19. Il deserto dei Tartari (C. 22)
Capitolo 22 (continuazione)
Pochi ne parlavano nella Fortezza, come di cosa senza importanza che non li poteva riguardare. Troppo vicina era la delusione per la guerra mancata, benché nessuno mai avesse avuto il coraggio di confessarlo. E troppo fresca la mortificazione di veder partire i compagni, di restare pochi e dimenticati a custodire le inutili mura. La riduzione del presidio aveva dimostrato ben chiaramente che lo Stato Maggiore non dava più importanza alla Fortezza Bastiani. Le illusioni una volta così facili e desiderate, ora si respingevano con rabbia. Simeoni, per non essere beffeggiato, preferiva tacere.
Nelle notti successive, del resto, non si vide più il lume misterioso, né di giorno si riuscì più a distinguere alcun movimento all'estremità della pianura. Il maggiore Matti, salito per curiosità sul ciglio della bastionata, si fece dare il cannocchiale da Simeoni e invano perlustrò il deserto. "Tenga pure il suo cannocchiale, tenente" disse poi a Simeoni in tono indifferente. "Forse sarebbe bene che invece di consumarsi gli occhi per niente, lei badasse un po' di più ai suoi uomini. Ho visto una sentinella senza bandoliera. Vada a vedere, deve essere quella là in fondo."
Col Matti era il tenente Maderna che poi raccontò la storia alla mensa, fra grandi risate. Ormai tutti cercavano unicamente di far passare i giorni il più comodamente possibile e la faccenda del nord fu dimenticata.
Soltanto con Drogo Simeoni continuò a discutere il mistero. Per quattro giorni realmente non si erano più visti né lumi né macchie in movimento, ma al quinto erano di nuovo comparsi. Le nebbie settentrionali - credeva di poter spiegare Simeoni - si ampliavano o si ritiravano secondo le stagioni, il vento e la temperatura; in quei quattro giorni esse erano scese in direzione sud, avvolgendo il presunto cantiere.
Non solo ricomparve il lume, ma dopo circa una settimana Simeoni pretese ch'esso si fosse spostato, avanzando in direzione della Fortezza.
Questa volta Drogo si oppose: come era possibile, nel buio della notte, senza alcun punto di riferimento, constatare un simile movimento, anche se fosse realmente avvenuto?
"Ecco" diceva Simeoni ostinato. "Tu dunque ammetti che se il lume si fosse spostato non si potrebbe dimostrarlo con sicurezza. Ho dunque tanta ragione io a dire che si è mosso quanto tu a dire che è rimasto fermo. Del resto vedrai: voglio osservare tutti i giorni quei puntini che si muovono; vedrai che a poco a poco vengono avanti. " Il giorno dopo si misero a guardare insieme, alternandosi nell'uso del cannocchiale. In realtà non si vedeva altro che tre o quattro minime macchioline le quali si spostavano con grande lentezza. Era già difficile rendersi conto di questi movimenti. Bisognava prendere due tre punti di riferimento, l'ombra di un macigno, il ciglione di una collinetta, e fissarne le proporzionali distanze. Dopo parecchi minuti si vedeva che questa proporzione era cambiata. Segno che il puntino aveva mutato posizione.
Era cosa straordinaria che Simeoni avesse potuto accorgersene la prima volta. Né si poteva escludere che il fenomeno si andasse ripetendo da anni o da secoli; poteva esserci laggiù un villaggio o un pozzo presso il quale le carovane si attendassero, e fino allora nessuno aveva adoperato alla Fortezza un cannocchiale forte come quello di Simeoni. Lo spostamento delle macchioline avveniva quasi sempre sulla medesima linea, in su e in giù. Simeoni pensava che fossero carri per il trasporto di sassi o ghiaia; gli uomini - lui diceva - sarebbero risultati troppo piccoli a quella distanza per poter essere visti.
Di solito si distinguevano soltanto tre o quattro puntini in contemporaneo movimento. Ammesso che fossero carri - ragionava Simeoni - su tre che si muovevano, dovevano essercene almeno altri sei fermi, per il carico e lo scarico, e questi sei non potevano essere identificati, confondendosi con le mille altre macchie immobili del paesaggio. In quel solo tratto dunque veniva manovrata una decina di veicoli, probabilmente a quattro cavalli ciascuno, come era uso per i trasporti pesanti. Gli uomini, in proporzione, dovevano essere centinaia.
Queste osservazioni, fatte da principio quasi per scommessa e per gioco, diventarono l'unico elemento interessante della vita di Drogo. Sebbene Simeoni, per la mancanza di ogni allegria e la pedante conversazione, non gli fosse specialmente simpatico, Giovanni nelle ore libere stava quasi sempre insieme con lui e pure alla sera, nelle sale degli ufficiali, i due stavano alzati fino a tarda ora a discutere. Simeoni aveva già fatto un preventivo. Ammesso pure che i lavori procedessero a rilento e che la distanza fosse anche maggiore di quella comunemente ammessa, sarebbero bastati sei mesi, diceva, perché la strada si avvicinasse a un tiro di cannone dalla Fortezza. Con ogni probabilità lui pensava - i nemici si sarebbero fermati a ridosso di un gradone che attraversava longitudinalmente il deserto. Questo gradone di solito si confondeva col resto della pianura per l'identità di colore, ma talora le ombre della sera o banchi di nebbia ne rivelavano la presenza. Esso divallava verso il nord, non si sapeva se ripido né quanto profondo. Ignoto era quindi il tratto di deserto che esso toglieva alla vista di chi guardava dalla Ridotta Nuova (dai muri del forte, per via delle montagne davanti, il gradone non si scorgeva).
