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Conversazioni d'autore, 'L'illusione liberista' di Andrea Boitani con Letta e Mio

'L'illusione liberista' di Andrea Boitani con Letta e Mio

Buonasera, buonasera e benvenuti a questo incontro speciale in cui parliamo dell'illusione liberista e dell'ideologia di mercato.

Cosa sia l'illusione liberista e l'ideologia di mercato lo vedremo tra qualche minuto.

Intanto consentitemi di ringraziare molto Chiara Mio ed Enrico Letta che sono qui con noi nella sede romana della Casa Editrice a discutere di questo libro di Andrea Boitani.

Andrea Boitani è un autore e un amico della Casa Editrice da molti anni, ha fatto diversi libri nel tempo anche con vari editori.

L'ultimo libro che è abbastanza coerente con questo si chiamava Sette luoghi comuni sull'economia del 2017, è il primo libro che campeggia nella galleria di libri che sono di fronte a noi.

Siamo messi perché si promuova una produzione di economia abbastanza ampia e variegata, ma quello di cui discutiamo stasera è un libro appena uscito, da poche settimane,

che fa riferimento all'attività di Andrea che negli anni si è sviluppata su più fronti. Andrea Boitani insegna economia politica all'Università Cattolica di Milano, ma collabora anche sia con istituzioni pubbliche, è stato in consiglia di amministrazione,

e poi collabora anche con La Voce che è un importante sito di informazione con cui tra le altre cose abbiamo collaborato negli anni con Tito Boeri per il Festi di Economia. Il libro di Andrea, di cui adesso ci parlerà subito Chiara Mio, ha dal mio punto di vista un grande pregio per chi fa questo lavoro,

cioè un libro che dice che le idee contano, sono molto importanti nel bene e qualche volta nel male. L'ideologia liberista, come vedremo tra qualche secondo, ha fatto anche dei danni. È un libro che parla della cultura economica, ma nell'impatto più generale i personaggi protagonisti di questo libro sono Keynes, Friedman, ma anche Luigi Einaudi e anche Federico Caffè, che cito con particolar affetto perché è stato il maestro di Andrea e anche del sottoscritto.

Keynes, ma anche gli altri, erano convinti che nel tempo le idee contano più degli interessi, affermazione non ovvia, che sentiamo anzi contraddire spesso nel dibattito pubblico, per cui sembra che l'unica cosa solida che conta veramente, che incide, che sposta anche i voti sono gli interessi, ma la definizione stessa di questi interessi dipende un po' da questi occhiali che mettiamo.

A seconda degli occhiali che metto posso pensare che il mio interesse sia immediato domani oppure che sia il mio interesse investire, per esempio, sull'educazione dei miei figli. Anche quello è un interesse, ma un interesse più a lungo termine.

Abbiamo stasera veramente la grande occasione di discutere con due persone che ci racconteranno questo tema e il libro da due punti di vista, tutti e due molto qualificati e al tempo stesso diversi. Chiara mio è un economista come Andrea, con una caratterizzazione di economia aziendale, insegna in una grande e prestigiosa università come Ca' Foscari, ma è anche presidente della banca credit agricultural Fioradria, se ho detto bene.

E' un economista anche sul campo e che conosce il mercato anche dal punto di vista micro. Il libro che ha fatto con noi qualche tempo fa, che si chiama L'azienda sostenibile, incrocia molti dei temi di cui ci parlerà.

Enrico Letta, che naturalmente è prima di tutto l'attuale segretario del Partito Democratico, però è una persona che di economia si è occupata molto, ha scritto, ha lavorato, ha studiato, forse a Sianspo non insegnava economia, però la dimensione economica, posso dirlo con molto orgoglio, con noi Enrico ha fatto un libro con Lucio Caracciolo che si chiama Euro sì, Euro no, il suo primo libro.

Nel libro L'anima e il cacciavite, che poi avremo modo di citare, Enrico Letta ha percorso molti dei temi di cui parleremo anche stasera. Allora, io comincerei subito con Chiara Mio, chiederei a Chiara di fare un primo intervento di commento del libro o dei temi del libro.

Innanzitutto questo è un libro che va letto per l'estrema chiarezza con cui propone una riflessione molto attuale su questa illusione liberista. Dico molto attuale perché a valle di un periodo Covid, a valle speriamo proprio di esserne usciti, è importante capire quali marce innestare e come proseguire in una traiettoria molto positiva di sviluppo.

Dal mio punto di vista Andrea Boitani propone in maniera molto univoca, in una chiave storica ma attuale, l'importanza di avere innanzitutto il riconoscimento del mercato e di una meritocrazia, perché questo è un tema sul quale bisognerebbe riflettere anche nell'attualità,

cioè l'importanza delle motivazioni che spingono all'intraprendere, all'intrapresa e il riconoscimento che dagli studiosi che venivano citati c'è sempre stato. Ma quando poi si arriva a proporre la seguente riflessione, il mercato basta? È sufficiente ricondurre al tema del profitto e dello scambio la ragione d'essere e la ragione di esistenza, la chiave di lettura per capire le dinamiche economiche e quindi sociali?

Ecco da questo punto di vista vengono proposte delle riflessioni che indicano i limiti del mercato e io affianco a queste le osservazioni più aziendalistiche, ovvero le aziende oggi non si muovono più solo mosse dal profitto, solo mosse da spirito di capitalismo in senso stretto e nel senso direi vetero capitalismo.

Oggi gli imprenditori da tempo hanno bene chiaramente che non basta fare profitto oggi ma è importantissimo e la discontinuità del Covid ha dimostrato avere una reputazione, avere dei clienti molto contenti, avere dei stakeholder e non solo degli shareholder soddisfatti e quindi pensare che sia sufficiente l'equazione ricavi meno costi,

... al massimo a qualsiasi condizione è illusorio. Le imprese oggi hanno bene interiorizzato questa lezione e sono portatori di un modello diverso di fare impresa e da qui anche l'illusione liberista, non basta massimizzare il profitto ma occorre tener conto che serve avere un orientamento di lungo termine e questo non vuol dire non guadagnare, non riconoscere la remunerazione dei fattori e nel libro Andrea cita anche che non tutto ciò che ha valore ha prezzo.

Oggi sul mercato ci sono tanti beni che vengono scambiati e che hanno un prezzo e magari il valore intrinseco non è lo stesso o ne teniamo conto anche se non hanno un mercato in senso stretto o il grande pubblico non lo pensa. Mi riferisco all'aria pulita, quanto vale l'aria pulita, quanto vale l'acqua disponibile a tutti, accessibile a tutti.

Qual è la responsabilità delle imprese e del mercato nel permettere che anche i nostri figli, i nostri nipoti abbiano accesso a dei beni comuni e abbiano accesso al stesso stock di risorse al quale abbiamo accesso noi? Il libro mette in luce come non sia sufficiente rimettersi al mercato e torno all'attualità, oggi noi siamo in presenza di crisi di offerta, è una situazione che in tutta la mia storia

accademica non proprio limitata non ho mai visto. Oggi le aziende non riescono a soddisfare gli ordini perché mancano componenti, mancano materie prime e c'è il grande rischio che si vada a recuperare queste materie prime, penso alle terre rare, penso al tema dei trasporti, anche in spregio a temi ambientali o a temi di equilibrio perché c'è questa grande domanda che accompagna uno sviluppo dell'economia e quindi è molto importante tenere presente che non basta il mercato, non basta il mercato in

senso stretto, l'impresa a macchia di leopardo lo ha ben interiorizzato, serve la regia politica, la politica non può essere assente e non può lasciare che sia il mercato a regolarsi perché se così ci sono forze in campo talmente squilibrate da ritenere praticamente impossibile un'autoregolamentazione. Mi fermerei qua in questo primo giro.

Bene grazie. Passate il libro di Enrico perché poi dopo vorrei riprendere nel libro di Enrico Letta molti di questi temi sono presenti, c'è un intero capitolo sul tema della sostenibilità però prima di entrare intanto vorrei chiedere a Letta se ci dà un suo commento generale e poi vedo che ci sono già persone che cominciano a porre le domande, mi fa piacere poi come dire più in là daremo spazio anche alle vostre interventi, domande, questioni.

Intanto sono veramente molto contento di avere questa opportunità per tanti motivi sia per il prestigio della casa editrice e quindi un ringraziamento a Pepe per l'invito sia perché sono un grande estimatore di Andrea Boitani di quello che fa, dice, scrive e quindi ho letto con grande attenzione l'illusione liberista innanzitutto perché il titolo, adesso non so Pepe se dico una bestemmia,

metà di un libro è il titolo alla fine e quindi il titolo è bello forte, è bello interessante, impegnativo e ci dice molto e ovviamente attira immediatamente l'attenzione anche perché chi lo scrive non è un pericoloso subversivo ma lo scrive una persona che attorno a questi temi ha riflettuto tanto e ha un approccio ovviamente molto equilibrato e quindi l'interesse per approfondire,

per capire che cosa Andrea ci dice. Il libro è estremamente interessante perché si cala dentro il tempo che stiamo vivendo e anche dentro un cambiamento che sta avvenendo perché è evidente che questo libro secondo me funziona e funzionerà molto perché entra dentro un momento di cesura nella storia politica e in generale anche nella storia delle politiche economiche del nostro paese perché noi siamo in un momento di cesura.

Siamo al termine sostanzialmente di 25 anni probabilmente in cui tra da una parte la grande bolla, la grande spinta di Internet negli anni 90 e la creazione, il completamento del mercato unico, la nascita della moneta unica in Europa e l'ingresso della Cina nel mercato globale,

tre fenomeni, uno che parte dalle Stati Uniti, uno che è in Europa e il terzo che viene dalla Cina, tre fenomeni che hanno reso questi 25 anni caratterizzati da alcune dinamiche economiche fortissime con degli impatti anche molto pesanti, basta pensare alla crisi economica finanziaria del periodo 2008-2011

e con fortissimi dislivelli e anche con fortissime differenze di risultato e di performance, sono soltanto tra i tre macro aree del mondo ma anche all'interno, se pensiamo all'Europa dobbiamo sempre ricordarci il fatto che quei 25 anni sono stati 25 anni in cui alcuni paesi hanno performato particolarmente male e sono sostanzialmente tre in Europa i paesi che hanno performato male, l'Italia, la Grecia e il Portogallo.

Se prendiamo i 20-25 anni tutti insieme l'Italia è il peggiore e altri invece che hanno performato molto meglio, quindi un periodo in cui si sono allargate molte disparità, molte disuguaglianze anche tra stati, ma è stato un periodo caratterizzato da alcune dinamiche molto lineari dal punto di vista delle politiche economiche, delle scelte,

sono stati 20-25 anni delle liberalizzazioni, delle privatizzazioni, dell'apertura di mercato, del grande commercio internazionale, 20-25 anni in cui c'è stato l'impatto, il protagonismo della figura del consumatore all'interno della dinamica economica,

quel consumatore che prima non esisteva nemmeno o era tenuto in disparte o in secondo piano, pensiamo a cos'era negli anni 70, negli anni 80, da noi o anche in generale in Europa, soprattutto nell'Europa meridionale.

Tutto questo ha una cesura profonda, coincide col tempo della pandemia e l'uscita dalla pandemia è un'uscita caratterizzata innanzitutto dal più grande piano di investimenti pubblici mai visto nella storia, cioè Next Generation, io parlo ovviamente dell'Europa in questo momento, dell'Unione Europea per essere più precisi.

È un piano di investimenti di dimensioni mai viste prima e che per forza di cose rilancia la mano pubblica e che si gioca in gran parte sulla mano pubblica.

Una cesura che è caratterizzata dal fatto che durante la pandemia è tornato centrale il ruolo dello Stato per motivi evidenti e assolutamente facilmente identificabili nel fatto che c'è stato bisogno di prestazioni nei servizi essenziali che normalmente sono dati dalla mano pubblica,

la salute, la sanità è il primo, ma non soltanto, anche gli altri servizi pubblici essenziali che sono stati appunto presi in mano dallo Stato nel momento in cui il resto del sistema economico privato era sostanzialmente fermo, si era fermato completamente in una modalità che non si era mai vista dal 1945 a oggi.

E allo stesso tempo un cambiamento radicale nelle relazioni tra il cittadino e la comunità nella quale il cittadino si trova ad agire, a vivere, sia che si tratti della comunità statuale che eroga servizi,

sia per quanto riguarda le relazioni all'interno di questa comunità e appunto anche il sistema economico, il mondo dei commerci eccetera.

Questo cambiamento radicale, questa cesura, ci fa entrare in un mondo nuovo, diverso, del quale è molto difficile oggi tratteggiare le caratteristiche e sapere bene quali sono i punti cardinali della bussola e non li sa nemmeno Andrea Boitani perché non li sa nessuno oggi,

ma Andrea con questo libro secondo me ci aiuta molto perché ci fornisce una chiave di lettura della cesura, cioè sostanzialmente ci racconta perché una certa fase termina, perché è importante che ci rendiamo conto che è terminata e ci dà alcune chiavi per capire quali saranno gli elementi essenziali della fase prossima.

