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Storia D'Italia, Il crollo della diga (405-408) - Ep. 24 (2)

Il crollo della diga (405-408) - Ep. 24 (2)

Infine per rafforzare l'esercito d'Italia Stilicone diede ordine di inviare verso l'Italia praticamente il grosso delle truppe comitatensi a difesa della Gallia e del fronte del Reno, stringendo accordi con i Franchi e gli Alemanni affinché fossero loro a difendere, per qualche tempo, la frontiera renana: sostanzialmente tra la sicurezza dell'Italia e quella della Gallia Stilicone decise che la priorità dovesse andare all'Italia, una decisione che pagherà caramente.

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I rinforzi iniziarono ad affluire a Milano, nel frattempo in Italia si diffuse un profondo terrore per l'invasione. L'orda di invasori goti saccheggiavano tutte le terre che attraversavano e le province non ancora invase si riempirono di sfollati, costretti ad abbandonare le proprie proprietà devastate dagli invasori.

Radogast, dopo aver messo a ferro e fuoco la futura Lombardia, decise di dirigersi verso sud: probabilmente con l'obiettivo di raggiungere Roma e il sud della penisola. A Roma fu il panico più totale: niente sembrava opporsi al nemico. Secondo Orosio nella capitale i pagani colsero l'occasione per scagliarsi contro il cristianesimo, sostenendo che Radogast avrebbe finito per sottomettere Roma perché difeso dagli Dei pagani, mentre Roma era senza difese perché priva della protezione degli antichi Dei, ora che aveva abbracciato il cristianesimo. In città molti pagani chiesero che gli antichi riti fossero osservati mentre perfino gli animi dei cristiani vacillarono: avrebbe davvero Dio permesso che la città fosse devastata da quest'orda di pagani?

Radogast passò gli appennini e arrivò nella valle dell'Arno: qui Stilicone aveva però preparato la sua estrema difesa dell'Italia peninsulare, una difesa statica in attesa di radunare il suo esercito. Firenze era stata fortificata, i ponti sull'Arno tagliati: se i Goti di Radogast avessero voluto conquistare l'Italia avrebbero dovuto conquistare Firenze e il passaggio sull'Arno.

Radogast si accinse all'assedio della città, mentre dentro le mura la relativamente piccola guarnigione di soldati di base a Firenze si affidava al loro coraggio e alla loro buona fortuna. Per mesi i Goti di Radogast mantennero l'assedio, per mesi i coraggiosi soldati e la popolazione resistettero, ogni giorno scrutando l'orizzonte in attesa dell'arrivo dei rinforzi. A quanto pare, per migliorare le capacità di foraggiamento e rifornimento, Radogast divise i suoi in tre schiere. Firenze pareva sul punto di cadere e a quel punto la penisola e le sue ricchezze sarebbero state aperte ai Goti: per i Goti la vittoria era ad un passo.

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Ma la spada dell'occidente non era ancora smussata: nella primavera del 406 Stilicone era riuscito finalmente a radunare un esercito sufficiente ad affrontare gli invasori. Le fonti sono confuse ma i Goti di Radogast furono costretti a fuggire di fronte all'avanzata dell'immenso esercito di Stilicone e si asserragliarono sulla collina di Fiesole: Stilicone con pazienza aspettò che la fame, le malattie e le diserzioni facessero il loro corso, con l'obiettivo di mietere una grande vittoria al minimo costo per le armi romane. Ad un certo punto Radogast provò a sgattaiolare fuori dal blocco romano ma fu catturato e immediatamente messo a morte: era il 23 settembre del 406. In poco tempo tutta l'immensa armata di Radogast si arrese. Stilicone arruolò i migliori tra i loro combattenti nell'esercito, le nostre fonti ci riferiscono il numero di circa 12 mila combattenti: truppe sufficienti a rafforzare l'esercito occidentale senza porre troppi pericoli di insubordinazione. Il resto dei Goti, decine di migliaia, furono schiavizzati. Il loro numero era così ampio che Orosio riferisce che il prezzo degli schiavi crollò in Italia. Stilicone aveva vinto: l'Italia era salva. La Gallia non sarà altrettanto fortunata.

