10. Il deserto dei Tartari (C. 12-13)
Capitolo 12 (continuazione)
Intanto le ore si consumavano, il sole continuava il suo viaggio verso l'occidente, le sentinelle si davano il cambio al tempo giusto, il deserto risplendeva più solitario che mai, il cavallino se ne stava al posto di prima, per lo più immobile, come se dormisse, o andava in giro cercando qualche filo d'erba. Gli sguardi di Drogo cercavano nella lontananza, ma non avvistavano nulla di nuovo, sempre le stesse lastronate rocciose, i cespugli, le nebbie dell'estremo settentrione che mutavano lentamente colore man mano che la sera si avvicinava. Venne la guardia nuova a dare il cambio. Drogo e i suoi soldati lasciarono la ridotta, si avviarono di traverso ai ghiaioni per ritornare alla Fortezza, tra le ombre violette della sera. Giunti che furono alle mura, Drogo disse la parola d'ordine per sé e per i suoi uomini, la porta venne aperta, la guardia smontante si schierò in una specie di cortiletto e Tronk cominciò a fare l'appello. Intanto Drogo si allontanò per avvertire il Comando del misterioso cavallo.
Com'era prescritto, Drogo si presentò al capitano di ispezione, poi insieme andarono a cercare il colonnello; di solito, per le novità, bastava rivolgersi all'aiutante maggiore in prima, ma questa volta poteva essere una cosa grave e non bisognava perdere tempo. Intanto la voce era corsa fulmineamente per tutta la Fortezza. Qualcuno, negli estremi corpi di guardia, già parlottava di interi squadroni tartari accampati ai piedi delle rocce. Il colonnello, quando seppe, disse soltanto: "Bisognerebbe cercare di prenderlo, questo cavallo, se ha la sella si potrà forse capire da dove viene". Ma era ormai inutile perché il soldato Giuseppe Lazzari, mentre la guardia smontante ritornava verso la Fortezza, era riuscito a nascondersi dietro un pietrone, senza che nessuno se ne accorgesse, era poi sceso da solo per i ghiaioni, aveva raggiunto il cavallino ed ora lo riconduceva alla Fortezza. Constatò con stupore che non era il suo, ma non c'era oramai altro da fare.
Soltanto all'atto di entrare nella Fortezza qualche compagno si era accorto che lui era scomparso. Se Tronk fosse venuto a saperlo, il Lazzari sarebbe rimasto in prigione almeno un paio di mesi. Bisognava salvarlo. Perciò, quando il sergente maggiore fece l'appello, e venne il nome del Lazzari, uno rispose per lui "presente".
Qualche minuto più tardi, quando i soldati avevano già rotto le righe, ci si ricordò che il Lazzari non sapeva la parola d'ordine; non si trattava più della prigione, ma della vita; guai se si fosse presentato alle mura, gli avrebbero sparato contro. Due tre compagni si misero allora alla ricerca di Tronk perché trovasse un riparo. Troppo tardi. Tenendo per le briglie il cavallo nero Lazzari era già vicino alle mura. E sul cammino di ronda c'era Tronk, richiamato lassù da un vago presentimento; subito dopo aver fatto l'appello, un'inquietudine aveva colto il sergente maggiore, lui non riusciva a stabilirne la causa ma intuiva che qualche cosa non andava bene. Riesaminando i fatti della giornata, era arrivato fino al ritorno nella Fortezza senza trovare nulla di sospetto; poi aveva come incontrato un intoppo; sì, all'appello doveva esserci stata un'irregolarità e al momento, come spesso avviene in questi casi, egli non la aveva avvertita.
Una sentinella faceva la guardia proprio sopra la porta d'ingresso. Nella penombra vide sulle ghiaie due figure nere che venivano avanti. Saranno state a duecento metri. Non ci badò, pensò di avere un'allucinazione: molte volte, nei posti deserti, a stare lungo tempo in attesa si finisce per scorgere, anche in pieno giorno, sagome umane sgusciare fra i cespugli e le rocce, si ha l'impressione che qualcuno ci stia spiando, poi si va a vedere e non c'è nessuno.
