12. La Regina fa mettere Bertoldo in un sacco. Astuzia nobilissima di Bertoldo per uscir fuori del sacco. [...]
La Regina fa mettere Bertoldo in un sacco.
Allora la Regina tutta adirata lo fece pigliare e legar stretto, poi lo fece condurre in una camera appresso a quella dove lei dormiva; e, perch'ella non si fidava ch'esso non scampasse, come aveva fatto altre volte con le sue astuzie, lo fece mettere in un sacco e gli pose per guardia un sbirro il quale lo guardasse sino alla mattina, con animo poi di mandarlo a gettare nel fiume o fargli altra cosa, ch'ei non potesse fargli più burle. E così il misero Bertoldo restò serrato nel sacco, né mai ebbe timore della morte se non in quella volta; pure si pensò una nuova astuzia per uscir del sacco, e gli riuscì mirabilissimamente, e fu questa.
Astuzia nobilissima di Bertoldo per uscir fuori del sacco.
Restò dunque il povero Bertoldo serrato nel sacco, con la guardia di quello sbirro; e avendosi imaginato una nuova astuzia, mostrando di parlare fra se stesso, incominciò querelandosi a dire: "O fortuna maledetta, come ti pigli tu spasso di travagliare tanto i ricchi quanto i poveri! Oh robba iniqua, dove m'hai tu condotto? Meglio saria stato per me se il padre mio m'avesse lasciato mendico, che ora io non sarei a così tristo passo congiunto. Che cosa ha giovato a me il vestirmi di questi rozzi e ruvidi panni per mostrare di esser povero, s'io sono stato scoperto per ricco, come io sono? Onde questi tiranni per l'avidità della robba mia si vogliono imparentar meco; ma vada come si voglia, io non consentirò mai di prenderla, ché io son uomo contrafatto e so ch'ella non sarebbe tutta mia, e se la Regina vorrà ch'io la pigli al mio dispetto, qualche cosa sarà". Lo sbirro comincia a impaniarsi.
Allora lo sbirro udendo queste parole ed essendo curioso di sapere dove derivava simil ragionamento, ed essendo alquanto compassionevole di natura, disse:
Sbirro. Che ragionamento è questo che tu fai? Perché sei tu stato messo in questo sacco, poveraccio?
Bertoldo. Eh, fratello, a te non importa saper le mie miserie, però lasciami lamentare e tu attendi a far l'ufficio al quale sei stato messo. Sbirro. Se ben faccio lo sbirro, per questo son uomo anch'io e ho compassione delle calamità dè compagni, e se io non potrò darti aiuto con le forze mie in questo tuo travaglio, ti darò almeno qualche consolazione di parole. Bertoldo. Poca consolazione puoi darmi, perché il termine è breve di quanto s'ha da fare. Sbirro. Ti vogliono forsi far frustare?
Bertoldo. Peggio.
Sbirro. Dar della fune?
Bertoldo. Peggio.
Sbirro. Mandar in galera?
Bertoldo. Peggio.
Sbirro. Far impiccare?
Bertoldo. Peggio.
Sbirro. Far squartare?
Bertoldo. Peggio ancora.
Sbirro. Abbruggiare?
Bertoldo. Mille volte peggio.
Sbirro. Che diavolo ti possono far (peggio) di queste sei cose?
Bertoldo. Mi vogliono dar moglie.
Sbirro. E questo è peggio che esser frustato, aver della fune, andar in galera, esser impiccato, squartato e abbruggiato? O bestia che sei, io mi credea che questo fusse un gran fastidio. Oh sì che questa è da cantare nella chitarra!
Bertoldo. Non che il prender moglie sia peggio (di quello) ch'io ho detto; ma il modo che vogliono tenere in darmela mi dà più travaglio che se mi fessero tutte queste cose che m'hai detto. Sbirro. E che modo vogliono essi tenere? Parla chiaro.
Bertoldo. È lì nissun altro che te? Perché io non vorrei essere udito da qualchedun altro, perch'io sarei poi rovinato affatto. Sbirro. Non v'è altri che me; parla pure sicurissimamente. Bertoldo. Di grazia, che non mi facci poi la spia.
Sbirro. Non dubitar di questo, ch'io non ho mai fatto simil professione, né manco voglio incominciare adesso. Bertoldo. Orsù, io mi voglio fidar di te, perché al parlare che tu fai tu mi pari galantuomo; e poi vada com'ella si voglia, quello che deve essere non può mancare. Sbirro. Orsù cominciami a narrare il negozio, ch'io ti ascolterò. Bertoldo. Tu dei dunque sapere che trovandomi io ricco dè beni di fortuna, ma difforme e mostruoso di vista, confinando con i miei poderi con un gentiluomo il quale ha una figliuola bellissima, costui, avendo visto le ricchezze mie, s'è pensato (benché io sia villano, brutto, come ti dico) di voler darmi questa sua figliuola per moglie, e più volte me n'ha fatto parlare, non già perché gli piaccia il mio aspetto, ma per la gran robba ch'io mi trovo, che in quanto della vita mia non credo ch'ei se ne curi un aglio, anzi credo che egli mi vorrebbe piuttosto vedere sulle forche. Sbirro. Tu sei dunque ricco?
