'Non si parla mai dei crimini del comunismo'
Buonasera, benvenuti a questa conversazione d'autore di Casa Laterza che faremo con Gianluca
Falanga, autore del libro 'Non si parla mai dei crimini del comunismo' per la collana Fact-Checking
la storia alla prova dei fatti. Io sono molto contento che mi sia stato chiesto di dialogare
con lui e comincerò subito prima di dirgli cosa penso del suo libro in generale. Leggo
la prima pagina, un pezzo della prima pagina dell'introduzione. Si lamenta un'amnesia,
l'esistenza di un muro di omertà o addirittura una congiura del silenzio, perché del nazismo
e dei suoi lager sapremmo ormai tutto quasi, mentre si tacerebbe delle morti per fame dell'Ucraina
negli anni trenta, delle deportazioni nell'arcipela Rugulag, parlare scrivere del quale sarebbe ancora
scomodo e imbarazzante. Dietro questa affermazione mi pare evidente non c'è alcun desiderio di
conoscerli meglio. Ecco, quando ho letto queste frasi ho detto Falanga ce l'ha anche con me. Io
ritengo, ritenevo ma ritengo ancora, anche dopo aver letto questo libro che devo dire mi è piaciuto
moltissimo, ma detto questo devo dire che io continuo a essere convinto che in Italia almeno
non è vero che si sia parlato così tanto del comunismo e dei crimini del comunismo in particolare.
Allora la prima domanda che volevo farti era se forse non è l'ottica particolare che tu hai,
perché vivi in Germania da tanto tempo e lavori lì, dove invece il dibattito è stato sicuramente
acceso e dove il confronto anche delle possibili comparazioni tra nazismo e comunismo ha avuto
una profondità e un rigore scientifico anche che in Italia non sempre si è avuto. Io ho avuto la
fortuna di fare ormai molto tempo fa, alla fine degli anni 90, il primo convegno internazionale
in Italia di comparazione tra fascismo, nazismo e stalinismo, poi sono usciti dei libri esteri
che sono stati tradotti anche da qua, uno inglese, uno francese eccetera, però questa comparazione
in Italia non ha mai preso piede, possiamo dire. Bella domanda perché si, un po' investe il titolo,
quindi riguarda il titolo e il titolo è anche un discorso di inserimento di questo
testo nella sua collana che ha questi titoli antifrastici, insomma un po' provocatori,
che vanno a riprendere certe cose del comune detto, del comune sentire, cose che vengono
detto con una certa superficialità, ma poi dietro c'è sempre un significato, una volontà eccetera,
o un'idea. L'idea era, devo dire, non è solo italiana, non l'ho sentito dire solo in Italia,
non si parla dei crimini del comunismo, non se ne parla abbastanza, volendo dire in realtà
qualcos'altro, come dico nell'introduzione, vorrei in qualche modo togliere l'attenzione
da questo parlare invece sempre dei crimini del fascismo, del nazismo eccetera, e come se si
volesse un po' riequilibrare, dietro in realtà poi c'è di più, perché poi c'è volontà anche di,
almeno alcune parti politiche interessate diciamo a questo tipo di operazione,
sminuire o togliere centralità al significato che ha nella cultura occidentale la Shoah,
il periodo del nazismo, i crimini del nazismo eccetera. L'ho sentito dire anche in Germania,
dove è vero che abbiamo un'altra impostazione, ma c'è questa, occasionalmente, c'è questo dire
ah beh si parla sempre degli altri e mai di loro, però è vero, lo devo confessare,
scrivendo il libro mi sono poi accorto, c'è una torsione all'interno del libro,
nel senso c'è questo volere esprimere, guardate a livello internazionale, dei crimini del comunismo,
e poi magari parliamo un po' che cosa vogliamo intendere per comunismo, se ne parla in tutto
il mondo, si studiano in tutto il mondo, sono oggetto di operazioni varie, sia di ricerca,
sia di divulgazione, sia del lavoro nella scuola, quindi la formazione eccetera, hanno un posto.
Contemporaneamente è però vero che appena ci si avvicina, si scopre che soprattutto,
io comincerei dall'Europa occidentale, le conoscenze poi sono in realtà relativamente
deboli, dei fatti, del loro significato e di quello che per esempio significano per l'altra
parte dell'Europa. Dal punto di vista occidentale, Europa occidentale direi che c'è una forte
debolezza nel guardare a questo, che ovviamente ha radici anche ideologiche, può essere motivato
in varie maniere, ma questo è il fatto. Quindi sì, c'è un doppio fondo in realtà in questo titolo,
poi il libro quando lo si legge si vede che questi aspetti vengono sviluppati entrambi.