Il crollo della diga

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I Vandali attraversano il Reno gelato, illustrazione

È l'ultimo giorno del 406, il 31 dicembre: un nuovo anno e una nuova epoca stanno per iniziare. Siamo sulla frontiera Romana, tra Mainz e Worms. il Reno è gelato dal freddo intenso. Un'immensa armata di soldati, donne, bambini, vecchi e schiavi si è radunata sulle rive del Reno. Hanno dovuto combattere una dura battaglia contro i Franchi e molti di loro sono morti, ma alla fine il loro numero soverchiante ha avuto la meglio anche dei coraggiosi Germani, che hanno tentato in tutti i modi di rispettare la loro alleanza con Roma. Oltre il Reno giace una delle più importanti regioni dell'Impero: la Gallia, con le sue centinaia di città e ampie terre fertili e coltivate. Dietro di loro c'è solo la morte, la miseria e un futuro di schiavitù. Qualcuno scende sulla riva, il primo di una fiumana muove un passo sulla superficie ghiacciata, seguito da centinaia di altri, poi migliaia, poi decine di migliaia. Un bambino, di nome Genseric, segue i genitori attraverso il fiume: sentiremo ancora parlare di lui. Forse fino a 80 mila guerrieri attraversano il Reno, con loro ci sono centinaia di migliaia di uomini e donne. È un numero che non può essere fermato e infatti nessuno potrò fermarli: loro, a differenza dei Goti di Radogast, non saranno sconfitti e ridotti in schiavitù. Loro sono qui per restare. Sono iniziate, questa volta davvero, le grandi invasioni barbariche dell'occidente.

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Chi sono questi barbari? Si tratta di un'alleanza raccogliticcia di profughi di tutta la Germania tra l'Elba e i Carpazi: tra loro i più numerosi, paradossalmente, non sono dei Germani. Si tratta degli Alani, un popolo di lingua iranica. A loro si uniscono le due confederazioni dei Vandali e gli Svevi. Mentre i Goti di Radogast invadevano l'Italia questi popoli hanno provato a forzare prima gli Alemanni, poi i Franchi: dopo sanguinose e innominate battaglie con quest'ultimi, nelle quali sono morti in decine di migliaia, sono riusciti ad arrivare alla frontiera del Reno, sguarnita dalle sue truppe Comitatensi impegnate pochi mesi prima in Italia e che non sono ancora tornate in Gallia. La via è aperta. Nelle parole del vescovo Orienzo, entro pochi mesi tutta la Gallia sarà invasa da una unica pira funebre. Un altro poeta, Prospero d'Aquitania, anni dopo, scrivendo alla moglie, fa un racconto agghiacciante della situazione in Gallia dopo il passaggio degli invasori: “colui che un tempo rivoltava la zolla con cento aratri ora fatica ad avere una sola coppia di buoi, colui che spesso guidava i suoi carri in splendide città ora è malato e viaggia stancamente a piedi per le campagne deserte. Il mercante che solcava i mari con dieci navi cariche di mercanzia ora s'imbarca su un piccolo scafo ed è nocchiero di sé stesso, tutto rotola a capofitto verso la fine!”

Roma saluta la Britannia

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Ricostruzione della fortezza romana al termine del Vallo di Adriano

Stilicone ricevette la terribile notizia a Ravenna: la soddisfazione per la vittoria a Fiesole svanì immediatamente; i rapporti erano devastanti: Mainz – la città-fortezza che fungeva da capitale della Germania superiore – è stata saccheggiata e la principale forza militare della Gallia distrutta. La più grande città del nord della Gallia – Trier – è sotto assedio. Strasburgo, Reims, Tournai, Metz, Amiens, Autun: tutta la Gallia centrosettentrionale è in fiamme. Gli invasori si sono divisi in diverse bande che saccheggiano a volontà. È il più grande disastro militare della storia per questa dura regione di confine: le truppe limitanee si dissolvono al vento o vengono distrutte una ad una, non ci sono notizie di quello che resta dell'esercito delle Gallie. La Britannia è tagliata fuori.

