'Berlino è casa', con Giuseppe Culicchia e Mario Desiati
Buon pomeriggio, sono qui con Giuseppe Culicchia e io sono Mario Desiati e chiacchieriamo oggi
pomeriggio di Berlino e casa, nuovo libro uscito nell'edizione La Terza nella collana
Robinson. Ciao Giuseppe. Ciao Mario, grazie per essere qui e grazie a voi che ci state
seguendo. Ringrazio anche Casa La Terza che ci dà questo pomeriggio insieme per parlare di Berlino.
Mi sento molto legato al tema perché negli ultimi anni è la città dove ho vissuto maggiormente e ho
apprezzato moltissimo, insomma, ho amato molto questo libro che è un po' anche un romanzo di
Giuseppe Culicchia che è uno scrittore, faccio un piccolo cappello personale, veramente un po'
affettivo, è uno degli scrittori che ha segnato un po' la mia giovinezza perché io andavo al liceo
e avevo una copia di Tutti Giù per Terra super segnata, ad atto sto nella mia cameretta, la
stavo cercando per farla vedere ma era tutta piena di vignette, di sottolineature, tra l'altro
avevo anche amato il film, ero proprio un grande fan di quel libro e ho seguito sempre, insomma,
la carriera letteraria di Giuseppe, è stato per me un grande piacere poi averlo conosciuto di persona
quest'estate quando ci siamo incontrati a Cesena, o a Cesenatico, ho detto una gaffa, scusa,
e quindi ritrovarmi con lui a chiacchierare di questo romanzo per me è un grande, un grande
onore e quindi comincio, perché hai scelto Berlino e quindi qual è il tuo rapporto con questa città?
Beh intanto grazie, grazie Mario per aver detto Tutti Giù per Terra quando ero ragazzo e per il
resto. Ma perché Berlino? Perché fondamentalmente come ho scritto nell'introduzione mi sono
innamorato di quella città grazie a un altro libro che è Berlin Alexanderplatz di Alfred
De Blin che ho letto a un certo punto quasi per caso perché non conoscevo l'autore, sapevo che
era stata tratta una serie tv che aveva come protagonista questo Franz Biberkopf, il delinquente
uscito di prigione messo a carta da De Blin, il film per la tv era di Rainer Werner Fassbinder
e io all'epoca amavo molto il cinema tedesco degli anni 70-80 quindi Margarethe von Trotta,
Werner Herzog, il primo Wim Wenders, quindi mi ero avvicinato un po' trasversalmente a Berlino e
quando ho letto Berlin Alexanderplatz sono rimasto fulminato perché l'ho trovato un romanzo davvero
straordinario, un romanzo incredibile per la ricchezza dei registi linguistici, per come De
Blin era riuscito a far convivere davvero tutto nelle sue pagine perché è un romanzo dove tu trovi
le canzonette popolari, la pubblicità dell'epoca, i titoli dei giornali che si intrecciano non
soltanto la vicenda del protagonista principale questo Biberkopf detto il cobra ma anche trovi
attraverso un interessantissimo gioco di cambio di prospettiva all'interno del testo anche le vite
di tutti quelli che incrocia Biberkopf sul suo percorso, del tipo che lui attraversa in tram
Berlino e dai finestrini del tram vede che si sono le commesse dei negozi di calzature oppure le
domestiche degli avvocati che fanno le pulizie e lui racconta le vicende, le storie anche di
questi personaggi così marginali più che secondari e però ti fa entrare nelle loro vite anche
soltanto per lo spazio di una pagina o meno e quindi ti dà veramente un affresco incredibile
di quella città colta, il libro è uscito nel 1929 quindi sono gli anni che precedono di poco
l'avvento di Hitler e sono anni in cui Berlino è una città ancora più di Parigi vivissima, una città
in cui accade di tutto, in cui tutto è possibile, la città raccontata poi da Isherwood del suo
addio a Berlino ed è quindi una metropoli nata in realtà da un conglomerato di piccoli villaggi
di campagna che a un certo punto i re di Prussia fanno diventare la loro capitale e che agli inizi
del Novecento diventa una città industriale con tutte le naturalmente i problemi che questo
comporta perché da quei piccoli villaggi nascono poi dei quartieri che molto spesso sono quartieri
dormitori molto poveri e tutto questo viene raccontato molto bene da Doblini. Insomma per
farla breve ho letto quel libro poi un giorno ero stato invitato proprio per tutti giù per terra
al festival du premier romains che si tiene in Francia poco oltre la frontiera con l'Italia e