No, no, da questo punto di vista, infatti dopo questo primo shock iniziale, che ho detto,
oddio ce l'ha con quelli che hanno parlato dei crimini del comunismo in passato, eccetera,
ma anche tu poi in una serie di occasioni dici la più debole risonanza e considerazione che
trovano le testimonianze dei crimini comunisti, cioè effettivamente c'è questo riscontro. Il
problema è vero che quelli che hanno messo in particolare evidenza il carattere criminale del
comunismo l'hanno fatto con una serie di motivazioni e il caso da cui tu non parti ma che
prendi all'inizio molto bene in esame è quello del libro nero del comunismo, perché tu utilizzi
alcuni, tre, quattro saggi del libro nero del comunismo in modo continuo, perché sono dei saggi
bellissimi, però ovviamente la realtà raccontata in quei saggi è stata sommersa dal discorso
ideologico dei cento milioni di morti in cui tu giustamente metti in evidenza, ma non è che si
possono mettere tutti insieme i morti di Stalin, di Pol Pot, di Mao, eccetera, non perché non
siano tutti riconducibili in qualche modo al comunismo, perché non ha un senso storico,
è come mettere in capo alla Chiesa tutti i morti dalle crociate fino alle guerre di religione del
del seicento, insomma, in qualche modo, quindi questo è il problema. Però credo che in qualche
modo rimane vero che c'è una reticenza, per esempio una reticenza che in Italia è ancora,
mi pare, molto forte è quella di disancorare lo Stalinismo, cioè il cuore più nero della
criminalità comunista, dal bolscevismo e dagli eni e tu invece in questo fai una ricostruzione,
mi sembra, estremamente attenta della violenza anche del bolscevismo. Ecco, allora, siccome tu
da una parte dici è giusto parlare di comunismi, perché non possiamo fare una cosa unica, però
nello stesso tempo poi accetti il punto di vista di uno studioso tedesco che dice però in fondo
parlare dei crimini del comunismo e non dei comunismi ha un suo significato. Ecco, puoi
spiegare un po' meglio come hai risolto questa sorta di antinomia, di difficoltà. Sì, sì, può
apparire anche una contraddizione, forse anche leggendo quella pagina in cui c'è questo passaggio
bisogna in qualche modo un attimo fermarsi a riflettere perché è proprio un punto importante,
cioè soprattutto quando si parla spesso anche pubblicisticamente a livello divulgativo di
crimini del comunismo come se fosse un'etichetta chiara a tutti, si fa questa semplificazione che
era proprio tra l'altro anche del libro nero del comunismo, cioè abbiamo una specie di unico
soggetto criminale ispirato da un unico modo, diciamo, di vedere le cose, un'unica ideologia
e che in qualche modo poi va... poi in realtà i saggi, come hai detto, nel libro nero erano molto
differenziati, erano molto circostanziati, ottimamente documentati, non tutti, alcuni
erano di qualità assolutamente. Quindi c'è questa contraddizione fra dover spiegare che c'è una
pluralità perché non c'è uniformità, cioè sono comunismi perché all'occhio di tutti è evidente
che non possiamo associare e mettere nello stesso cassetto il Berlinguer e il Theodor
Tchivkov della Bulgaria o il Pol Pot con lo stesso Lenin, cioè abbiamo ovviamente dei fenomeni
ciascuno nel suo contesto storico, aree geografiche molto diverse l'una dall'altra e quindi non abbiamo
la possibilità di sintetizzare semplicemente dicendo tutta la stessa cosa. Dall'altra però
bisogna guardare a questo fenomeno come un segmento della storia del Novecento che tra l'altro,
almeno per come è nato e come è finito, diciamo, con lo scioglimento dell'Unione Sovietica, ha una
sua continuità. Io ho ripreso un po' questa idea del Gerd Köhnen delle tre ondate, diciamo così,
in cui si costituisce qualcosa che poi va a mettere le premesse per la successiva espansione,
quindi altre esperienze del comunismo. Lì c'è una compattezza che è una compattezza anche
nella diversità, nel senso si agganciano a un asse che va dalla rivoluzione del 17,
ma ci sono storici che vanno ancora indietro, vanno a cercare le radici nel pensiero di Marx,
c'è addirittura chi da storico, credo sia lo stesso Gerd Köhnen nel suo ultimo libro,
che va fino alla preistoria e dice ci sono forme di comunismo, diciamo, che sono presenti nella
storia dell'umanità fin dalla preistoria e quindi ci sono elementi che si possono rintracciare in
altre epoche storiche. Insomma, si deve decidere da dove cominciare, ma a me pare faccia senso
parlare del comunismo novecentesco come esperienza che comincia con la rivoluzione di ottobre,
finisce con la fine dell'Unione Sovietica e con una trasformazione in Cina che però è una
trasformazione coerente a caratteristiche proprie del comunismo cinese. Questo asse attraversa
l'istituzione della terza internazionale, dopo la seconda guerra mondiale la cosa si espande verso
l'Asia e poi c'è una terza ondata che sono Cuba, sono i regimi africani che adottano un certo tipo
di marxismo-leninismo eccetera, quindi sono esperienze poi successive alla decolonizzazione.