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Intanto arrivano a Ravenna notizie perfino peggiori, che sembrano accavallarsi l'una sull'altra: in Britannia le truppe si sono ribellate appena è stata chiara la portata dell'invasione dei barbari: hanno eletto in rapida successione due imperatori salvo poi ucciderli. Il terzo a essere eletto è però di tutt'altra pasta: si tratta di un uomo di umili origini ma con un grande nome: il suo nome è Costantino e passerà alla storia come Costantino III. Facendo appello al patriottismo delle truppe in Britannia ha promesso che rimedierà ai guasti in Gallia e intende tener fede alla sua promessa.

Costantino radunò praticamente tutto quello che restava dell'apparato militare Romano in Britannia e attraversò il canale della Manica: i Britanni li videro partire stupiti, probabilmente certi che sarebbero tornati di lì a poco. Sicuramente Costantino pensò lo stesso: pensò che fosse una mossa temporanea, una volta risolta la crisi gallica e una volta che fosse diventato imperatore dell'occidente avrebbe rinviato le guarnigioni in Britannia. L'isola, una provincia Romana dal 43 dopo cristo, non rivedrà mai più un soldato romano.

Costantino III in soccorso della Gallia

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Moneta di Costantino III, un usurpatore di umili origini e che andò vicino a diventare imperatore di tutto l'occidente

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Costantino III era sbarcato a Boulogne, nel nord della Gallia: qui, dopo una breve battaglia contro l'esercito del Reno, aveva ricevuto l'adesione di quello che restava dell'esercito e delle autorità civili della Gallia. Scrive Peter Heather: “assistiamo qui ad un altro esempio dello schema di comportamento dei Romani. Italocentrico come era il governo di Stilicone non seppe correre prontamente in soccorso della Gallia quando questa ne ebbe bisogno, così quando Costantino III portò in parata il suo vittorioso stendardo ai grandi proprietari terrieri della Gallia sembrò una risposta efficace al disastro imminente: non erano traditori, ma avevano bisogno di un imperatore e di un generale che si occupassero di loro”

Costantino III guidò l'esercito in alcune dure e innominate battaglie contro gli invasori, cosa che spiega anche il percorso seguito da questi ultimi che parvero virare verso sud, portando i saccheggi verso l'Aquitania e la Gallia del sudovest. Costantino strinse anche nuovi accordi con i regni di confine: Franchi, Burgundi e Alemanni confermarono la loro fedeltà a Roma e al nuovo regime, assicurando che avrebbero difeso la frontiera del Reno da nuove invasioni. Così confortato, Costantino mosse il suo quartiere generale verso la nuova capitale delle Gallie, Arles, in Provenza nell'indubbia preparazione di una offensiva verso l'Italia da compiersi nell'anno seguente, in modo da piegare Onorio e Stilicone e riunificare l'impero.

Stilicone cerca l'aiuto di Alaric

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Dittico di Stilicone, con la moglie Serena (figlia adottiva di Teodosio) e suo figlio Eucherio

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La notizia dell'adesione della Gallia a Costantino III fu un brutto colpo per Stilicone, ma non era ancora finita. All'inizio del 408 Stilicone si trovava in una situazione difficilissima. Il nostro generalissimo, sempre determinato, non si diede però per vinto: radunò l'esercito d'Italia, gli ausiliari gotici di Sarus e gli ex di Radogast oltre alle truppe che aveva fatto venire dalla Gallia. Per combattere gli invasori Stilicone ha però in mente di usare l'arma più formidabile che conosce: i Goti di Alaric. Il problema era che Alaric era contrariato per l'annullamento della spedizione in oriente senza che Stilicone si fosse degnato di pagare i suoi servigi, quindi decise di marciare verso nord fino al Norico, la moderna Austria: lì rimase minacciosamente appollaiato ai confini dell'Italia: il governo di Onorio e Stilicone gli doveva 4.000 libbre d'oro, da intendersi come rimborso spese per tutto il tempo trascorso dai suoi in Epiro in attesa di Stilicone: o pagavano o erano guai. Insomma, il solito Alaric: abile, arrogante, infido, ma coerentemente fedele ai suoi.