lì ho conosciuto una giornalista del quotidiano Le Monde e parlando con lei di Berlino Alexander
Platz e lei mi ha detto no ma tu devi assolutamente andare adesso a Berlino. Era il 1995-96 e lei mi
diceva guarda che Berlino sta cambiando a una velocità incredibile e se non la vedi adesso ti
perdi di sicuro qualche cosa di importante di bello. Ho seguito il consiglio sono andato a
Berlino nel 96 per la prima volta complice alla traduzione appunto di tutti giù per terra anche
in tedesco e sono rimasto folgorato dalla città così come me la sono ritrovata davanti agli occhi
che non era ovviamente più quella del 1928-29 era la città in cui il muro era accaduto da pochi anni
e in cui però si vedevano ancora chiarissimamente le differenze tra Berlino Est e Berlino Ovest,
quel confine ormai ridotto a pura parvenza perché del muro era già rimasto pochissimo
e si vedeva nelle facce delle persone, lo vedevi da come erano vestiti, lo vedevi naturalmente
anche dallo stato in cui versavano i quartieri dell'Est rispetto a quelli dell'Ovest che erano
ancora tutti quanti da ricostruire perché comunque erano ancora tantissimi i buchi, i vuoti
lasciati dalla guerra ma anche proprio da ritinteggiare, c'erano queste facciate delle
case che sembravano uscite veramente da Germania anno zero di Rossellini e quindi tutto questo mi
ha molto affascinato perché ho scoperto che passeggiare per Berlino era passeggiare attraverso
il cuore dell'Europa, il Novecento, la storia del nostro continente, attraverso le tragedie e le
bellezze del Novecento. Guarda, prima mi è venuto più volte l'absurdo romanzo perché leggendo il
tuo libro una delle cose che subito salta al mente è sorprendente e che in qualche modo anche ti ho
invidiato perché hai trovato una chiave originale per raccontare la città che è molto raccontata in
questo momento, raccontata da tanti scrittori anche italiani ma è anche stata raccontata negli ultimi
vent'anni da tanti artisti che l'hanno visitata, l'hanno vissuta e hai scelto questa strada
fabbricata architettonica della casa, cioè Berlino e casa. A pagina 109 scrivi una cosa che secondo me
è uno di quei momenti in cui lo scrittore sta dichiarando il perché di quel libro. Tu scrivi
che non esiste altra città in Europa e forse al mondo in cui il caos architettonico, un caos totale
privo di compromessi, si esprima a livelli così assoluti. È stato questo caos organizzato
che ti ha portato l'idea di usare la casa come metafora per raccontare la città?
Ma diciamo che l'idea di raccontare la città come una casa l'ho avuta molto tempo fa scrivendo
della mia a Torino, Torino è casa mia che poi dieci anni dopo è diventato casa nostra. Avevo
usato questa struttura dell'appartamento che mi è tornata in mente quando ho cominciato a pensare a
Berlino, perché Berlino per me è stata un po' una seconda casa. E quindi quel caos architettonico
che deflagra a ogni angolo a Berlino praticamente, perché da ovunque ti giri vieni sorpreso da
qualche cosa che non ti aspetti, è un po' come cercare di raccontare una casa molto in disordine,
perché sono passati in tanti per quella casa e ciascuno ha lasciato un pezzo di sé,
ha lasciato traccia di sé. È come quegli appartamenti abitati da studenti che la mattina
entri in cucina, ti metti le mani in capelli e cerchi di evitare che sia il tuo turno per
rimettere a posto, lavare i piatti eccetera. Berlino per certi aspetti è un po' così,
nel senso che c'è veramente di tutto. Tu vai sulla CarMax alle e ti trovi davanti questo esempio
maestoso di razionalismo sovietico, poi c'è il Bauhaus, poi c'è il neoclassicismo nazionalsocialista
e poi c'è il laberdino Guglielmina, ancora qua e là, dei frammenti ovviamente rimangono perché la
città fu distrutta al 70% dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale. E poi ci
sono i Plattenbau, queste case edificate in fretta e furia negli anni 50 che sono prive di
balconi e sono tutte affascinantemente uniformi, di sicuro sono molto lontane da un'idea di estetica
tradizionale, però hanno una loro strana perversa bellezza proprio per il fatto che sono così identiche
l'una alle altre, così squadrate e prive di orpelli. Anni fa Berlino in una cartoleria mi