Questa è una struttura che mi pare storicamente, per lavorarci da storico, molto solida. C'è anche
una possibilità di ritrovare degli elementi comuni in tutte queste esperienze nonostante
le differenze. Non deve essere per forza la violenza, la violenza chiaramente è molto centrale
in questo libro perché parla dei crimini e anche sui crimini ci sarebbe da ragionare che cosa
intendiamo per crimini. Associamo anche lo stesso libro nero al comunismo sotto crimini,
intendeva un po' tutto, eccidi di massa, le morti per fame, le repressioni nei regimi del
real socialisti del secondo dopoguerra. Insomma sono anche lì fenomeni molto differenti l'uno
dall'altro che sono stati sintetizzati in un'unica etichetta, i crimini, ma andiamo a differenziare
e nella differenziazione scopriamo la ricchezza di tutti questi passaggi storici che vanno
appunto analizzati tutti fino in fondo per capirne la loro valenza, perché poi hanno una ricaduta
importantissima sui popoli che li hanno in qualche modo, le popolazioni che li hanno subiti o che li
hanno vissuti. Mi sembra che un tentativo continuo che tu fai e mi sembra sostanzialmente, alla fine
è uscito, è quello di dire ci sono tanti comunismi diversi e noi non possiamo metterli tutti in uno
stesso sacco eccetera e dobbiamo contestualizzarli, seguirli eccetera, ma nello stesso tempo c'è
qualche elemento comune a partire dall'ideologia molto nel carattere violento, molto nella volontà
di riuscire a influenzare la costruzione di un uomo nuovo, di una trasformazione sociale profonda,
che è una caratteristica di violenza diversa per certi aspetti da quelle di altre violenze
totalitarie che ci sono state nel novecento. E quindi questo continuo giocare su queste due
sponde che poi è la ricchezza e anche la bellezza della comparazione, io ho insegnato per vent'anni
l'ideologia comparata e quindi la comparazione non è né vedere le somiglianze né vedere le
differenze, è soprattutto utilizzata per vedere le differenze ma cercando di capire anche i
caratteri comuni che possono rendere simili alcune esperienze. E quindi da questo punto di vista per
esempio le pagine che dedichi a Ekmer Rossi, che è il caso più eclatante che si potrebbe dire
qualche cosa al di fuori, però tu intanto utilizzi proprio il saggio del libro Nero
del comunismo di Margolin che dice, che parla di caricatura grottesca ma rivelatrice di quella
che era anche l'ideologia comunista che era poi condivisa in tante altre parti. E quindi mi sembra
che parli di questo poi proprio poco prima del capitolo che invece dedichi a Marx e alla
cosiddetta ideologia criminale, invece ci si rende conto che parlare di ideologia criminale
in questo senso nel caso del comunismo non ha nessuna base perché casomai è la trasformazione
dell'ideologia comunista di Lenin, di Stalin, di Mao eccetera che può avere quelle caratteristiche.
Sì, c'è questo discorso che ho provato a fare insomma di ricostruiamo, dovrebbe essere in qualche
modo qualcosa di piuttosto lampante se si ha l'onestà di riconoscerlo, che c'è un disegno
umanista, una filosofia che diventa anche teoria politica eccetera già con Marx, c'è il tentativo
di realizzare qualcosa di questa idea, di questo sistema di idee che poi però viene volgarizzato,
viene canonizzato già dal passaggio da Marx a Engels, gli iscritti che poi lo divulgano,
la prima internazionale, tutte esperienze tra l'altro si dice sempre l'idea deve essere
criminale se ha generato quello che ha generato nel novecento ma l'idea prima ha generato qualcosa
che era estremamente pacifico, che era il movimento operaio fino a Lenin siamo di fronte a un'esperienza
pluralista di dialogo fra varie anime eccetera, si cambiano i connotati del tutto attraverso
l'esperienza di Lenin che va capita chiaramente nel suo contesto ma lì c'è una trasformazione e
cominciano tante cose, avvengono tante cose che poi ritroviamo nel corso del novecento in varie
forme, anche il concepire fondamentalmente il comunismo non tanto come l'obiettivo ma come
lo strumento di costruzione della nazione o di ricostruzione dello Stato che poi troviamo
fortissimo nella Cina, quindi questo comunismo poi fondamentalmente si trasforma continuamente
nel corso della storia non solo la dottrina ma si trasforma anche proprio l'uso che se ne fa,
diventa uno strumento, diventa meno un obiettivo di tipo umanistico applicato alle varie realtà
sociali, umane eccetera dove va in qualche modo a diffondersi. Sulla comparazione io lo trovo un
discorso molto importante perché basta viaggiare un pochettino nei social insomma a sentire queste
cose, qual è il sentire popolare rispetto a queste cose e si è stabilita in Italia fortissima,
in altre realtà un po' meno ma esiste anche questo continuo, ma allora gli altri, questo
confrontare non tanto per comprendere ma proprio per cercare una equiparazione e questo discorso
del cui purtroppo si è aggravato molto quando le istituzioni europee hanno fatto diversi tentativi,
alcuni anche malintesi credo perché le intenzioni forse non erano così cattive, di dire condanniamo