La sentinella per distrarsi si guardò attorno, fece un cenno di saluto a un compagno, sentinella una trentina di metri più a destra, si aggiustò il pesante berretto che gli stringeva la fronte, poi volse gli occhi a sinistra e vide il sergente maggiore Tronk, immobile, che lo fissava severamente. La sentinella si riscosse, guardò ancora dinanzi a sé vide che le due ombre non erano un sogno, si trovavano oramai vicine, saranno stati appena settanta metri: esattamente un soldato e un cavallo. Allora imbracciò il fucile, preparò il cane allo sparo, si irrigidì nel gesto ripetuto centinaia di volte all'istruzione. Poi gridò: "Chi va là, chi va là? ".
Il Lazzari era soldato da poco tempo, non pensava neppure lontanamente che senza la parola d'ordine non sarebbe potuto rientrare. Tutt'al più temeva una punizione per essersi allontanato senza permesso; ma chissà, forse il colonnello l'avrebbe perdonato per via del cavallo recuperato; era una bestia bellissima, un cavallo da generale. Non mancavano che una quarantina di metri. I ferri del quadrupede risuonavano sulle pietre, era quasi notte completa, si udì un lontano suono di tromba. "Chi va là, chi va là? " ripeté la sentinella. Ancora una volta e poi avrebbe dovuto sparare. Un improvviso disagio aveva colto il Lazzari al primo richiamo della sentinella. Gli pareva così strano, ora che si trovava personalmente di mezzo, sentirsi interpellare in quel modo da un compagno, ma si rasserenò al secondo "chivalà" perché riconobbe la voce di un amico, proprio della stessa compagnia, che loro chiamavano confidenzialmente Moretto. "Sono io, Lazzari! " gridò. "Manda il capoposto ad aprirmi! ho preso il cavallo! E non farti accorgere se no mi ficcano dentro!"
La sentinella non si mosse. Con il fucile imbracciato se ne stava ferma, cercando di ritardare al possibile il terzo "chivalà". Forse il Lazzari si sarebbe accorto da solo del pericolo, sarebbe tornato indietro, avrebbe potuto magari aggregarsi il giorno dopo alla guardia della Ridotta Nuova. Ma a pochi metri c'era Tronk che lo fissava severamente.
Tronk non diceva parola. Ora egli guardava la sentinella, ora il Lazzari, per colpa del quale probabilmente sarebbe stato punito. Che cosa volevano dire i suoi sguardi?
Il soldato e il cavallo non distavano più di trenta metri, aspettare ancora sarebbe stato imprudente. Quanto più vicino si faceva il Lazzari, tanto più facilmente sarebbe stato colpito.
"Chi va là, chi va là? " gridò la terza volta la sentinella e nella voce c'era sottinteso come un avvertimento privato e antiregolamentare. Voleva dire: "Torna indietro fino a che sei in tempo; vuoi farti ammazzare?"
E finalmente il Lazzari capì, si ricordò in un lampo le dure leggi della Fortezza, si sentì perduto. Ma invece di fuggire, chissà perché, lasciò le briglie del cavallo e si fece avanti da solo, invocando con voce acuta:
"Sono io, Lazzari! Non mi vedi? Moretto, o Moretto! Sono io! Ma che cosa fai con il fucile? Sei matto, Moretto?"
Ma la sentinella non era più Moretto, era semplicemente un soldato con la faccia dura che adesso alzava lentamente il fucile, mirando contro l'amico. Aveva appoggiato lo schioppo alla spalla e con la coda dell'occhio sbirciò il sergente maggiore, invocando silenziosamente un cenno di lasciar stare. Invece Tronk stava sempre immobile e lo fissava severamente.
Il Lazzari, senza voltarsi, retrocedette di qualche passo incespicando sulle pietre: "Sono io, Lazzari! " gridava. "Non vedi che sono io? Non sparare, Moretto!"
Ma la sentinella non era più il Moretto con cui tutti i camerati scherzavano liberamente, era soltanto una sentinella della Fortezza, in uniforme di panno azzurro scuro con la bandoliera di mascarizzo, assolutamente identica a tutte le altre nella notte, una sentinella qualsiasi che aveva mirato ed ora premeva il grilletto. Sentiva nelle orecchie un rombo e gli parve di udire la voce rauca di Tronk: "Mira giusto! " benché Tronk non avesse fiatato.
