobilitata in qualche modo,

perché naturalmente è uno spettacolo multimediale, il quartetto, la sonata per pianoforte e la

sinfonia, cioè scriveva in qualche modo, soddisfaceva interamente il fabbisogno

musicale della sua epoca. Oggi invece, questo è un fenomeno che ha almeno un centinaio d'anni,

viviamo in un'epoca di specializzazione, ma la specializzazione è per definizione

nemica dell'arte. Un grande problema. Cioè, oggi ci sono grandissimi pianisti classici che non

hanno mai improvvisato una nota in vita loro, ci sono, per fortuna sempre meno, ci sono dei

jazzisti fantastici che non sanno leggere il pentagramma, questo ormai quasi non succede più,

ma insomma lo stereotipo era questo, perché era vero. E quindi, in qualche modo, queste due forme

di espressione che in Chopin erano perfettamente fuse per loro, perché sappiamo che Chopin era

un improvvisatore clamoroso, straordinario, o Beethoven, questa ricchezza è stata coscientemente

separata man mano che si costruiva questa idea di una cultura appunto divisa in compartistani,

ma di per sé invece l'arte pretende di essere antispecialistica, cioè pretende di essere,

di poter parlare con tutti. Questa è l'aspirazione della maggior parte dei compositori, o se è per

questo secondo me dei pittori, degli scrittori. Oggi invece abbiamo il poeta che se poeta scrive

un romanzo, un saggio o un racconto breve sembra una stranezza. Questa cosa la trovo incredibile,

prendete appunto Goethe che viene definito, George Eliot lo chiama l'ultimo uomo universale a

camminare sulla terra, quello scrive a trattati scientifici, romanzi straordinari, teatro,

poesia, scriveva di tutto, favole. Questo aspetto, non pretendo che si possa recuperare,

ma è chiaro che averlo perso è secondo me un impoverimento spaventoso proprio dell'esperienza

culturale, del gesto culturale, del nostro modo di intendere la cultura oggi. Infatti

moltissime persone conoscono moltissimi ascoltatori tra virgolette classici,

musica classica è un termine che io odio, non lo uso normalmente perché è usato in maniera

impropria, però diciamo molti ascoltatori medi di musica classica non sanno nemmeno

qual è il gruppo che ha vinto quest'anno e questo secondo me è stupido perché fa

parte è un fenomeno di cultura e un fenomeno di società, poi dopo vuole un piacere.

Forse si è bloccato...

Non so come dire, una costruzione per compartimenti stagni della fruizione

culturale e di conseguenza della produzione culturale che secondo me è dannosa e innosciva

da ogni punto di vista. Io in questo momento sto preparando un progetto didattico per una

serie di festival jazz italiani nei quali all'interno di questo progetto io intendo

a mostrare tutte le ramificazioni e gli addentellati, i punti di collegamento fra queste due culture,

non solo ma anche fra musica popolare, le musiche del mondo, che bisogna ricominciare

a parlare della musica e non delle musiche.

Tra l'altro è questo quello che fanno Mozart e Beethoven, tu lo mostri, cioè utilizzano

materiali che vengono dalla musica popolare dell'epoca, naturalmente rielaborandoli,

incastonandoli o utilizzandoli in modo funzionale all'interno delle loro opere, quindi dialogano

con un universo musicale molto vario.

Esattamente, proprio perché siccome vivono in una società che aveva un'aspirazione cosmopolita,

la Vienna di fine settecento, la Vienna che sta... vedete una carta geografica, guardate

dove sta Vienna, è impressionante quanto sta a est.

Quindi a Vienna si parlava il cieco, l'ungherese, moltissimi nobili, nobilità per cui scrive

Beethoven per esempio, i suoi quartetti si chiamano tutti Rasumovski, Galitsin, sono

tutti nomi russi e ovviamente rappresentare questa società significava anche attingere

a stili musicali vari, stili musicali che nel flauto magico parlano fra loro, c'è

questo esempio che ho fatto...

Si è bloccato il collegamento...

Ci sono?

Adesso sì, adesso seguimo...

Sentite l'ouverture del flauto magico è la forma più alta, più raffinata che non

è fatto che esistesse all'epoca perché era una fuga...

Non vi suono tutta l'ouverture naturalmente ma comincia con una fuga, con una...

Poi l'opera comincia, comincia con, è un'opera che ha una trama, come dire, particolare,

comincia con un principe vestito in abito giavanese che scappa in seguito da un enorme

serpente, è un po' come le, lo dico nel libro questo, è un po' come le tre fiere...

È stato di nuovo?

Sì Giovanni ti abbiamo perso nell'ultimo...

No dicevo lo stile che era all'inizio lo stile del contrapunto qui diventa lo stile dell'opera

seria, dell'opera drammatica...

Sentite proprio questa concitazione dello stile dell'opera seria, poi improvvisamente

escono fuori queste tre dame da un tempio sullo sfondo che hanno una lancia d'argento

con la lancia uccidono il serpente, si avvicinano al principe e si avvicinano a un'altra dama

che è una dama di un'altra vita, una dama di un'altra vita, una dama di un'altra vita

uccidono il serpente, si avvicinano al principe che è svenuto, si rendono conto come avrebbe

detto Rossini che si tratta di un bel principotto e quindi cominciano a disputarselo, la prima

dice ma sapete che fa?

Io resto qui con lui e voi andate a avvertire la regina e la seconda dice no, io resto qui

e voi andate...

e la terza dice che sembra il film di Totò...