Bertoldo. Ricchissimo d'armenti, di greggi, di possessioni e d'ogni cosa. Sbirro. Quanto puoi tu aver d'entrata? Bertoldo. Io mi trovo avere un anno per l'altro sei mila scudi e più. Sbirro. Cancaro! Vi sono dei signori che non hanno tanto. E questo gentiluomo è ricco, lui?
Bertoldo. Egli si trova stare assai commodo, ma appresso di me è poverissimo.
Sbirro. Quanto può aver egli d'entrata? Bertoldo. Da mille scudi in circa.
Sbirro. Ei non è però così povero come tu dici. È poi nobile di famiglia?
Bertoldo. Nobilissimo.
Sbirro. Non ti vuole egli dar nulla in dote?
Bertoldo. Sì, vuole; ma io ti dirò il tutto, poiché siamo qua. Ma io non posso parlare in questo sacco se tu non gli sleghi la bocca, tanto ch'io possa metter fuori la testa, che poi tornarai a serrarlo, come avrai inteso il fatto intieramente. Sbirro. Volentieri, eccola slegata, ragiona via allegramente. Ma tu hai un brutto mostaccio. Se il resto corrisponde al viso, tu dei essere un brutto manigoldo.
Bertoldo. Cavami del tutto fuori e vedrai la mia bella disposizione.
Sbirro. Sì, ma bisogna che vi torni poi dentro, come hai finito di ragionare, e ch'io ti serri come stavi prima. Bertoldo. Siamo d'accordo in questo, non ti dubitare. Lo sbirro cava Bertoldo fuori del sacco.
Sbirro. Orsù, vien fuori.
Bertoldo. Eccomi. Che ti pare di questa bella vitina?
Sbirro. A fé, che tu sei un garbato cavaliero. O può far il Cielo! Io non ho mai visto la più brutta bestia di te. T'ha mai visto la sposa? Bertoldo. Ella mai non m'ha veduto, e perché ella non mi vegga m'hanno fatto cacciare in questo sacco e vogliono condurla in questa stanza e fare ch'io la sposi senza lume e quando poi l'averò sposata mi scopriranno e bisognerà ch'ella si contenti al suo dispetto, che così è stabilito, e a me subito sarà sborsato due mila doble di Spagna le quali gli dona la Regina, acciò non gli scappi così buona ventura. Sbirro. Una buona ventura, certo. O che bambino grazioso da tener in braccio! O robba mal nata, quanti poveri uomini e povere donne affuoghi tu? Mira, di grazia, costui, che pare un mostro infernale; e perché esso ha delle facoltà, i gentiluomini nobili hanno di grazia di fare parentato con esso lui. Or bene dice vero il proverbio, che la robba fa stare il tignoso al balcone. A me che son povero e che già non sono mostruoso come questo diavolo, non intraverrebbe simil ventura; ma la robba malvaggia è causa di questo. Pazienza.
Bertoldo. Se tu fossi galant'uomo io ti farei ricco questa notte; perché io mi sono rissoluto di non voler costei in modo alcuno, perché intendo ch'ella è bella come un sole, però mi vado pensando ch'ella non sarebbe tutta mia. L'altra poi, vedendomi sì contrafatto, mi potrebbe dar forse il boccone e farmi tirare le calcie. Però, se tu vuoi entrare in questo sacco in mio cambio, io ti rinonciarò questa gran ventura.
Sbirro. Qualche buffalaccio farebbe tal pazzia, che, come mi scoprissero poi, e ch'io non fussi te, mi facessero tirare il guindo· e farmi fare il saltarello del groppo. Bertoldo. Non dubitare di questo, perché subito che tu averai sposata la sposa e che ti scopriranno, tu che sei un giovane garbato e non orrendo come me, ella vedendoti non dirà altrimente che non ti voglia, e quello che sarà fatto non potrà più tornare a dietro e beccarai via le due mila doble ed entrarai in possesso di quella robba, perché il padre è vecchio e poco più può stare andare a fare dell'erba al cavallo del Gonnella; sì che tu potrai per l'avvenire vivere onoratamente senza essercitare più questo tuo mestiero così vituperoso e infame. Sbirro. Tu la fai molto facile la cosa; ma io non voglio però pormi a questo rischio: entra pur tu nel sacco.
Bertoldo. Oh poveraccio che tu sei, non sai tu che il si dice che all'uomo audace giova il tentar la fortuna? Che cosa di male ti può intravenire in questo negozio? Vuoi tu che il padre di lei ti faccia dispiacere, come l'avrai sposata? Vuoi tu che lei, ch'è tutta modesta, dica che non ti voglia? Vuoi tu che la Regina, la quale è tanto larga e liberale, non voglia sborsare i danari per parere avara? Tutti si rimetteranno a quello che vuole il Cielo e la passaranno sotto silenzio, e tu andarai in casa della sposa e con il tempo sarai erede del tutto e sarai onorato da tutti come gentiluomo.
Sappi, sappi conoscere così gran ventura, e pensa che ogni dì non s'appresentano simili occasioni. Su, dunque, entra nel sacco e non vi pensar più, perché se vi fusse qualche pericolo per te io non te lo direi, che io sono un uomo schietto, né saprei dire una bugia, e inanzi che sia domani ora di desinare, t'accorgerai s'io ti voglio bene.