'La forza della fragilità', con Vincenzo Paglia
Buonasera e benvenuti a Casa la Terza.
Io sono Lia Di Trapani, sono un editor della casettrice
e oggi sono molto contenta di poter ospitare
in questo nostro format Casa la Terza
la presentazione di un libro che è uscito pochissime settimane fa
ed è il libro di Monsignor Vincenzo Paglia, che saluto
e che ringrazio per essere qui con noi stasera
e il libro si intitola La forza della fragilità
a dialogare con Monsignor Paglia
abbiamo l'onore di avere il Professor Massimo Recalcati
che pure ringrazio moltissimo per questa sua disponibilità
Buonasera Professore
Buonasera
Entrambi i nostri ospiti, non è una formula di rito e la verità
non avrebbero bisogno di presentazioni
ma mi sembra comunque giusto dire almeno due parole
sui loro profili professionali
partendo dal nostro autore, ricordiamo che Vincenzo Paglia
è Presidente della Pontificia Accademia per la Vita
Consigliere spirituale della Comunità di Sant'Egidio
e tra le tante altre attività e titoli
voglio segnalare che da ultimo
coordina la Commissione Governativa per le Politiche
in favore della popolazione anziana in Italia
e quindi si occupa in maniera diretta
di un segmento fragile della nostra popolazione
è autore di molte pubblicazioni
questo è il terzo libro che Monsignor Paglia pubblica
con la Casa Editrice alla Terza
ed è una delle voci più ascoltate non solo nel mondo della Chiesa
ma direi nel dibattito pubblico del nostro Paese
il Professor Recalcati è psicoanalista
esercita la sua professione a Milano
ha svolto attività didattica in importanti università
a Pavia e a Verona
ed è Direttore Scientifico della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia IRPA
Istituto di Ricerca di Psicoanalisi Applicata
anche il Professor Recalcati è una voce presente, ascoltata
tra quelle dei nostri intellettuali
scrive spesso su Repubblica, è autore di numerosi testi
alcuni di taglio più scientifico e di ricerca
alta ed efficace di divulgazione
voglio nominare in particolare l'ultimo libro
che è veramente uscito da pochi giorni, credo addirittura
con l'editore Feltrinelli che si intitola
Pasolini, il fantasma dell'origine
allora, come vi dicevo prima
nello spazio di pochi minuti che ci siamo presi a Modinte prima
appunto prima della diretta
vi dicevo è della verità che sono davvero
curiosa di ascoltarvi e contenta di aver organizzato questo dialogo
perché entrambi per la vostra formazione
per la vostra attività di ricerca e studio
e per la vostra pratica quotidiana
vi confrontate quotidianamente con quello che è l'oggetto di questo libro
ovvero la fragilità
e sarà interessante quindi mettere a confronto
queste esperienze e pratiche, riflessioni diverse
Partirei solo da quello che è l'avvio del volume di Monsignor Paglia
il volume di Monsignor Paglia prende le mosse da una constatazione
quella cioè che la fragilità è una dimensione costitutiva dell'essere umano
e tuttavia ci siamo forse ricordati violentemente
del fatto che la fragilità sia una dimensione costitutiva dell'essere umano
proprio recentemente alla luce delle tragiche vicende legate alla pandemia
la pandemia ci ha messo di fronte con brutalità
di fronte appunto alla nostra mortalità
alla nostra vulnerabilità sotto il profilo della salute
la pandemia ci ha messo in più chiarezza davanti agli occhi
la situazione di tanti segmenti della popolazione
che è stata esposta più di altri a rischio
o riguardante la popolazione anziana in primis
e in qualche modo questa ultima stagione che abbiamo vissuto
ci ha svegliato un po' da un lungo sonno
in cui forse ci volevamo indire di non essere fragili
scrive Monsignor Paglia in apertura nel primo capitolo
nella mentalità comune la fragilità è l'immagine della debolezza
quindi di una condizione negativa persino dannosa
questa è stata lungo e per certi versi ancora l'immagine
che la nostra società e i nostri modelli culturali
ci trasmettono in quanto al tema fragilità
ecco su questo volevo sollecitare da subito il professor Recalcati
per chiedergli se come dire
nella sua esperienza anche lui ritiene che la fragilità è una dimensione
da cui si ritiene di doversi difendere
una dimensione di cui addirittura ci si vergogna
volevo appunto un confronto rispetto a questo avvio del volume
la fragilità come è vista mediamente ed è cambiato qualcosa negli ultimi tempi?
