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Pasolini - Ragazzi di Vita, VII. DENTRO ROMA (3)

VII. DENTRO ROMA (3)

I malandri restarono addossati alla spalletta, fiacchi fiacchi, come due tacchini spennati. - Me pari n'accattone, - disse Alduccio dopo un po' guardandosi il Bègalo e sbottando a ridere. - E tu na cammera de sicurezza, - fece il Begalone. - Mannaggia la m... addolorata, - aggiunse, - ma mica chiudemo cosi, ssà, stasera. - See, co na piotta e mezza 'n saccoccia, che voi fà? - Si allisciava afflitto in saccoccia la piotta e mezza rubata al Caciotta. - Nàmose a fà na inzifonata a li Cerchi, - fece il Begalone, - tiramo a ssorte. - A matto, - disse Alduccio battendosi con due dita la fronte, - e poi se 'a famo a fette fino a Tibburtino. - Ma che, -scattò il Begalone, - n'antra piotta e mezza nun se po' rimedià? Che, un micco che c'ammolla un po' de grana 'un ze trova da zte parti? - E quanno 'o trovi? a Natale! - disse Alduccio. - Ammazzete, - disse il Bègalo, -quanto ce voi caricà che 'o trovamo? - Andarono giù verso Ponte Garibaldi come due lupi affamati. Accanto al pisciatore in pizzo al ponte, dalla parte di via Arenula, ci stava un vecchio ammucchiato al muretto. Il Begalone andò dentro a fare un goccio d'acqua, poi andò a appoggiarsi pure lui alla spalletta, dove già s'era messo Alduccio. Stettero cosi un pochetto in silenzio. Poi il Bègalo cacciò da una saccoccia un mozzone di sigaretta, e piegandosi cortesemente sul vecchio, gli domandò: - Che, c'ha un cerino ppe' favore? - Dopo cinque minuti gli avevano scucito una mezza piotta.

Un'altra la rimediarono a Ponte Sisto, da uno anziano con una borsa sotto il braccio, che attaccò con loro una moina fuoriscena che faceva venir il latte alle vecchie. Fu il Begalone a tagliar corto: fece: - Tenemo na fame che stranutimo, è da stamane li mortacci sua che nun magnamo! - Il signore gli ammollò cento lire che si comprassero quattro bombe, e loro tagliarono subito su per via dei Giubbonari. Se la filavano alla svelta, verso il bussolotto di Campo dei Fiori. Discutevano seriamente. - Che, sei n'omo pure te? - diceva nero Alduccio. - An vedi questo! - gridava il Begalone fermandosi in mezzo alla strada e puntando verso di lui la mano tesa, -che, 'hai rimediata tu 'a grana? - Mbè, - fece Alduccio, che vor di? - Ah, niente, - ribatté il Begalone, - io rimedio 'a grana, e lui va a intigne. - A scemo! - gridò poi battendosi due dita contro il naso. Ma in quel momento passarono davanti a una rosticceria, il Begalone disse - vaffan..., - e entrò; si papparono tre suppli peruno, e quando risortirono erano nelle condizioni di prima. Ma già che c'erano, continuarono, sbandati, giù per via dei Giubbonari, e ecco che come furono in fondo alla strada e stavano imboccando Campo dei Fiori, Alduccio diede una gomitata al Begalone, e con un cenno del capo e gli occhi rappresi da uno sguardo assonnato e astuto, gl'indicò un tizio che, camminando davanti a loro, gli dava ogni tanto delle lunghe occhiate. - Avemo chiuso, - fece il Begalone. Quello ora rallentando, ora accelerando imboccò Campo dei Fiori, poi voltò a mancina, tra pipinare di ragazzini che giocavano con una palla di stracci nella piazza bagnata; e si fermò un istante presso la tettoietta merlettata d'un pisciatore guardandosi indietro. Il Begalone e Alduccio lo allumarono ben bene. Acchittava abbastanza con una bella camicetta e un bel paro di sandali. Incerto il bassetto proseguì verso Piazza Farnese, e poi su di nuovo a Campo dei Fiori per un vicoletto buio; e così per due o tre volte. Girava per quelle strade intorno intorno come un topo che affoga in un catino.

- Mbè, - disse il Begalone avanzando, - ma che stai a ffà qua, dico io.

- Tu, che stai a ffà, - disse il Riccetto, abbassando lo sguardo sul Begalone stesso, su Alduccio e sul soggetto che rimorchiavano.

- Famme accenne, e smòrzala, - disse il Begalone, avvicinandosi al Riccetto con la sigaretta tra le labbra. Il Riccetto gli allungò la sua accesa, senza spostarsi d'un centimetro, e abbassando soltanto un po' le palpebre, dato che, rispetto al Begalone e agli altri due, si trovava un po' in alto: seduto sulla spalletta del lungotevere con una gamba penzoloni e l'altra ripiegata e stretta contro il petto.

- Che, c'hai 'a puntata co' quarcheduno? - ci riocò il Bègalo.