tutti i totalitarismi e sotto questo grosso titolo del totalitarismo ci mettiamo tutto dentro,
poi c'è stata spesso confusione, ci sono delle due o tre diverse risoluzioni al Parlamento
europeo che hanno fatto questo, fra il 2009, 2010 fino al 2019 ce ne sono state diverse che
alla volta parlavano di comunismo, alle volte di stalinismo con una certa imprecisione che in realtà
tradiva il fatto che si vuole cercare di esprimere qualcosa ma avendo in realtà l'insicurezza
rispetto all'esperienza precedente, cioè lo stalinismo come qualcosa assestante che è staccato
da qualcosa che viene prima che invece era positivo o era in qualche modo legittimo. Queste sono
strutture che questo libro voleva in qualche modo abbattere, spezzettare facendo sia chiarezza e sia
in qualche modo puntando un po' il dito contro questo, nel senso che le trovo proprio ostacolanti
a una comprensione di queste, anche elementare di tutta questa storia, sono d'ostacolo questo
continuo volere mettere sullo stesso piano, associare. Lo strumento della comparazione è
produttivo, lo trovo sempre produttivo per comprendere l'uno e l'altro delle cose che si
confrontano però poi ognuno, cioè si comprende la singolarità delle due cose che si vanno a
confrontare, non la loro coincidenza e questo è un po' il problema di quest'operazione che si fa.
Prima di tornare su questo tema dell'equiparazione dei totalitarismi eccetera che è estremamente
importante, però volevo fare un attimo il punto sull'Italia. Da una parte tu dai anche dei giudizi
storici molto sintetici e quindi necessariamente schematici ma abbastanza precisi sul Partito
Comunista su cui io non sono pienamente d'accordo, per esempio sul fatto che il Partito Comunista
sarebbe stato capace di leggere la società italiana. Ora io credo che il Partito Comunista
all'inizio degli anni 60, quando inizia il centro-sinistra e all'inizio degli anni 80,
quando Berlinguer poi fa la scelta etico-morale, è stato incapace invece di capire le grandi
trasformazioni che erano in atto. Però siccome stiamo discutendo adesso della storia d'Italia
nel Partito Comunista, rispetto ai crimini tra virgolette del comunismo in Italia, noi abbiamo
una realtà che è non paradossale ma che è veramente secondo me sintomatica di questa
rimozione e reticenza. In Italia c'è stata una delle vittime dello stalinismo che è sopravvissuta
e ha avuto la possibilità di raccontarlo più di tutti, Dante Corneli che tu citi abbondantemente.
Dante Corneli ha dovuto pubblicarsi tutto per conto suo e le sue memorie perché nessuno voleva
pubblicarle. Una parte è stata pubblicata un po' tagliuzzata da una casa editrice vicina ai
comunisti solo grazie all'intervento di Umberto Terracini che forse era l'unico dei fondatori
del Partito Comunista d'Italia, anche se era molto settario allora, come gli rimproverò lo stesso
Lienin, però era uno totalmente veramente aperto alla storia e alla verità. Quindi se tu oggi
chiedi a chiunque chi è Dante Corneli, nessuno lo sa e credo che questo non perché bisogna soppesare,
ma perché è un altro caso che non è di un italiano, ma parlo della sua traduzione italiana,
tu la conosci sicuramente meglio di me, le memorie di Margarete Buberneumann in Italia
che sono state scritte nel 49, pubblicate nel 49 in Germania. In Italia sono state tradotte
meritoriamente dal Mulino nel 1994, ma io proprio uno o due anni fa, non credo che le cose siano
cambiate molto, ma il direttore del Mulino mi diceva sai quante copie abbiamo venduto
della Buberneumann, quella prigioniera di Stalin e Hitler? 700 copie. Ecco, io credo che questo sia
un po' il segno di questo accettamento di disinteresse che io credo sia legato al fatto
che tutto sommato il comunismo è un vulnus per la sinistra italiana, per quelli che sono stati
comunisti e che quindi in Italia hanno lottato, come non c'è alcun dubbio per democrazia, libertà
e diritti, a doversi portare dietro il peso anche di questo strumento istituzionale al potere che
aveva questo carattere criminale e totalitario. Non so come se ne può uscire, però credo che la cosa
rimani abbastanza ancora oggi. Sono d'accordo, tra l'altro è un po' anche quello che dicevamo
prima, cioè da un lato c'è una pressione strumentalizzante da diversi anni molto forte,
volere utilizzare questo per equiparare, per modificare certi paradigmi della memoria pubblica
che sono molto importanti, dall'altra invece un fastidio perché significa confrontarsi con questi
fatti, bisogna dirlo banalmente ancora oggi, prendere congedo da un certo tipo di convinzioni
che sono legati a miti, la visione, una lettura della rivoluzione bolshevica, dell'ottobre,
socialista, è assolutamente mitizzata e quindi semplificata, schematizzata, che si fa fatica,
nonostante esistano pubblicazioni, che forse non hanno il successo che meriterebbero,
però esistono lavori, pubblicazioni, esistono istituti che fanno ricerca,
che si occupano di questo ed esistono pubblicazioni internazionali che vengono
tradotte. Come si faccia a modificare questo atteggiamento? Francamente difficile da dire,