aveva imbattuto anche nella riproduzione di carta, ti potevi costruire la tua Plattenbau
di cartoncino come da bambino, piegavi le orecchie ritagliate, seguivi la linea tratteggiata delle
forbici eccetera, perché poi i berlinesi hanno questo grande talento di fare così della loro
città una specie anche di gioco. Berlino per me è un gioco, a cominciare proprio dalle aree
gioco. Io non ho mai visto una città con così tante aree gioco per bambini come Berlino. Quando
mi sono imbattuto per la prima volta nel Montbijoux Park a Mitte e ho scoperto che dentro c'era una
piscina per bambini che naturalmente viene usata più durante la stagione che non l'inverno visto
che è scoperta. Poi appunto in ogni cortile quasi, se tu prendi e entri dentro questi cortili
che si aprono uno dentro l'altro, a volte anche lì trovi degli scivoli, dell'altalene e poi ci
sono tutte le aree gioco lasciate dal regime socialista che comunque aveva questa grande
attenzione nei confronti dell'infanzia e della gioventù, anche con le organizzazioni giovanili
del partito. E quindi Berlino è tante cose insieme, tante anime insieme e questo sì mi ha
molto ispirato nel momento in cui ho cercato di raccontarla attraverso i vari locali di un
appartamento, quindi l'ingresso e la sala da pranzo eccetera eccetera. Tra l'altro nel libro c'è anche
un altro apparato, un finale, una cronologia molto utile perché viene raccontata la storia
della città che spesso quando si pensa a Berlino si pensa agli ultimi 50 anni in storia, cioè alla
Berlino della seconda guerra mondiale e dal muro, cioè pensiamo che sia quella città e basta, è un
po' un immaginario comune. In realtà Berlino è una storia che affonda le sue radici tantissimi
secoli fa e tu sei stato molto divertente come la racconti perché è una biografia della città
anche critica perché quando è nata Berlino ancora non c'erano gli hipster. Sì sembra incredibile,
però quando questi due piccoli villaggi che hanno dato origine al nucleo originario di Berlino,
gli hipster non c'erano, anche se suppongo che in molti degli abitanti dell'epoca portassero
la barba, però usavano di sicuro meno prodotti per la bellezza e l'igiene del corpo e la cura
dei peli. Ho cercato di raccontare questa storia lunga, complessa in cui Berlino non è mica capitale
all'inizio, anzi è un agglomerato di villaggi nella marca di Brandeburgo abbastanza ai margini
rispetto a quello che sta accadendo nel resto d'Europa dove ci sono già grandi capitali,
Roma, Parigi, Londra, mentre Berlino è un posto del tutto insignificante. Poi poco per volta,
grazie fondamentalmente alla casata che da lustro a Berlino, è quella di Johan Solrn,
forse un frammento di quella Berlino lì la possiamo trovare per esempio in una pellicola
di Stanley Kubrick che è Barry Lyndon. Quando Barry Lyndon si reca presso il ministro prussiano
di polizia e si presta a diventare spia per il re di Prussia, lì vediamo uno scorcio di una Berlino
che già all'epoca è una Berlino che guarda fondamentalmente alla Grecia, guarda a quel tipo
di architettura, è una città che ha già dei viali molto molto ampi in cui uno dei re Federichi
prescrive che tali viali debbano avere una tale ampiezza per evitare disastri come l'incendio
di Londra e che quindi se si scoppia un incendio a casa non si propaga immediatamente nel resto
della città e questo lo vediamo ancora oggi Berlino al di là appunto di questi viali
trionfali edificati dopo la guerra dei russi, però è una città in cui le vie sono molto larghe
in genere e questo ti permette sempre di vedere il cielo. A Berlino non ti senti mai chiuso,
non hai mai la sensazione di oppressione che ti possono dare altre città. Questo è molto
bello perché è un altro degli aspetti della libertà di Berlino, la libertà di guardare il
cielo, la libertà di sentirti in un luogo in cui gli spazi sono così ampi, così smisurati e allo
stesso tempo così ben organizzati perché come sai anche tu girare per Berlino è comodissimo,
facilissimo, i mezzi pubblici funzionano a meraviglia e ce ne sono di tanti tipi diversi,
che tu ti possa muovere in battello o sull'S-Bahn o sulla U-Bahn o in tram o in autobus o in
bicicletta con piste ciclabili degne di questo nome, contrariamente a quanto accade molto spesso