- Ma quale puntata! - fece il Riccetto.

- A filone, - fece il Bègalo.

Alduccio e l'altro se ne stavano un po' abbioccati.

- Je va a ssangue Arduccio, - fece il Bègalo ghignando, con un po' d'invidia. Ma l'altro però allumava anche il Riccetto, che s'era messo apposta in quella posizione malandrina, con le gambe aperte.

- Che me guardate? - gli fece il Riccetto.

Quello sorrise: - Zì, - fece, un po' timido e un po' facendoci.

- Aaaaa, - fece il Bègalo come se ripensasse a una cosa che gli era sfuggita, tutto affabile e spigliato, - ve presento n'amico mio.

Il Riccetto lasciò scivolar giù la gamba rattrappita contro il petto, e allungò la destra, con cui se la teneva stretta, verso la nuova conoscenza. Questi gli strinse la mano, con un sorrisetto da educanda: - Piacere, - fece alludendo al piacere che contava di trarre da quella conoscenza, se tutto fosse andato bene, e sfiorando tutto con lo sguardo il dispensatore di quello stesso piacere, che se ne stava, tranquillo e beato, sopra il muretto li davanti, come fosse in campana per farsi una cantatina.

- Me guardi, - fece il Riccetto, seguendo le evoluzioni di quello sguardo.

Il froscio finse di sentirsi colto in fallo, finse di sorridere imbarazzato, con un fondo di provocazione nella bocca livida con dentro la lingua che si muoveva come quella delle bisce; e si mise una mano sul petto, stringendosi nervosamente sulla gola il colletto aperto della camicia, un poco come se volesse difendersi dall'umidità della notte, un poco per proteggersi pudicamente chissà che cosa dalla vista dei maschi.

- Te piacerebbe, eh, - fece il Begalone.

- Nnnnnh, me piacerebbe! - fece alzando una spalla e fingendo di fare l'annoiato il froscetto.

Alduccio cominciava a perdere la pazienza, anche sentendosi un po' trascurato. - Bè, se volemo move? - fece.

- E addò vai? - fece il froscio strascicando la voce.

- Namo qqua sotto fiume, daje, - fece Alduccio. Stavano sulla spalletta del lungotevere tra Ponte Sisto e Ponte Garibaldi.

- Tu se' matto, fijo bello, - fece il froscio adontato.

- E daje, - insistette Alduccio, - scegnemo pe 'a scaletta, namo sotto ponte e famo na cosetta generica.

- No no no no no, - disse il froscio agitando una mano, e scuotendo la testa, con una faccia assolutamente negativa.

- Ma pecché? - continuò riscaldandosi Alduccio, - addò 'o trovi un posto mejo de questo? Che, c'avemo de stà mezzora? Du' minuti e te saluto! Famo finta che dovemo da ffà un bisogno, e chi ce viè a rompe li cojoni li sotto! - Mentre che parlava il froscio si dimenticò di lui, e tutto sorridente coi denti scoperti continuava a guardare un po' negli occhi e un po' in quel posto il Riccetto; come Alduccio tacque, il froscio riprese coscienza di lui, e concluse secco e staccato, come se la cosa fosse ormai fuori discussione:

- No, io là sotto nun ce vengo.

E riprese a sorridere, facendo gli occhioni languidi, verso il Riccetto.

- Ammazzete, quanto sei brutto, - gli fece il Riccetto.

Alduccio ritornò all'attacco: - E allora che volemo fà? - Il Begalone lo spalleggiava: - Aòh, nun ce fa sprecà tanto tempo, sa, a cocco bello! - Il froscio era già quasi sui cinquantanni, ma voleva dimostrarne almeno venti di meno: continuava a stringersi con aria di persona cagionevole di salute il colletto della camicia, contro il suo pettuccio di pollo. - Mo annamo, - fece condiscendente ai due maschi.

- Se! dichi sempre annamo, annamo, e poi nun te movi de qquà! - fece Alduccio.

Tra Ponte Sisto e Ponte Garibaldi, non passava più quasi nessuno, e il Riccetto invece si ricordava di quand'era ragazzino, subito dopo finita la guerra, quello che succedeva lì: lungo la spalletta, seduti come lui adesso, ce n'erano almeno venti, di giovincelli, pronti a vendersi al primo venuto; e i frosci passavano a frotte, cantando e ballando, pelati e ossigenati, ancora giovani giovani, oppure anziani, ma tutti facendo i pazzi, non pensando per niente alla gente che passava a piedi o dentro le circolari, chiamandosi forte per nome: - Wanda, Bolero! Ferroviera! Mistinguette! -, come si vedevano da lontano, correndosi incontro e baciandosi delicatamente sulle guance, come fanno le donne per non rovinarsi il trucco: e quando si radunavano tutti assieme, davanti ai maschi che appioppati contro la spalletta guardavano facendo i grevi, si mettevano a ballare, chi accennando a un pezzo di danza classica, chi facendo il cancan, e folleggiando a quel modo lanciavano di tanto in tanto il grido: - Siamo libere! Siamo libere!