Dal ciglio superiore di questo avvallamento fino ai piedi delle montagne, là dove si alzava il cono roccioso della Ridotta Nuova, il deserto si stendeva uniforme e piatto, interrotto soltanto da qualche fessura, da mucchi di sfasciumi, da brevi zone di canneto. Arrivati con la strada sotto il gradone - prevedeva Simeoni - i nemici avrebbero potuto senza difficoltà compiere il restante tratto quasi di un balzo, approfittando di una notte nuvolosa. Il terreno era abbastanza liscio e compatto per permettere anche alle artiglierie di procedere agevolmente.
I sei mesi previsti in linea di massima - aggiungeva il tenente - potevano però diventare sette, otto, e anche molti di più, secondo le circostanze. E qui Simeoni elencava le possibili cause del ritardo: un errore nel calcolo della complessiva distanza da superare; l'esistenza di altri valloni intermedi invisibili dalla Ridotta Nuova dove i lavori sarebbero riusciti più lunghi e difficili; un progressivo rallentamento della costruzione, mano mano che gli stranieri si allontanavano dalla fonte dei rifornimenti; complicazioni di carattere politico che consigliassero di sospendere l'opera per un certo periodo; la neve, che avrebbe potuto paralizzare anche totalmente i lavori per due o più mesi; le piogge, che trasformassero la pianura in pantano. Questi gli ostacoli principali. Simeoni ci teneva a prospettarli meticolosamente uno ad uno, per non sembrare un fissato. E se la strada non avesse avuto alcun intento aggressivo? Se per esempio essa venisse costruita a scopi agricoli, per la coltivazione della sterminata landa fino allora sterile e disabitata? O semplicemente se i lavori si fossero fermati dopo uno o due chilometri? domandava Drogo.
Simeoni scuoteva il capo. Il deserto era troppo pietroso per poter essere coltivato, rispondeva. Il Regno del Nord aveva del resto immense praterie abbandonate che servivano solo da pascoli; il terreno qui sarebbe stato assai più propizio a un'impresa del genere. Ma era poi detto che gli stranieri facessero veramente una strada? Simeoni garantiva che in certe giornate limpide, verso il tramonto, quando le ombre si allungavano grandemente, era riuscito a distinguere la striscia rettilinea della massicciata. Drogo però non l'aveva vista, per quanto si fosse sforzato. Chi poteva giurare che quella striscia diritta non fosse una semplice piega del terreno? Il movimento dei misteriosi punti neri e il lume acceso di notte non erano affatto probanti; forse c'erano sempre stati; e negli anni precedenti forse nessuno li aveva visti perché coperti dalle nebbie (senza contare la insufficienza dei vecchi cannocchiali usati fino allora dalla Fortezza).
Mentre Drogo e Simeoni stavano così discutendo, un giorno cominciò a nevicare. "Non è ancora finita l'estate" fu il primo pensiero di Giovanni "ed ecco già arrivata la brutta stagione. " Gli pareva infatti di essere appena tornato dalla città, di non avere avuto neanche il tempo di sistemarsi come prima. Eppure sul calendario c'era scritto 25 novembre, interi mesi si erano consumati.
Fittissima la neve scendeva dal cielo depositandosi sulle terrazze e facendole bianche. Guardandola, Drogo sentì più acuta la solita ansia, invano cercava di scacciarla pensando alla propria giovane età, ai moltissimi anni che gli rimanevano. Il tempo, inesplicabilmente, si era messo a correre sempre più veloce, inghiottiva uno sull'altro i giorni. Bastava guardarsi attorno che già scendeva la notte, il sole girava di sotto e ricompariva dall'altra parte a illuminare il mondo pieno di neve. Gli altri, i compagni, sembravano non accorgersene. Facevano il solito loro servizio senza entusiasmo, si rallegravano anzi quando sugli ordini del giorno compariva il nome di un mese nuovo, quasi avessero fatto un guadagno. Tanto di meno da passare alla Fortezza Bastiani, calcolavano. Essi avevano dunque un loro punto di arrivo, mediocre o glorioso che fosse, di cui sapevano accontentarsi. Lo stesso maggiore Ortiz, ch'era già sulla cinquantina, assisteva apatico alla fuga delle settimane e dei mesi. Egli aveva ormai rinunciato alle grandi speranze e "Ancora una decina d'anni" diceva "poi me ne vado in pensione". Sarebbe tornato alla sua casa, in una antica città di provincia - spiegava - dove vivevano alcuni suoi parenti. Drogo lo guardava con simpatia, senza riuscire a capirlo. Che cosa avrebbe fatto Ortiz, laggiù fra i borghesi, senza più nessuno scopo, solo? "Ho saputo accontentarmi" diceva il maggiore accorgendosi dei pensieri di Giovanni. "Anno per anno ho imparato a desiderare sempre meno. Se mi andrà bene, tornerò a casa col grado di colonnello. " "E dopo? " domandava Drogo.
"E dopo basta" fece Ortiz con un sorriso rassegnato. "Dopo aspetterò ancora… pago del dovere compiuto" conchiuse scherzosamente.
"Ma qui, alla Fortezza in questi dieci anni, non pensa che…"
"Una guerra? Lei pensa ancora a una guerra? Non ne abbiamo avuto abbastanza?"
Sulla pianura settentrionale, ai limiti delle nebbie perenni, non si vedeva più nulla di sospetto; anche il lume notturno era spento. E Simeoni ne era soddisfattissirno. Questo dimostrava che lui aveva ragione: non si trattava né di un villaggio né di un campo di zingari, ma soltanto di lavori, che la neve aveva interrotti.