da noi. È una città estremamente godibile anche per quanto riguarda gli spostamenti. Una cosa che
ho notato nei miei soggiorni berlinesi è quanto siano poco stressati i berlinesi. Io trovo che
siano per certi aspetti i napoletani del nord dal punto di vista del loro atteggiamento nei
confronti della vita. Adesso uso qua uno stereotipo e mi scuso con Napoli che non è una città poco
stressante evidentemente, però hanno un atteggiamento così molto rilassato nei confronti
della vita e credo che questo abbia a che vedere proprio con la forma che ha quella città, con
questi grandi spazi verdi, anche a cominciare da Thiergarten, ma non solo. C'è Rebecca Solnit che
scrive che democrazia è passeggiare in una città sentendosi sicuri. Probabilmente Berlino è questo,
è la città che ti fa che ti dà l'impressione di vivere in un posto dove c'è democrazia,
perché effettivamente è la città dove passeggiare, ovvio anche questo dipende dai quartieri come in
tutte le grandi capitali, però questa sensazione che hai raccontato la vivo costantemente,
cioè di sentirmi assicuro anche se poi assicuro non si è mai. Secondo te perché Berlino a un
certo punto, vi volevo chiedere due cose. La prima secondo te perché Berlino a un certo punto è
diventata il centro dell'Europa dal punto di vista anche degli intellettuali nel Novecento.
Faccio un esempio, negli anni venti Kafka ci va a vivere, pur essendo un uomo che vive a Praga,
ma gran parte degli scrittori intellettuali cercano di arrivare a Berlino, prima ovviamente
che a Prodi del Reich Hitler. Dalla caduta del muro di Berlino, Berlino insieme a Londra è il luogo
dove le tendenze, dove arrivano soprattutto artisti della scena musicale ma anche dell'arte figurativa.
Nel momento in cui Berlino è spaccata in due, Berlino Ovest raccoglie il cuore della club culture
che riguarda non soltanto il clubbing ma anche la musica, per esempio la musica punk, che come Londra
Berlino diventa un altro punto. Perché secondo te è proprio Berlino?
Ma dunque se penso appunto alla Berlino degli anni venti...
Che ha un clima orrendo poi Berlino, uno dice vabbè vado a Roma, che come dire c'è una luce
meravigliosa, vado ad Atene, vado a Madrid, Berlino. Berlino si muore di freddo, è sempre buio
in inverno, mettono le coperte di lana spesa di feltro alla porta dei bar per tenere fuori l'aria
quando si entra. Ma guarda per quanto riguarda Berlino degli anni venti appunto noi siamo,
almeno io sono cresciuto da ragazzo col mito della Parigi degli anni venti, perché naturalmente io
mando molto Hemingway e Fitzgerald e gli americani dei primi del novecento sono cresciuto pensando che
fosse Parigi il centro di tutto all'epoca e soltanto dopo mi sono reso conto dell'importanza
che aveva avuto parallelamente a Parigi Berlino proprio. Perché è vero che a Parigi andavano a
stare questi artisti americani scrittori anche perché conveniva il cambio rispetto al dolloro
dopo la prima guerra mondiale, perché magari appunto avevano combattuto in Francia ed erano
poi rimasti lì. Mentre Berlino aveva vissuto una crisi terribile perché dopo il trattato di Versailles
che aveva addossato tutte le responsabilità della guerra alla Germania, i danni di guerra che avevano
dovuto pagare i tedeschi erano tali da aver appunto mandato in rovina un paese umiliandolo
e mettendo poi come dire i semi per quello che sarebbe accaduto di lì a poco, vent'anni più
tardi. Però appunto Berlino è la Berlino di Grosz, è la Berlino appunto di De Blin, di Benjamin,
la Berlino in cui Josephine Baccard balla a seno nudo nei teatri, in cui ci sono musicisti jazz
che arrivano dagli Stati Uniti per suonare, in cui c'è una grande libertà sessuale, in cui c'è un'enorme
fame di vita proprio per, credo, come una forma di reazione naturale, vitalista agli indomani
non soltanto della sconfitta patita nel 1918 ma della terribile crisi economica seguita a quella
sconfitta. E quindi Berlino diventa, credo, un polo di attrazione anche perché già all'epoca si viveva
con poco a Berlino rispetto a quanto accadeva altrove, cosa che poi si ripete dopo la caduta
nel muro perché dopo la caduta nel muro, una delle cose che racconto nel libro appunto è di come
abbia conosciuto, abbia degli amici a Berlino che sono tedeschi ma non sono berlinesi di origine,