Giovanni ti abbiamo preso...

diventa lo stile dell'opera buffa, poi le tre dame se ne vanno, lasciano il principe

svenuto che si risveglia, si chiede che è successo, perché il serpente è morto e arriva

a un altro personaggio, un personaggio fantasmagorico, uno dei più grandi personaggi della storia

che canta con questo stile.

E questo è il Papageno, avete sentito che siamo passati dal contrapunto aulico allo

stile drammatico dell'opera seria, allo stile brillante, vivace e arguto dell'opera buffa,

allo stile della musica popolare, al punto che questa melodia nell'Ottocento a lungo

si è pensato che fosse un canto popolare tirolesi utilizzato da Mozart, invece poi abbiamo

trovato degli appunti e sappiamo che è un pezzo originale di Mozart ma scritto nello

stile della musica popolare tirolese, che tra l'altro era la sua musica d'infanzia perché

Mozart era di Salisburgo naturalmente.

Tutto questo avviene, come vedete, grado dopo grado e senza nessuna frattura stilistica,

è una cosa impressionante.

Questo è il senso di quello che noi oggi chiamiamo il classicismo viennese, cioè la capacità

di usare tutte queste suggestioni in maniera armoniosa senza far mai percepire fratture.

Io faccio l'esempio, lo scito forse in una nota, cento anni più tardi, qui siamo nel 1791,

se andiamo nel 1891 e prendiamo una sinfonia di un altro autore che lavora a Vienna come Mahler,

e lì ci sono citazioni di musica popolare in continuazione, sono sempre delle fratture

spaventose, cioè diventano degli elementi straniati, invece in questo istante, proprio

perché volevano mettere in musica ideali luministi, cioè questo ideale di fratellanza,

questo ideale di egalité, la capacità di questi tre compositori di fondere fra loro,

di far discutere fra loro, di far dialogare fra loro stili differenti, è probabilmente

ancora oggi insuperata, che è uno degli aspetti secondo me che li rende così attuali, perché

veramente ci offrono la possibilità di osservare un mondo, metaforicamente, in cui ognuno ha il

suo posto, le differenze hanno un valore, che credo che sia una lezione straordinaria dal punto

di vista proprio anche semplicemente sociale del mondo contemporaneo. Giuseppe? Ma io ho un ruolo

terribile, cioè quello di dirvi che è passata l'ora, in realtà rimarremmo tutti ad ascoltare voi due,

anzi voi tre, perché in realtà siete due più un terzo, che è il piano, un terzo che,

devo dire, dà una voce straordinaria, perché sentir parlare voi due, sentire la voce del piano è una cosa

meravigliosa, però come disse una volta un grande uomo di spettacolo, oltre che un grande giornalista,

Corrado Augas, presentando il suo libro, dopo 50 minuti finì, tutti avevano molte domande, lui disse

sempre finire prima con un po' di appetito, quindi vogliamo che le persone poi leggono il libro,

ritornino ad ascoltare, leggono i libri anche di Alberto, tra l'altro l'ho detto a Anpassà, ma Alberto

ha scritto libri appunto sulla musica specificamente, non solo sulla musica, diciamo sulla narrativa di massa,

anche al cinema, eccetera, però come dire, la musica entra moltissimo nella sua riflessione anche

di questi ultimi libri sulla musica contemporanea, quindi grazie a Giovanni, a Pietti, grazie ad Alberto Banti,

io vi porto i prossimi appuntamenti della nostra intensa attività online, la Casa di Triscia si è rinnovata

nell'ultimo anno con tutta una generazione di trentenni che fanno attività intensissime, quindi la terza è

quasi ogni giorno, e infatti la prossima settimana, martedì 13, avremo un dialogo sul libro di Andrea Riccardi

La chiesa brucia, la crisi e le prospettive del cristianesimo con Romano Prodi e Corrado Augas, e ci sarà la mia collega

Lia Di Trapani a interrogarli, poi avremo il 14 pomeriggio nella rubrica interregno in cui si confrontano generazioni,

il tema sarà la sanità, avremo Beppe Remuzzi che è un grande medico e che parlerà della situazione attuale,

con due giovani che interloquiranno con lui, e poi avremo il venerdì 16, di nuovo un libro di storia con un titolo

panflettistico, Francesco Filippi ha scritto un libro che si chiama Prima gli italiani, punto esclamativo,

sì ma quali, dove affronta il tema dell'identità che peraltro Alberto Banti conosce molto bene e lo affronta

in dialogo con un giornalista, perché ci piace spiazzare, che è Riccardo Iacono, che come sapete fa dei bellissimi servizi

inchieste in televisione. Quindi vi do appuntamente prossimi incontri, vi invito ad andare in libreria, le librerie per fortuna

a zona rossa, a zona arancione, sono sempre aperte, bisogna sostenerle perché è giusto comprare su Amazon,

ma è anche giusto e bene comprare in libreria, tante librerie grandi e piccole, sono veramente presidie,

per fortuna la buona notizia è che i libri vanno molto bene, anche all'inizio di quest'anno abbiamo avuto risultati straordinari,

la gente legge tanto e questo credo renda felice tutti e tre noi e tra l'altro, come si è dimostrato in questa conversazione,

leggere libri non è alternativa ad altre funzioni, in particolare quella musicale e anzi si legge e si ascolta insieme

oppure a distanza. Quindi grazie mille ancora e a presto.

Grazie a voi. Arrivederci.