Il soffio della Bora (388-395) - Ep. 20 (2)
Annunci
SEGNALA QUESTO ANNUNCIO
Finalmente Valentiniano si decise ad utilizzare l'autorità che gli conferiva la legge: convocò il suo Magister Militum in una udienza ufficiale nel suo palazzo a Vienne e lì, vestito di tutti i paramenti imperiali, consegnò una lettera al suo generale in cui lo congedava formalmente dal suo servizio. “È stato l'Augusto Teodosio a darmi il mio incarico, solo lui può revocarlo” gli rispose Arbogast, poi fece a pezzi la lettera, ne buttò a terra i pezzi, fece dietrofront e uscì dalla sala. Gli ultimi rimasugli dell'autorità di Valentiniano erano a pezzi. Poco tempo dopo il giovane imperatore fu trovato impiccato nella sua stanza, in un apparente suicidio che non convincerebbe nessuna giuria moderna. Valentiniano II era stato proclamato augusto alla morte del padre omonimo, quando aveva solo quattro anni. Era il 15 maggio del 392 e il giovane augusto aveva 21 anni. Il corpo del giovane principe fu trasportato a Milano, qui Ambrogio enunciò l'orazione funebre e il suo corpo fu interrato in un sarcofago di porpora, di fianco a suo fratello Graziano, probabilmente nella chiesa di San Lorenzo, nella cappella di Sant'Aquilino che esiste ancora oggi.
📷
Basilica di S. Lorenzo, a Milano. A sinistra la cappella di S. Aquilino, probabile mausoleo di Graziano e Valentiniano II
Valentiniano II fu ovviamente un imperatore che non esercitò mai il vero potere imperiale: in questo fu il precursore del quinto secolo, l'ultimo secolo dell'impero d'occidente: gli imperatori diverranno delle figure di facciata dietro i quali si nasconderanno i loro potenti generali, sia di origine barbare che romani: il tempo degli imperatori-soldato illirici era definitivamente tramontato.
Arbogast sceglie un nuovo imperatore per l'occidente
Annunci
SEGNALA QUESTO ANNUNCIO
Arbogast tentò di convincere Teodosio che si era davvero trattato di un suicidio ma ricevette da questi un minaccioso trattamento del silenzio. Tre mesi dopo la morte di Valentiniano Arbogast si rassegnò quindi ad elevare un nuovo imperatore-fantoccio dietro il quale nascondere il suo potere. Selezionò un membro della classe senatoriale Romana: un uomo noto per essere un uomo di lettere e un burocrate. Insomma, quanto di più possibile lontano dal soldato. Eugenio, questo il suo nome, non fu però un mero fantoccio nelle mani di Arbogast e nel suo breve regno sembrò avere una intelligenza politica e una iniziativa personale. Lo dimostra la sua politica religiosa che doveva però comunque essere approvata da Arbogast, nonché da molte delle truppe occidentali, formate in gran numero da Franchi e Alemanni pagani. Molti storici si sono chiesti quale fosse la vera fede di Eugenio e ovviamente la risposta può conoscerla solo la sua coscienza: esternamente si professava cristiano ma questa era una cosa comune anche per tanti segreti pagani sul finire del quarto secolo, quando era diventato pericoloso essere apertamente pagani. Sta di fatto che Eugenio e i collaboratori che aveva scelto come amministratori dell'impero ribaltarono molte delle leggi filo-cristiane di Graziano e Teodosio, o forse dovremmo dire di Ambrogio. L'altare della Vittoria, il grande simbolo del paganesimo, fu reinstallato nella Curia romana. Alcuni templi e culti ricevettero di nuovo i fondi imperiali, come quello antichissimo delle Vestali.
Ambrogio, di fronte all'avanzata dei pagani, abbandonò Milano prima che Eugenio e Arbogast vi giungessero. Si rifugiò da Teodosio: il sovrano cristiano ovviamente non aveva alcuna alternativa, era di nuovo la guerra. Per combatterla inviò immediatamente dei messaggeri ai suoi fedeli foederati Goti in Tracia: l'imperatore richiedeva il loro servigio, lui che era stato per più di dieci anni il loro benefattore e protettore. Ma vi chiederete: cosa era accaduto ai Goti in questi anni?