Quella volta sì che si poteva scendere giù per la scaletta, e tra i puncicarelli pieni di fanga e di carte sporche, sotto Ponte Sisto o Ponte Garibaldi, fare tutto quello che si voleva senza paura. Il carrozzone qualche volta passava, c'era un po' di fuggi fuggi, ma poi tutto tornava come prima. Il Riccetto quella sera stava lì mica per combinare qualcosa, ma per passare il tempo, in vena di rievocazioni.

- Daje, che ve ce porto io i' un ber posto, - fece spinto da un magnanimo moto di generosità.

Il froscio accentuò il mascherone fisso del suo sorrisetto, facendo tante piegoline da tutte le parti, ma sentendosi tutto sfolgorante, di sguincio, come una soubrette fotografata con le spalle nude in un cartellone dell'Altieri. Difatti fece il gesto che fanno le donne per gettarsi i capelli dietro il collo, e si protese in avanti, un po' storto, pronto a seguire il Riccetto.

Il Riccetto gli fece prendere il 44 e li portò su dalle parti dove aveva abitato da ragazzino. Scesero a Piazza Ottavilla, che quando il Riccetto abitava da quelle parti era ancora quasi in campagna, voltarono giù a sinistra per una strada che prima non c'era, o era soltanto un sentiero in mezzo a dei grandi prati con qua e là in discesa, come sui pendii d'una valletta, dei ciuffi di canne alte tre metri e dei salci: ma adesso c'erano dei palazzi già costruiti e abitati e dei cantieri. - Namo ppiù ggiù, - fece il Riccetto. Andarono più giù, e arrivarono, dietro gli ultimi cantieri, in un viottolo, che portava a Donna Olimpia, ma prima passando per il cortile d'una vecchia osteria col pergolato, piena d'ubriachi. Andarono oltre, però il sentierino durava ancora poco perché proprio all'estremità di quei prati che ormai erano pieni di case, c'era una strada nuova, con qua e là altrettanti palazzi costruiti o in costruzione. Subito lì di dietro cominciava la scesa del Monte di Casadio, dove da pischelletto il Riccetto aveva passato le giornate intere. Andarono in quella direzione, e, come furono in pizzo alla scesa, ch'era quasi a strapiombo sotto di loro, si trovarono davanti alla Ferrobedò. Era incassata ai loro piedi, in fondo alla valletta tutta sbiancata dalla luna. Dietro si distingueva, contro le nuvole biancastre, il groviglio nero dentellato in un gran semicerchio di Monteverde Nuovo e a destra, dietro il Monte di Casadio, le cime dei grattacieli di Donna Olimpia.

- Aaaaa còsi, - fece il Riccetto, - mo voi scegnete qqua a destra, - e mostrò una specie di sentiero tra gli sterpi che scendeva giù per il dosso dell'altura, e che pareva giusto fatto per le capre. - E ve trovate propio davanti a 'na grotta. La vedete subbito. Lì chi ve viè a rompe li cojoni... Io ve saluto, stateve bbene.

- Ma addò vai, che ce lasci mo? - fece il froscio, ammusolito, facendo spallucce.

- Va per li c... sua, de che te impicci, a moro, - gli fece Alduccio, che non gli dispiaceva per niente che il Riccetto se ne andasse.

- Ma gome, - fece il froscio, - se fa gosì se fa-a?

- Daje, - fece magnanimo il Riccetto, - v'accompagno insin'a 'a grotta -. Scesero giù per il sentiero tenendosi stretti agli sterpi, e si trovarono in una piccola raduretta verde e melmosa, perché dalla grotta, lì presso, usciva un rigagnolo di scolo nero. - Ecco, lì ddentro, - fece il Riccetto. Il froscio non si rassegnava che lui non restasse lì, e lo prese per un braccio, sorridendogli con aria d'invito, e nascondendo la faccia graziosamente dietro una spalla, in modo da fargli un sorrisetto di sotto in su.

Il Riccetto, pazientemente, rise pure lui. Da quando era stato a Porta Portese era ingrassato e non c'aveva più il pallino di far sempre il dritto. Ormai era un uomo esperto della vita. - Ammazzete, - disse quasi alleato, - due non t'abbastano, che?

- N-no, - fece il froscetto, piegandosi un po' s'un ginocchio come una bambina che fa la mossuccia per averla vinta.

- Ammazzete, - ripetè il Riccetto, - te piace de divertitte, eh? - E tutto pieno di comprensione e di senso della propria superiorità, scese giù per il sentiero, salutando paragulo con la mano senza più voltarsi indietro.