In quell'ora buia Stilicone si recò a Roma e indisse una seduta del Senato per discutere il da farsi: è una scena che mi commuove, quasi che la defunta, lontanissima Repubblica fosse tornata in vita in questi frangenti disperati. Stilicone sapeva che per avere successo aveva bisogno di avere dietro di sé la forza unita del popolo Romano. Il senato, riunitosi, sembrava propendere più per la guerra che per il pagamento dei foederati di Alarico: a questo punto intervenne Stilicone che spiegò che il re goto era intervenuto in Epiro per assistere Ravenna nel tentativo di recuperare l'Illirico orientale e che la spedizione avrebbe avuto successo se la fortuna non avesse voluto altrimenti. il generale concluse il discorso asserendo che Alarico rivendicava a ragione il pagamento proprio per i servigi resi all'Impero d'Occidente nell'Illirico. Il senato, di fronte alla superiore autorità di Stilicone, accettò controvoglia di versare il tributo ad Alarico, ma non tutti si sottomisero: un senatore di nome Lampadio affermò audacemente che il pagamento al re goto “non era una pace ma un trattato di servitù», salvo poi rifugiarsi in chiesa timoroso della vendetta di Stilicone. No, la Repubblica non era tornata in vita. Stilicone l'aveva avuta vinta ma chiaramente il malcontento per la politica filo-gotica stava montando fino al punto dell'ebollizione.

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Il crollo della diga (405-408) - Ep. 24 (2) Der Dammbruch (405-408) - Ep. 24 (2) The collapse of the dam (405-408) - Ep. 24 (2) El colapso de la presa (405-408) - Ep. 24 (2) De instorting van de dam (405-408) - Ep. 24 (2) O Colapso da Barragem (405-408) - Ep. 24 (2) Крушение плотины (405-408) - Эп. 24 (2)

Infine per rafforzare l'esercito d'Italia Stilicone diede ordine di inviare verso l'Italia praticamente il grosso delle truppe comitatensi a difesa della Gallia e del fronte del Reno, stringendo accordi con i Franchi e gli Alemanni affinché fossero loro a difendere, per qualche tempo, la frontiera renana: sostanzialmente tra la sicurezza dell'Italia e quella della Gallia Stilicone decise che la priorità dovesse andare all'Italia, una decisione che pagherà caramente. |||||||||||||||||||||||||||tightening||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||

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I rinforzi iniziarono ad affluire a Milano, nel frattempo in Italia si diffuse un profondo terrore per l'invasione. L'orda di invasori goti saccheggiavano tutte le terre che attraversavano e le province non ancora invase si riempirono di sfollati, costretti ad abbandonare le proprie proprietà devastate dagli invasori.

Radogast, dopo aver messo a ferro e fuoco la futura Lombardia, decise di dirigersi verso sud: probabilmente con l'obiettivo di raggiungere Roma e il sud della penisola. A Roma fu il panico più totale: niente sembrava opporsi al nemico. Secondo Orosio nella capitale i pagani colsero l'occasione per scagliarsi contro il cristianesimo, sostenendo che Radogast avrebbe finito per sottomettere Roma perché difeso dagli Dei pagani, mentre Roma era senza difese perché priva della protezione degli antichi Dei, ora che aveva abbracciato il cristianesimo. In città molti pagani chiesero che gli antichi riti fossero osservati mentre perfino gli animi dei cristiani vacillarono: avrebbe davvero Dio permesso che la città fosse devastata da quest'orda di pagani? In the city many pagans demanded that the ancient rites be observed while even the spirits of Christians wavered: would God really allow the city to be ravaged by this horde of pagans?