intanto grazie per questo invito
è per me un piacere essere qui e discutere questo libro
come spesso mi capita negli ultimi tempi
trovo sempre un'assonanza maggiore nella lettura di certi autori religiosi
come Vincenzo Paglia che non nei confronti degli psicanalisti
sarà un problema questo non lo so della mia disciplina forse
e perché questo libro a mio giudizio è un libro importante
e converge anche con diverse riflessioni che nel campo della psicanalisi stiamo facendo
e perché intanto isola questa parola chiave che è la parola fragilità
che è una parola come giustamente lei ha detto attraversa anche l'esperienza della psicanalisi
fragilis significa che noi siamo destinati alla morte
che la nostra vita è finita
che la sofferenza è inagirabile
che non siamo padroni delle nostre origini
e che non siamo autosufficienti
non siamo hence causa sui
non siamo causa di noi stessi
ma a partire da questa idea di fragilità
è chiaro che lo sfondo di questo libro è, come ricordava, l'esperienza traumatica del covid
questa esperienza viene tradotta da Monsignor Paglia come un magistero
ed è importante fare questa traduzione
non è solo un trauma quello che abbiamo vissuto
ma nel trauma c'è un magistero
e qual è il magistero del trauma?
beh è quello che i nostri sforzi collettivi
soprattutto diciamo in questo secolo
in questo nuovo secolo
di negazione ostinata del limite
di negazione ostinata della fragilità
la nostra retorica
come diceva Rosmini
della smisurata felicità come obbligo
la retorica della smisurata felicità
che finisce per cancellare la sofferenza, la morte, la povertà
la malattia
ebbè tutto questo, tutto questo grande sogno di potenza
si è ribaltato nel suo contrario
per cui noi abbiamo vissuto un trauma
e il trauma dal punto di vista anche clinico
è l'esperienza per la quale un soggetto
passa bruscamente
da una condizione di potenza
a una condizione di impotenza e di fragilità
come dire la fragilità emerge violentemente
tanto quanto ostinati erano i nostri sforzi a cancellarla
cioè a rimuoverla
cioè a negarla
e questo mi pare il primo punto
la prima lezione che poi questo libro isola molto bene
della pandemia
è appunto quella di averci confrontato nuovamente
e questo confronto è inaggirabile
e per certi versi definisce l'umano
definisce la forma umana della vita
con il nostro limite
con un'aggiunta che di fronte al limite
e qui introduco un binomio che
diciamo non è così esplicito nel libro
ma appunto sono interessato a sentire
Monsignore cosa ne pensa
penso di non tradire la sua ispirazione
rispetto a questo limite si è reagito
attraverso due diversi atteggiamenti
il primo atteggiamento è quello della paura
noi abbiamo avuto paura
noi ci siamo sentiti smarriti
la paura è il contrario della potenza
noi ci siamo sentiti smarriti
abbiamo avuto paura
come avevamo paura dello straniero
prima che apparisse il virus
come abbiamo paura di ciò che non conosciamo
come abbiamo paura dell'ignoto
come abbiamo paura della morte
abbiamo avuto paura
e una risposta nei confronti della paura
è l'isolamento
è il chiudersi
è il ripararsi
è rafforzare i confini
lo vediamo anche oggi
in questo secondo incubo terribile della guerra
che al suo fondamento è una paura
paura di essere aggrediti
dunque aggredisco perché ho paura di essere aggredito
la paura
si può fondare un legame sociale sulla paura?