sono magari nati a Colonia o a Stoccarda e però dopo la caduta nel muro sono corsi a Berlino
perché? Perché a Berlino, e sapevano che a Berlino Est, i berlinesi dell'Est che abbandonavano le loro
case non vi avrebbero più fatto ritorno perché si trasferivano all'Ovest e quelle case abbandonate
diventavano case da occupare banalmente e dopo un po' che ci stavi dentro andavi in comune,
ti registravi, certo ti mancavano le comodità, non avevi il telefono e quindi c'erano queste
code smisurate alle cabine telefoniche di Kreuzberg che era sul confine tra l'Est e l'Ovest,
per telefonare ai genitori dire che andava tutto bene e però è stata un'epoca pionieristica in
cui la città si è riempita di nuovi giovani, così come si era riempito di giovani Berlino
Ovest nel periodo appunto tra l'edificazione del muro e la caduta del muro perché? Perché in
quell'isola di Occidente, proprio per far sì che ci rimanesse qualcuno e anzi qualcuno arrivasse
ad abitarla, il governo tedesco aveva stabilito che i residenti non dovevano prestare servizio
militare e quindi un gran numero di ragazzi si era trasferito a Berlino per studiare e per non
fare militare, all'epoca in cui c'era la città divisa raccontata da Christa Wolf e quindi Berlino
per questa serie di circostanze attraversa il Novecento, malgrado le tragedie che sappiamo,
milioni di tonnellate di bombe sganciate, i lutti eccetera però attraverso il secolo sta
riuscendo ogni volta a ritrovarsi, a rinnovarsi, a ricostruirsi dalle macerie e quando appunto
negli anni 90 in tanti cominciano a trasferirsi lì, quando Mitte è ancora un posto molto desolato in
cui fa fatica a trovare un ristorante aperto e quando lo trovi è ancora magari gestito similmente
a quando era di proprietà dello Stato, quella è un'epoca d'oro perché a Berlino la vita costa
niente, perché a Berlino puoi essere giovane e costruirti un futuro senza dover sgomitare per
avere un lavoro che ti permetta di sopravvivere come accade a Parigi o a Londra dove vivere in
centro è impossibile perché devi potenziare tantissimo in quelle città, invece Berlino no.
E da questo punto di vista quella è la carta migliore che possa giocarsi quella città nel
momento in cui in realtà è vuota rispetto a molti aspetti, perché si è svuotata di tanti
berlinesi dell'est e ci sono ancora tantissimi vuoti lasciati appunto dai bombardamenti, era
una Berlino in cui tu improvvisamente attraversavi una strada, svoltavi un angolo e mancavano due
isolati e non c'era niente di. Adesso tutti questi vuoti sono stati poco per volta riempiti,
erano i vuoti che mi sollecitava a intercettare quella giornalista di Le Monde di cui parlavo
prima e quindi poco per volta si sono riempite le case, gli uffici, quindi adesso Berlino è una
città che apprezzi ancora assolutamente più umani rispetto a Roma, Milano o appunto alle altre
capitali europee, che però non è più quella piccola isola felice che era negli anni 90 e
negli primi anni 2000. Il tuo libro è pieno di connessioni, con la storia, con la letteratura,
con la musica, col cinema, chi ama Occhiestato a Berlino o anche semplicemente chi è curioso di
conoscerla può veramente scoprire il lato giusto per amarla e sei stato molto generoso nel tuo
racconto. Tra l'altro ho citato prima una densa cronologia che hai scritto alla fine, ma in realtà
ci sono anche tanti pezzi di storia che vengono man mano raccontati. Mentre parlavi pensavo anche
al fatto che sì, Berlino come tante capitali è iper stratificata, tu da un certo punto scrivi,
secondo me è una delle cose che colgono quasi tutti quelli che arrivano alla città e tu l'hai
scritta molto bene, parli dei fantasmi di Berlino, parli dei morti. E' una città alla fine piena di,
è una città vitalissima, piena di tanta gioventù che arriva da tutto il mondo, tra l'altro sfrutto
anche una delle domande che sono state fatte nella chat da Antonio e la Timpano che chiede
se è una città appunto, contano anche tantissime nazionalità, oltre ai tedeschi, Berlino è la città
con più turchi della Germania, è una città dove ci sono una grande comunità russa, una grande
comunità vietnamita, una grande comunità siriana e una grande comunità italiana. Stiamo parlando