tranne in qualche modo rimandare sempre ai fatti. Io penso che la congiuntura attuale non sia
semplicissima. Ci sono vari segnali che mi fanno un po' rimanere esitati, mi danno un po' il dubbio
che questa operazione adesso possa in qualche modo cambiare qualche cosa. Io molto modestamente
spero di aver utilizzato un linguaggio e certe immagini, certi giudizi, in una maniera che
possono essere di facile fruizione e quindi forse possono raggiungere qualcuno in più,
ma i tempi non sono semplici. Dall'altra bisogna dire che anche proprio l'attualità ci riapre
l'Europa dell'Est come area molto instabile, come area che attira la nostra attenzione per capire,
i problemi sono eredi di quella storia lì. Certo sono anche eredi di conflitti molto più antichi,
però in qualche modo è evidente che oggi abbiamo una guerra in corso, che ha una fortissima linea
di connessione con quello che è stato il discioglimento dell'Unione Sovietica, che
chiaramente non vuol dire solo la fine del comunismo sovietico, vuol dire la fine dell'impero,
però coinvolge popoli che hanno fatto quell'esperienza lì, loro vengono dai russi come
gli ucraini, come i bielorussi, come tanti popoli dell'Europa dell'Est, vengono dall'esperienza
del comunismo sovietico, o comunque di quell'esperienza che hanno fatto, realsocialismo,
e questo è un bagaglio molto pesante che non è stato in 30 anni di storia, non ancora elaborato,
solo in minima parte, e questi processi sono in corso e forse possono attirare la nostra
attenzione per il fatto che sono collegati all'attualità. Questo è qualcosa che mi da
speranza, non l'atteggiamento frontale, perché lì vengono subito fuori gli impulsi dell'ideologia,
diciamo così, o dello scontro ideologico, mentre invece questo passaggio attraverso l'Europa
dell'Est forse ci può in qualche modo toccare in un altro modo, perché ci richiama a capire da
quali società sono venuti fuori, cioè da quale è il bagaglio di esperienze che in qualche modo
determina certe reazioni odierne, certe dinamiche odierne. È un'eredità complessa quel comunismo
nell'Est europeo. Lo so bene per l'esempio della Germania dell'Est, perché ci vivo dentro e anche
vivo nella Ex Germania dell'Est, quindi sono circondato da persone che hanno questo bagaglio
loro, proprio della loro vita esistenziale, ma lo allargo a tutta Europa dell'Est. L'Europa dell'Est
non viene dallo stalinismo, viene dal realsocialismo, cioè da questa trasformazione e da
questa continuazione che si è trasformata negli anni 50, 60, 70. Hanno vissuto in regimi che avevano
preso una forma di, come lo possiamo chiamare, una dittatura sociale. Alle volte si fa fatica
anche a chiamare totalitari, studiandoli per bene, perché poi si scopre che erano sì pervasi di un
controllo onnipresente, ma spesso associamo il totalitario a qualcosa come una categoria
superiore, quindi ci chiede in realtà uno sforzo comprensivo ancora maggiore in che tipo di realtà
sociale hanno vissuto. Insomma, tutto questo mi dà coraggio, diciamo così. Penso che su questo
fronte forse possiamo arrivare a smuovere qualche cosa. Tu dedichi infatti molte pagine all'Europa
dell'Est e alla memoria del comunismo nell'Europa dell'Est e anche nella Russia,
nella Russia un po' meno forse, alla memoria come è stata costruita a partire dall'89-91
successivamente, ma anche seguendo e dando notizie interessanti sulla costruzione di musei,
di mausolei, di istituti di ricerca, di statue e anche abbattimento. Seguire come la memoria
pubblica ha significato qualche cosa di estremamente importante per quei paesi e che
la memoria pubblica è un terreno in cui difficilmente si possono fare i discorsi
ampi e comparati che stiamo facendo noi qua, perché si tratta spesso di simboli, di racconti
che vogliono avere un significato non didattico ma didascalico, di tipo anche ideologico evidentemente,
e così via. Quindi racconti come in realtà poi ci sia stata un po' in tutti questi paesi una sorta
di deriva nazionalista che tendeva a salvaguardare e a assolvere il proprio paese, il proprio popolo
rispetto ai crimini del comunismo che venivano attribuiti al comunismo in generale o per i
paesi dell'Est alla Russia e all'URSS in particolare. E in più una serie di casi che in realtà pur
essendo noti da allora, da quando sono accaduti, c'è voluto l'epoca di Gorbaciov e gli ultimi anni
per essere finalmente affrontati davvero, anche se ora paradossalmente si è tornati indietro. Parlo
per esempio della strage di Katyn in Polonia, che la scelta di creare una commissione internazionale
in cui erano presenti i polacchi, i russi eccetera è durata poco perché poi Putin ha ritirato la
partecipazione russa a questo. A Katyn uno degli anatomopatologi che faceva parte della commissione
internazionale istituita per valutare effettivamente chi fossero stati i responsabili,
se i russi come appariva o i tedeschi come invece i sovietici accusavano, era un italiano che
ovviamente era un anatomopatologo dell'Università di Napoli, dell'epoca nazista, come si chiamava.