Radogast passò gli appennini e arrivò nella valle dell'Arno: qui Stilicone aveva però preparato la sua estrema difesa dell'Italia peninsulare, una difesa statica in attesa di radunare il suo esercito. Firenze era stata fortificata, i ponti sull'Arno tagliati: se i Goti di Radogast avessero voluto conquistare l'Italia avrebbero dovuto conquistare Firenze e il passaggio sull'Arno.

Radogast si accinse all'assedio della città, mentre dentro le mura la relativamente piccola guarnigione di soldati di base a Firenze si affidava al loro coraggio e alla loro buona fortuna. Per mesi i Goti di Radogast mantennero l'assedio, per mesi i coraggiosi soldati e la popolazione resistettero, ogni giorno scrutando l'orizzonte in attesa dell'arrivo dei rinforzi. A quanto pare, per migliorare le capacità di foraggiamento e rifornimento, Radogast divise i suoi in tre schiere. Firenze pareva sul punto di cadere e a quel punto la penisola e le sue ricchezze sarebbero state aperte ai Goti: per i Goti la vittoria era ad un passo. Florence appeared to be on the verge of falling, at which point the peninsula and its riches would be open to the Goths: for the Goths, victory was just a step away.

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Ma la spada dell'occidente non era ancora smussata: nella primavera del 406 Stilicone era riuscito finalmente a radunare un esercito sufficiente ad affrontare gli invasori. Le fonti sono confuse ma i Goti di Radogast furono costretti a fuggire di fronte all'avanzata dell'immenso esercito di Stilicone e si asserragliarono sulla collina di Fiesole: Stilicone con pazienza aspettò che la fame, le malattie e le diserzioni facessero il loro corso, con l'obiettivo di mietere una grande vittoria al minimo costo per le armi romane. Ad un certo punto Radogast provò a sgattaiolare fuori dal blocco romano ma fu catturato e immediatamente messo a morte: era il 23 settembre del 406. In poco tempo tutta l'immensa armata di Radogast si arrese. Stilicone arruolò i migliori tra i loro combattenti nell'esercito, le nostre fonti ci riferiscono il numero di circa 12 mila combattenti: truppe sufficienti a rafforzare l'esercito occidentale senza porre troppi pericoli di insubordinazione. Il resto dei Goti, decine di migliaia, furono schiavizzati. Il loro numero era così ampio che Orosio riferisce che il prezzo degli schiavi crollò in Italia. Stilicone aveva vinto: l'Italia era salva. La Gallia non sarà altrettanto fortunata.

Il crollo della diga

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I Vandali attraversano il Reno gelato, illustrazione

È l'ultimo giorno del 406, il 31 dicembre: un nuovo anno e una nuova epoca stanno per iniziare. Siamo sulla frontiera Romana, tra Mainz e Worms. il Reno è gelato dal freddo intenso. Un'immensa armata di soldati, donne, bambini, vecchi e schiavi si è radunata sulle rive del Reno. Hanno dovuto combattere una dura battaglia contro i Franchi e molti di loro sono morti, ma alla fine il loro numero soverchiante ha avuto la meglio anche dei coraggiosi Germani, che hanno tentato in tutti i modi di rispettare la loro alleanza con Roma. Oltre il Reno giace una delle più importanti regioni dell'Impero: la Gallia, con le sue centinaia di città e ampie terre fertili e coltivate. Dietro di loro c'è solo la morte, la miseria e un futuro di schiavitù. Qualcuno scende sulla riva, il primo di una fiumana muove un passo sulla superficie ghiacciata, seguito da centinaia di altri, poi migliaia, poi decine di migliaia. Un bambino, di nome Genseric, segue i genitori attraverso il fiume: sentiremo ancora parlare di lui. Forse fino a 80 mila guerrieri attraversano il Reno, con loro ci sono centinaia di migliaia di uomini e donne. È un numero che non può essere fermato e infatti nessuno potrò fermarli: loro, a differenza dei Goti di Radogast, non saranno sconfitti e ridotti in schiavitù. Loro sono qui per restare. Sono iniziate, questa volta davvero, le grandi invasioni barbariche dell'occidente.

