3. Il deserto dei Tartari (C. 3)
Appena arrivato, Drogo si presentò al maggiore Matti, aiutante maggiore in prima. Il tenente di picchetto, un giovane disinvolto e cordiale, di nome Carlo Morel, lo accompagnò attraverso il cuore della Fortezza. Dall'androne di ingresso - donde si intravedeva un grande cortile deserto i due si avviarono per un largo corridoio, di cui non si riusciva a vedere la fine. Il soffitto si perdeva nella penombra, ogni tanto una piccola striscia di luce entrava da sottili finestrelle.
Solo al piano di sopra incontrarono un soldato che portava un fascio di carte. I muri nudi ed umidi, il silenzio, lo squallore delle luci: tutti là dentro parevano essersi dimenticati che in qualche parte del mondo esistevano fiori, donne ridenti, case allegre e ospitali. Tutto là dentro era una rinuncia, ma per chi, per quale misterioso bene? Ora essi procedevano al terzo piano, lungo un corridoio esattamente identico al primo. Si udiva, al di là di certi muri, la lontana eco di una risata che sembrò a Drogo inverosimile.
Il maggiore Matti era grassoccio e sorrideva con bonarietà eccessiva. Il suo ufficio era vasto, grande era pure la scrivania, ingombra ordinatamente di carte. C'era un ritratto a colori del Re e la sciabola del maggiore appesa a un apposito piuolo di legno.
Drogo si presentò sull'attenti, mostrò i documenti personali, cominciò a spiegare di non aver fatto alcuna domanda per essere assegnato alla Fortezza (era deciso, se appena possibile, a farsi trasferire), ma il Matti lo interruppe.
"Ho conosciuto anni fa suo padre, tenente. Un esemplare gentiluomo. Certo lei vorrà fare onore alla sua memoria. Presidente dell'Alta Corte, se non mi sbaglio?"
"No, signor maggiore" fece Drogo "Era medico, mio padre."
"Ah, già, medico, perbacco, mi confondevo, medico, sì, sì." Matti parve per un momento imbarazzato e Drogo notò come, portando spesso la mano sinistra al colletto, cercasse di nascondere una macchia di unto, rotonda, una macchia evidentemente fresca, sul petto dell'uniforme. Il maggiore si riprese subito: "Mi compiaccio di vederla quassù" disse. "Sa come ha detto Sua Maestà Pietro Terzo? "La Fortezza Bastiani sentinella della mia corona", e io aggiungerò che è un grande onore appartenerci. Non è forse persuaso tenente?"
Diceva queste cose meccanicamente, come una formula imparata da anni, che bisognava tirar fuori in determinate occasioni.
"Appunto, signor maggiore" disse Giovanni. "Ha perfettamente ragione, ma, le confesso, è stata per me una sorpresa. Io in città ho famiglia, io preferirei, se possibile, rimanere…"
"Ah, ma lei dunque vuole lasciarci, prima ancora di essere arrivato, si può dire? Le confesso che mi dispiace, mi dispiace." "Non è che io voglia. Io non mi permetto di discutere… voglio dire che…"
"Ho capito" fece il maggiore con un sospiro, come se quella fosse una vecchia storia e lui la sapesse compatire. "Ho capito: lei la Fortezza la immaginava diversa e adesso si è un po' spaventato. Ma mi dica onestamente: come fa a giudicare, onestamente, se è arrivato da pochi minuti?"