di numeri enormi, quella italiana è la più piccola di quelle che ho citato perché sono 50.000,
quella turca supera il milione, quindi stiamo parlando di veramente una città super,
se quindi questo momento conta. E poi quello della morte, quello dei fantasmi,
se questa sensazione tu l'hai vissuta, l'hai sentita, l'hai raccontata, però magari in questi
anni insomma l'hai elaborata. Sì, c'è questa sorta di paradosso per cui è una città molto molto
giovane proiettata verso il futuro comunque, più di ogni altra città europea credo, appunto per
questa sua rincorsa verso la ricostruzione che c'è stata nel corso dell'ultimo ventennio,
per il fatto che vedi tantissime mamme che portano il passeggino per strada, giovani mamme. E allo
stesso tempo è una città di fantasmi, perché dovunque ti giri comunque ti viene incontro
la storia e allora magari ti imbatti, non so io, lungo la linea in strasse c'è un piccolo cimitero
con una chiesa, un giardino e se ti fermi a guardare le date di nascita e di morte di chi è
sepolto in quel piccolo cimitero ti rendi conto che sono tutti ragazzini e ti chiedi com'è che
sono morti tutti quanti nel 1945. Poi naturalmente c'è questa mostra che si chiama
Topografia del Terrore e lì ci sono i fantasmi che abitavano le cantine del palazzo dove aveva
sede la Gestapo e dove tenevano i prigionieri. Ci sono i fantasmi che saltano fuori letteralmente
sotto forma ancora di osso umano nel momento in cui si scava, perché nel momento in cui tu scavi a
Berlino ti puoi imbattere in una qualche sepoltura non avvenuta secondo i canoni, perché appunto
durante le ultime fasi della guerra si poteva rimanere sepolti semplicemente nel cratere di
una granata, di una bomba. E poi ci sono queste ancora, anche se hanno restaurato gran parte
degli edifici, però ci sono ancora qua e là queste sventagliate di mitragliatrice sui muri,
se percorri i muri lungo la stazione della Friedrichstrasse ci sono dei crateri addirittura
intorno alle finestre eccetera. Allora ti rendi conto davvero che a Berlino la morte è molto
presente comunque, i fantasmi ci sono, sono i fantasmi del Novecento fondamentalmente e da
questo punto di vista ti rendi conto di quanto quella città abbia avuto un ruolo fondamentale
nella storia d'Europa e quindi di tutti noi, perché poi alla fine quello che è scaturito da
Berlino, le decisioni che sono state prese a Berlino hanno segnato la vita di tutti i popoli
europei e da questo punto di vista è una città che racconta qualche cosa di così di tragico a
tutti noi. Basta appunto, basta volerlo vedere, è tutto lì, è tutto lì. Giuseppe, tu hai visto
una Berlino molto diversa rispetto a quella di 30 anni fa, cioè quell'anima un po' mi viene dire
Bohème ma non la voglio usare questa parola, però quell'anima che sembrava essere così accogliente
verso gli artisti di tutto il mondo ma anche se c'erano persone che volevano sperimentare un nuovo
tipo di vita che fino a quel momento avevano fatto e che Berlino sembrava la frontiera. Tu
senti che è cambiato qualcosa in questi ultimi anni, cioè negli ultimi dieci diciamo? Sì,
purtroppo è cambiato molto perché appunto c'è stata questa cosiddetta gentrification,
uso questa parola orribile, per cui interi quartieri hanno poco per volta cambiato volto
e sono sparite tante… tu prima usavi la parola Bohème, si potrebbe usare anche un po'… all'epoca
la Berlina era molto punk, anche se il punk era passato già un po' di moda altrove, però era
punk nel senso che appunto ci vivevi con pochissimo, potevi trovare abiti belli nella spazzatura e
quindi vestirti con quello che trovavi e mangiavi con nulla. C'era una mensa sull'Alexanderplatz
dove ti davano un piatto di minestra per un paio di marchi e sei proprio in ristrettezze da studente
o comunque da… se non potevi permetterti di più quello andava benissimo e c'erano questi bar che
aprivano, c'era Lobst & Gemüse, cioè frutta e verdura, che era davanti al Tacheles, uno dei primi
centri sociali occupati a Berlino ed era un bar ricavato appunto lì dove c'era un negozio di frutta
e verdura dove anche lì le consumazioni costavano pochissimo, adesso lì dove c'era Lobst & Gemüse
c'è una catena che vende maschere di carnevale, ci sono robe improbabili, ristoranti messicani e