Ecco perché lo trovo interessante, l'ho trovato interessante anche e soprattutto per questa questione di tempistica e termino su questo perché la cosa peggiore che possa capitare è quella di non capire che le cose sono cambiate o di capirle troppo tardi e siccome le cose sono radicalmente cambiate,

il grande rischio come spesso capita nella storia è che si vada avanti per forza di inerzia ancora per un lungo periodo con le chiavi di lettura del passato o con gli strumenti, con la cassetta degli attrezzi del passato e alla fine questo sarebbe veramente disastroso perché invece sta cambiando tutto, il cambiamento necessita di una nuova cassetta degli attrezzi, di nuovi strumenti e questi strumenti hanno bisogno di chiavi di lettura

della quale il libro è pieno sia sulla parte del ruolo dello Stato nell'economia, sia sulla parte del funzionamento del mercato, sia sulla parte della questione delle disuguaglianze e credo che questo sia assolutamente essenziale.

Quindi mi fermo qui perché abbiamo detto che facciamo una conversazione, però per me quello che è veramente interessante del libro è questo, la chiave di lettura dentro una cesura storica, la tempistica, capire, leggere in questo momento è fondamentale per evitare di attardarsi su punti di riferimento, punti diciamo cardinali che ormai sono datati e non sono più quelli che ci servono per il domani.

Allora dato che vorrei evitare che Andrea dica soltanto grazie, nel senso che poi dirà quello che vuole naturalmente, però gli volevo anche rilanciare, grazie ve lo dico io naturalmente perché mi sembra avete detto cose importanti e interessanti e prima di passare a provocarvi su un paio di temi che hanno a che fare con l'ideologia liberista e vi dico subito sono uno il tema proprio dell'ideologia,

cioè se noi non abbiamo bisogno in qualche modo di avere visioni del mondo, Enrico Letta l'ha detto varie volte che in qualche modo bisogna tornare una più forte sottolineatura identitaria e l'altro è un tema molto scabroso in questo paese, ma non solo che sono le tasse, perché le tasse è un tema forte, è una misura diciamo, però prima di passare a questo volevo chiedere ad Andrea di dire quello che vuole ma di rispondere a una critica che in qualche modo è anche alla casa editrice,

perché qualcuno ha detto, ma insomma, il libro l'abbiamo pensato prima della pandemia, ma insomma oggi c'è da una parte la crisi climatica e l'esplosione della questione ambientale e sostenibilità che rende difficile affidarsi solo al mercato, dall'altra come ha detto Enrico Letta c'è una cesura così forte che ha richiesto un intervento pubblico, fare un libro oggi contro l'ideologia liberista non è come sparare contro la croce rossa, cioè non siamo fuori tempo caro Andrea?

Sì, diciamo l'essere fuori tempo è una caratteristica degli intellettuali, quindi insomma questa è una risposta, l'altra potrebbe dire che uno scrive per l'eternità sperando di riuscire a influenzarla per un po' di tempo almeno e che quindi i temi ci sono insomma e quei temi continuano ad essere importanti,

ma al di là ovviamente del ringraziamento sia ad Enrico che a Chiara che mi hanno introdotto con parole così che sono quasi imbarazzanti per cui non mi soffermerò di più,

ma quello che voglio dire è che in realtà il tema della cesura è la ragione per cui questo libro è stato scritto adesso e non dieci anni fa. Dieci anni fa il tema, sebbene diciamo ci fossero tutte le avvisaglie dopo la crisi finanziaria eccetera che le cose non andavano bene,

però quelle sono le cose che hanno portato ai sette luoghi comuni usciti nel 2017, cioè tutto ciò che non ha funzionato nel modo di affrontare le politiche economiche, anche quello era un libro sulle idee in realtà perché era il modo in cui le idee influenzavano gli atteggiamenti di politica economica.

Qui il tentativo è stato quello di andare un pochino più a fondo e di andare a scavare nel modo in cui le idee rischiano di creare degli atteggiamenti di reazione stereotipati in un certo senso, per cui a quell'evento reagiamo come si è sempre reagito e questo sarebbe un disastro.

E applichiamo, dal punto di vista dell'economista, delle categorie che sono le categorie standard dell'economia per cui andiamo a misurarlo in termini di costi e benefici dove i costi e i benefici sono adeguatamente scontati, per esempio, per quanto riguarda i cambiamenti climatici,

gli eventi che avranno nel futuro vengono scontati fortemente e lì io credo che, mentre devo scontare dei flussi di cassa, ovviamente lo devo fare perché l'impresa che prende a prestito dei soldi per fare un investimento paga un interesse per cui i ricavi che otterrà in futuro gli deve scontare di quell'interesse che ha pagato.

Il discorso è scontare il benessere delle generazioni future. Questa è una cosa completamente diversa. Innanzitutto si tratta di scontare benessere e non flussi di cassa e l'abitudine di trasformare il benessere in flussi di cassa è un'abitudine pessima.

Naturalmente non fa assolutamente un favore alle generazioni future e rischia di far svalutare i pericoli del cambiamento climatico in maniera molto pesante con l'effetto di dire che possiamo evitare di fare politiche di intervento.

Il tema delle disuguaglianze oltre a essere un tema eticamente importante e sensibile è un tema socialmente importante perché lo sviluppo di disuguaglianze molto forti, oltre a non produrre necessariamente più crescita e più benessere,

ma ormai ci sono tante ricerche che lo dimostrano ampiamente, ma poi crea una disgregazione del corpo sociale, una separazione dei super ricchi dal resto. Questo è molto visibile nelle città del Sud America dove i super ricchi vivono in questi compound blindati e non vedono sostanzialmente quello che c'è fuori.

Ma questo non vedere significa anche non essere più interessati, non essere più coinvolti in quello che succede a tutto il resto della società. E non se la cava facilmente dicendo occupiamoci dei poveri. Perché? Ci occupiamo degli altri solo se sono al di sotto di un certo livello che identifichiamo arbitrariamente come la soglia della povertà, mentre quelli che stanno in mezzo no. Perché?

Perché non si ristabilisce questa soglia. Insomma ho cercato di fare un po' di riflessioni in profondità su questi temi, appoggiandomi a tutta la letteratura che esiste, perché questo è un mestiere di chi studia e spero di esserci riuscito.

Diciamo è risposta a metà la domanda, ci stavamo sparando sulla croce rossa diciamo. Però la ribalta su Chiara Mio perché la domanda è questa. Questa ideologia tu citi degli economisti che ne sono stati i portatori, più capostipite Hayek forse, ma diciamo Friedman eccetera.

Ma in realtà è passata moltissimo dal mondo delle imprese, no? E dal mondo dell'informazione. Quante volte in televisione, sui giornali abbiamo sentito ripetere appunto frasi del tipo l'importante è liberare l'impresa dai vincoli, l'importante è ridurre in pace i costi dell'impresa e poi si produrrà lo sviluppo di cui tutti beneficeranno. Questo l'hanno detto tanti autorevoli, illustri, imprenditori e giornalisti.

Allora la domanda è, poi come dire ovviamente c'è anche un riverbero sulla politica, però la domanda è questa ideologia resiste ancora nel mondo dell'impresa? Quante imprese colgono il messaggio che lei pone nel libro appunto l'azienda sostenibile quando dice c'è una responsabilità sociale dell'impresa che appunto oggi e da anni viene affermata e che oggi si realizza mettendo insieme il profitto di impresa con diciamo il

stakeholders, con il territorio eccetera. E' una cosa, c'è un wishful thinking? Sono poche imprese leader o comincia ad esserci una consapevolezza diffusa? Perché nel dibattito pubblico ancora ci sono molti affermazioni diciamo old style, vecchio stile.

Allora oggi la parola più inflazionata in tutti i claim pubblicitari è sostenibilità ed è non solo per il PNRR ma siccome tutto è sostenibile bisogna anche fare un punto sul che cosa lo è veramente, quindi quasi al contrario prendo la domanda.

Il mondo sviluppato, il mondo occidentale è denso di aziende che hanno fatto della sostenibilità il loro modello di business e sinteticamente per azienda sostenibile si intende un'azienda che abbia un business model dirompente, disruptive e quindi non è un'azienda che si dà una mano di verde, end of pipe alla fine di un ciclo produttivo e cerca di inquinare di meno o fa due asili aziendali, dà un piano integrativo di welfare ai dipendenti.

È un'azienda che si propone di lavorare per quello che Larry Fink nel BlackRock ha detto il purpose, cioè lo scopo, quindi non ci si chiede che cosa vendere ma quale bisogno della umanità, delle persone si vuole andare a soddisfare.

In questa prospettiva allora è già chiaro che l'azienda sostenibile, l'impresa sostenibile ha un traguardo di lungo termine, ha necessità di una piattaforma tecnologica su cui innestare una proposta, la tecnologia è un substrato per avere un'azienda sostenibile perché una caratteristica della sostenibilità è l'accessibilità, l'accessibilità in termini di prezzo, in termini di possibilità di avere accesso a quei prodotti e servizi e altra caratteristica,

spesso il prodotto, servizio non c'è ancora, occorre educare la comunità e il futuro consumatore a un nuovo modello di consumo, tant'è vero che uno degli SDG, dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibili, uno dei 17 è il 17° la partnership pubblico privato, non può esserci azienda sostenibile senza un consumatore sostenibile.

Ecco tutti questi ingredienti indicano che non c'è più quella dialettica di gioco a somma zero fra l'impresa e lo Stato, le tasse che citava prima, certo un ecosistema favorevole a un'azienda sostenibile ambientalmente e socialmente ma anche economicamente perché il tema etico, il tema di governance e il tema anche di guadagnare nel senso di non distruggere risorse è un tema importantissimo,

allora in questo equilibrio dell'aspetto economico, l'aspetto sociale, l'aspetto ambientale oggi e domani in un equilibrio dinamico di lungo termine è praticato da tantissime piccole, medie e grandi aziende, più note, meno note, ma per fare un esempio se io chiedessi oggi a qualsiasi persona che ci sta ascoltando, fammi un esempio di azienda sostenibile, un esempio di prodotto sostenibile magari mi direbbe l'auto elettrica,

ecco restiamo nell'auto, nel trasporto perché è un tema molto caro a tutti, l'azienda sostenibile potrei citare una casa automobilistica che ha un sito meraviglioso dove questo viene testimoniato, il paradigma di sostenibilità è occuparsi di mobilità attraverso un cambiamento dei modelli di consumo passando dal possesso proprietà all'uso in una condivisione di un mezzo di trasporto ovviamente eco compatibile,

ma è molto diverso dire lavoriamo con un prodotto automobile, la rendiamo un po' meno sporca e questo vuol dire far sostenibilità, è un altro mondo.

Posso farle una domanda politicamente scorretta, questo vale anche nelle piccole aziende del Veneto leghista?

A insaputa del Veneto leghista si è molto bene perché se se ne accorge magari, ma ci sono tantissime aziende in tutta Italia e anche ormai nel pentagono, non si parla più del triangolo, si parla del pentagono che con vertice Trieste piuttosto che Udine va fino a Milano, l'Emilia Romagna passa per il Veneto, piccole e medie aziende che perché lo fanno?

Uno perché sono tirate dalla supply chain per poter vendere alle grandi corporation che devono dire i consumatori, insomma Ikea, Ikea ha bandito la plastica monouso da molto tempo per poter vendere a loro devono essere sostenibili.

Secondo perché con il costo del lavoro che c'è in Italia, con la tassazione che c'è in Italia il vantaggio competitivo va ricercato e la sostenibilità è vantaggio competitivo di lungo termine, anche perché faccio quest'altro esempio, se la piccola azienda lavora solo sul vantaggio di costo troverà sempre un cinese, poi il cinese del cinese, poi il cambogiano del cinese e poi il vietnamita del cambogiano e a son di girare tutto il mondo alla fine avremo una equiparazione.

Equiparazione di questi disgraziati che avranno dei salari decenti prima o poi sperabilmente e a quel punto dove lo ricerchiamo il vantaggio di costo, andremo sulla luna a cercare chi lavora lì, allora invece del vantaggio di costo diventa conveniente fare una partnership con i fornitori o con i propri clienti e progettare insieme nel lungo termine, scommettere insieme, quindi il modello dell'azienda sostenibile è un modello di coopetizione, di competizione cooperativa,

con una unione di lungo termine, può sembrare contrario al mercato, ma il mercato funziona così.

Chiudo, pensiamo a temi come il brand, la reputation, che cosa vogliono dire? Vuol dire che l'azienda che lavora per il futuro rinuncia alla vendita oggi, ma si tiene il consumatore, si tiene il proprio nome che ha un grandissimo valore e questo nome è fatto da un consumatore che può essere stamattina il dipendente, oggi pomeriggio l'azionista e la sera prima di andare a casa il consumatore,

non c'è più una, c'è anche molta liquidità in una società liquida in queste figure di stakeholder che una volta erano clusterizzate ai tempi di Freeman negli anni 80 e oggi invece sono molto liquidi.