Drogo disse: "Signor maggiore, io non ho proprio niente contro la Fortezza… Soltanto preferirei restare in città, o almeno vicino. Vede? Le parlo in confidenza, vedo che lei queste cose le capisce, mi rimetto alla sua cortesia…"
"Ma certo, ma certo!" esclamò Matti con un breve riso. "Siamo qui per questo! Di mala voglia qui non vogliamo nessuno, neanche l'ultima delle sentinelle. Solo mi dispiace, mi sembra che lei sia un bravo ragazzo…" Il maggiore tacque un momento come per meditare la soluzione migliore. Fu a questo punto che Drogo, girando un poco la testa a sinistra, portò gli sguardi alla finestra, aperta sul cortile interno. Si vedeva il muro di fronte, come gli altri gialliccio e battuto dal sole, con i rettangoli neri delle rare finestre. C'erano anche un orologio che segnava le due e, sulla terrazza sommitale, una sentinella che camminava su e giù, con il fucile in spalla. Ma sopra il ciglione dell'edificio, lontana, entro ai riverberi meridiani, spuntava una cima rocciosa. Se ne vedeva solo l'estrema punta e in sé non aveva niente di speciale. Pure c'era in quel pezzo di rupe, per Giovanni Drogo, il primo visibile richiamo della terra del Nord, del leggendario regno che incombeva sulla Fortezza. E il resto com'era? Una luce sonnolenta proveniva da quella parte, fra lente fumate di caligine. Allora il maggiore ricominciò a parlare:
"Mi dica" chiedeva a Drogo. "Lei vorrebbe tornarsene immediatamente o non le fa niente aspettare qualche mese? Per noi, le ripeto, è indifferente… dal punto di vista formale, si capisce" aggiunse perché la frase non suonasse scortese.
"Già che devo tornare" fece Giovanni gradevolmente stupito dalla mancanza di difficoltà "già che devo tornare, mi sembra sia meglio addirittura."
"D'accordo, d'accordo" lo tranquillizzò il maggiore. "Ma ora le spiego: se lei volesse partir subito, allora il meglio sarebbe che si desse ammalato. Lei va all'infermeria in osservazione per un paio di giorni e il medico le fa un certificato. Ci sono molti del resto che a quest'altezza non resistono…" "È proprio necessario darsi ammalato?" chiese Drogo che non amava quelle finzioni.
"Necessario no, ma semplifica tutto. Se no lei dovrebbe fare una domanda di trasferimento scritta, bisogna mandare questa domanda al Comando supremo, bisogna che il Comando supremo risponda, ci vogliono almeno due settimane. Soprattutto bisogna che se ne occupi il signor colonnello, ed è questo che preferirei evitare. Queste cose in fondo gli dispiacciono, lui si addolora, è la parola, si addolora, come se si facesse torto alla sua Fortezza. Ecco, se fossi in lei, se proprio devo essere sincero, preferirei evitare…"
"Ma scusi, signor maggiore" osservò Drogo "questo io non lo sapevo. Se andarmene mi può danneggiare, allora è un'altra questione."
"Nemmeno per idea, tenente, lei non mi ha capito. In nessuno dei casi la sua carriera ne avrà a soffrire. Si tratta solo, come dire? di una sfumatura… Certo, e gliel'ho detto subito, al signor colonnello la cosa non può fare piacere. Ma se lei è proprio deciso…"
"No no" fece Drogo "se le cose sono come dice lei, forse è meglio il certificato medico."
"A meno che…" fece il Matti con un sorriso insinuante, fermando la frase in sospeso.
"A meno che?"
"A meno che lei non si adatti a restar qui quattro mesi, il che sarebbe la soluzione migliore."
"Quattro mesi?" chiese Drogo, già alquanto deluso, dopo la prospettiva di potersene andare subito.
"Quattro mesi" confermò Matti. "La procedura è molto più regolare. E adesso le spiego: due volte all'anno a tutti viene fatto un esame medico, è prescritto formalmente. Il prossimo sarà fra quattro mesi. Per lei mi sembra l'occasione migliore. E che il certificato sarà negativo, di questo, se vuole, prendo impegno io stesso. Lei può stare assolutamente tranquillo."
"Oltre a ciò" proseguì il maggiore dopo una pausa "oltre a ciò quattro mesi sono quattro mesi e bastano per un rapporto personale. Può star sicuro che il signor colonnello glielo farà. E lei sa che valore può avere per la sua carriera. Ma intendiamoci, intendiamoci bene: questo è un semplice mio consiglio, lei è assolutamente libero…" "Sissignore" fece Drogo "capisco perfettamente."