queste robe qua che arrivano ahimè quando il nuovo avanza, il nuovo avanza travolge con la
sua onda di risacca tutto quello che trova e cambia, cambia i connotati. Se penso alla Castagna
in Allee, la percorrevi in tram e c'era soltanto il Prater, che era questa bireria storica con
il cortile dove ogni tanto veniva piantata la tenda di un circo dove si mangiavano piatti
della tradizione così e dentro la bireria c'era anche un piccolo teatrino ma c'è ancora, tanto
adesso non c'è più soltanto il Prater ma c'è una lunghissima teoria di locali anche lì giapponesi
o Tex-Mex o quello che è, per cui appunto è quello che accade ahimè nelle nostre città
all'epoca dell'Airbnb e della globalizzazione e quindi da un certo punto di vista si fa fatica a
immaginare oggi un laberlino di 10, 15, 20, 30 anni fa però se uno guarda attentamente la trova
ancora e diciamo che devi cogliere, come diceva Nice, l'essenziale sta nelle sfumature quindi
devi andartene un po' a cercare queste sfumature, devi stare attento, camminare con gli occhi ben
aperti. Guarda, ti volevo fare questa domanda alla fine però adesso viene un po' fagiolo,
allora tre posti dove tu proprio manderesti qualcuno che non è mai stato a Berlino oppure
questi tre posti possono essere anche tre posti famosi ma uno di questi tre almeno che sia invece
un posto che conosci soltanto tu. Escudo che ci sia un posto di Berlino che conosco soltanto io.
Allora, sulla Oranian Burger Strass, diciamo guardando verso l'Alexanderplatz sulla sinistra,
a un certo punto dopo la sinagoga c'è un portone, un anonimo portone. Se tu entri in quel portone,
a patto che sia aperto, perché non sempre è aperto, ti inoltri in una serie di cortili,
come accade spesso a Berlino, e finisci in un cortile abbastanza grande che dentro ha un
meraviglioso giardino e tu non diresti mai che dietro la facciata di quella casa, dietro quel
portone, possa nascondersi un giardino così bello. Tra l'altro un giardino che non è riservato
soltanto agli abitanti del palazzo, soltanto che nessuno sa che c'è e quindi nessuno se lo va a
cercare, però c'è. Un posto che tutti quanti conoscono e vedono è la Torre della televisione,
e uno dice ma perché dovrei andarci? Così stampato dappertutto sulle magliette,
sulle cartoline. Però se uno sale su quell'ascensore si ritrova proiettato negli anni
60-70, l'arredamento che c'è dentro e poi va su e c'è questo bizzarro, lo riconosco,
turistico ristorante girevole che però nella sua perversione turistica ha un grande fascio
nei miei occhi perché tu te ne stai seduto a sorseggiare il tuo caffè tedesco che ovviamente
è diverso rispetto al nostro, come sappiamo, e però girando, girando, girando ti diverti a
riconoscere i luoghi in cui sei stato e cerchi di capire che cosa stai guardando, perché da lì si
vede tutta o quasi tutta Berlino, per cui vedi uno spazio verde enorme e dici ma che cos'è quella
roba là? Pensi che sia un parco? Sì è un parco, però prima era un aeroporto, era Tempelhof e così
via. E poi un terzo posto dove andare, ma appunto a me è molto un locale, c'è questo posto assurdo
che si chiama Gambrinus, che è proprio lì tra la linea in Strasse e dove era il Tacheles, che è un
posto, se c'è ancora, perché mentre parlo potrebbe essere stato come succede spesso, potrebbe essere
cambiato, però è un posto da moratori, dove non trovi tendenzialmente appunto il turista, ma dove
trovi questi signori che mangiano le polpette di carne, di maiale con i kraut e la birra, ed è un
piccolo pezzo della Berlino post 1945 in cui trovi ancora sul menù piatti russi, perché appunto
all'epoca gli occupanti erano loro e ci si organizzava per soddisfare le loro richieste
gastronomiche. Dall'altro tu parli anche dell'arrivo dei russi, per esempio del capitolo che si chiama
il Solaio, che è un capitolo dove tu parli anche dei mercatini di Berlino. E effettivamente Berlino
è una di quelle città forse europee dove maggiormente esiste questa cultura del mercatino,
ogni piazza, ogni quartiere ha il suo mercato delle pulci. Può essere un po' legata anche al
fatto che Berlino è un po' secondo te anche la città delle seconde occasioni, cioè dove alla
fine il fallimento delle persone non conta così come in altre città ipercapitalistiche?