Bene, io chiederei ad Enrico Letta sia di commentare le cose che ha detto Chiara Mio e poi anche sul tema ideologia però di dirci qualcosa, perché nel suo libro la parola ideologia ricorre qualche volta, non moltissima, ma in particolare c'è un pezzo in cui dice

sappiamo tutti com'è finita la mancanza di una strategia chiara da parte dello Stato dovuta in gran parte alla convinzione ideologica in Europa che lo Stato non potesse orientare attivamente i processi di innovazione e politica industriale, ci ha portato in pochi anni a diventare marginali,

allora approfitto per fare pubblicità a un altro nostro libro di Mariana Mazzucato che si chiama Missione Economia in cui tutto il libro ha quest'idea che lo Stato deve orientare i processi di investimento anche delle imprese private, non contro le imprese ma per creare appunto un contesto.

La domanda che volevo fare a Enrico Letta era c'è solo una versione negativa della parola ideologia in nome di cosa? Del pragmatismo? In un meraviglioso libro dell'83, quindi pre-Crollo e il muro di Berlino, Umberto Eco, è una raccolta che si chiama Sette anni del desiderio, scrive che è tipico delle nuove ideologie spacciarsi,

si parla di crisi delle ideologie 1983, errore, chiamiamola così, bisognerebbe parlare di modificazione delle ideologie e caratteristico delle nuove ideologie non essere riconoscibili come tali così che possano essere vissute come verità, quello che noi diciamo quando diciamo siamo pragmatici, c'è una verità sotto gli occhi di tutti, come il fatto che questo è un tavolo, c'è poco da discutere.

Allora appunto al segretario di un partito che è in una fase molto complicata perché deve come dire contrastare varie ideologie, non solo quella liberista che forse sta finendo ma un'ideologia populista se la vogliamo chiamare così, cioè altri nuclei di pensiero forti, siamo proprio sicuri che diciamo così una sinistra progressista, una sinistra libera, diciamo una parte politica che aspira a costruire e a immaginare un mondo nuovo non abbia bisogno di una cornice piuttosto forte,

poi la possiamo chiamare visione del mondo, ideologia, insomma quindi volevo chiedere anche su questo quali sono i suoi pensieri in corso diciamo perché poi credo che siano anche determinati da ciò che sta succedendo e di cose ne stanno succedendo di rilevanti.

No, questo tuo intervento mi scatena molte suggestioni, la prima suggestione è quella che non abbiamo ancora in questi 35 minuti di conversazione, non abbiamo ancora detto che il liberismo in Italia non c'è mai stato, dal punto di vista diciamo del senso che il nostro paese nelle sue varie configurazioni di destra o di centrodestra

ha avuto mediamente una destra, un centrodestra statalista, non ho il tempo per argomentare, per metterla in bella copia, la dico brutta, abbiamo avuto in Italia una destra, un centrodestra, abbiamo ancora oggi una destra, un centrodestra in cui un tempo qualche voce più liberale, più liberista si riconosceva,

non ne potrei citare nemmeno una, mi veniva in mente nel periodo dell'epopea berlusconiana Antonio Martino, Antonio Martino era un portatore di quell'idea, oggi francamente farei fatica a identificare un nome, non c'è proprio, non esiste,

quindi l'Italia è un paese che non ha conosciuto dal punto di vista dell'impianto ideologico, politico, della costruzione una storia definita di tutto questo, sono state strane pulsioni e c'è stato un po' in alcune parti del nostro mondo economico l'idea di, più che di un'ideologia liberista pura, l'idea di acchiappare tutto subito senza intralci,

la logica del, piuttosto che un ragionamento più, perché poi il nostro sistema è pieno di sussidi alle imprese, possiamo fare l'elenco, quindi questo è importante metterlo sul tavolo di tutti i ragionamenti che stiamo facendo perché altrimenti,

mi interessava del ragionamento che faceva Chiara Mio, molto interessante quello che ha detto, a me colpisce veramente tanto quanto in tre anni, non vent'anni, ma in tre anni,

sui consumi, sugli atteggiamenti, sul modo di produrre, in tre anni è stato impressionante, potrebbero fare tanti di quegli esempi, io faccio sempre, visto che lei ha fatto l'esempio dell'auto elettrica, io faccio sempre l'esempio delle pubblicità delle automobili,

quando sono nato sono stato messo a guardare Canzonissima, le pubblicità in gran parte, la pubblicità numero uno sono le automobili, sia sui giornali, macchie, sulle televisioni, e da allora a oggi, a tre anni fa, io ho visto soltanto pubblicità di automobili con motori che rombavano,

in cui il tema era quanti secondi ci metteva arrivare a 100 km orari, sgommate, performance, e poi negli ultimi due anni, quando una partita di calcio è interrotta da una pubblicità televisiva, innanzitutto non vedi la differenza, perché è tutto verde come il campo di calcio,

la pubblicità di automobili è diventata il verde, il rumore è cambiato, rispetto alle pubblicità di tutti gli altri prodotti, la pubblicità di un'automobile è la più silenziosa che ci sia, 5 t di uccelli sullo sfondo si sentono,

e questi automobili che passano nelle nostre città in silenzio e lentamente, in due anni è cambiato il paradigma più identificativo di due concetti essenziali, il concetto di pubblicità e il concetto di automobile,

cioè ciò che di più va in pubblicità, quindi stiamo parlando, rispetto a quello che diceva Chiara Mio prima, di ciò che muove la maggiore quantità di soldi nelle campagne pubblicitarie, le automobili.

A me sembra che questo sia parte integrante di quel concetto di cesura di cui parlavo prima, la cesura è nei comportamenti dei consumatori, innanzitutto, ed è una cesura generazionale, nel senso che la cesura è una cesura che vede il pubblico giovanile in una cesura ancora più marcata rispetto al resto,

ed è una cesura impressionante su modalità, comportamenti, ovviamente molto disuguale secondo dei luoghi, ma molto forte, e in una logica, perché due anni, tre anni? Perché la vera novità, ne parla Andrea, ma voglio caricare molto questo concetto, di tutti i temi di cui stiamo parlando, il fattore tempo, secondo me, forse è il principale,

cioè sostanzialmente le nuove tecnologie ci fanno vivere tutti dentro un'entità connessa e di interconnessioni, interdipendenze incredibili, nelle quali quindi ciò che capita in una parte del mondo ed è forte, importante, in un attimo diventa generalizzato e a quel punto impatta in modo tale da…

Io credo che questa sia la questione principale ed è il motivo per cui anche il ragionamento sulle disuguaglianze che fa Andrea e che secondo me, come la vedo io, è la parte più bella del libro, perché Andrea fa in una logica di politica economica, distrugge la teoria per la quale bisogna che le cose vadano un po' come vanno, poi dipende dalle persone,

ma quello che conta è la meritocrazia interpretata in termini classici, diciamo, pre-Sandel, se vogliamo interpretarla così.

E invece Andrea Boitani ci fa un ragionamento assolutamente chiaro sul fatto che la questione essenziale è il fatto che le disuguaglianze sono diseconomiche, e oggi la questione chiave sulle disuguaglianze è proprio sul fatto che l'innovazione tecnologica accelera talmente tanto i cambiamenti che accelera anche i meccanismi di disuguaglianza e non ci dà tempo, questo è il punto essenziale.

Di mettere in campo politiche economiche tali o politiche tali da poter intervenire sulla rapidità di questi cambiamenti. Quindi qui, secondo me, la cosa più importante di tutti i ragionamenti che stiamo facendo è la discrasia, il décalage enorme che c'è tra gli eventi, l'accelerazione che questi eventi in termini di interdipendenza vivono e la capacità delle politiche pubbliche di intervenire.

In questo senso io considero letteralmente un miracolo quello che è accaduto l'anno scorso, cioè che di fronte all'evento più disastroso dei tempi moderni, la pandemia, l'Europa sia riuscita a intervenire in tempi così rapidi, assumendo una decisione così forte, assolutamente inedita e imprevedibile.

Mi ricordo perché con Andrea eravamo a ragionare in quei periodi di altre cose, nessuno di noi due mai avrebbe immaginato che sarebbero fatti gli euro bonds e tutto il resto, eppure si sono fatti. Quindi l'Europa ha in questo senso reagito in una modalità incredibilmente efficace e qui però, perché non dobbiamo soltanto mettere il dito nella piaga, oggi sta il problema in Italia.

Dove sta il problema? Nel fatto che tutto quello che si è fatto in questo periodo funziona e avrà successo se calano a terra i soldi del PNRR, rapidamente, in modo efficace, gestiti bene e in una logica di lotte e disuguaglianze effettivamente efficace.

Se questo non capita, oltre al danno del non averli, di non gestirli bene, c'è proprio per l'impatto sulle persone che hanno messo oggi tanta aspettativa su quelle risorse, un effetto boomerang che può avere, secondo me, delle conseguenze disastrose su tutto quello di cui stiamo parlando.

Se Andrea me lo consente, vorrei rimanere un attimo con Enrico Letta e poi dopo fai un intervento e poi magari facciamo alcune domande. Vorrei affrontare una questione essenziale perché parte dell'ideologia liberista ed è un tabù, che è quella della questione delle tasse.

Nel suo libro straordinario, che si chiama Una buona economia per tempi difficili, Esther Duflo, tra le tanti miti che smonta, uno è quello che ci sia una correlazione tra riduzione delle tasse e sviluppo.

E dice che non è affatto vero, e lei che si basa su ricerche empiriche, che nessun dato dimostra che ci sia una correlazione. Il mantra, scrive Duflo, e a Berger il suo compagno, della riduzione delle tasse è necessario per ripartire la crescita, contraddice l'evidenza storica, Europa e Stati Uniti crescevano assai di più quando le tasse erano molto più alte, l'evidenza empirica di dati disponibile però è diventato senso comune.

E questo smentirebbe che spariamo sulla croce rossa, perché lo è tuttora. Perché? Beh, un'evidenza è quello che è successo quando Enrico Letta, pubblicando il suo libro, a un certo punto ha parlato della tasse di successione.

Leggo una misura concreta da cui partire, scrive a pagina 63, di giustizia sociale direttamente rivolta ai giovani e l'istituzione non adottò al compimento del duecentesimo anno di età. Questa misura, finanziata con parte del gettito della tasse di successione, sarebbe naturalmente condizionata al reddito della famiglia per rispettare criteri di equità, eccetera.

Non voglio citare Luigi Einaudi, che già nel dopoguerra parlava di tassa patrimoniale, ma nel Fessia di Economia appena fatto un economista americano storico racconta che dopo le grandi crisi, la guerra appunto, c'è una disponibilità maggiore, perché in qualche modo si ritiene che quella crisi ha squilibrato alcuni a vantaggi altri.

Io lavoro in un settore in cui i librai guardano Amazon e dicono è proprio tutto merito di Bezos se la quota di mercato di Amazon è passata dal 30 al quasi il 50% o non ha a che fare con una catastrofe che ha messo quell'azienda in condizioni.

Allora forse se ci fosse un po' di trasferimento di quelli che hanno avuto fortuna più che abilità a giovani che devono entrare nel mercato, però quella proposta eletta a mio parere non ha avuto l'accoglienza che io credo sarebbe stata doverosa anche a sinistra.

E allora c'è un problema, quali ragionamenti possiamo fare? È una battaglia tra virgolette anche ideologica e visione del mondo che quindi non è solo contingente, cioè la tassa non risolvono il tema, però il tema è una politica attiva di inclusione che non riguarda solo gli immigrati ma riguarda tutti coloro che vivono in condizioni di marginalità.

E come la finanzi questa politica attiva? Come tiri fuori le risorse? Ecco questo credo sia un grande tema dove bisogna rompere questo tabù perché quel tabù ha a che fare con quello che Andrea diceva prima, col vincolo sociale. Perché le persone hanno accettato per lunghi anni dal dopoguerra fino agli anni Ottanta di pagare tasse anche marginali fino all'ottanta per cento?

Perché tutti, compresi i conservatori, pensavano che quello fosse una parte fondamentale del vincolo sociale. Oggi, dopo quarant'anni dai famosi discorsi della tasse dei regali, cioè non conosco la società, conosco gli individui, forse siamo in condizione di fare una rivoluzione culturale o è troppo ambizioso.

Quella proposta ha avuto un grande favore, secondo i sondaggi, nell'opinione pubblica. Larga maggioranza favorevole. Grandi critiche a destra e a sinistra. A destra, per i motivi che una tasse in più, mai.

Poi dici, no, ma una tasse in più per l'un per cento più ricco della popolazione c'è la parte non ricca che difende il ricco dal fatto che venga e io la trovo una cosa sulla quale riflettere.

Ma critiche anche da sinistra sul concetto, in parte comprensibile, di dire ai giovani che bisogna dargli misure universali. Non una tanto. E ovviamente la mia proposta non era in alternativa alle misure universali, era aggiuntiva.

Perché il ragionamento che io mi sento di fare è che la regina di tutte le disuguaglianze è quella generazionale oggi. Per motivi che sono legati a fattori demografici, di salute, di medicina.

Stiamo costruendo sostanzialmente una società in cui non nascono figli, arrivano e si integrano pochi e pochissimi immigrati, si vive tutti più a lungo e quindi sostanzialmente il peso dei giovani nella nostra società si va riducendo ed è sempre più piccolo rispetto a una grande quantità invece di persone con capelli bianchi.

