A SALVATORE FARINA
La nostra amicizia, che dura da anni, e che mai... Perchè mi trema la mano nello scrivere? Donde avviene che dopo aver messe là, sulla carta, una diecina di schiette parole, mi vien meno il coraggio di arrotondare il periodo per dichiararvi tutto l'affetto che vi porto?
Perdonate! Ho appena finito di leggere i due volumi del De-Amicis; due stupendi volumi, pieni di osservazioni vere e profonde, ma... ma... (la colpa non è dell'autore, è tutta mia) tanto affliggenti da produrre lo sgomento.
Eppure, noi siamo amici, io e voi.
Vi è forse dell'orgoglio, da parte mia, nel dichiararlo al cospetto del pubblico?
È possibile. Ebbene, sì! io vado orgoglioso della vostra amicizia; e voi, non ne dubito, vi compiacete della mia.
Ci amiamo noi per simpatia di età, di carattere, di inclinazioni, di gusti letterarî? Io sono un vecchio matto, voi un giovane serio ed assestato; io appartengo alla scapigliatura incorreggibile, voi rappresentate il modello dei cittadini, dei mariti e dei padri; io faccio della prosa per far ridere i buontemponi, fabbrico dei versi per far disperare i maestri, e voi scrivete dei romanzi squisitamente arguti, per educare gli animi a tutto che vi ha di gentile e di onesto; infine, voi recitate, sul palcoscenico della letteratura, le parti dignitose e sentimentali, io recito da caratterista e qualche volta da buffo.
Ed ecco, malgrado questa antitesi, io non mi prendo veruna soggezione a presentarvi e dedicarvi il più balzano, il più strampalato dè miei racconti. Perchè dovrei aver soggezione? Voi non siete di quelli che leggono da giudici i libri degli amici; voi riderete delle mie stravaganze, e mi manderete in ricambio qualche vostra gentile e melanconica novella, che a me, vecchio matto, farà versare delle lacrime soavi.
Dopo tutto, deve esistere fra noi due qualche affinità o consanguineità latente, la quale mi farebbe sospettare che discendiamo dal medesimo ceppo.
Sta a vedere, adesso, che ci troviamo parenti!...
Eppure... eppure... Vediamo un po'!--Voi timido, io timidissimo (come rideranno certi grulloni al vedere che io mi dichiaro timidissimo! ); voi amante dei fiori e dei bimbi, io coltivatore di asparagi e di patate; voi schivo dalle combriccole, restio alle pompe insignificanti, alle adunanze accademiche, ai banchetti fraterni (Dio! quanto fraterni!) --io più orso che uomo socievole, più stretto al consorzio dei cani e dei gatti che a quello degli animali chiamati ragionevoli.
Ma non è qui il luogo di sviluppare il parallelo; ne parleremo fra noi a quattr'occhi, forse ne abbiam già parlato e abbiamo concluso affermativamente, senza darci la pena di profferire una parola.
Nullameno--poiché ci siamo--non voglio passarmela senza avvertire il tratto più incisivo di somiglianza che esiste fra noi.--Ed è questo: che essendoci entrambi, per elezione o per caso, applicati a cucinare e ad imbandire delle vivande per la mensa libraria, noi non abbiamo tenuto conto del _menu_ prescritto dai cuochi massimi, e abbiamo dato, ciascuno, ciò che sapeva, e poteva, e voleva dare.
Voi avete recato sulle mense delle gelatine confortanti, delle pesche col rosolio, delle ciambelle leggermente pepate; io dei salsicciotti saturi di grosso sale, delle polpette ripiene di senape e di droghe mordenti. Il fatto rappresenta una antitesi, ma esso deriva da una identica convinzione.
Da circa vent'anni noi assistiamo ad uno spettacolo curioso. Lo si vuol intitolare _evoluzione letteraria_; e questa evoluzione, se ho ben compreso, vorrebbe indurre quanti sono nel mondo letterati ed artisti a modellarsi sovra un medesimo stampo. Per essere ammessi nella chiesa cattolica governata da codesti _massimi_ centuplicati da tanti _minimi_, occorre assolutamente di farsi scimmie. L'arte si ha da fare così e così--e mentre si pretende disfare la vecchia rettorica e schiacciare il convenzionalismo, ecco insorgere una rettorica nuova più circoscritta e più gaglioffa dell'antica, un convenzionalismo stupido e barocco, che si arroga di mettere il bavaglio al cervello e di proscrivere la originalità.
Come sarebbe divertente la letteratura, se tutti i poeti emulassero i sonori giambi del Carducci, od il molle elegantissimo erotismo dello Stecchetti! se tutti i romanzieri spaziassero con voi nell'ambiente sereno della famiglia e della società onesta, ovvero si tuffassero, in compagnia dello Zola, dentro i pantani della corruttela e del vizio!
Io fo tanto di cappello al Carducci, trovo gustosissimo lo Stecchetti, delizioso De-Amicis, appetitoso lo Zola, squisitamente arguto il mio ottimo Farina; ma pure io mi riterrei assalito da un primo sintomo di imbecillità il giorno in cui mi sentissi tentato a posare da Carducci, da Stecchetti, da De-Amicis, da Farina e da quant'altri hanno l'onore di piacermi.
E voi pure la pensate così, non è vero? Voi volete esser voi, niun altro che voi, sempre voi, senza la menoma pretesa di crear dei proseliti o di erigervi a caposcuola.
Caposcuola! Che significa?... Victor Hugo lo fu, caposcuola--e nullameno, durante il suo patriarcato, quanti poeti, quanti romanzieri dissimili da lui grandeggiarono e ottennero la ammirazione del mondo! Qual parentela di indole e di gusto letterario tra Victor Hugo e Lamartine, tra Musset e Beranger, tra Dumas e Giorgio Sand, tra Flaubert e Alfonso Karr, tra Coppée e Zola? E in mezzo a tante altezze fosforescenti, non è riuscito ad aprirsi una via e ad occupare un largo posto anche quel buono e poco ornato romanziere che si chiamò Paolo De-Kock, tanto vilipeso dagli insigni e tanto letto dalle moltitudini?...
E da noi, in epoca recentissima, qual differenza tra Manzoni, Guerrazzi, Giovanni Prati, Giuseppe Giusti, Guadagnoli, ecc., ecc.!! Dunque--per concludere--non c'è proprio bisogno di seguire un andazzo od una scuola. Meglio essere asini per alcuni pochi, che figurare da scimmie al cospetto del mondo intero.
E per oggi faccio punto. Quando verrete a trovarmi, ben altro avrò a dirvi su tale argomento, e voi mi direte il resto. Vi avverto che da due anni all'incirca i proseliti della gran scuola fanno un gran consumo di _glauco_; il _biondo_, lo _scialbo_, il _grullo_ ed il _brullo_ cominciano a scadere di moda. Tanto per vostra norma--perchè il giorno in cui vi accadesse in qualche vostra prosa di lasciar correre il _glauco_, io ne rimarrei grandemente allarmato.
Nella mia _Contessa di Karolystria_ non c'è ombra di _glauco_, statene sicuro. Trovatemi un altro libro recente di prosa o di versi che sia immune da questo contagio!...
Vi stringo la mano cordialmente.
A. GHISLANZONI..
_Caprino Bergamasco, 12 maggio 1883._