Bene, almeno nel dopoguerra è democristiano, nel 62 diventa sindaco di Napoli anche se per
poco più di un anno e nel momento viene attaccato pubblicamente da Alicata che era
il responsabile funzionale del Partito Comunista dicendo che chi ha costruito la menzogna di Katyn
per salvare il nazismo eccetera noi non possiamo tollerarlo. Quindi questo fa capire che paradossalmente
già diversi anni dopo il 56, dopo il ventesimo congresso eccetera però c'era ancora questa forte
presenza di una lotta di memorie che in realtà è dura a morire e ovviamente è tanto più dura in
quei paesi adesso, il che naturalmente poi significa anche che però da parte nostra,
se pensiamo, è comunque uno dei libri del fact checking, quello che riguarda le foibe se ne
è dire, a lungo un dato di realtà è diventato però una sorta poi di nuovo di mito solo
vittimistico degli italiani che venivano quindi quasi automaticamente assolti da altre colpe
perché erano state vittime di un grave eccidio in quella occasione. Ecco questa questione
della memoria è estremamente rigata. Sì sì sì poi tra l'altro diciamo che questa vicenda
dell'interpretazione e divulgazione delle foibe ha delle dinamiche molto simili a operazioni che
si fanno nell'est europeo dove sostanzialmente crimini di massa dell'epoca di Stalin o di altri
momenti della storia sovietica vengono etnicizzati diciamo così, cioè gli viene dato un carattere,
lo stesso Holodomor ucraino sul quale è comunque ancora aperta una discussione sul carattere del
genocidio se invece in qualche modo non ha diciamo pienamente, non corrisponde pienamente ai criteri
del genocidio eccetera, quindi una etnicizzazione per farne in qualche modo un evento che presenta
la popolazione nel ruolo di vittime attraverso questa operazione di vittimizzazione si si si
compatta diciamo un discorso nazionalista nel senso non esistono non esistono i carnefici,
i carnefici sono sempre gli altri, il che per la storia sovietica è problematica perché poi abbiamo
vittime e carnefici se vogliamo usare queste categorie che non sono sempre proprie va bene
per intenderci di tutte le nazionalità insomma la polizia segreta sovietica aveva al suo interno
non solo ufficiali russi e quindi le repressioni avvenivano con carnefici di tutte le nazionalità
come di tutte le nazionalità potevano essere le vittime quindi vuol dire che l'operazione è
particolarmente falsificante in qualche modo però anche attraverso la falsificazione se
noi andiamo a interpretarla e a capire perché avviene in qualche modo ci dà la possibilità di
avvicinarci poi a quello che è il senso di tutto questo insomma e sono paesi che escono
dall'impero, che non era più l'impero zarista ma era l'impero comunista nel senso nonostante
il comunismo i popoli vivevano insieme all'interno dell'unione sovietica e questo si è sciolto e
questi popoli hanno cercato di ridefinire la loro identità nazionale per alcuni è
stato più semplice per altri è stato più complesso per altri addirittura un po' assurdo
non so pensare alle repubbliche ex sovietiche asiatiche insomma dove alle volte si costruisce
un ruolo di vittima completa di repressione mentre poi invece fondamentalmente hanno
vissuto la maggior parte della popolazione nel periodo sovietico in maniera positiva in
maniera identificandosi in qualche modo con quella storia lì per cui o anche pensiamo ai paesi baltici
insomma dove si fa spesso un'operazione di pulizia di certi aspetti che sono invece i baltici che
hanno combattuto con l'SS etc insomma cioè tutta una complessità che viene poi un po'
abbattuta da questa narrazione nazionale chiamiamola così etnicizzante la definisco io
dietro però c'è insomma sempre la necessità di studiare queste cose il più a fondo possibile
la memoria è un discorso la storia è un altro e il discorso della storia non è per niente
in qualche modo non è per niente completato insomma in questi paesi anche se ci sono quelle
narrazioni gli storici di questi paesi sono molto attivi e studiano molto a fondo e spesso si
scontrano con queste con questi paletti della narrazione ufficiale politica la strumentalizzazione
pensiamo anche alle leggi sulla storia leggi che puniscono gli storici perché non possono scrivere
questo e quest'altro perché l'ede in qualche modo l'immagine nazionale penso sia la russia sia la
polonia e l'ungheria hanno fatto di queste cose insomma è una tendenza preoccupante però dall'altra
deve essere confortante che ci sono anche generazioni che sono estranea quella storia
lì sono nate dopo in qualche modo si confrontano con queste cose in maniera molto più molto più
sciolta peso dell'ideologia o il peso dei traumi del passato per cui storici e nuove generazioni