Ed è evidente che siccome poi in democrazia conta uno vale uno, se i pesi sono i pesi per i quali decide come usare i soldi pubblici chi ha davanti a sé una speranza di vita media di 20 anni, la decisione sarà diversa da quella che prenderebbe chi ha davanti a sé una speranza di vita di 90 anni.

Perché l'attuale ventenne probabilmente avrà una speranza di vita di 90 anni di fronte a sé e avendo una speranza di vita di 90 anni è ovvio che assumi decisioni, guardi le cose e l'allocazione delle risorse le immagini in modo diverso.

Questa è la questione chiave che abbiamo di fronte a noi. A questa questione si deve aggiungere il fatto che ai più giovani per una serie di motivi, e il nostro paese è il peggiore in Europa, diamo pochissime opportunità di carriera, di sviluppo, di primo lavoro, gli diamo poche opportunità di formazione perché nel nostro paese non si è ancora, ora si comincia a farla,

si è iniziato una battaglia per muovere alcuni cursori, alcuni obiettivi tipo aumentare il numero di laureati eccetera, è un paese che è drammaticamente indietro in questo.

La faccio brevissima e chiudo qua, però credo che la questione giovane sia per me la questione essenziale del paese, l'impatto, il ruolo e anche sul tipo di paese che siamo e sul tipo di scelte che facciamo, proprio per quel discorso di lunghezza, speranza di vita, quali sono le dinamiche che abbiamo eccetera.

Io penso che ci sia bisogno di scosse molto forti, perché l'Europa è così importante? Tante volte mi viene chiesto ma insomma cos'è il valore aggiunto?

Per esempio il valore aggiunto è che l'Europa ti obbliga a prendere alcuni obiettivi di lungo termine che tu a livello nazionale, anche per colpa di una politica tutta che guarda l'elezione successiva,

una organizzazione demografica della nostra società che ti rende più complesso il tutto, per esempio l'obiettivo della sostenibilità, la parte ambientale della sostenibilità, noi ce l'abbiamo perché c'è l'Europa da decenni, non sarebbe così forte il mercato in Italia se non ci fosse l'obiettivo europeo.

Questo secondo me è un punto essenziale, così come anche un ragionamento sui giovani è uno sguardo lungo, oggi ci viene caricato per esempio su uno fatto di non fare debito o di tenere il debito basso, perché fare il debito è ovviamente la prima cosa che va contro gli attuali giovani, viene gestito e organizzato anche lì con i macro obiettivi europei.

Perché in tutto questo noi abbiamo bisogno dell'Europa, però in tutto questo noi abbiamo anche bisogno di un discorso di verità a casa nostra, per cui il ragionamento che io sto facendo è molto rischioso, perché io parlo a una fetta di società che è drammaticamente minoritaria nel corpo elettorale.

E mi dice con lo sguardo di chi la sa lunga, di chi l'ha vista lunga, ma insomma dove vai così? Parla di pensioni, spara un quota 300 e vedi come riesci a prendere più voti.

Io sono convinto che la strada del mettere i giovani al centro è giusta, perché alla fine noi stiamo costruendo una società, e in questo è abbastanza un unicum in Europa, basata sostanzialmente sui 65 anni e i 70 anni.

E questo è il vero punto. Oggi la nostra società è basata sui 65 anni e i 70 anni. Perché? Perché una generazione che ha fatto il miracolo economico, che ha lavorato tutta la vita, che ha risparmiato, che ha avuto il TFR, che è andata in pensione con pensioni più che dignitose, parlo ovviamente della classe media, media o alta,

sono generazioni che oggi invece di godersela, con quelle risorse, stanno sostanzialmente mantenendo i figli, i nipoti, perché sono generazioni che hanno anche nipoti già ventenni che non riescono a trovare uno straccio di lavoro, e sono i nonni che normalmente li aiutano, e in alcuni casi si trovano ad avere anche i genitori 95 da doversi far carico perché sono ancora in vita, meno male perché è così.

Ma io mi chiedo, un paese che mette sulle spalle dei settantenni tutto e redistribuisce tutto quello che hanno creato i settantenni, ma dove va un paese così? O noi mettiamo i trentenni, i quarantenni nel motore, oppure noi questa cosa sì, durerà un po', ma di fatto è un modo per condividere in dinamiche familiari i patrimoni creati,

ma non è un modo che costruisce e crea nuova ricchezza per il paese, che è la base con la quale riusciranno poi a darci un futuro.

... capitale dovrebbe essere vicino agli 80-100 mila euro, che in 18 anni potrebbero essere raggiunti in un accumulo programmato. Olivero Pesce che si è occupato molto dell'... di finanza, anche un traduttore di alcuni nostri libri importanti, dice che un ultraottantenne con 4 figli tra i 45 e i 55, 7 nipoti tra i 9 e i 29, sa certamente di più guardare al futuro remoto.

Volevo fare un'altra domanda politicamente scorretta invece di questa volta da Andrea. Tu hai avuto una economista aziendale, tua collega, che ti dice che il mondo delle imprese in realtà sta andando verso una concezione un po' meno ideologico, liberista, e il segretario di un importante partito che condivide.

Questo ti fa essere molto ottimista sul fatto che la classe imprenditoriale e politica italiana nei prossimi anni farà una svolta culturale e abbraccerà con forza i principi. Dunque un signore prima, se mi scorrete, diceva che il libro di Boitani configura una vera, in fondo non dice ideologia, ma pensiero social-democratico che dovrebbe essere la base di una futura sinistra.

Dopo queste due testimonianze ti sembrano rappresentative dell'insieme del mondo dell'impresa o politico o vedi ancora molta strada da fare per conquistare le coscienze?

La domanda è provocatoria. Vedo che c'è molta strada da fare. C'è un buon punto di partenza nel fatto che ci siano due persone del valore di quelle che sono qui vicino che la pensano in questo modo. Credo che ci sia però veramente molta strada da fare.

Ci sono alcune cose che per fare questa strada si richiedono, sempre sul piano delle idee, quello in cui mi muovo più agevolmente, ed è quello di sradicare qualcosa che è entrato anche nella cultura della sinistra, del centro-sinistra,

che è l'idea sostanzialmente che l'umanità è fatta di carogne. L'umanità è fatta di carogne, cioè di persone che si muovono esclusivamente motivate da egoismo razionale e questa è un simpatica eredità degli economisti.

C'è uno storico che ha scritto recentemente che nell'uomo convivono il lupo buono e il lupo cattivo e naturalmente dipende da chi viene più nutrito quale crescerà di più e si affermerà. Io temo che gli economisti, quindi la professione a cui appartengo, abbiano nutrito molto a lungo il lupo cattivo.

Però questo lupo cattivo ha allevato all'interno della politica, della politica di sinistra e del modo in cui la cultura politica percepisce il comportamento degli uomini.

Cioè l'idea in fondo cinica che l'uomo è cattivo. Io in questo propongo, nel libro è abbastanza chiaro, un ritorno a una visione se vogliamo aristotelico-ottimista.

Ma alla fine è un paese cattolico questo che stai dicendo? Perché la cultura cattolica non dovrebbe essere inclina a questo.

Qualsiasi ipotesi di configurare comportamenti cooperativi che non siano motivati esclusivamente dall'egoismo razionale è guardato come un povero illuso.

Allora, forse io sono un povero illuso, ormai sono nell'età che si avvicina a quella della pensione e quindi posso anche permettermi di cullarmi nell'illusione, ma credo che non sia un'illusione, sia fondamentalmente un modo sbagliato di guardare all'umanità.

E uno degli effetti più penetranti della cultura liberista è questa idea di poter spacciare per oggettiva questa che è una visione strettamente ideologica dell'uomo.

Una visione che viene ovviamente da Hobbes, che viene da illustri filosofi morali inglesi del Settecento, che non è quella di Adam Smith peraltro, che pure sempre viene ostentato come il campione dell'egoismo quando non è affatto vero che sia così.

E questa idea è stata fatta penetrare nella cultura dei giornalisti che hanno una certa propensione al cinismo, diciamolo pure, ma i quali leggono l'intero svolgersi delle cose umane attraverso questa lente cinica.

E è stata fatta passare cercando di dire che in definitiva questa visione, che è alla base del liberismo, è di sinistra. Questo ha fatto un grave danno secondo me.

Poi magari chi lo fece lo fece come provocazione, perché così il liberismo di sinistra è un titolo altrettanto sparato dell'illusione liberista se vogliamo. Ma al fondo c'era un'idea di colonizzazione culturale della sinistra.

E questa è purtroppo una cosa che non si batte facilmente. Un predecessore di Enrico Letta a un certo punto ha detto che le tasse non possono che diminuire.

E' esattamente la stessa espressione usata da Milton Friedman. Ora, se questo non è il segno di una penetrazione dell'ideologia liberista nella cultura, certamente non nella pratica, ha perfettamente ragione Enrico,

in Italia i sussidi pubblici, l'intervento anche sgangherato dello Stato nell'economia c'è sempre stato e continua a esserci. In qualche anni è diventato anche più sgangherato.

Però questo sottile siero nella cultura si è infilato e oggi è difficile fare marcia indietro. Per questo ho inserito quel capitolo di riflessioni sui fondamenti alla fine del libro,

per ripensare la cultura socialdemocratica di centro-sinistra.

Io penso che possiamo concludere qui, abbiamo sforato l'ora canonica. Io volevo solo citare alcune delle persone che hanno scritto, Carlo Cridicetti, Antonio Pirrone che ha fatto vari interventi, se possiamo andare su, ci sono stati interventi di varie persone, Lucia Berardino, Yasmin Taskin che chiede se ci sono diritti sostenibili, quali sono i diritti sostenibili.

Luigi Speranza, insomma mi dispiace che non posso citarli tutti, veramente molti e vi ringrazio. Girolamo De Vincentis che dice, ho letto il libro e mi è sembrato un manifesto per la nuova socialdemocrazia. Allora io non credo che Andrea Poitani aspiri necessariamente a fare il manifesto, però condivide appunto quello che scrive Haines che nel lungo periodo le idee sono più importanti e gli interessi costituiti.

Se riescono a prevedere anche le breve non ci dispiace le buone idee, ma ci affidiamo al medio e lungo periodo come deve fare un editore, perché l'editore di libri confida in qualcosa che non necessariamente arriva oggi, come ha detto Enrico Letta, soprattutto che passi attraverso la speranza di vita e quindi le idee di giorni che devono contare di più, mi sembra che è la cosa che ha detto è fondamentale, cioè dare più spazio, più voce, più possibilità di intervenire.

Quello che ci ha detto è che l'opinione pubblica ha reagito più favorevolmente l'idea della tassa di successione da questo punto di vista da speranza, dato che l'opinione pubblica è la vera misura, come diceva Marti Asendi, di una democrazia, non il rito elettorale che si può fare anche in paesi autoritari, ma la qualità del dibattito pubblico.

Credo che vi ringrazio molto perché la vostra discussione di oggi dice che si può fare un buon dibattito pubblico, come ha scritto anche qualcuno comprensibile, mi pare ha scritto anche chi non ha competenze di economia, e però con idee che mi sembra abbiano dietro, Cristina Martinelli l'ha scritto, abbiano dietro anche una profondità di pensiero e un rigore.

Quindi ringrazio tutti coloro che ci hanno ascoltato e al prossimo appuntamento con questi nostri incontri di Casa Laterza. Grazie mille, grazie a voi.

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'L'illusione liberista' di Andrea Boitani con Letta e Mio Andrea Boitanis "Die Liberalistische Illusion" mit Letta und Mio 'The Liberalist Illusion' by Andrea Boitani with Letta and Mio La ilusión liberalista" de Andrea Boitani con Letta y Mio L'illusion libérale d'Andrea Boitani avec Letta et Mio アンドレア・ボイタニの『リベラリストの幻想』、レッタとミオが登場 A Ilusão Liberalista" de Andrea Boitani com Letta e Mio 安德里亚·博伊塔尼 (Andrea Boitani) 与莱塔 (Letta) 和澪 (Mio) 的《自由主义幻想》 安德里亞·博伊塔尼 (Andrea Boitani) 與萊塔 (Letta) 和澪 (Mio) 的《自由主義幻想》

Buonasera, buonasera e benvenuti a questo incontro speciale in cui parliamo dell'illusione liberista e dell'ideologia di mercato. Bonsoir, bonsoir et bienvenue à cette réunion spéciale où nous discutons de l'illusion libérale et de l'idéologie du marché.

Cosa sia l'illusione liberista e l'ideologia di mercato lo vedremo tra qualche minuto. What the liberalist illusion and market ideology is, we will see in a few minutes. Nous verrons dans quelques minutes ce qu'est l'illusion libérale et l'idéologie du marché.