"Il servizio qui non è faticoso" sottolineò il maggiore "quasi sempre servizio di guardia. E la Ridotta Nuova, che è un po' più impegnativa, nei primi tempi non le sarà certo affidata. Fatiche niente, non abbia paura, avrà caso mai da annoiarsi…"
Ma Drogo ascoltava appena le spiegazioni di Matti, attratto stranamente dal riquadro della finestra, con quel pezzettino di rupe che spuntava sopra il muro di faccia. Il vago sentimento che non riusciva a decifrare gli si insinuava nell'animo; forse una cosa stupida e assurda, una suggestione senza costrutto.
Nello stesso tempo si sentiva alquanto rasserenato. Gli premeva ancora di andarsene, ma senza più l'ansia di prima. Quasi si vergognava delle apprensioni avute all'arrivo. Forse che lui non doveva essere all'altezza di tutti gli altri? Una immediata partenza - ora pensava - poteva equivalere a una confessione di inferiorità. Così l'amor proprio lottava contro il desiderio della vecchia familiare esistenza. "Signor maggiore" disse Drogo. "La ringrazio dei suoi consigli, ma mi lasci pensare fino a domani."
"Benissimo" fece il Matti con evidente soddisfazione. "E stasera? Vuole farsi vedere dal colonnello a mensa, o preferisce lasciare la cosa impregiudicata?"
"Mah" rispose Giovanni "mi parrebbe inutile star nascosto, tanto più se poi devo restare quattro mesi."
"Meglio" disse il maggiore. "Così si sentirà incoraggiato. Vedrà che simpatica gente, tutti ufficiali di primo ordine."
Matti sorrise e Drogo capì ch'era venuto il momento di andarsene. Ma prima egli chiese:
"Signor maggiore" chiese con voce apparentemente tranquilla "posso dare un'occhiata al nord, vedere cosa c'è al di là delle mura?"
"Al di là delle mura? Non sapevo che lei si interessasse di panorami" rispose il maggiore.
"Un'occhiata soltanto, signor maggiore, solo per una curiosità. Ho sentito dire che c'è un deserto e io non ne ho mai visti."
"Non vale la pena, tenente. Un paesaggio monotono, non c'è proprio niente di bello. Dia retta a me, non ci pensi!"
"Non insisto, signor maggiore" fece Drogo "credevo che non ci fossero difficoltà."
Il maggiore Matti unì, quasi in atto di preghiera, le punte delle sue dita grassocce:
"Lei mi ha chiesto" disse "proprio l'unica cosa che non posso concederle. Sulle mura e nei corpi di guardia possono andare solo i militari di servizio, occorre sapere la parola d'ordine."
"Ma nemmeno in via eccezionale, nemmeno a un ufficiale?"
"Nemmeno a un ufficiale. Ah, lo capisco bene: a loro delle città queste minuzie sembrano ridicole. La parola d'ordine non è poi un gran segreto laggiù. Qui invece è un'altra cosa." "Ma, scusi se insisto, signor maggiore…"
"Dica, dica pure, tenente"
"Volevo dire: non c'è nemmeno una feritoia, una finestra, da cui si possa guardare?"
"Una sola. Una sola nello studio del signor colonnello. Nessuno purtroppo ha pensato a un belvedere per i curiosi. Ma non ne vale la pena, le ripeto, un paesaggio che non val niente. Oh, ne avrà da stufarsi di quel panorama, se si decide a fermarsi."
"Grazie, signor maggiore, ha comandi?" E salutò sull'attenti.
Matti fece un cenno amichevole con la mano:
"Arrivederci, tenente. Ma non ci pensi; un paesaggio che non val niente, le garantisco, un paesaggio stupidissimo."
Quella sera stessa però il tenente Morel, smontato dal servizio di picchetto, condusse di nascosto Drogo sul ciglio delle mura, perché potesse vedere.
Un lunghissimo corridoio illuminato da rare lanterne accompagnava tutto lo schieramento delle mura, da un limite all'altro del valico. Ogni tanto c'era una porta; magazzini, laboratori, corpi di guardia. Camminarono per circa centocinquanta metri fino all'ingresso della terza ridotta. Una sentinella armata stava sulla soglia. Morel chiese di parlare al tenente Grotta, che comandava la guardia. Così, a dispetto del regolamento, poterono entrare. Giovanni si trovò in un piccolo andito di passaggio; su una parete, sotto un lume, c'era una tabella con i nomi dei soldati di servizio.