Il fucile fece un piccolo lampo, una minuscola nuvoletta di fumo, anche lo sparo al primo momento non sembrò gran che ma poi fu moltiplicato dagli echi, ripercosso di muraglia in muraglia, restò a lungo nell'aria, morendo in un lontano brontolio come di tuono. Ora che il dovere era fatto, la sentinella mise il fucile a terra, si sporse dal parapetto, guardò in giù sperando di non avere colpito. E nel buio gli parve infatti che il Lazzari non fosse caduto. No, il Lazzari era ancora in piedi, e il cavallo gli si era fatto vicino. Poi, nel silenzio lasciato dallo sparo, si udì la sua voce, con che disperato suono: "Oh Moretto, mi hai ammazzato!". Questo il Lazzari disse e si afflosciò lentamente in avanti. Tronk, col volto impenetrabile, ancora non si era mosso, mentre un rimescolio guerriero si propagava per i meandri della Fortezza.
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Capitolo 13
Così cominciò quella notte memorabile, attraversata dai venti, fra dondolii di lanterne, insolite trombe, passi negli androni, nuvole che scendevano a precipizio dal nord, si impigliavano alle cime rocciose lasciandoci attaccati brandelli, ma non avevano tempo di fermarsi, qualcosa di molto importante le chiamava.
Era bastato uno sparo, un modesto colpo di fucile, e la Fortezza si era svegliata. Per anni c'era stato silenzio - e loro sempre tesi al nord per udire la voce della guerra sopraggiungente - troppo lungo silenzio. Adesso un fucile aveva sparato - con la sua carica di polvere prescritta e la pallottola di piombo di trentadue grammi - e gli uomini si erano guardati a vicenda come se fosse stato quello il segnale.
Certo anche questa sera nessuno, tranne qualche soldato, pronuncia il nome ch'è nel cuore di tutti. Gli ufficiali preferiscono tacerlo perché proprio quella è la speranza. Per i Tartari hanno alzato le mura della Fortezza, consumano lassù larghe porzioni di vita, per i Tartari le sentinelle camminano giorno e notte come automi. E chi questa speranza alimenta ogni mattina di nuova fede, chi la conserva nascosta nel fondo, chi non sa neppure di possederla, credendo di averla perduta. Ma nessuno ha il coraggio di parlarne; sembrerebbe di malaugurio, soprattutto parrebbe di confessare i propri pensieri più cari e i soldati di questo hanno vergogna.
Per ora c'è soltanto un soldato morto e un cavallo di ignota provenienza. Nel corpo di guardia, alla porta che dà sul nord, dove è successa la disgrazia, c'è un gran fermento e benché non sia regolamentare, si trova anche Tronk, il quale non ha requie pensando alla punizione che lo attende; la responsabilità cade su lui, lui doveva impedire a Lazzari di fuggire, lui doveva accorgersi subito, al ritorno, che il soldato non aveva risposto all'appello.
Ecco che adesso compare anche il maggiore Matti, ansioso di far sentire la propria autorità e competenza. Ha una strana faccia che non si capisce, può perfino dare l'impressione che sorrida. Evidentemente è informato alla perfezione di tutto e al tenente Mentana, di servizio in quella ridotta, dà ordine di far ritirare il cadavere del soldato. Mentana è un ufficiale scialbo, il più anziano tenente della Fortezza; se non avesse un anello con un grosso diamante e non giocasse bene a scacchi, nessuno si accorgerebbe della sua esistenza; grossissima è la pietra preziosa al suo anulare e pochi sono quelli che riescono a batterlo sulla scacchiera, ma di fronte al maggiore Matti egli trema letteralmente e perde la testa in una cosa così semplice come quella di mandare una corvé per un morto.
Per sua fortuna il maggiore Matti ha scorto, in piedi in un angolo, il sergente maggiore Tronk e lo chiama:
"Tronk, visto che lei qui non ha niente da fare, prenda il comando della spedizione!"
Dice così con la massima naturalezza, come se Tronk fosse un sottufficiale qualsiasi, senza alcun rapporto personale con l'incidente; perché Matti non è capace di fare un rimprovero diretto, finisce per diventare bianco di rabbia e non trova le parole; preferisce la ben più dura arma delle inchieste, con flemmatici interrogatori, documentazioni scritte, che riescono a ingrandire mostruosamente le più lievi mancanze e portano quasi sempre a punizioni di impegno.