Sì, di questo mi è capitato di parlare appunto con ex cittadini della DDR, di come per esempio
sono loro che mi hanno fatto notare come se tu ti agiri per i quartieri dell'est non trovi quasi
persone che vivono per strada o comunque ne trovi meno rispetto a quante tu ne trovi a ovest o nelle
capitali dell'ovest. E loro questo me lo spiegavano col fatto che malgrado tutto la DDR
ha lasciato un fondo di cultura della solidarietà che non è andato perduto, almeno per adesso,
poi comunque ovviamente le generazioni passano e prima o poi quella quell'eredità probabilmente
andrà esaurendosi. Tra l'altro sono persone che hanno visto appunto esattamente come tu prima
parlavi di fallimento, e beh Berlino è una città dove le persone si sono dovute abituare al
fallimento in più di un'occasione, cioè pensa a una città che fino al 1945 è sotto un tipo di
regime e dopo viene smembrata da quattro potenze vincitrici e finisce sotto altri tipi di regime,
per cui tutto quello che hai imparato fino a quel giorno è tutto sbagliato ed è tutto da buttare,
devi ricominciare da capo. La stessa cosa accade nel 1989 perché i cittadini dell'est si sentono
a dire che tutto quello in cui hanno creduto, tutto quello che hanno fatto, tutto quello che
era la loro vita di prima non valeva più niente e dovevano uniformarsi agli standard occidentali.
Naturalmente c'è stata la felicità di chi ha abbattuto il muro, ce la ricordiamo tutti nelle
immagini dell'epoca, chi le ha viste o chi non le ha viste in diretta, poi le ha viste successivamente
nei libri di storia e però l'unificazione ha comportato enormi traumi per chi era un cittadino
della Germania Est e quindi si parla spesso del costo che ha comportato questa unificazione per
la Germania Ovest e però non si tiene conto che appunto chi insegnava russo improvvisamente era
senza lavoro, chi aveva un ruolo nell'amministrazione della DDR o chi faceva la carriera militare,
così tutte persone che improvvisamente si sono trovate da un giorno all'altro a fare i conti
col fallimento di un regime e col proprio fallimento personale e però hanno saputo
tirarsi sulle maniche come le donne berlinesi che nel 1945 si dovettero tirare sulle maniche
perché gli uomini erano stati tutti uccisi oppure erano prigionieri oppure erano vecchi o invalidi
e furono loro a ricostruire la città, a ripulirla dalle macerie, a fare questi enormi cumuli di
mattoni con cui poco per volta hanno ricostruito. Giuseppe ti faccio l'ultima domanda che è un po'
anche una specie di viatico spero, c'è un oggetto oppure un sentimento oppure entrambi o semplicemente
una sensazione che ti è rimasta di Berlino e che ti porti oggi ancora dietro qui a Torino o a
Martina Franca dove studiamo il 16 maggio del 2022? Io di Berlino mi porto dentro questa sensazione
più che un oggetto, c'è la sensazione di essermi trovato nel corso della mia vita in un luogo
così carico di storia e allo stesso tempo così capace di non, da un certo punto di vista appunto,
abbattere il muro e ridurlo a pochi frammenti a uso dei turisti e a una striscia d'acciaio
di messa nell'asfalto per indicare dove era prima significa anche appunto voler cancellare il passato
proprio fisicamente e però non ci si riesce fino in fondo a Berlino, questo passato rimane e appunto
questo passato così immanente allo stesso tempo questa idea di futuro, questa è la cosa che mi
porto dietro di Berlino, c'è che la storia, il passato, i fantasmi che sono lì, sono ben presenti
sono anche pesanti perché non è uno scherzo la storia del novecento a Berlino, però allo stesso
tempo il respiro, il cielo sopra di te che ti spinge a guardare oltre questo e senza dimenticarlo.
Confermo, è una sensazione che vivo e che ho vissuto anche io, grazie Giuseppe,
siamo stati perfetti nei quarti che ci sono stati dati e vi faccio vedere la copertina
l'ultima volta, Berlino è casa, Giuseppe Culicchia, Edizioni La Terza. Grazie a te Mario,
grazie a tutti. Buon pomeriggio. A te, ciao.