Il sentiero scendeva giù a mezza costa dell'altura per una ventina di metri, e portava giusto nel centro di Donna Olimpia. Bastava fare un salto, in fondo, oltre un muretto diroccato, attraversare un pezzo di strada, e s'era subito davanti alle scuole Franceschi. Era ancora tutto un mucchio di macerie, come se il crollo ci fosse stato due giorni prima, solo che sulle brecole lavate dalla pioggia e bruciate dal sole s'era depositato un po' d'immondezza. Il Riccetto ci si fermò davanti, con le mani in saccoccia, a dare un'occhiata. Sì, è vero, i massi che erano rotolati in mezzo alla strada e le frane di breccia, erano stati ammucchiati un po' in ordine: solo qualche blocco, qua e là, era rimasto sulla strada: si vede che quando, durante il periodo delle elezioni, avevano fatto finta di cominciare i lavori per ricostruire l'edificio, quei due o tre blocchi erano restati in disparte, e, fatte le elezioni, nessuno s'era più scomodato a venirli a togliere di lì.

Il Riccetto osservò tutt'intorno con grande interesse: andò fin dietro a osservare i cortili con le vasche dei lavatoi e i cessi, poi ritornò davanti, sotto la montagna di brecole e le costruzioni agli angoli ancora in piedi, disabitate, con delle assi di legno fradicio inchiodate alle finestre. Ci stette lì un pezzetto, chè tanto era venuto a Donna Olimpia proprio per questo; poi si tirò su il collettino della camicia, restringendosi un po' sulle spalle, perchè incominciava a fare un po' freschetto, e piano piano andò a farsi un giretto per Donna Olimpia, nel centro, coi marciapiedi scrostati e il giornalaio chiuso, con solo qualche persona che rincasava in silenzio tutta assonnata, e, davanti all'ingresso delle Case Nòve, una novità: due poliziotti, verdi di noia e infreddoliti, che montavano di guardia, ora standosene fermi, ora passeggiando un po' su e giù, come due ombre nell'ombra dei caseggiati, con le fondine delle pistole alla cintura.

Il Riccetto non c'aveva niente sulla coscienza, e si trovava da quelle parti per semplici ragioni sentimentali: passò davanti alle due guardie lemme lemme e quasi un po' alla me ne frego, e se ne andò ai Grattacieli, ch'erano quattro palazzoni tutti collegati fra loro, in modo che le file e le diagonali di finestre non avevano interruzioni e si allineavano tutt'intorno per centinaia e centinaia di metri in lungo e in largo, e così le trombe delle scale, che si riconoscevano all'esterno per le enormi file verticali di finestre rettangolari: mentre, sotto, tra arcate, sottopassaggi, portichetti, in stile novecento fascista, si stendevano sei o sette cortiletti interni, di vecchia terra battuta, con i resti di quelle che un tempo avrebbero dovuto essere le aiuole, tutti cosparsi di stracci e carte, in fondo all'imbuto delle pareti che si alzavano fino alla luna. Per quei cortiletti interni, per gli anditi semibui, a quell'ora, dal cancello che dava su via di Donna Olimpia, non rientrava più quasi nessuno: o se, ancora, qualcuno passava, camminava in fretta lungo le sbarre degli scantinati, s'infilava in qualche portico e cominciava a salire verso il proprio interno su per le lunghe rampe di scale che puzzavano di polvere.

Il Riccetto gironzolava dentro quei cortili sperando d'incontrare qualcuno con cui farsi due chiacchiere. Dopo un po' difatti vide venire giù dalle scalette di ferro di via Ozanam la sagoma d'un giovinottello. «Questo forse 'o conoscio», pensò il Riccetto, e andò verso di lui. Era un roscetto, tutto lentigginoso, con due cespuglietti rossi al posto degli occhi, e coi capelli ben pettinati con la scrima da una parte. Il Riccetto lo osservò, mentre veniva avanti, e l'altro, sentendosi osservato, guardava con attenzione, pronto a ogni evenienza. - Aòh, ma noi se conoscemo, - fece il Riccetto andandogli incontro con la mano tesa.

- Si lo dichi te, - fece l'altro squadrandolo meglio.

- Che, nun te chiami Agnolo, che te possino acciaccatte? - fece il Riccetto.

- Sì, - fece l'altro.

- Io so' er Riccetto, - esclamò il Riccetto con l'aria di fare una rivelazione.

- Ah, - fece Agnolo.

- Mbè, come te 'a passi? - chiese il Riccetto cortesemente.

- Me la cavicchio, - disse Agnolo, che si vedeva ch'era pieno di sonno.

- Che me riconti? - fece invece tutto arzillo il Riccetto.

- Che t'ho da ricontà. Er zòlito. Stacco adesso de lavorà, e c'ho un zonno che casco per tera.

- Che fai er barista, fai?

- Sìne. - E l'artri? Obberdan, Zambuia, Bruno, Lupetto?

- Aòh, chi più chi meno lavoreno tutti, e eccheli llì.

- Rocco, Arvaro?

- Chi Arvaro?

- Arvaro Furciniti, er Capoccione, llà.

- Aaaah, - fece Agnolo. Rocco era andato ad abitare a Risano, e chi s'è visto s'è visto. Quello d'Alvaro invece era un affaraccio, e era finito giusto poche settimane avanti.