Tronk non batte ciglio, risponde "signorsì" e si affretta nel cortiletto, subito dietro il portone. Un piccolo gruppo, alla luce di lanterne, esce poco dopo dalla Fortezza: Tronk in testa, poi quattro soldati con una barella, altri quattro soldati armati per precauzione, per ultimo lo stesso maggiore Matti, avvolto in una stinta mantella, che trascina la sciabola sui sassi.
Essi trovano il Lazzari così com'è morto, la faccia a terra e le braccia protese in avanti. Il fucile tenuto a tracolla si è impigliato, nella caduta, fra due sassi e sta diritto in su, col calcio in alto, cosa strana a vedersi. Il soldato, cadendo, si è ferito una mano e prima che il corpo si raffreddasse un po' sangue ha fatto in tempo a colare, formando macchia sopra una pietra bianca. Il cavallo misterioso è scomparso.
Tronk si china sul morto e fa per afferrarlo alle spalle, ma si ritira di scatto indietro, come se si fosse accorto di andare contro le regole. "Tiratelo su" ordina ai soldati con voce bassa e cattiva. "Ma prima levategli il fucile."
Un soldato si abbassa per slacciare la cinghia e depone sui sassi la lanterna, proprio vicino al morto. Lazzari non ha fatto in tempo a chiudere completamente le palpebre e nello spiraglio degli occhi, sul bianco, la fiamma fa un lieve riflesso.
"Tronk" chiama allora il maggiore Matti rimasto completamente nell'ombra.
"Comandi, signor maggiore" risponde Tronk mettendosi sull'attenti; anche i soldati si fermano.
"Dov'è successo? Dov'è scappato? " domanda il maggiore strascicando le parole come se parlasse per annoiata curiosità. "È stato alla fonte?
Dove ci sono quei pietroni?"
"Signorsì, ai pietroni" risponde Tronk e non aggiunge parola. "E nessuno l'ha visto quando è scappato? " "Nessuno, signornò" fa Tronk.
"Alla fonte eh? E c'era buio?"
"Signorsì, abbastanza buio."
Tronk aspetta qualche istante sull'attenti, poi, siccome il Matti tace, fa segno ai soldati di continuare. Uno cerca di slacciare la cinghia del fucile, ma il fermaglio è duro e si stenta. Tirando, il soldato sente il peso del corpo ucciso, un peso spropositato, come di piombo.
Tolto il fucile, i due soldati rovesciano delicatamente il cadavere, voltandolo con la faccia in su. Ora si vede completamente il suo volto. La bocca è chiusa e inespressiva, solo gli occhi semiaperti e immobili, che resistono alla luce della lanterna, sanno di morte. "In fronte? " domanda la voce di Matti, che si è subito accorto di una specie di piccola infossatura, proprio sopra il naso. "Comandi? " fa Tronk senza capire.
"Dico: è stato colpito in fronte? " fa Matti, seccato di dover ripetere. Tronk solleva la lanterna, illumina in pieno la faccia del Lazzari, vede anche lui la piccola infossatura e istintivamente avvicina un dito come per toccare. Subito però lo ritrae, turbato.
"Credo di sì, signor maggiore, qui proprio in mezzo alla fronte. " (Ma perché non viene a vederselo lui il morto, se gli interessa tanto? Perché tutte quelle stupide domande?)
I soldati, accorgendosi dell'imbarazzo di Tronk, badano al loro lavoro; due sollevano il cadavere per le spalle, due per le gambe. La testa, lasciata a sé, penzola indietro orribilmente. La bocca, benché gelata dalla morte torna quasi ad aprirsi.
"E chi è stato a sparare? " domanda ancora Matti, sempre immobile nel buio.
Ma in quel momento Tronk non gli bada. Tronk sta solo attento al morto. "Tenetegli su la testa" comanda con ira fonda, come se il morto fosse lui.
Poi si accorge che il Matti ha parlato, scatta ancora sull'attenti.
"Perdoni, signor maggiore, stavo…"
"Ho detto" ripete il maggiore Matti, e scandisce le parole, facendo capire che se non perde la pazienza è tutto merito di quel morto "ho detto: chi è stato a sparare?"