Intanto consentitemi di ringraziare molto Chiara Mio ed Enrico Letta che sono qui con noi nella sede romana della Casa Editrice a discutere di questo libro di Andrea Boitani. In the meantime, allow me to thank Chiara Mio and Enrico Letta very much who are here with us in the Roman headquarters of the Publishing House to discuss this book by Andrea Boitani. En attendant, permettez-moi de remercier chaleureusement Chiara Mio et Enrico Letta qui sont ici avec nous dans les bureaux de la maison d'édition à Rome pour discuter de ce livre d'Andrea Boitani.

Andrea Boitani è un autore e un amico della Casa Editrice da molti anni, ha fatto diversi libri nel tempo anche con vari editori. Andrea Boitani is an author and a friend of the Publishing House for many years, he has done several books over time also with various publishers.

L'ultimo libro che è abbastanza coerente con questo si chiamava Sette luoghi comuni sull'economia del 2017, è il primo libro che campeggia nella galleria di libri che sono di fronte a noi. The last book that is quite consistent with this was called Seven Commonplaces on Economics in 2017, it is the first book that stands out in the gallery of books that are in front of us. Le dernier livre qui est assez cohérent avec cela s'appelait Sept lieux communs sur l'économie en 2017, c'est le premier livre qui se détache dans la galerie de livres qui est devant nous.

Siamo messi perché si promuova una produzione di economia abbastanza ampia e variegata, ma quello di cui discutiamo stasera è un libro appena uscito, da poche settimane, We are set for a fairly wide and varied production of economics to be promoted, but what we are discussing tonight is a book that has just come out, a few weeks ago, Nous sommes prêts à promouvoir une production économique assez large et variée, mais ce dont nous discutons ce soir est un livre qui vient juste de sortir, il y a quelques semaines,

che fa riferimento all'attività di Andrea che negli anni si è sviluppata su più fronti. Andrea Boitani insegna economia politica all'Università Cattolica di Milano, ma collabora anche sia con istituzioni pubbliche, è stato in consiglia di amministrazione, which refers to Andrea's multifaceted activity over the years. Andrea Boitani teaches political economy at the Catholic University of Milan, but he also works with both public institutions and has served on boards of directors,

e poi collabora anche con La Voce che è un importante sito di informazione con cui tra le altre cose abbiamo collaborato negli anni con Tito Boeri per il Festi di Economia. Il libro di Andrea, di cui adesso ci parlerà subito Chiara Mio, ha dal mio punto di vista un grande pregio per chi fa questo lavoro, and then he also collaborates with La Voce which is an important news site with which among other things we have collaborated over the years with Tito Boeri for the Economics Festi. Andrea's book, which Chiara Mio will now tell us about immediately, has from my point of view a great merit for those who do this work, et collabore également avec La Voce, un important site d'information avec lequel, entre autres, nous avons collaboré au fil des ans avec Tito Boeri pour le Festi di Economia. Le livre d'Andrea, dont Chiara Mio va maintenant nous parler, a, à mon avis, un grand mérite pour ceux qui font ce travail,

cioè un libro che dice che le idee contano, sono molto importanti nel bene e qualche volta nel male. L'ideologia liberista, come vedremo tra qualche secondo, ha fatto anche dei danni. È un libro che parla della cultura economica, ma nell'impatto più generale i personaggi protagonisti di questo libro sono Keynes, Friedman, ma anche Luigi Einaudi e anche Federico Caffè, che cito con particolar affetto perché è stato il maestro di Andrea e anche del sottoscritto. c'est-à-dire un livre qui dit que les idées comptent, qu'elles sont très importantes pour le bien et parfois pour le mal. L'idéologie libérale, comme nous le verrons dans quelques secondes, a également fait des dégâts. C'est un livre qui parle de culture économique, mais dans l'impact plus général, les protagonistes de ce livre sont Keynes, Friedman, mais aussi Luigi Einaudi et Federico Caffè, que je mentionne avec une affection particulière parce qu'il a été le professeur d'Andrea et aussi le mien.

Keynes, ma anche gli altri, erano convinti che nel tempo le idee contano più degli interessi, affermazione non ovvia, che sentiamo anzi contraddire spesso nel dibattito pubblico, per cui sembra che l'unica cosa solida che conta veramente, che incide, che sposta anche i voti sono gli interessi, ma la definizione stessa di questi interessi dipende un po' da questi occhiali che mettiamo.

A seconda degli occhiali che metto posso pensare che il mio interesse sia immediato domani oppure che sia il mio interesse investire, per esempio, sull'educazione dei miei figli. Anche quello è un interesse, ma un interesse più a lungo termine.

Abbiamo stasera veramente la grande occasione di discutere con due persone che ci racconteranno questo tema e il libro da due punti di vista, tutti e due molto qualificati e al tempo stesso diversi. Chiara mio è un economista come Andrea, con una caratterizzazione di economia aziendale, insegna in una grande e prestigiosa università come Ca' Foscari, ma è anche presidente della banca credit agricultural Fioradria, se ho detto bene.

E' un economista anche sul campo e che conosce il mercato anche dal punto di vista micro. Il libro che ha fatto con noi qualche tempo fa, che si chiama L'azienda sostenibile, incrocia molti dei temi di cui ci parlerà.

Enrico Letta, che naturalmente è prima di tutto l'attuale segretario del Partito Democratico, però è una persona che di economia si è occupata molto, ha scritto, ha lavorato, ha studiato, forse a Sianspo non insegnava economia, però la dimensione economica, posso dirlo con molto orgoglio, con noi Enrico ha fatto un libro con Lucio Caracciolo che si chiama Euro sì, Euro no, il suo primo libro.

Nel libro L'anima e il cacciavite, che poi avremo modo di citare, Enrico Letta ha percorso molti dei temi di cui parleremo anche stasera. Allora, io comincerei subito con Chiara Mio, chiederei a Chiara di fare un primo intervento di commento del libro o dei temi del libro.

Innanzitutto questo è un libro che va letto per l'estrema chiarezza con cui propone una riflessione molto attuale su questa illusione liberista. Dico molto attuale perché a valle di un periodo Covid, a valle speriamo proprio di esserne usciti, è importante capire quali marce innestare e come proseguire in una traiettoria molto positiva di sviluppo.

Dal mio punto di vista Andrea Boitani propone in maniera molto univoca, in una chiave storica ma attuale, l'importanza di avere innanzitutto il riconoscimento del mercato e di una meritocrazia, perché questo è un tema sul quale bisognerebbe riflettere anche nell'attualità,

cioè l'importanza delle motivazioni che spingono all'intraprendere, all'intrapresa e il riconoscimento che dagli studiosi che venivano citati c'è sempre stato. Ma quando poi si arriva a proporre la seguente riflessione, il mercato basta? È sufficiente ricondurre al tema del profitto e dello scambio la ragione d'essere e la ragione di esistenza, la chiave di lettura per capire le dinamiche economiche e quindi sociali?

Ecco da questo punto di vista vengono proposte delle riflessioni che indicano i limiti del mercato e io affianco a queste le osservazioni più aziendalistiche, ovvero le aziende oggi non si muovono più solo mosse dal profitto, solo mosse da spirito di capitalismo in senso stretto e nel senso direi vetero capitalismo.

Oggi gli imprenditori da tempo hanno bene chiaramente che non basta fare profitto oggi ma è importantissimo e la discontinuità del Covid ha dimostrato avere una reputazione, avere dei clienti molto contenti, avere dei stakeholder e non solo degli shareholder soddisfatti e quindi pensare che sia sufficiente l'equazione ricavi meno costi,

... al massimo a qualsiasi condizione è illusorio. Le imprese oggi hanno bene interiorizzato questa lezione e sono portatori di un modello diverso di fare impresa e da qui anche l'illusione liberista, non basta massimizzare il profitto ma occorre tener conto che serve avere un orientamento di lungo termine e questo non vuol dire non guadagnare, non riconoscere la remunerazione dei fattori e nel libro Andrea cita anche che non tutto ciò che ha valore ha prezzo.

Oggi sul mercato ci sono tanti beni che vengono scambiati e che hanno un prezzo e magari il valore intrinseco non è lo stesso o ne teniamo conto anche se non hanno un mercato in senso stretto o il grande pubblico non lo pensa. Mi riferisco all'aria pulita, quanto vale l'aria pulita, quanto vale l'acqua disponibile a tutti, accessibile a tutti.

Qual è la responsabilità delle imprese e del mercato nel permettere che anche i nostri figli, i nostri nipoti abbiano accesso a dei beni comuni e abbiano accesso al stesso stock di risorse al quale abbiamo accesso noi? Il libro mette in luce come non sia sufficiente rimettersi al mercato e torno all'attualità, oggi noi siamo in presenza di crisi di offerta, è una situazione che in tutta la mia storia

accademica non proprio limitata non ho mai visto. Oggi le aziende non riescono a soddisfare gli ordini perché mancano componenti, mancano materie prime e c'è il grande rischio che si vada a recuperare queste materie prime, penso alle terre rare, penso al tema dei trasporti, anche in spregio a temi ambientali o a temi di equilibrio perché c'è questa grande domanda che accompagna uno sviluppo dell'economia e quindi è molto importante tenere presente che non basta il mercato, non basta il mercato in

senso stretto, l'impresa a macchia di leopardo lo ha ben interiorizzato, serve la regia politica, la politica non può essere assente e non può lasciare che sia il mercato a regolarsi perché se così ci sono forze in campo talmente squilibrate da ritenere praticamente impossibile un'autoregolamentazione. Mi fermerei qua in questo primo giro.

Bene grazie. Passate il libro di Enrico perché poi dopo vorrei riprendere nel libro di Enrico Letta molti di questi temi sono presenti, c'è un intero capitolo sul tema della sostenibilità però prima di entrare intanto vorrei chiedere a Letta se ci dà un suo commento generale e poi vedo che ci sono già persone che cominciano a porre le domande, mi fa piacere poi come dire più in là daremo spazio anche alle vostre interventi, domande, questioni.

Intanto sono veramente molto contento di avere questa opportunità per tanti motivi sia per il prestigio della casa editrice e quindi un ringraziamento a Pepe per l'invito sia perché sono un grande estimatore di Andrea Boitani di quello che fa, dice, scrive e quindi ho letto con grande attenzione l'illusione liberista innanzitutto perché il titolo, adesso non so Pepe se dico una bestemmia,

metà di un libro è il titolo alla fine e quindi il titolo è bello forte, è bello interessante, impegnativo e ci dice molto e ovviamente attira immediatamente l'attenzione anche perché chi lo scrive non è un pericoloso subversivo ma lo scrive una persona che attorno a questi temi ha riflettuto tanto e ha un approccio ovviamente molto equilibrato e quindi l'interesse per approfondire,

per capire che cosa Andrea ci dice. Il libro è estremamente interessante perché si cala dentro il tempo che stiamo vivendo e anche dentro un cambiamento che sta avvenendo perché è evidente che questo libro secondo me funziona e funzionerà molto perché entra dentro un momento di cesura nella storia politica e in generale anche nella storia delle politiche economiche del nostro paese perché noi siamo in un momento di cesura.

Siamo al termine sostanzialmente di 25 anni probabilmente in cui tra da una parte la grande bolla, la grande spinta di Internet negli anni 90 e la creazione, il completamento del mercato unico, la nascita della moneta unica in Europa e l'ingresso della Cina nel mercato globale,

tre fenomeni, uno che parte dalle Stati Uniti, uno che è in Europa e il terzo che viene dalla Cina, tre fenomeni che hanno reso questi 25 anni caratterizzati da alcune dinamiche economiche fortissime con degli impatti anche molto pesanti, basta pensare alla crisi economica finanziaria del periodo 2008-2011

e con fortissimi dislivelli e anche con fortissime differenze di risultato e di performance, sono soltanto tra i tre macro aree del mondo ma anche all'interno, se pensiamo all'Europa dobbiamo sempre ricordarci il fatto che quei 25 anni sono stati 25 anni in cui alcuni paesi hanno performato particolarmente male e sono sostanzialmente tre in Europa i paesi che hanno performato male, l'Italia, la Grecia e il Portogallo.

Se prendiamo i 20-25 anni tutti insieme l'Italia è il peggiore e altri invece che hanno performato molto meglio, quindi un periodo in cui si sono allargate molte disparità, molte disuguaglianze anche tra stati, ma è stato un periodo caratterizzato da alcune dinamiche molto lineari dal punto di vista delle politiche economiche, delle scelte,

sono stati 20-25 anni delle liberalizzazioni, delle privatizzazioni, dell'apertura di mercato, del grande commercio internazionale, 20-25 anni in cui c'è stato l'impatto, il protagonismo della figura del consumatore all'interno della dinamica economica,

quel consumatore che prima non esisteva nemmeno o era tenuto in disparte o in secondo piano, pensiamo a cos'era negli anni 70, negli anni 80, da noi o anche in generale in Europa, soprattutto nell'Europa meridionale.

Tutto questo ha una cesura profonda, coincide col tempo della pandemia e l'uscita dalla pandemia è un'uscita caratterizzata innanzitutto dal più grande piano di investimenti pubblici mai visto nella storia, cioè Next Generation, io parlo ovviamente dell'Europa in questo momento, dell'Unione Europea per essere più precisi.

È un piano di investimenti di dimensioni mai viste prima e che per forza di cose rilancia la mano pubblica e che si gioca in gran parte sulla mano pubblica.