L'ascesa di un principe dei Goti
Annunci
SEGNALA QUESTO ANNUNCIO
I Goti avevano rispettato l'accordo con Teodosio – più o meno – e avevano già combattuto per lui nella guerra contro Magno Massimo: già allora alcuni di loro avevano disertato gli ordini dei capi gotici e si erano rifugiati in una area paludosa vicino Thessalonika, rifiutandosi di combattere. A capo dei renitenti c'era un giovane comandante Goto, un certo Alaric: Alaric ci è presentato dagli scrittori tardo-antichi come della stirpe reale dei Goti Tervingi. I Tervingi però non avevano Re: da questo e da altri dettagli il più degli storici ritiene che Alaric fosse imparentato con Athanaric, la cui famiglia aveva governato i Tervingi per almeno tre generazioni. Alaric, come vedremo, aveva una alta opinione di sé e dell'importanza del suo nome. Alaric sostenne la ribellione fino al ritorno di Teodosio da Milano e si fece raggiungere anche da altre tribù d'oltre Danubio: Teodosio marciò con il suo esercito per affrontarlo ma fu pesantemente sconfitto e riuscì a malapena a fuggire: l'anno seguente il nuovo Magister Militum di Teodosio riuscì a circondare i Goti di Alaric che si arresero e tornarono nelle loro terre in Moesia. L'impero, circondato da nemici, non poteva permettersi di massacrare i “suoi” barbari più romanizzati e questi ebbero salva la vita. Avremo modo di riparlare di Alaric, non temete, così come del Magister Militum che lo aveva sconfitto.
Anche prima di questa guerra la relazione tra Goti e Romani era comunque sempre stata tesa: i Romani si dimostravano sempre piuttosto intolleranti verso questo popolo che non era mai stato sconfitto e che viveva in mezzo a loro: un comandante romano, in seguito a fatti poco chiari, aveva fatto massacrare i Goti presenti come guarnigione nella sua città sul mar Nero e Teodosio, sempre attento a mantenere buone relazioni con i germani, lo aveva fatto punire, attirandosi gli strali della corrente sempre più xenofobica della società romana, incluso il nostro storico Zosimo (o per meglio dire la sua fonte contemporanea agli eventi: Eunapio). Paradossalmente la politica religiosa di Teodosio aveva scavato un fossato incolmabile tra Romani e Goti: l'implacabile ortodossia di Teodosio aveva imposto sempre di più ai Romani d'oriente di convertirsi al cattolicesimo Niceno ma Teodosio non fece alcuno sforzo di convertire i Goti che, dentro l'Impero Romano, aderivano oramai in massa al cristianesimo ariano di Ulfila. Teodosio non fece alcuno sforzo proprio perché anche lui, in fondo, non li considerava romani né desiderava che lo diventassero: i romani dovevano essere cattolici, i Goti credessero pure quello che volevano, non era affar suo.
Annunci
SEGNALA QUESTO ANNUNCIO
I Goti Tervingi per il resto avevano rispettato gli accordi: avevano evitato di nominare un capo supremo del loro popolo, una delle clausole del trattato. Quando arrivò la richiesta di aiuto militare contro Arbogast ed Eugenio, benché si trattasse di una guerra nella quale i Goti non avevano alcun interesse, la gran parte di loro si armò e per l'ultima volta marciò al fianco del loro benefattore. Uno dei loro comandanti era proprio lui, Alaric, che questa volta decise di combattere con i suoi e per Teodosio.
Teodosio si prepara alla guerra
Teodosio però non rispose ad Arbogast ed Eugenio solo sul fronte militare, ma anche politico: per mettere in contrasto la sua politica con il filo-paganesimo degli occidentali emanò nuovi decreti filo-cristiani. Ad esempio furono vietate le Olimpiadi, una tradizione più che millenaria, e fu scatenata una vera ondata di distruzione di templi in tutto l'impero d'oriente, in modo ancor più sistematico che nel 390. Abbiamo un'enorme mole di testimonianze sia scritte che archeologiche che testimoniano la fine del mondo antico: i misteri eleusini, il tempio di Delphi, i rimanenti templi in Egitto e in Siria: tutti furono saccheggiati, desecrati e bruciati: un innumerevole numero di opere d'arte antiche furono distrutte in questi anni. Molti idoli e statue furono sotterrati in tutta fretta per essere protette e gli archeologi le hanno ritrovate lì: nessuno più è tornato a riprenderle. Indubbiamente ci furono atti di violenza anche contro le persone, non solo le cose. La guerra tra Teodosio ed Eugenio divenne una sorta di guerra per la sopravvivenza del paganesimo, paganesimo che in occidente era ancora maggioritario nella popolazione imperiale, soprattutto fuori dai principali centri urbani.