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Chi sono questi barbari? Si tratta di un'alleanza raccogliticcia di profughi di tutta la Germania tra l'Elba e i Carpazi: tra loro i più numerosi, paradossalmente, non sono dei Germani. Si tratta degli Alani, un popolo di lingua iranica. A loro si uniscono le due confederazioni dei Vandali e gli Svevi. Mentre i Goti di Radogast invadevano l'Italia questi popoli hanno provato a forzare prima gli Alemanni, poi i Franchi: dopo sanguinose e innominate battaglie con quest'ultimi, nelle quali sono morti in decine di migliaia, sono riusciti ad arrivare alla frontiera del Reno, sguarnita dalle sue truppe Comitatensi impegnate pochi mesi prima in Italia e che non sono ancora tornate in Gallia. La via è aperta. Nelle parole del vescovo Orienzo, entro pochi mesi tutta la Gallia sarà invasa da una unica pira funebre. Un altro poeta, Prospero d'Aquitania, anni dopo, scrivendo alla moglie, fa un racconto agghiacciante della situazione in Gallia dopo il passaggio degli invasori: “colui che un tempo rivoltava la zolla con cento aratri ora fatica ad avere una sola coppia di buoi, colui che spesso guidava i suoi carri in splendide città ora è malato e viaggia stancamente a piedi per le campagne deserte. Il mercante che solcava i mari con dieci navi cariche di mercanzia ora s'imbarca su un piccolo scafo ed è nocchiero di sé stesso, tutto rotola a capofitto verso la fine!”

Roma saluta la Britannia

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Ricostruzione della fortezza romana al termine del Vallo di Adriano

Stilicone ricevette la terribile notizia a Ravenna: la soddisfazione per la vittoria a Fiesole svanì immediatamente; i rapporti erano devastanti: Mainz – la città-fortezza che fungeva da capitale della Germania superiore – è stata saccheggiata e la principale forza militare della Gallia distrutta. La più grande città del nord della Gallia – Trier – è sotto assedio. Strasburgo, Reims, Tournai, Metz, Amiens, Autun: tutta la Gallia centrosettentrionale è in fiamme. Gli invasori si sono divisi in diverse bande che saccheggiano a volontà. È il più grande disastro militare della storia per questa dura regione di confine: le truppe limitanee si dissolvono al vento o vengono distrutte una ad una, non ci sono notizie di quello che resta dell'esercito delle Gallie. La Britannia è tagliata fuori.

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Intanto arrivano a Ravenna notizie perfino peggiori, che sembrano accavallarsi l'una sull'altra: in Britannia le truppe si sono ribellate appena è stata chiara la portata dell'invasione dei barbari: hanno eletto in rapida successione due imperatori salvo poi ucciderli. Il terzo a essere eletto è però di tutt'altra pasta: si tratta di un uomo di umili origini ma con un grande nome: il suo nome è Costantino e passerà alla storia come Costantino III. Facendo appello al patriottismo delle truppe in Britannia ha promesso che rimedierà ai guasti in Gallia e intende tener fede alla sua promessa.

Costantino radunò praticamente tutto quello che restava dell'apparato militare Romano in Britannia e attraversò il canale della Manica: i Britanni li videro partire stupiti, probabilmente certi che sarebbero tornati di lì a poco. Sicuramente Costantino pensò lo stesso: pensò che fosse una mossa temporanea, una volta risolta la crisi gallica e una volta che fosse diventato imperatore dell'occidente avrebbe rinviato le guarnigioni in Britannia. L'isola, una provincia Romana dal 43 dopo cristo, non rivedrà mai più un soldato romano.