"Vieni, vieni di qui" disse Morel a Drogo "è meglio far presto."
Drogo lo seguì per una stretta scala che sfociava nella libera luce, sugli spalti della ridotta. Alla sentinella che incrociava in quel tratto, il tenente Morel fece un cenno, come per dire che le formalità erano inutili.
Giovanni si trovò improvvisamente affacciato alla merlatura perimetrale: dinanzi a lui, inondata dalla luce del tramonto, si sprofondava la valle, si aprivano ai suoi occhi i segreti del settentrione.
Un vago pallore si era fatto sul volto di Drogo, impietrito, che guardava. La vicina sentinella si era fermata e un silenzio sterminato pareva essere sceso fra gli aloni del crepuscolo. Poi Drogo chiese, senza muovere gli sguardi:
"E dietro? dietro a quelle rocce com'è? Tutto così fino in fondo?"
"Non l'ho mai visto" rispose Morel. "Bisogna andare alla Ridotta Nuova, quella laggiù, in cima a quel cono. Di là si vede tutta la pianura davanti. Dicono…" e qui tacque.
"Dicono?… che cosa dicono?" chiese Drogo, e una insolita inquietudine tremava nella sua voce.
"Dicono che sia tutta sassi, una specie di deserto, sassi bianchi, dicono, come ci fosse la neve."
"Tutto sassi? e basta?"
"Così dicono, e qualche acquitrino."
"Ma in fondo? al nord, si vedrà bene qualcosa?"
"All'orizzonte di solito ci sono le nebbie" disse Morel che aveva perduto la sua cordiale esuberanza di prima. "Ci sono le nebbie del nord che non lasciano vedere."
"Le nebbie!" esclamò Drogo incredulo. "Non resteranno mica in permanenza, qualche giorno l'orizzonte sarà pure sereno."
"Quasi mai sereno, neppure d'inverno. Ma ci sono quelli che dicono di aver visto."
"Dicono di aver visto? che cosa?"
"Si sono sognati, si sono. Vacci a credere ai soldati, tu. Uno dice una cosa, uno dice un'altra. Certi dicono di aver visto delle torri bianche, oppure dicono che c'è un vulcano che fuma ed è là che vengono fuori le nebbie.
Anche Ortiz, il capitano, garantisce di aver visto, saranno ormai cinque anni. A sentir lui c'è una lunga macchia nera, dovrebbero essere foreste." Tacquero. Dove mai Drogo aveva già visto quel mondo? C'era forse vissuto in sogno o l'aveva costruito leggendo qualche antica fiaba? Gli pareva di riconoscerle, le basse rupi in rovina, la valle tortuosa senza piante né verde, quei precipizi a sghembo e infine quel triangolo di desolata pianura che le rocce davanti non riuscivano a nascondere. Echi profondissimi dell'animo suo si erano ridestati e lui non li sapeva capire. Ora Drogo mirava il mondo del settentrione, la landa disabitata attraverso la quale gli uomini, si diceva, mai erano passati. Mai di là erano giunti nemici, mai si era combattuto, mai era successo niente.
"E così" domandò Morel cercando un tono gioviale. "E così, ti piace?" "Mah!…" solo questo Drogo seppe dire. Desideri confusi gli turbinavano dentro, insieme con insensate paure.
Si udì una tromba, un suono piccolo di tromba, chissà da dove.
"È meglio che tu vada adesso" consigliò Morel. Ma Giovanni sembrò non sentire, intento a cercare qualche cosa fra i propri pensieri. Le luci della sera si affievolivano e il vento, ridestato dalle ombre, strisciava lungo le architetture geometriche della Fortezza. Per riscaldarsi la sentinella aveva ripreso a camminare, fissando di tanto in tanto Giovanni Drogo, a lui sconosciuto.
"È meglio che tu vada adesso" ripeté Morel, prendendo il collega per un braccio.