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VII. DENTRO ROMA (3) ||Rome VII. INSIDE ROME (3) VII. DENTRO DE ROMA (3)

I malandri restarono addossati alla spalletta, fiacchi fiacchi, come due tacchini spennati. the|rascals|remained||||||||| - Me pari n'accattone, - disse Alduccio dopo un po' guardandosi il Bègalo e sbottando a ridere. you|||said|||||looking at each other|||||| - E tu na cammera de sicurezza, - fece il Begalone. |||||security||| - Mannaggia la m... addolorata, - aggiunse, - ma mica chiudemo cosi, ssà, stasera. - See, co na piotta e mezza 'n saccoccia, che voi fà? - Si allisciava afflitto in saccoccia la piotta e mezza rubata al Caciotta. - Nàmose a fà na inzifonata a li Cerchi, - fece il Begalone, - tiramo a ssorte. - A matto, - disse Alduccio battendosi con due dita la fronte, - e poi se 'a famo a fette fino a Tibburtino. - Ma che, -scattò il Begalone, - n'antra piotta e mezza nun se po' rimedià? Che, un micco che c'ammolla un po' de grana 'un ze trova da zte parti? - E quanno 'o trovi? a Natale! - disse Alduccio. - Ammazzete, - disse il Bègalo, -quanto ce voi caricà che 'o trovamo? - Andarono giù verso Ponte Garibaldi come due lupi affamati. Accanto al pisciatore in pizzo al ponte, dalla parte di via Arenula, ci stava un vecchio ammucchiato al muretto. Il Begalone andò dentro a fare un goccio d'acqua, poi andò a appoggiarsi pure lui alla spalletta, dove già s'era messo Alduccio. Stettero cosi un pochetto in silenzio. Poi il Bègalo cacciò da una saccoccia un mozzone di sigaretta, e piegandosi cortesemente sul vecchio, gli domandò: - Che, c'ha un cerino ppe' favore? - Dopo cinque minuti gli avevano scucito una mezza piotta.

Un'altra la rimediarono a Ponte Sisto, da uno anziano con una borsa sotto il braccio, che attaccò con loro una moina fuoriscena che faceva venir il latte alle vecchie. Fu il Begalone a tagliar corto: fece: - Tenemo na fame che stranutimo, è da stamane li mortacci sua che nun magnamo! - Il signore gli ammollò cento lire che si comprassero quattro bombe, e loro tagliarono subito su per via dei Giubbonari. Se la filavano alla svelta, verso il bussolotto di Campo dei Fiori. Discutevano seriamente. - Che, sei n'omo pure te? - diceva nero Alduccio. - An vedi questo! - gridava il Begalone fermandosi in mezzo alla strada e puntando verso di lui la mano tesa, -che, 'hai rimediata tu 'a grana? - Mbè, - fece Alduccio, che vor di? - Ah, niente, - ribatté il Begalone, - io rimedio 'a grana, e lui va a intigne. - A scemo! - gridò poi battendosi due dita contro il naso. Ma in quel momento passarono davanti a una rosticceria, il Begalone disse - vaffan..., - e entrò; si papparono tre suppli peruno, e quando risortirono erano nelle condizioni di prima. Ma già che c'erano, continuarono, sbandati, giù per via dei Giubbonari, e ecco che come furono in fondo alla strada e stavano imboccando Campo dei Fiori, Alduccio diede una gomitata al Begalone, e con un cenno del capo e gli occhi rappresi da uno sguardo assonnato e astuto, gl'indicò un tizio che, camminando davanti a loro, gli dava ogni tanto delle lunghe occhiate. - Avemo chiuso, - fece il Begalone. Quello ora rallentando, ora accelerando imboccò Campo dei Fiori, poi voltò a mancina, tra pipinare di ragazzini che giocavano con una palla di stracci nella piazza bagnata; e si fermò un istante presso la tettoietta merlettata d'un pisciatore guardandosi indietro. Il Begalone e Alduccio lo allumarono ben bene. Acchittava abbastanza con una bella camicetta e un bel paro di sandali. Incerto il bassetto proseguì verso Piazza Farnese, e poi su di nuovo a Campo dei Fiori per un vicoletto buio; e così per due o tre volte. Girava per quelle strade intorno intorno come un topo che affoga in un catino.

- Mbè, - disse il Begalone avanzando, - ma che stai a ffà qua, dico io.

- Tu, che stai a ffà, - disse il Riccetto, abbassando lo sguardo sul Begalone stesso, su Alduccio e sul soggetto che rimorchiavano.

- Famme accenne, e smòrzala, - disse il Begalone, avvicinandosi al Riccetto con la sigaretta tra le labbra. Il Riccetto gli allungò la sua accesa, senza spostarsi d'un centimetro, e abbassando soltanto un po' le palpebre, dato che, rispetto al Begalone e agli altri due, si trovava un po' in alto: seduto sulla spalletta del lungotevere con una gamba penzoloni e l'altra ripiegata e stretta contro il petto.

- Che, c'hai 'a puntata co' quarcheduno? - ci riocò il Bègalo.