Il secondo atto politico di Teodosio fu di elevare suo figlio Onorio )alla dignità imperiale, con l'obiettivo di farne l'augusto d'occidente. Teodosio aveva già elevato il suo primogenito Arcadio, che sarebbe rimasto in oriente. Arcadio era un sedicenne e anche già da allora un evidente inetto quindi le leve del potere reale furono date da Teodosio ad un burocrate di sua fiducia, il prefetto del pretorio Rufino. Onorio era un imperatore ancora più improbabile, avendo appena nove anni. Come suo più fidato generale Teodosio aveva il figlio di un ufficiale di cavalleria Vandalo, un certo Stilicone. Stilicone era uno dei più fidati collaboratori di Teodosio ed era stato a capo dell'ambasceria in Persia che nel 383 aveva negoziato la pace con l'Iran, poi era stato il Magister Militum che aveva sconfitto Alaric. Il goto Alaric, Stilicone il generale, Onorio l'improbabile augusto: il cast dei prossimi decenni di storia romana marciò sotto le bandiere di Teodosio verso l'occidente e la guerra.
La bora soffia nella vallata del Frigidus
📷
la via militare che Da Aquileia portava ai balcani: al centro, la probabile loaclità dove si svolse la battaglia del Frigido
La grande armata di Teodosio percorse la solita strada militare che collegava i Balcani con Milano e che passava attraverso l'Illirico e poi i passi alpini al confine tra Slovenia e il Friuli-Venezia-Giulia. Come d'abitudine non abbiamo cifre esatte ma si trattava sicuramente di un esercito imponente: probabilmente circa 30 mila regolari romani – molti di loro Goti – più almeno 20 mila foederati tra Goti, la maggior parte, Alani e truppe dei regni clienti caucasici come l'Armenia e l'Iberia. I foederati furono messi sotto il comando del Goto Gainas, di relativamente umili natali ma che si era arruolato nell'esercito regolare diventandone uno dei suoi più stimati generali. Alaric si sentì defraudato nel suo ruolo di leader dei Goti: nonostante fosse poco più che ventenne lui era della stirpe dei Balthi, erede di Athanaric ed era costretto a marciare agli ordini di un pezzente. Certo la sua ribellione di quattro anni prima avrà probabilmente convinto Teodosio a non fidarsi di Alaric ma Il risentimento del nobile Goto per questa decisione avrà conseguenze importanti.
Annunci
SEGNALA QUESTO ANNUNCIO
La situazione del 394 mi ricorda quella del 324, 70 anni prima: nella guerra tra Licinio e Costantino romani e barbari insieme avevano marciato l'uno contro l'altro per decidere il destino del mondo. Oggi come allora l'intero oriente romano era in marcia contro l'occidente ma questa volta le conseguenze della guerra civile saranno assai più funeste di allora. Gli occidentali non erano stati a guardare ed avevano radunato un esercito di simili proporzioni, composto dal Comitatus d'occidente, che non aveva ancora vissuto nessuna Adrianopoli, oltre ad ausiliari e foederati Franchi e Alemanni.
Arbogast, che aveva partecipato alla precedente spedizione contro Magno Massimo, decise non fare il suo errore e di concentrare il suo esercito nella difesa dell'Italia: sapeva benissimo dove i Teodosiani sarebbero emersi dalle montagne e lì, nella terra tra la fortezza di Aquileia e le Alpi, decise di posizionare il suo esercito. L'esercito orientale dovette infatti attraversare lo stretto passo di Hubl in Slovenia e all'uscita dal passo Arbogast era ad attenderli. Era il 5 settembre del 394 in quello che passò alla storia con il primo giorno della battaglia del fiume Frigidus: l'avanguardia di Teodosio fu capace di resistere a mala pena per consentire al resto dell'enorme esercito di raggiungerli. Gli uomini dell'avanguardia subirono perdite pesantissime, a quanto ci dicono i nostri storici dieci mila uomini, ovvero metà dei loro effettivi, anche se questa è probabilmente una esagerazione. E chi c'era all'avanguardia? Ma ovviamente i Goti foederati di Alaric! Le perdite furono così ingenti per una tribù che faceva della sua forza militare l'unica leva per mantenere il loro status speciale dentro l'impero che ai Goti parve che Teodosio li avesse sacrificati con il dichiarato obiettivo di decimarli: fu questa anche l'opinione dello storico cristiano Orosio che scrisse “la loro perdita fu un guadagno per lo stato romano e la loro sconfitta una vittoria”. Comunque sia i Goti, in un ultimo atto di fedeltà, non disertarono la causa dell'Imperatore d'oriente.
Teodosio riuscì a raggruppare quel che rimaneva della sua invincibile armata e quella notte fu certamente una notte di paura per il nostro imperatore, che si ritirò in preghiera: il Dio dei Cristiani certamente non avrebbe mai concesso ad una armata cristiana di essere sconfitta da miscredenti come Arbogast ed Eugenio. Teodosio era un profondo credente e penso che confidasse davvero nell'aiuto divino: non rimarrà deluso.