Una cesura che è caratterizzata dal fatto che durante la pandemia è tornato centrale il ruolo dello Stato per motivi evidenti e assolutamente facilmente identificabili nel fatto che c'è stato bisogno di prestazioni nei servizi essenziali che normalmente sono dati dalla mano pubblica,

la salute, la sanità è il primo, ma non soltanto, anche gli altri servizi pubblici essenziali che sono stati appunto presi in mano dallo Stato nel momento in cui il resto del sistema economico privato era sostanzialmente fermo, si era fermato completamente in una modalità che non si era mai vista dal 1945 a oggi.

E allo stesso tempo un cambiamento radicale nelle relazioni tra il cittadino e la comunità nella quale il cittadino si trova ad agire, a vivere, sia che si tratti della comunità statuale che eroga servizi,

sia per quanto riguarda le relazioni all'interno di questa comunità e appunto anche il sistema economico, il mondo dei commerci eccetera.

Questo cambiamento radicale, questa cesura, ci fa entrare in un mondo nuovo, diverso, del quale è molto difficile oggi tratteggiare le caratteristiche e sapere bene quali sono i punti cardinali della bussola e non li sa nemmeno Andrea Boitani perché non li sa nessuno oggi,

ma Andrea con questo libro secondo me ci aiuta molto perché ci fornisce una chiave di lettura della cesura, cioè sostanzialmente ci racconta perché una certa fase termina, perché è importante che ci rendiamo conto che è terminata e ci dà alcune chiavi per capire quali saranno gli elementi essenziali della fase prossima.

Ecco perché lo trovo interessante, l'ho trovato interessante anche e soprattutto per questa questione di tempistica e termino su questo perché la cosa peggiore che possa capitare è quella di non capire che le cose sono cambiate o di capirle troppo tardi e siccome le cose sono radicalmente cambiate,

il grande rischio come spesso capita nella storia è che si vada avanti per forza di inerzia ancora per un lungo periodo con le chiavi di lettura del passato o con gli strumenti, con la cassetta degli attrezzi del passato e alla fine questo sarebbe veramente disastroso perché invece sta cambiando tutto, il cambiamento necessita di una nuova cassetta degli attrezzi, di nuovi strumenti e questi strumenti hanno bisogno di chiavi di lettura

della quale il libro è pieno sia sulla parte del ruolo dello Stato nell'economia, sia sulla parte del funzionamento del mercato, sia sulla parte della questione delle disuguaglianze e credo che questo sia assolutamente essenziale.

Quindi mi fermo qui perché abbiamo detto che facciamo una conversazione, però per me quello che è veramente interessante del libro è questo, la chiave di lettura dentro una cesura storica, la tempistica, capire, leggere in questo momento è fondamentale per evitare di attardarsi su punti di riferimento, punti diciamo cardinali che ormai sono datati e non sono più quelli che ci servono per il domani.

Allora dato che vorrei evitare che Andrea dica soltanto grazie, nel senso che poi dirà quello che vuole naturalmente, però gli volevo anche rilanciare, grazie ve lo dico io naturalmente perché mi sembra avete detto cose importanti e interessanti e prima di passare a provocarvi su un paio di temi che hanno a che fare con l'ideologia liberista e vi dico subito sono uno il tema proprio dell'ideologia,

cioè se noi non abbiamo bisogno in qualche modo di avere visioni del mondo, Enrico Letta l'ha detto varie volte che in qualche modo bisogna tornare una più forte sottolineatura identitaria e l'altro è un tema molto scabroso in questo paese, ma non solo che sono le tasse, perché le tasse è un tema forte, è una misura diciamo, però prima di passare a questo volevo chiedere ad Andrea di dire quello che vuole ma di rispondere a una critica che in qualche modo è anche alla casa editrice,

perché qualcuno ha detto, ma insomma, il libro l'abbiamo pensato prima della pandemia, ma insomma oggi c'è da una parte la crisi climatica e l'esplosione della questione ambientale e sostenibilità che rende difficile affidarsi solo al mercato, dall'altra come ha detto Enrico Letta c'è una cesura così forte che ha richiesto un intervento pubblico, fare un libro oggi contro l'ideologia liberista non è come sparare contro la croce rossa, cioè non siamo fuori tempo caro Andrea?

Sì, diciamo l'essere fuori tempo è una caratteristica degli intellettuali, quindi insomma questa è una risposta, l'altra potrebbe dire che uno scrive per l'eternità sperando di riuscire a influenzarla per un po' di tempo almeno e che quindi i temi ci sono insomma e quei temi continuano ad essere importanti,

ma al di là ovviamente del ringraziamento sia ad Enrico che a Chiara che mi hanno introdotto con parole così che sono quasi imbarazzanti per cui non mi soffermerò di più,

ma quello che voglio dire è che in realtà il tema della cesura è la ragione per cui questo libro è stato scritto adesso e non dieci anni fa. Dieci anni fa il tema, sebbene diciamo ci fossero tutte le avvisaglie dopo la crisi finanziaria eccetera che le cose non andavano bene,

però quelle sono le cose che hanno portato ai sette luoghi comuni usciti nel 2017, cioè tutto ciò che non ha funzionato nel modo di affrontare le politiche economiche, anche quello era un libro sulle idee in realtà perché era il modo in cui le idee influenzavano gli atteggiamenti di politica economica.

Qui il tentativo è stato quello di andare un pochino più a fondo e di andare a scavare nel modo in cui le idee rischiano di creare degli atteggiamenti di reazione stereotipati in un certo senso, per cui a quell'evento reagiamo come si è sempre reagito e questo sarebbe un disastro.

E applichiamo, dal punto di vista dell'economista, delle categorie che sono le categorie standard dell'economia per cui andiamo a misurarlo in termini di costi e benefici dove i costi e i benefici sono adeguatamente scontati, per esempio, per quanto riguarda i cambiamenti climatici,

gli eventi che avranno nel futuro vengono scontati fortemente e lì io credo che, mentre devo scontare dei flussi di cassa, ovviamente lo devo fare perché l'impresa che prende a prestito dei soldi per fare un investimento paga un interesse per cui i ricavi che otterrà in futuro gli deve scontare di quell'interesse che ha pagato.

Il discorso è scontare il benessere delle generazioni future. Questa è una cosa completamente diversa. Innanzitutto si tratta di scontare benessere e non flussi di cassa e l'abitudine di trasformare il benessere in flussi di cassa è un'abitudine pessima.

Naturalmente non fa assolutamente un favore alle generazioni future e rischia di far svalutare i pericoli del cambiamento climatico in maniera molto pesante con l'effetto di dire che possiamo evitare di fare politiche di intervento.

Il tema delle disuguaglianze oltre a essere un tema eticamente importante e sensibile è un tema socialmente importante perché lo sviluppo di disuguaglianze molto forti, oltre a non produrre necessariamente più crescita e più benessere,

ma ormai ci sono tante ricerche che lo dimostrano ampiamente, ma poi crea una disgregazione del corpo sociale, una separazione dei super ricchi dal resto. Questo è molto visibile nelle città del Sud America dove i super ricchi vivono in questi compound blindati e non vedono sostanzialmente quello che c'è fuori.

Ma questo non vedere significa anche non essere più interessati, non essere più coinvolti in quello che succede a tutto il resto della società. E non se la cava facilmente dicendo occupiamoci dei poveri. Perché? Ci occupiamo degli altri solo se sono al di sotto di un certo livello che identifichiamo arbitrariamente come la soglia della povertà, mentre quelli che stanno in mezzo no. Perché?

Perché non si ristabilisce questa soglia. Insomma ho cercato di fare un po' di riflessioni in profondità su questi temi, appoggiandomi a tutta la letteratura che esiste, perché questo è un mestiere di chi studia e spero di esserci riuscito.

Diciamo è risposta a metà la domanda, ci stavamo sparando sulla croce rossa diciamo. Però la ribalta su Chiara Mio perché la domanda è questa. Questa ideologia tu citi degli economisti che ne sono stati i portatori, più capostipite Hayek forse, ma diciamo Friedman eccetera.

Ma in realtà è passata moltissimo dal mondo delle imprese, no? E dal mondo dell'informazione. Quante volte in televisione, sui giornali abbiamo sentito ripetere appunto frasi del tipo l'importante è liberare l'impresa dai vincoli, l'importante è ridurre in pace i costi dell'impresa e poi si produrrà lo sviluppo di cui tutti beneficeranno. Questo l'hanno detto tanti autorevoli, illustri, imprenditori e giornalisti.

Allora la domanda è, poi come dire ovviamente c'è anche un riverbero sulla politica, però la domanda è questa ideologia resiste ancora nel mondo dell'impresa? Quante imprese colgono il messaggio che lei pone nel libro appunto l'azienda sostenibile quando dice c'è una responsabilità sociale dell'impresa che appunto oggi e da anni viene affermata e che oggi si realizza mettendo insieme il profitto di impresa con diciamo il

stakeholders, con il territorio eccetera. E' una cosa, c'è un wishful thinking? Sono poche imprese leader o comincia ad esserci una consapevolezza diffusa? Perché nel dibattito pubblico ancora ci sono molti affermazioni diciamo old style, vecchio stile.

Allora oggi la parola più inflazionata in tutti i claim pubblicitari è sostenibilità ed è non solo per il PNRR ma siccome tutto è sostenibile bisogna anche fare un punto sul che cosa lo è veramente, quindi quasi al contrario prendo la domanda.

Il mondo sviluppato, il mondo occidentale è denso di aziende che hanno fatto della sostenibilità il loro modello di business e sinteticamente per azienda sostenibile si intende un'azienda che abbia un business model dirompente, disruptive e quindi non è un'azienda che si dà una mano di verde, end of pipe alla fine di un ciclo produttivo e cerca di inquinare di meno o fa due asili aziendali, dà un piano integrativo di welfare ai dipendenti.

È un'azienda che si propone di lavorare per quello che Larry Fink nel BlackRock ha detto il purpose, cioè lo scopo, quindi non ci si chiede che cosa vendere ma quale bisogno della umanità, delle persone si vuole andare a soddisfare.

In questa prospettiva allora è già chiaro che l'azienda sostenibile, l'impresa sostenibile ha un traguardo di lungo termine, ha necessità di una piattaforma tecnologica su cui innestare una proposta, la tecnologia è un substrato per avere un'azienda sostenibile perché una caratteristica della sostenibilità è l'accessibilità, l'accessibilità in termini di prezzo, in termini di possibilità di avere accesso a quei prodotti e servizi e altra caratteristica,

spesso il prodotto, servizio non c'è ancora, occorre educare la comunità e il futuro consumatore a un nuovo modello di consumo, tant'è vero che uno degli SDG, dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibili, uno dei 17 è il 17° la partnership pubblico privato, non può esserci azienda sostenibile senza un consumatore sostenibile.

Ecco tutti questi ingredienti indicano che non c'è più quella dialettica di gioco a somma zero fra l'impresa e lo Stato, le tasse che citava prima, certo un ecosistema favorevole a un'azienda sostenibile ambientalmente e socialmente ma anche economicamente perché il tema etico, il tema di governance e il tema anche di guadagnare nel senso di non distruggere risorse è un tema importantissimo,

allora in questo equilibrio dell'aspetto economico, l'aspetto sociale, l'aspetto ambientale oggi e domani in un equilibrio dinamico di lungo termine è praticato da tantissime piccole, medie e grandi aziende, più note, meno note, ma per fare un esempio se io chiedessi oggi a qualsiasi persona che ci sta ascoltando, fammi un esempio di azienda sostenibile, un esempio di prodotto sostenibile magari mi direbbe l'auto elettrica,

ecco restiamo nell'auto, nel trasporto perché è un tema molto caro a tutti, l'azienda sostenibile potrei citare una casa automobilistica che ha un sito meraviglioso dove questo viene testimoniato, il paradigma di sostenibilità è occuparsi di mobilità attraverso un cambiamento dei modelli di consumo passando dal possesso proprietà all'uso in una condivisione di un mezzo di trasporto ovviamente eco compatibile,

ma è molto diverso dire lavoriamo con un prodotto automobile, la rendiamo un po' meno sporca e questo vuol dire far sostenibilità, è un altro mondo.

Posso farle una domanda politicamente scorretta, questo vale anche nelle piccole aziende del Veneto leghista?

A insaputa del Veneto leghista si è molto bene perché se se ne accorge magari, ma ci sono tantissime aziende in tutta Italia e anche ormai nel pentagono, non si parla più del triangolo, si parla del pentagono che con vertice Trieste piuttosto che Udine va fino a Milano, l'Emilia Romagna passa per il Veneto, piccole e medie aziende che perché lo fanno?

Uno perché sono tirate dalla supply chain per poter vendere alle grandi corporation che devono dire i consumatori, insomma Ikea, Ikea ha bandito la plastica monouso da molto tempo per poter vendere a loro devono essere sostenibili.