- Ma quale puntata! - fece il Riccetto.

- A filone, - fece il Bègalo.

Alduccio e l'altro se ne stavano un po' abbioccati.

- Je va a ssangue Arduccio, - fece il Bègalo ghignando, con un po' d'invidia. Ma l'altro però allumava anche il Riccetto, che s'era messo apposta in quella posizione malandrina, con le gambe aperte.

- Che me guardate? - gli fece il Riccetto.

Quello sorrise: - Zì, - fece, un po' timido e un po' facendoci.

- Aaaaa, - fece il Bègalo come se ripensasse a una cosa che gli era sfuggita, tutto affabile e spigliato, - ve presento n'amico mio.

Il Riccetto lasciò scivolar giù la gamba rattrappita contro il petto, e allungò la destra, con cui se la teneva stretta, verso la nuova conoscenza. Questi gli strinse la mano, con un sorrisetto da educanda: - Piacere, - fece alludendo al piacere che contava di trarre da quella conoscenza, se tutto fosse andato bene, e sfiorando tutto con lo sguardo il dispensatore di quello stesso piacere, che se ne stava, tranquillo e beato, sopra il muretto li davanti, come fosse in campana per farsi una cantatina.

- Me guardi, - fece il Riccetto, seguendo le evoluzioni di quello sguardo.

Il froscio finse di sentirsi colto in fallo, finse di sorridere imbarazzato, con un fondo di provocazione nella bocca livida con dentro la lingua che si muoveva come quella delle bisce; e si mise una mano sul petto, stringendosi nervosamente sulla gola il colletto aperto della camicia, un poco come se volesse difendersi dall'umidità della notte, un poco per proteggersi pudicamente chissà che cosa dalla vista dei maschi.

- Te piacerebbe, eh, - fece il Begalone.

- Nnnnnh, me piacerebbe! - fece alzando una spalla e fingendo di fare l'annoiato il froscetto.

Alduccio cominciava a perdere la pazienza, anche sentendosi un po' trascurato. - Bè, se volemo move? - fece.

- E addò vai? - fece il froscio strascicando la voce.

- Namo qqua sotto fiume, daje, - fece Alduccio. Stavano sulla spalletta del lungotevere tra Ponte Sisto e Ponte Garibaldi.

- Tu se' matto, fijo bello, - fece il froscio adontato.

- E daje, - insistette Alduccio, - scegnemo pe 'a scaletta, namo sotto ponte e famo na cosetta generica.

- No no no no no, - disse il froscio agitando una mano, e scuotendo la testa, con una faccia assolutamente negativa.

- Ma pecché? - continuò riscaldandosi Alduccio, - addò 'o trovi un posto mejo de questo? Che, c'avemo de stà mezzora? Du' minuti e te saluto! Famo finta che dovemo da ffà un bisogno, e chi ce viè a rompe li cojoni li sotto! - Mentre che parlava il froscio si dimenticò di lui, e tutto sorridente coi denti scoperti continuava a guardare un po' negli occhi e un po' in quel posto il Riccetto; come Alduccio tacque, il froscio riprese coscienza di lui, e concluse secco e staccato, come se la cosa fosse ormai fuori discussione:

- No, io là sotto nun ce vengo.

E riprese a sorridere, facendo gli occhioni languidi, verso il Riccetto.

- Ammazzete, quanto sei brutto, - gli fece il Riccetto.

Alduccio ritornò all'attacco: - E allora che volemo fà? - Il Begalone lo spalleggiava: - Aòh, nun ce fa sprecà tanto tempo, sa, a cocco bello! - Il froscio era già quasi sui cinquantanni, ma voleva dimostrarne almeno venti di meno: continuava a stringersi con aria di persona cagionevole di salute il colletto della camicia, contro il suo pettuccio di pollo. - Mo annamo, - fece condiscendente ai due maschi.

- Se! dichi sempre annamo, annamo, e poi nun te movi de qquà! - fece Alduccio.

Tra Ponte Sisto e Ponte Garibaldi, non passava più quasi nessuno, e il Riccetto invece si ricordava di quand'era ragazzino, subito dopo finita la guerra, quello che succedeva lì: lungo la spalletta, seduti come lui adesso, ce n'erano almeno venti, di giovincelli, pronti a vendersi al primo venuto; e i frosci passavano a frotte, cantando e ballando, pelati e ossigenati, ancora giovani giovani, oppure anziani, ma tutti facendo i pazzi, non pensando per niente alla gente che passava a piedi o dentro le circolari, chiamandosi forte per nome: - Wanda, Bolero! Ferroviera! Mistinguette! -, come si vedevano da lontano, correndosi incontro e baciandosi delicatamente sulle guance, come fanno le donne per non rovinarsi il trucco: e quando si radunavano tutti assieme, davanti ai maschi che appioppati contro la spalletta guardavano facendo i grevi, si mettevano a ballare, chi accennando a un pezzo di danza classica, chi facendo il cancan, e folleggiando a quel modo lanciavano di tanto in tanto il grido: - Siamo libere! Siamo libere!