"Come si chiama, lo sapete? " chiede a bassa voce Tronk ai soldati.
"Martelli" dice uno "Giovanni Martelli."
"Giovanni Martelli" risponde Tronk ad alta voce.
"Martelli" ripete fra sé e sé il maggiore. (Quel nome non gli torna nuovo, deve essere uno di quelli premiati alla gara di tiro. La scuola di tiro la dirige proprio il Matti e i migliori se li ricorda per nome. ) "È forse quello che chiamano il Moretto?"
"Signorsì" risponde Tronk immobile sull'attenti "credo che lo chiamino il Moretto. Sa? signor maggiore, fra compagni…"
Dice così quasi per scusarlo, quasi per dimostrare che il Martelli non ha nessuna responsabilità, che se lo chiamano il Moretto non è colpa sua e che non c'è proprio motivo di punirlo.
Ma il maggiore non pensa affatto a punirlo, non gli passa nemmeno per il cervello. "Ah, il Moretto! " esclama, senza nascondere una certa compiacenza.
Il sergente maggiore lo fissa con occhi duri e capisce. "Ma sì, ma sì" pensa "dagli un premio, carogna, perché ha ammazzato bene. Un magnifico centro, no?"
Un magnifico centro, sicuro. È proprio quello che il Matti sta meditando (e pensare che quando il Moretto ha sparato era già buio. In gamba, tutti i suoi tiratori).
Tronk in questo momento lo odia. "Ma sì ma sì, dillo forte che sei contento," pensa "se il Lazzari è morto che te ne frega? Digli bravo al tuo Moretto, fagli un encomio solenne!"
Effettivamente così: il maggiore, assolutamente tranquillo, se ne compiace ad alta voce:
"Eh sì, non sbaglia il Moretto" esclama come per dire: "Furbo, il Lazzari credeva che il Moretto non mirasse giusto, credeva di farla franca eh, il Lazzari? e così ha imparato che razza di tiratore era. E il Tronk? anche lui magari sperava che il Moretto sbagliasse (tutto si sarebbe allora aggiustato con qualche giorno di arresti)". "Ah, sì, sì" ripete ancora il maggiore dimenticando nel modo più assoluto che lì davanti c'è un morto. "Un tiratore scelto, il Moretto!"
Finalmente però egli tace e il sergente maggiore può voltarsi a guardare come hanno disposto il cadavere sulla barella. È già disteso per bene, sulla faccia hanno gettato una coperta da campo, di nudo si vedono solamente le mani, due grosse mani da contadino, che sembrano ancora rosse di vita di sangue caldo.
Tronk fa un cenno con la testa. I soldati sollevano la barella. "Si può andare, signor maggiore? " domanda.
"E chi vorresti aspettare? " risponde duro il Matti adesso, con sincero stupore, egli ha sentito l'odio di Tronk e vuol ricambiarlo moltiplicato, con in più il suo disprezzo di superiore. "Avanti" ordina Tronk. Avanti march, avrebbe dovuto dire, ma gli sembra quasi una profanazione. Solo adesso egli guardava le mura della Fortezza, la sentinella sul ciglio, vagamente illuminata dai riflessi delle lanterne. Dietro quei muri, in una camerata, c'è la branda di Lazzari, la sua casettina con le cose portate da casa: una immagine santa, due pannocchie, un acciarino, dei fazzoletti colorati, quattro bottoni d'argento, per il vestito da festa, ch'erano stati del nonno e che alla Fortezza non potevano servire mai.
Il cuscino forse ha ancora l'impronta della sua testa, esattamente come due giorni prima, quando egli si era svegliato. Poi c'è probabilmente anche una boccettina di inchiostro - aggiunge mentalmente Tronk, meticoloso anche nei solitari pensieri - una boccettina di inchiostro e una penna. Tutto questo sarà messo in un pacco e spedito a casa sua, con una lettera del signor colonnello. Le altre cose, date dal Governo, passeranno naturalmente ad un altro soldato, compresa la camicia di ricambio. La bella uniforme no, invece, e neppure il fucile: il fucile e l'uniforme saranno sepolti con lui perché questa è l'antica regola della Fortezza.