Secondo perché con il costo del lavoro che c'è in Italia, con la tassazione che c'è in Italia il vantaggio competitivo va ricercato e la sostenibilità è vantaggio competitivo di lungo termine, anche perché faccio quest'altro esempio, se la piccola azienda lavora solo sul vantaggio di costo troverà sempre un cinese, poi il cinese del cinese, poi il cambogiano del cinese e poi il vietnamita del cambogiano e a son di girare tutto il mondo alla fine avremo una equiparazione.

Equiparazione di questi disgraziati che avranno dei salari decenti prima o poi sperabilmente e a quel punto dove lo ricerchiamo il vantaggio di costo, andremo sulla luna a cercare chi lavora lì, allora invece del vantaggio di costo diventa conveniente fare una partnership con i fornitori o con i propri clienti e progettare insieme nel lungo termine, scommettere insieme, quindi il modello dell'azienda sostenibile è un modello di coopetizione, di competizione cooperativa,

con una unione di lungo termine, può sembrare contrario al mercato, ma il mercato funziona così.

Chiudo, pensiamo a temi come il brand, la reputation, che cosa vogliono dire? Vuol dire che l'azienda che lavora per il futuro rinuncia alla vendita oggi, ma si tiene il consumatore, si tiene il proprio nome che ha un grandissimo valore e questo nome è fatto da un consumatore che può essere stamattina il dipendente, oggi pomeriggio l'azionista e la sera prima di andare a casa il consumatore,

non c'è più una, c'è anche molta liquidità in una società liquida in queste figure di stakeholder che una volta erano clusterizzate ai tempi di Freeman negli anni 80 e oggi invece sono molto liquidi.

Bene, io chiederei ad Enrico Letta sia di commentare le cose che ha detto Chiara Mio e poi anche sul tema ideologia però di dirci qualcosa, perché nel suo libro la parola ideologia ricorre qualche volta, non moltissima, ma in particolare c'è un pezzo in cui dice

sappiamo tutti com'è finita la mancanza di una strategia chiara da parte dello Stato dovuta in gran parte alla convinzione ideologica in Europa che lo Stato non potesse orientare attivamente i processi di innovazione e politica industriale, ci ha portato in pochi anni a diventare marginali,

allora approfitto per fare pubblicità a un altro nostro libro di Mariana Mazzucato che si chiama Missione Economia in cui tutto il libro ha quest'idea che lo Stato deve orientare i processi di investimento anche delle imprese private, non contro le imprese ma per creare appunto un contesto.

La domanda che volevo fare a Enrico Letta era c'è solo una versione negativa della parola ideologia in nome di cosa? Del pragmatismo? In un meraviglioso libro dell'83, quindi pre-Crollo e il muro di Berlino, Umberto Eco, è una raccolta che si chiama Sette anni del desiderio, scrive che è tipico delle nuove ideologie spacciarsi,

si parla di crisi delle ideologie 1983, errore, chiamiamola così, bisognerebbe parlare di modificazione delle ideologie e caratteristico delle nuove ideologie non essere riconoscibili come tali così che possano essere vissute come verità, quello che noi diciamo quando diciamo siamo pragmatici, c'è una verità sotto gli occhi di tutti, come il fatto che questo è un tavolo, c'è poco da discutere.

Allora appunto al segretario di un partito che è in una fase molto complicata perché deve come dire contrastare varie ideologie, non solo quella liberista che forse sta finendo ma un'ideologia populista se la vogliamo chiamare così, cioè altri nuclei di pensiero forti, siamo proprio sicuri che diciamo così una sinistra progressista, una sinistra libera, diciamo una parte politica che aspira a costruire e a immaginare un mondo nuovo non abbia bisogno di una cornice piuttosto forte,

poi la possiamo chiamare visione del mondo, ideologia, insomma quindi volevo chiedere anche su questo quali sono i suoi pensieri in corso diciamo perché poi credo che siano anche determinati da ciò che sta succedendo e di cose ne stanno succedendo di rilevanti.

No, questo tuo intervento mi scatena molte suggestioni, la prima suggestione è quella che non abbiamo ancora in questi 35 minuti di conversazione, non abbiamo ancora detto che il liberismo in Italia non c'è mai stato, dal punto di vista diciamo del senso che il nostro paese nelle sue varie configurazioni di destra o di centrodestra

ha avuto mediamente una destra, un centrodestra statalista, non ho il tempo per argomentare, per metterla in bella copia, la dico brutta, abbiamo avuto in Italia una destra, un centrodestra, abbiamo ancora oggi una destra, un centrodestra in cui un tempo qualche voce più liberale, più liberista si riconosceva,

non ne potrei citare nemmeno una, mi veniva in mente nel periodo dell'epopea berlusconiana Antonio Martino, Antonio Martino era un portatore di quell'idea, oggi francamente farei fatica a identificare un nome, non c'è proprio, non esiste,

quindi l'Italia è un paese che non ha conosciuto dal punto di vista dell'impianto ideologico, politico, della costruzione una storia definita di tutto questo, sono state strane pulsioni e c'è stato un po' in alcune parti del nostro mondo economico l'idea di, più che di un'ideologia liberista pura, l'idea di acchiappare tutto subito senza intralci,

la logica del, piuttosto che un ragionamento più, perché poi il nostro sistema è pieno di sussidi alle imprese, possiamo fare l'elenco, quindi questo è importante metterlo sul tavolo di tutti i ragionamenti che stiamo facendo perché altrimenti,

mi interessava del ragionamento che faceva Chiara Mio, molto interessante quello che ha detto, a me colpisce veramente tanto quanto in tre anni, non vent'anni, ma in tre anni,

sui consumi, sugli atteggiamenti, sul modo di produrre, in tre anni è stato impressionante, potrebbero fare tanti di quegli esempi, io faccio sempre, visto che lei ha fatto l'esempio dell'auto elettrica, io faccio sempre l'esempio delle pubblicità delle automobili,

quando sono nato sono stato messo a guardare Canzonissima, le pubblicità in gran parte, la pubblicità numero uno sono le automobili, sia sui giornali, macchie, sulle televisioni, e da allora a oggi, a tre anni fa, io ho visto soltanto pubblicità di automobili con motori che rombavano,

in cui il tema era quanti secondi ci metteva arrivare a 100 km orari, sgommate, performance, e poi negli ultimi due anni, quando una partita di calcio è interrotta da una pubblicità televisiva, innanzitutto non vedi la differenza, perché è tutto verde come il campo di calcio,

la pubblicità di automobili è diventata il verde, il rumore è cambiato, rispetto alle pubblicità di tutti gli altri prodotti, la pubblicità di un'automobile è la più silenziosa che ci sia, 5 t di uccelli sullo sfondo si sentono,

e questi automobili che passano nelle nostre città in silenzio e lentamente, in due anni è cambiato il paradigma più identificativo di due concetti essenziali, il concetto di pubblicità e il concetto di automobile,

cioè ciò che di più va in pubblicità, quindi stiamo parlando, rispetto a quello che diceva Chiara Mio prima, di ciò che muove la maggiore quantità di soldi nelle campagne pubblicitarie, le automobili.

A me sembra che questo sia parte integrante di quel concetto di cesura di cui parlavo prima, la cesura è nei comportamenti dei consumatori, innanzitutto, ed è una cesura generazionale, nel senso che la cesura è una cesura che vede il pubblico giovanile in una cesura ancora più marcata rispetto al resto,

ed è una cesura impressionante su modalità, comportamenti, ovviamente molto disuguale secondo dei luoghi, ma molto forte, e in una logica, perché due anni, tre anni? Perché la vera novità, ne parla Andrea, ma voglio caricare molto questo concetto, di tutti i temi di cui stiamo parlando, il fattore tempo, secondo me, forse è il principale,

cioè sostanzialmente le nuove tecnologie ci fanno vivere tutti dentro un'entità connessa e di interconnessioni, interdipendenze incredibili, nelle quali quindi ciò che capita in una parte del mondo ed è forte, importante, in un attimo diventa generalizzato e a quel punto impatta in modo tale da…

Io credo che questa sia la questione principale ed è il motivo per cui anche il ragionamento sulle disuguaglianze che fa Andrea e che secondo me, come la vedo io, è la parte più bella del libro, perché Andrea fa in una logica di politica economica, distrugge la teoria per la quale bisogna che le cose vadano un po' come vanno, poi dipende dalle persone,

ma quello che conta è la meritocrazia interpretata in termini classici, diciamo, pre-Sandel, se vogliamo interpretarla così.

E invece Andrea Boitani ci fa un ragionamento assolutamente chiaro sul fatto che la questione essenziale è il fatto che le disuguaglianze sono diseconomiche, e oggi la questione chiave sulle disuguaglianze è proprio sul fatto che l'innovazione tecnologica accelera talmente tanto i cambiamenti che accelera anche i meccanismi di disuguaglianza e non ci dà tempo, questo è il punto essenziale.

Di mettere in campo politiche economiche tali o politiche tali da poter intervenire sulla rapidità di questi cambiamenti. Quindi qui, secondo me, la cosa più importante di tutti i ragionamenti che stiamo facendo è la discrasia, il décalage enorme che c'è tra gli eventi, l'accelerazione che questi eventi in termini di interdipendenza vivono e la capacità delle politiche pubbliche di intervenire.

In questo senso io considero letteralmente un miracolo quello che è accaduto l'anno scorso, cioè che di fronte all'evento più disastroso dei tempi moderni, la pandemia, l'Europa sia riuscita a intervenire in tempi così rapidi, assumendo una decisione così forte, assolutamente inedita e imprevedibile.

Mi ricordo perché con Andrea eravamo a ragionare in quei periodi di altre cose, nessuno di noi due mai avrebbe immaginato che sarebbero fatti gli euro bonds e tutto il resto, eppure si sono fatti. Quindi l'Europa ha in questo senso reagito in una modalità incredibilmente efficace e qui però, perché non dobbiamo soltanto mettere il dito nella piaga, oggi sta il problema in Italia.

Dove sta il problema? Nel fatto che tutto quello che si è fatto in questo periodo funziona e avrà successo se calano a terra i soldi del PNRR, rapidamente, in modo efficace, gestiti bene e in una logica di lotte e disuguaglianze effettivamente efficace.

Se questo non capita, oltre al danno del non averli, di non gestirli bene, c'è proprio per l'impatto sulle persone che hanno messo oggi tanta aspettativa su quelle risorse, un effetto boomerang che può avere, secondo me, delle conseguenze disastrose su tutto quello di cui stiamo parlando.

Se Andrea me lo consente, vorrei rimanere un attimo con Enrico Letta e poi dopo fai un intervento e poi magari facciamo alcune domande. Vorrei affrontare una questione essenziale perché parte dell'ideologia liberista ed è un tabù, che è quella della questione delle tasse.

Nel suo libro straordinario, che si chiama Una buona economia per tempi difficili, Esther Duflo, tra le tanti miti che smonta, uno è quello che ci sia una correlazione tra riduzione delle tasse e sviluppo.

E dice che non è affatto vero, e lei che si basa su ricerche empiriche, che nessun dato dimostra che ci sia una correlazione. Il mantra, scrive Duflo, e a Berger il suo compagno, della riduzione delle tasse è necessario per ripartire la crescita, contraddice l'evidenza storica, Europa e Stati Uniti crescevano assai di più quando le tasse erano molto più alte, l'evidenza empirica di dati disponibile però è diventato senso comune.

E questo smentirebbe che spariamo sulla croce rossa, perché lo è tuttora. Perché? Beh, un'evidenza è quello che è successo quando Enrico Letta, pubblicando il suo libro, a un certo punto ha parlato della tasse di successione.

Leggo una misura concreta da cui partire, scrive a pagina 63, di giustizia sociale direttamente rivolta ai giovani e l'istituzione non adottò al compimento del duecentesimo anno di età. Questa misura, finanziata con parte del gettito della tasse di successione, sarebbe naturalmente condizionata al reddito della famiglia per rispettare criteri di equità, eccetera.

Non voglio citare Luigi Einaudi, che già nel dopoguerra parlava di tassa patrimoniale, ma nel Fessia di Economia appena fatto un economista americano storico racconta che dopo le grandi crisi, la guerra appunto, c'è una disponibilità maggiore, perché in qualche modo si ritiene che quella crisi ha squilibrato alcuni a vantaggi altri.

Io lavoro in un settore in cui i librai guardano Amazon e dicono è proprio tutto merito di Bezos se la quota di mercato di Amazon è passata dal 30 al quasi il 50% o non ha a che fare con una catastrofe che ha messo quell'azienda in condizioni.

Allora forse se ci fosse un po' di trasferimento di quelli che hanno avuto fortuna più che abilità a giovani che devono entrare nel mercato, però quella proposta eletta a mio parere non ha avuto l'accoglienza che io credo sarebbe stata doverosa anche a sinistra.

E allora c'è un problema, quali ragionamenti possiamo fare? È una battaglia tra virgolette anche ideologica e visione del mondo che quindi non è solo contingente, cioè la tassa non risolvono il tema, però il tema è una politica attiva di inclusione che non riguarda solo gli immigrati ma riguarda tutti coloro che vivono in condizioni di marginalità.