Quella volta sì che si poteva scendere giù per la scaletta, e tra i puncicarelli pieni di fanga e di carte sporche, sotto Ponte Sisto o Ponte Garibaldi, fare tutto quello che si voleva senza paura. Il carrozzone qualche volta passava, c'era un po' di fuggi fuggi, ma poi tutto tornava come prima. Il Riccetto quella sera stava lì mica per combinare qualcosa, ma per passare il tempo, in vena di rievocazioni.

- Daje, che ve ce porto io i' un ber posto, - fece spinto da un magnanimo moto di generosità.

Il froscio accentuò il mascherone fisso del suo sorrisetto, facendo tante piegoline da tutte le parti, ma sentendosi tutto sfolgorante, di sguincio, come una soubrette fotografata con le spalle nude in un cartellone dell'Altieri. Difatti fece il gesto che fanno le donne per gettarsi i capelli dietro il collo, e si protese in avanti, un po' storto, pronto a seguire il Riccetto.

Il Riccetto gli fece prendere il 44 e li portò su dalle parti dove aveva abitato da ragazzino. Scesero a Piazza Ottavilla, che quando il Riccetto abitava da quelle parti era ancora quasi in campagna, voltarono giù a sinistra per una strada che prima non c'era, o era soltanto un sentiero in mezzo a dei grandi prati con qua e là in discesa, come sui pendii d'una valletta, dei ciuffi di canne alte tre metri e dei salci: ma adesso c'erano dei palazzi già costruiti e abitati e dei cantieri. - Namo ppiù ggiù, - fece il Riccetto. Andarono più giù, e arrivarono, dietro gli ultimi cantieri, in un viottolo, che portava a Donna Olimpia, ma prima passando per il cortile d'una vecchia osteria col pergolato, piena d'ubriachi. Andarono oltre, però il sentierino durava ancora poco perché proprio all'estremità di quei prati che ormai erano pieni di case, c'era una strada nuova, con qua e là altrettanti palazzi costruiti o in costruzione. Subito lì di dietro cominciava la scesa del Monte di Casadio, dove da pischelletto il Riccetto aveva passato le giornate intere. Andarono in quella direzione, e, come furono in pizzo alla scesa, ch'era quasi a strapiombo sotto di loro, si trovarono davanti alla Ferrobedò. **Era incassata ai loro piedi, in fondo alla valletta tutta sbiancata dalla luna. Dietro si distingueva, contro le nuvole biancastre, il groviglio nero dentellato in un gran semicerchio di Monteverde Nuovo e a destra, dietro il Monte di Casadio, le cime dei grattacieli di Donna Olimpia.**

- Aaaaa còsi, - fece il Riccetto, - mo voi scegnete qqua a destra, - e mostrò una specie di sentiero tra gli sterpi che scendeva giù per il dosso dell'altura, e che pareva giusto fatto per le capre. - E ve trovate propio davanti a 'na grotta. La vedete subbito. Lì chi ve viè a rompe li cojoni... Io ve saluto, stateve bbene.

- Ma addò vai, che ce lasci mo? - fece il froscio, ammusolito, facendo spallucce.

- Va per li c... sua, de che te impicci, a moro, - gli fece Alduccio, che non gli dispiaceva per niente che il Riccetto se ne andasse.

- Ma gome, - fece il froscio, - se fa gosì se fa-a?

- Daje, - fece magnanimo il Riccetto, - v'accompagno insin'a 'a grotta -. Scesero giù per il sentiero tenendosi stretti agli sterpi, e si trovarono in una piccola raduretta verde e melmosa, perché dalla grotta, lì presso, usciva un rigagnolo di scolo nero. - Ecco, lì ddentro, - fece il Riccetto. Il froscio non si rassegnava che lui non restasse lì, e lo prese per un braccio, sorridendogli con aria d'invito, e nascondendo la faccia graziosamente dietro una spalla, in modo da fargli un sorrisetto di sotto in su.

Il Riccetto, pazientemente, rise pure lui. Da quando era stato a Porta Portese era ingrassato e non c'aveva più il pallino di far sempre il dritto. Ormai era un uomo esperto della vita. - Ammazzete, - disse quasi alleato, - due non t'abbastano, che?

- N-no, - fece il froscetto, piegandosi un po' s'un ginocchio come una bambina che fa la mossuccia per averla vinta.

- Ammazzete, - ripetè il Riccetto, - te piace de divertitte, eh? - E tutto pieno di comprensione e di senso della propria superiorità, scese giù per il sentiero, salutando paragulo con la mano senza più voltarsi indietro.