di storici che rivoluzioneranno questo modo di vedere quindi l'interesse permane per questa storia
allora lascerei per ultimo perché ci stiamo avvicinando verso la fine la questione
dell'equiparazione dei totalitarismi volevo adesso affrontare invece proprio una cosa in cui dai un
giudizio preciso e capire quanto è lo riassunto di un ragionamento profondo o è un po fatto anche
perché poi utilizzi una frase di primo levi e quindi è questo quando dici lasciò fu un crimine
fine a se stesso slegato dalle dinamiche di guerra il prodotto come scriveva primo levi di un
radicalismo astratto e feroce che non ha uguali in tempi moderni ora è slegato dalle dinamiche di
guerra perché certo in qualche modo le dinamiche di guerra per certi aspetti avrebbero dovuto farlo
fare o prima o dopo però il fatto che la shoah come tutti i genocidi del novecento avvengono
in un contesto di guerra è anche questa una realtà non tutte le violenze ma le violenze
più estreme quindi parliamo di genocidi avvengono e sono avvenute tutte in un contesto di guerra
non tutte in una guerra mondiale ovviamente ma anche in guerre circoscritte ma quello in Cambogia
è il risultato finale di una guerra ecco il rischio non è quello di ipostatizzare un po la
shoah di metterla come qualcosa che proprio perché non ha una finalità di conquista di qualcosa di
sconfitta di un nemico ma è l'eliminazione senza motivo di un gruppo ci faccia sfuggire
anche anche perché poi sono molti che l'hanno detto pensiamo allo stesso Eni Wiesel tutto sommato non
si può contestualizzare la shoah e questo però noi sappiamo come storici che senza questa operazione
diventa poi difficile capire anche le motivazioni le dinamiche e il rischio è quello poi se no di
cadere in una spiegazione di tipo morale questo sicuramente è anche un modo in cui il comunismo è
stato raccontato da chiamiamola la parte più becera di quelli che parlano dei crimini del
comunismo perché tutto sommato dicono chiunque comunista chiunque aderisce al comunista non può
cadere nell'essere o nel diventare criminale e quindi diventa una assoluzione dalla storia di
quelle che in realtà invece una serie di dinamiche precise e che dobbiamo ricostruire sono d'accordo
la frase la frase in realtà voleva esprimere forse allora fu infortunata un po sfortunata la
frase ma forse insomma quello che volevo dire era slegata dalle logiche belliche o strettamente
belliche questo penso che non ci piova il c'è una logica sua di quel tipo di crimine quello che
sicuramente la guerra ha fatto c'è il contesto della seconda guerra mondiale della guerra est
eccetera ha aperto lo spazio per realizzare quell'opera lì quindi sicuramente va contestualizzata
certamente non è qualcosa che sta al di fuori delle categorie io forse lo generalizzerei così
nel senso ci sono violenze estreme che hanno trovano espressione in certi spazi che in qualche
modo danno la possibilità alla violenza di scaricarsi e di realizzarsi possono essere spazi
geografici o spazi di situazioni penso a lo stesso stalinismo cioè gli anni di stalin non chiamiamolo
stalin gli anni di stalin e il grande la campagna il grande terrore eccetera è qualcosa che si apre
si chiude come una finestra temporalmente abbastanza delimitata chiaramente delimitabile
ma in qualche modo ha un suo ha una sua ha un suo disegno in qualche modo preciso e che è venuto
fuori soprattutto negli ultimi anni cioè cercando di rileggere di rileggere il grande terrore come
non una fiammata di follia di un uomo paranoico ma cercando di andarla a inserire in un certo
contesto che in realtà partiva addirittura dalla prima rivoluzione nel senso c'è un'evoluzione
un tentativo di una seconda rivoluzione che è così quella della collettivizzazione come un
completamento di un'opera o arrivare a un livello ancora superiore e questo genera tutta una serie
di scompensi e di queste enormi migrazioni eccetera per cui è uno dei fattori che portano
alla decisione di scatenare quel tipo di terrore ce n'erano anche alcuni altri quindi vuol dire
l'accerchiamento dell'occidente eccetera quindi vuol dire che troviamo comunque un contesto e
troviamo dei fattori ma c'è un certo momento e un certo spazio in cui questi si scaricano
e questo lo vedo ovviamente per il per il per la shoah mi pare mi pare lampante no tra l'altro è
anche geograficamente limitato il terreno nel senso avviene soprattutto nei territori lontano
dalla Germania in qualche modo territori occupati o territori conquistati quindi come se fosse uno
spazio fuori dalla loro tra virgolette civiltà in qualche modo quello è lo spazio in cui si
scatena quella violenza ed è interessante che tra l'altro avvenga su territori in qualche modo
che si sovrappongono a quelli sovietici che già avevano conosciuto le stragi e massacri