Costantino III in soccorso della Gallia

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Moneta di Costantino III, un usurpatore di umili origini e che andò vicino a diventare imperatore di tutto l'occidente

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Costantino III era sbarcato a Boulogne, nel nord della Gallia: qui, dopo una breve battaglia contro l'esercito del Reno, aveva ricevuto l'adesione di quello che restava dell'esercito e delle autorità civili della Gallia. Scrive Peter Heather: “assistiamo qui ad un altro esempio dello schema di comportamento dei Romani. Italocentrico come era il governo di Stilicone non seppe correre prontamente in soccorso della Gallia quando questa ne ebbe bisogno, così quando Costantino III portò in parata il suo vittorioso stendardo ai grandi proprietari terrieri della Gallia sembrò una risposta efficace al disastro imminente: non erano traditori, ma avevano bisogno di un imperatore e di un generale che si occupassero di loro”

Costantino III guidò l'esercito in alcune dure e innominate battaglie contro gli invasori, cosa che spiega anche il percorso seguito da questi ultimi che parvero virare verso sud, portando i saccheggi verso l'Aquitania e la Gallia del sudovest. Costantino strinse anche nuovi accordi con i regni di confine: Franchi, Burgundi e Alemanni confermarono la loro fedeltà a Roma e al nuovo regime, assicurando che avrebbero difeso la frontiera del Reno da nuove invasioni. Così confortato, Costantino mosse il suo quartiere generale verso la nuova capitale delle Gallie, Arles, in Provenza nell'indubbia preparazione di una offensiva verso l'Italia da compiersi nell'anno seguente, in modo da piegare Onorio e Stilicone e riunificare l'impero.

Stilicone cerca l'aiuto di Alaric

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Dittico di Stilicone, con la moglie Serena (figlia adottiva di Teodosio) e suo figlio Eucherio

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La notizia dell'adesione della Gallia a Costantino III fu un brutto colpo per Stilicone, ma non era ancora finita. All'inizio del 408 Stilicone si trovava in una situazione difficilissima. Il nostro generalissimo, sempre determinato, non si diede però per vinto: radunò l'esercito d'Italia, gli ausiliari gotici di Sarus e gli ex di Radogast oltre alle truppe che aveva fatto venire dalla Gallia. Per combattere gli invasori Stilicone ha però in mente di usare l'arma più formidabile che conosce: i Goti di Alaric. Il problema era che Alaric era contrariato per l'annullamento della spedizione in oriente senza che Stilicone si fosse degnato di pagare i suoi servigi, quindi decise di marciare verso nord fino al Norico, la moderna Austria: lì rimase minacciosamente appollaiato ai confini dell'Italia: il governo di Onorio e Stilicone gli doveva 4.000 libbre d'oro, da intendersi come rimborso spese per tutto il tempo trascorso dai suoi in Epiro in attesa di Stilicone: o pagavano o erano guai. Insomma, il solito Alaric: abile, arrogante, infido, ma coerentemente fedele ai suoi.

In quell'ora buia Stilicone si recò a Roma e indisse una seduta del Senato per discutere il da farsi: è una scena che mi commuove, quasi che la defunta, lontanissima Repubblica fosse tornata in vita in questi frangenti disperati. Stilicone sapeva che per avere successo aveva bisogno di avere dietro di sé la forza unita del popolo Romano. Il senato, riunitosi, sembrava propendere più per la guerra che per il pagamento dei foederati di Alarico: a questo punto intervenne Stilicone che spiegò che il re goto era intervenuto in Epiro per assistere Ravenna nel tentativo di recuperare l'Illirico orientale e che la spedizione avrebbe avuto successo se la fortuna non avesse voluto altrimenti. il generale concluse il discorso asserendo che Alarico rivendicava a ragione il pagamento proprio per i servigi resi all'Impero d'Occidente nell'Illirico. Il senato, di fronte alla superiore autorità di Stilicone, accettò controvoglia di versare il tributo ad Alarico, ma non tutti si sottomisero: un senatore di nome Lampadio affermò audacemente che il pagamento al re goto “non era una pace ma un trattato di servitù», salvo poi rifugiarsi in chiesa timoroso della vendetta di Stilicone. No, la Repubblica non era tornata in vita. Stilicone l'aveva avuta vinta ma chiaramente il malcontento per la politica filo-gotica stava montando fino al punto dell'ebollizione.