Il sentiero scendeva giù a mezza costa dell'altura per una ventina di metri, e portava giusto nel centro di Donna Olimpia. Bastava fare un salto, in fondo, oltre un muretto diroccato, attraversare un pezzo di strada, e s'era subito davanti alle scuole Franceschi. Era ancora tutto un mucchio di macerie, come se il crollo ci fosse stato due giorni prima, solo che sulle brecole lavate dalla pioggia e bruciate dal sole s'era depositato un po' d'immondezza. Il Riccetto ci si fermò davanti, con le mani in saccoccia, a dare un'occhiata. Sì, è vero, i massi che erano rotolati in mezzo alla strada e le frane di breccia, erano stati ammucchiati un po' in ordine: solo qualche blocco, qua e là, era rimasto sulla strada: si vede che quando, durante il periodo delle elezioni, avevano fatto finta di cominciare i lavori per ricostruire l'edificio, quei due o tre blocchi erano restati in disparte, e, fatte le elezioni, nessuno s'era più scomodato a venirli a togliere di lì.

Il Riccetto osservò tutt'intorno con grande interesse: andò fin dietro a osservare i cortili con le vasche dei lavatoi e i cessi, poi ritornò davanti, sotto la montagna di brecole e le costruzioni agli angoli ancora in piedi, disabitate, con delle assi di legno fradicio inchiodate alle finestre. Ci stette lì un pezzetto, chè tanto era venuto a Donna Olimpia proprio per questo; poi si tirò su il collettino della camicia, restringendosi un po' sulle spalle, perchè incominciava a fare un po' freschetto, e piano piano andò a farsi un giretto per Donna Olimpia, nel centro, coi marciapiedi scrostati e il giornalaio chiuso, con solo qualche persona che rincasava in silenzio tutta assonnata, e, davanti all'ingresso delle Case Nòve, una novità: due poliziotti, verdi di noia e infreddoliti, che montavano di guardia, ora standosene fermi, ora passeggiando un po' su e giù, come due ombre nell'ombra dei caseggiati, con le fondine delle pistole alla cintura.

Il Riccetto non c'aveva niente sulla coscienza, e si trovava da quelle parti per semplici ragioni sentimentali: passò davanti alle due guardie lemme lemme e quasi un po' alla me ne frego, e se ne andò ai Grattacieli, ch'erano quattro palazzoni tutti collegati fra loro, in modo che le file e le diagonali di finestre non avevano interruzioni e si allineavano tutt'intorno per centinaia e centinaia di metri in lungo e in largo, e così le trombe delle scale, che si riconoscevano all'esterno per le enormi file verticali di finestre rettangolari: mentre, sotto, tra arcate, sottopassaggi, portichetti, in stile novecento fascista, si stendevano sei o sette cortiletti interni, di vecchia terra battuta, con i resti di quelle che un tempo avrebbero dovuto essere le aiuole, tutti cosparsi di stracci e carte, in fondo all'imbuto delle pareti che si alzavano fino alla luna. Per quei cortiletti interni, per gli anditi semibui, a quell'ora, dal cancello che dava su via di Donna Olimpia, non rientrava più quasi nessuno: o se, ancora, qualcuno passava, camminava in fretta lungo le sbarre degli scantinati, s'infilava in qualche portico e cominciava a salire verso il proprio interno su per le lunghe rampe di scale che puzzavano di polvere.

Il Riccetto gironzolava dentro quei cortili sperando d'incontrare qualcuno con cui farsi due chiacchiere. Dopo un po' difatti vide venire giù dalle scalette di ferro di via Ozanam la sagoma d'un giovinottello. «Questo forse 'o conoscio», pensò il Riccetto, e andò verso di lui. Era un roscetto, tutto lentigginoso, con due cespuglietti rossi al posto degli occhi, e coi capelli ben pettinati con la scrima da una parte. Il Riccetto lo osservò, mentre veniva avanti, e l'altro, sentendosi osservato, guardava con attenzione, pronto a ogni evenienza. - Aòh, ma noi se conoscemo, - fece il Riccetto andandogli incontro con la mano tesa.

- Si lo dichi te, - fece l'altro squadrandolo meglio.

- Che, nun te chiami Agnolo, che te possino acciaccatte? - fece il Riccetto.

- Sì, - fece l'altro.

- Io so' er Riccetto, - esclamò il Riccetto con l'aria di fare una rivelazione.

- Ah, - fece Agnolo.

- Mbè, come te 'a passi? - chiese il Riccetto cortesemente.

- Me la cavicchio, - disse Agnolo, che si vedeva ch'era pieno di sonno.

- Che me riconti? - fece invece tutto arzillo il Riccetto.

- Che t'ho da ricontà. Er zòlito. Stacco adesso de lavorà, e c'ho un zonno che casco per tera.

- Che fai er barista, fai?

- Sìne. - E l'artri? Obberdan, Zambuia, Bruno, Lupetto?

- Aòh, chi più chi meno lavoreno tutti, e eccheli llì.

- Rocco, Arvaro?

- Chi Arvaro?

- Arvaro Furciniti, er Capoccione, llà.

- Aaaah, - fece Agnolo. Rocco era andato ad abitare a Risano, e chi s'è visto s'è visto. Quello d'Alvaro invece era un affaraccio, e era finito giusto poche settimane avanti.