delle ... eccetera quindi sono come se fossero anche quelli dei territori in qualche
modo penso anche a timothi sneider insomma come come come costruzione questo era un po
quello che andavo a dire lì allora ultima questione perché siamo in chiusura questa
dell'equiparazione di totalitarismi tu insisti molto sul fatto dell'equiparazione dei totalitarismi
crea la difficoltà di comprendere poi anche quella che è stata la criminalità del comunismo per
esempio perché appunto tende a annebbiare le differenze eccetera a me da spesso fastidio la
polemica contro l'equiparazione dei totalitarismi perché mi sembra che sì è vero che ci sono alcuni
che hanno una voce in giornali luoghi pubblici importanti che usano questa equiparazione però
mi sembra di nuovo più preoccupante invece la paura il rifiuto di non comparare di non fare
un confronto tra le esperienze totalitarie nell'appello che una serie di studiosi storici
insegnanti hanno fatto il 24 settembre del 2019 in seguito a una di quelle risoluzioni del
parlamento quella che ha fatto più discutere si diceva a un certo punto parlando dei regimi
comunisti mentre dei regimi nazisti si dice ovviamente che hanno fatto stragi genocidi e
tutto quello che i regimi comuni si macchiarono virgolette di gravi e inaccettabili violazioni
della democrazia e libertà tradirono i loro ideali e i valori e le promesse che avevano
fatto ecco a me una frase del genere sembra veramente il massimo non solo della ipocrisia
ma della falsità storica perché vuol dire non avere il coraggio se non di vedere il comunismo
da valutare rispetto alle promesse poi quali quelle di Marx e quelli pacifici e pluralisti
della fine dell'ottocento come ricordare tu perché se si comincia a confrontare il dato vero della
violenza il rischio è che poi questo discorso di minimizzazione o in qualche modo anche di
giustificazione non si possa fare il che non vuol dire poi di assimilare perché io credo che anzi
nel momento in cui si fa una buona comparazione l'assimilazione non è proponibile mai però
ecco questa secondo me è una realtà che forse in italia è molto più forte di quello che vivi tu
in Germania. Sì sono d'accordo ma l'equiparazione nel senso meccanica alle volte appunto io lo
trovo un po' di intralcio perché si ferma a un livello diciamo strutturale molto esterno
voglio dire sia il nazismo che il regime di Stalin avevano la polizia segreta hanno fatto
le persecuzioni di massa eccetera quindi il lager e il gulag queste comparazioni e associazioni
hanno senso se aiutano a scoprire le peculiarità di entrambe le cose e la peculiarità dell'esperienza
del comunismo è molto poco conosciuta proprio per quello che dici tu nel senso che c'è questo il
comunismo non è mai stato realizzato e quando è stato realizzato è stato tradito ma questo tipo
di affermazione in realtà storicamente non ha moltissimo significato secondo me nel senso che
è anzi è un po' una formula che serve a esorcizzare a tenere lontano qualcosa che non voglio vedere
non voglio non voglio verificare e non voglio conoscere perché invece se mi avvicino scopro
che fondamentalmente molte operazioni hanno una loro coerenza rispetto a certi principi poi si
può discutere se questi principi sono la lettera di Marx o sono una trasformazione successiva
questo è quello che ho fatto anche io nel libro quello che parlavamo della tradizione la ...
la mutazione eccetera però insomma imputare a Stalin o a Lenin o a chi altro che non ha in
qualche modo capito cosa voleva dire Marx la voglio dire che insomma mi pare una cosa anche
un po' arrogante volevano realizzare qualcosa seriamente rispetto a quello che avevano nella
testa lo hanno fatto coerentemente rispetto a certi presupposti questo non è un tradimento
lo stesso Stalin la linea che collega Lenin a Stalin chiaro che non è una linea dritta ci
sono tantissime contraddizioni sviluppi successivi eccetera però non si possono associare le due
figure ma in qualche modo c'è una continuità di molti aspetti molto
importanti e qui questo è uno sviluppo in parte coerente quello di Stalin rispetto a Lenin insomma
questi sono i problemi i problemi da affrontare e penso che ci sarà da lavorare ancora molto su
questo sicuramente benissimo io ringrazio Gianluca Falagna innanzitutto per questo libro che invito
veramente tutti quanti a leggere perché anche se ovviamente non esaurisce la tematica che
affronta però è una formidabile sintesi complessiva che permette di avere intanto
un quadro poi da anche tutta una serie di indicazioni bibliografiche anche per
eventuali approfondimenti successivi quindi auguri per il tuo lavoro successivo e grazie
di questo libro che ci hai dato e che possiamo condividere. Grazie a te, grazie a te.