E come la finanzi questa politica attiva? Come tiri fuori le risorse? Ecco questo credo sia un grande tema dove bisogna rompere questo tabù perché quel tabù ha a che fare con quello che Andrea diceva prima, col vincolo sociale. Perché le persone hanno accettato per lunghi anni dal dopoguerra fino agli anni Ottanta di pagare tasse anche marginali fino all'ottanta per cento?

Perché tutti, compresi i conservatori, pensavano che quello fosse una parte fondamentale del vincolo sociale. Oggi, dopo quarant'anni dai famosi discorsi della tasse dei regali, cioè non conosco la società, conosco gli individui, forse siamo in condizione di fare una rivoluzione culturale o è troppo ambizioso.

Quella proposta ha avuto un grande favore, secondo i sondaggi, nell'opinione pubblica. Larga maggioranza favorevole. Grandi critiche a destra e a sinistra. A destra, per i motivi che una tasse in più, mai.

Poi dici, no, ma una tasse in più per l'un per cento più ricco della popolazione c'è la parte non ricca che difende il ricco dal fatto che venga e io la trovo una cosa sulla quale riflettere.

Ma critiche anche da sinistra sul concetto, in parte comprensibile, di dire ai giovani che bisogna dargli misure universali. Non una tanto. E ovviamente la mia proposta non era in alternativa alle misure universali, era aggiuntiva.

Perché il ragionamento che io mi sento di fare è che la regina di tutte le disuguaglianze è quella generazionale oggi. Per motivi che sono legati a fattori demografici, di salute, di medicina.

Stiamo costruendo sostanzialmente una società in cui non nascono figli, arrivano e si integrano pochi e pochissimi immigrati, si vive tutti più a lungo e quindi sostanzialmente il peso dei giovani nella nostra società si va riducendo ed è sempre più piccolo rispetto a una grande quantità invece di persone con capelli bianchi.

Ed è evidente che siccome poi in democrazia conta uno vale uno, se i pesi sono i pesi per i quali decide come usare i soldi pubblici chi ha davanti a sé una speranza di vita media di 20 anni, la decisione sarà diversa da quella che prenderebbe chi ha davanti a sé una speranza di vita di 90 anni.

Perché l'attuale ventenne probabilmente avrà una speranza di vita di 90 anni di fronte a sé e avendo una speranza di vita di 90 anni è ovvio che assumi decisioni, guardi le cose e l'allocazione delle risorse le immagini in modo diverso.

Questa è la questione chiave che abbiamo di fronte a noi. A questa questione si deve aggiungere il fatto che ai più giovani per una serie di motivi, e il nostro paese è il peggiore in Europa, diamo pochissime opportunità di carriera, di sviluppo, di primo lavoro, gli diamo poche opportunità di formazione perché nel nostro paese non si è ancora, ora si comincia a farla,

si è iniziato una battaglia per muovere alcuni cursori, alcuni obiettivi tipo aumentare il numero di laureati eccetera, è un paese che è drammaticamente indietro in questo.

La faccio brevissima e chiudo qua, però credo che la questione giovane sia per me la questione essenziale del paese, l'impatto, il ruolo e anche sul tipo di paese che siamo e sul tipo di scelte che facciamo, proprio per quel discorso di lunghezza, speranza di vita, quali sono le dinamiche che abbiamo eccetera.

Io penso che ci sia bisogno di scosse molto forti, perché l'Europa è così importante? Tante volte mi viene chiesto ma insomma cos'è il valore aggiunto?

Per esempio il valore aggiunto è che l'Europa ti obbliga a prendere alcuni obiettivi di lungo termine che tu a livello nazionale, anche per colpa di una politica tutta che guarda l'elezione successiva,

una organizzazione demografica della nostra società che ti rende più complesso il tutto, per esempio l'obiettivo della sostenibilità, la parte ambientale della sostenibilità, noi ce l'abbiamo perché c'è l'Europa da decenni, non sarebbe così forte il mercato in Italia se non ci fosse l'obiettivo europeo.

Questo secondo me è un punto essenziale, così come anche un ragionamento sui giovani è uno sguardo lungo, oggi ci viene caricato per esempio su uno fatto di non fare debito o di tenere il debito basso, perché fare il debito è ovviamente la prima cosa che va contro gli attuali giovani, viene gestito e organizzato anche lì con i macro obiettivi europei.

Perché in tutto questo noi abbiamo bisogno dell'Europa, però in tutto questo noi abbiamo anche bisogno di un discorso di verità a casa nostra, per cui il ragionamento che io sto facendo è molto rischioso, perché io parlo a una fetta di società che è drammaticamente minoritaria nel corpo elettorale.

E mi dice con lo sguardo di chi la sa lunga, di chi l'ha vista lunga, ma insomma dove vai così? Parla di pensioni, spara un quota 300 e vedi come riesci a prendere più voti.

Io sono convinto che la strada del mettere i giovani al centro è giusta, perché alla fine noi stiamo costruendo una società, e in questo è abbastanza un unicum in Europa, basata sostanzialmente sui 65 anni e i 70 anni.

E questo è il vero punto. Oggi la nostra società è basata sui 65 anni e i 70 anni. Perché? Perché una generazione che ha fatto il miracolo economico, che ha lavorato tutta la vita, che ha risparmiato, che ha avuto il TFR, che è andata in pensione con pensioni più che dignitose, parlo ovviamente della classe media, media o alta,

sono generazioni che oggi invece di godersela, con quelle risorse, stanno sostanzialmente mantenendo i figli, i nipoti, perché sono generazioni che hanno anche nipoti già ventenni che non riescono a trovare uno straccio di lavoro, e sono i nonni che normalmente li aiutano, e in alcuni casi si trovano ad avere anche i genitori 95 da doversi far carico perché sono ancora in vita, meno male perché è così.

Ma io mi chiedo, un paese che mette sulle spalle dei settantenni tutto e redistribuisce tutto quello che hanno creato i settantenni, ma dove va un paese così? O noi mettiamo i trentenni, i quarantenni nel motore, oppure noi questa cosa sì, durerà un po', ma di fatto è un modo per condividere in dinamiche familiari i patrimoni creati,

ma non è un modo che costruisce e crea nuova ricchezza per il paese, che è la base con la quale riusciranno poi a darci un futuro.

... capitale dovrebbe essere vicino agli 80-100 mila euro, che in 18 anni potrebbero essere raggiunti in un accumulo programmato. Olivero Pesce che si è occupato molto dell'... di finanza, anche un traduttore di alcuni nostri libri importanti, dice che un ultraottantenne con 4 figli tra i 45 e i 55, 7 nipoti tra i 9 e i 29, sa certamente di più guardare al futuro remoto.

Volevo fare un'altra domanda politicamente scorretta invece di questa volta da Andrea. Tu hai avuto una economista aziendale, tua collega, che ti dice che il mondo delle imprese in realtà sta andando verso una concezione un po' meno ideologico, liberista, e il segretario di un importante partito che condivide.

Questo ti fa essere molto ottimista sul fatto che la classe imprenditoriale e politica italiana nei prossimi anni farà una svolta culturale e abbraccerà con forza i principi. Dunque un signore prima, se mi scorrete, diceva che il libro di Boitani configura una vera, in fondo non dice ideologia, ma pensiero social-democratico che dovrebbe essere la base di una futura sinistra.

Dopo queste due testimonianze ti sembrano rappresentative dell'insieme del mondo dell'impresa o politico o vedi ancora molta strada da fare per conquistare le coscienze?

La domanda è provocatoria. Vedo che c'è molta strada da fare. C'è un buon punto di partenza nel fatto che ci siano due persone del valore di quelle che sono qui vicino che la pensano in questo modo. Credo che ci sia però veramente molta strada da fare.

Ci sono alcune cose che per fare questa strada si richiedono, sempre sul piano delle idee, quello in cui mi muovo più agevolmente, ed è quello di sradicare qualcosa che è entrato anche nella cultura della sinistra, del centro-sinistra,

che è l'idea sostanzialmente che l'umanità è fatta di carogne. L'umanità è fatta di carogne, cioè di persone che si muovono esclusivamente motivate da egoismo razionale e questa è un simpatica eredità degli economisti.

C'è uno storico che ha scritto recentemente che nell'uomo convivono il lupo buono e il lupo cattivo e naturalmente dipende da chi viene più nutrito quale crescerà di più e si affermerà. Io temo che gli economisti, quindi la professione a cui appartengo, abbiano nutrito molto a lungo il lupo cattivo.

Però questo lupo cattivo ha allevato all'interno della politica, della politica di sinistra e del modo in cui la cultura politica percepisce il comportamento degli uomini.

Cioè l'idea in fondo cinica che l'uomo è cattivo. Io in questo propongo, nel libro è abbastanza chiaro, un ritorno a una visione se vogliamo aristotelico-ottimista.

Ma alla fine è un paese cattolico questo che stai dicendo? Perché la cultura cattolica non dovrebbe essere inclina a questo.

Qualsiasi ipotesi di configurare comportamenti cooperativi che non siano motivati esclusivamente dall'egoismo razionale è guardato come un povero illuso.

Allora, forse io sono un povero illuso, ormai sono nell'età che si avvicina a quella della pensione e quindi posso anche permettermi di cullarmi nell'illusione, ma credo che non sia un'illusione, sia fondamentalmente un modo sbagliato di guardare all'umanità.

E uno degli effetti più penetranti della cultura liberista è questa idea di poter spacciare per oggettiva questa che è una visione strettamente ideologica dell'uomo.

Una visione che viene ovviamente da Hobbes, che viene da illustri filosofi morali inglesi del Settecento, che non è quella di Adam Smith peraltro, che pure sempre viene ostentato come il campione dell'egoismo quando non è affatto vero che sia così.

E questa idea è stata fatta penetrare nella cultura dei giornalisti che hanno una certa propensione al cinismo, diciamolo pure, ma i quali leggono l'intero svolgersi delle cose umane attraverso questa lente cinica.

E è stata fatta passare cercando di dire che in definitiva questa visione, che è alla base del liberismo, è di sinistra. Questo ha fatto un grave danno secondo me.

Poi magari chi lo fece lo fece come provocazione, perché così il liberismo di sinistra è un titolo altrettanto sparato dell'illusione liberista se vogliamo. Ma al fondo c'era un'idea di colonizzazione culturale della sinistra.

E questa è purtroppo una cosa che non si batte facilmente. Un predecessore di Enrico Letta a un certo punto ha detto che le tasse non possono che diminuire.

E' esattamente la stessa espressione usata da Milton Friedman. Ora, se questo non è il segno di una penetrazione dell'ideologia liberista nella cultura, certamente non nella pratica, ha perfettamente ragione Enrico,

in Italia i sussidi pubblici, l'intervento anche sgangherato dello Stato nell'economia c'è sempre stato e continua a esserci. In qualche anni è diventato anche più sgangherato.

Però questo sottile siero nella cultura si è infilato e oggi è difficile fare marcia indietro. Per questo ho inserito quel capitolo di riflessioni sui fondamenti alla fine del libro,

per ripensare la cultura socialdemocratica di centro-sinistra.

Io penso che possiamo concludere qui, abbiamo sforato l'ora canonica. Io volevo solo citare alcune delle persone che hanno scritto, Carlo Cridicetti, Antonio Pirrone che ha fatto vari interventi, se possiamo andare su, ci sono stati interventi di varie persone, Lucia Berardino, Yasmin Taskin che chiede se ci sono diritti sostenibili, quali sono i diritti sostenibili.

Luigi Speranza, insomma mi dispiace che non posso citarli tutti, veramente molti e vi ringrazio. Girolamo De Vincentis che dice, ho letto il libro e mi è sembrato un manifesto per la nuova socialdemocrazia. Allora io non credo che Andrea Poitani aspiri necessariamente a fare il manifesto, però condivide appunto quello che scrive Haines che nel lungo periodo le idee sono più importanti e gli interessi costituiti.

Se riescono a prevedere anche le breve non ci dispiace le buone idee, ma ci affidiamo al medio e lungo periodo come deve fare un editore, perché l'editore di libri confida in qualcosa che non necessariamente arriva oggi, come ha detto Enrico Letta, soprattutto che passi attraverso la speranza di vita e quindi le idee di giorni che devono contare di più, mi sembra che è la cosa che ha detto è fondamentale, cioè dare più spazio, più voce, più possibilità di intervenire.

Quello che ci ha detto è che l'opinione pubblica ha reagito più favorevolmente l'idea della tassa di successione da questo punto di vista da speranza, dato che l'opinione pubblica è la vera misura, come diceva Marti Asendi, di una democrazia, non il rito elettorale che si può fare anche in paesi autoritari, ma la qualità del dibattito pubblico.

Credo che vi ringrazio molto perché la vostra discussione di oggi dice che si può fare un buon dibattito pubblico, come ha scritto anche qualcuno comprensibile, mi pare ha scritto anche chi non ha competenze di economia, e però con idee che mi sembra abbiano dietro, Cristina Martinelli l'ha scritto, abbiano dietro anche una profondità di pensiero e un rigore.

Quindi ringrazio tutti coloro che ci hanno ascoltato e al prossimo appuntamento con questi nostri incontri di Casa Laterza. Grazie mille, grazie a voi.