la paura può essere il fondamento di un legame sociale generativo
la paura può essere il fondamento di una fratellanza
noi sappiamo che la nascita dello stato moderno
diciamo del patto sociale
avviene attraverso la paura
è la grande tesi di Hobbes
gli esseri umani si mettono insieme
perché condividono la paura
la paura della morte
se lo stato di natura è guerra di tutti contro tutti
allora bisogna come dire ripararci
dando al Leviatano il potere di stabilire la legge
e di proteggere le vite
ma la paura non è la parola scelta da Vincenzo Paglia
in questo libro
l'altra parola che apre un altro tipo di prospettiva
è la parola fragilità
non è solo la considerazione che esistono dei limiti
ma è un modo di pensare il legame sociale
e qui arrivo a concludere
visto che non voglio tenere troppo la parola
se noi mettiamo da una parte
l'origine del legame sociale
a partire dalla paura
Hobbes, il Leviatano
la guerra di tutti contro tutti
il difendersi dall'altro
e dall'altra parte l'idea
che esista un punto di comunione
di condivisione
che è legato al fatto di sentirci
come Paglia ripete spesso nel libro
e mi pare essere un filo rosso del libro
uniti nella sofferenza che abbiamo vissuto
uniti nella precarietà che abbiamo sperimentato
uniti nella cura che ciascuno
dedica all'altro nel tempo della maggior difficoltà
e del maggior smarrimento
un conto è la risposta che si genera dalla paura
un altro conto è la risposta che si genera
dal riconoscersi avere lo stesso destino
la stessa cifra
che è quella dell'essere umano
in questo senso contrapporrei a Hobbes
lo stato di natura, guerra di tutti contro tutti
una grande figura biblica che non è citata nel libro
che è la figura di Giobbe
che è la figura della sofferenza
perché su quello si può costruire
un autentico patto sociale
sul riconoscimento reciproco
che senza l'altro noi siamo perduti
grazie professore per queste prime riflessioni
per questi stimoli
che aprono a molte direzioni di approfondimento
ovviamente do subito la parola
a Monsignor Paglia, ma volevo sottolineare
tra i passaggi
interessanti che abbiamo ascoltato fin qui
uno in particolare
è quello legato alla paura
come esito della consapevolezza
della propria fragilità
e al fatto che, diceva il professor Recalcati
la paura può avere come
conseguenza ulteriore
l'isolamento
ho paura, quindi mi rinchiudo
ho paura, alzo i muri
è una strada possibile
è una conseguenza verosimile
più che verosimile diciamo
spesso reale, e però Vincenzo
ti solleciterei anche su questo punto
è esattamente come dire
la strada che tu
temi più di tutte le altre
perché il libro è un'esortazione
costante, lo ha ricordato anche il professore Recalcati
ha una risposta che si ha
al plurale
allora ti chiederei nel
appunto nell'approfondire
alcune delle sollecitazioni
che già abbiamo avuto fin qui
di toccare in particolare
anche questo tema della paura
e delle direzioni
pericolose che essa può prendere
grazie
io ringrazio anche per l'invito
non solo ma anche per
aver ascoltato alcune
riflessioni di Massimo
Recalcati che come spesso
accade, arricchiscono
quello che uno ha già scritto
e permettono di approfondire
e anche di condurre
anche un po' oltre
le riflessioni che uno
che si fissano su un libro
in effetti la spinta
a sottolineare il magistero
del covid
cioè è stata una grande lezione
e la grande lezione
è che nel pieno della nostra
come dire superanza
tecnologica
nel pieno dello sviluppo
è bastato
un piccolo essere
invisibile
per di più parassita neppure vivente
che ci ha messi tutti in ginocchio
tutti e tutto
ora questa lezione terribile
della come dire
della riscoperta
tragica
della fragilità
ha però comportato
e questo per me è un punto importante
per chi ha potuto viverlo
io l'ho vissuto
anche una reazione singolare di molti
io ho visto crescere
durante la pandemia
spinte solidaristiche
belle
analogamente a quello
che un po' sta succedendo
ora con la guerra
se noi pensiamo che
fino a pochi mesi fa
i confini dell'est Europa
erano segnati da filo spinato
oggi vediamo
una grande apertura
non direi più che dei governi
della popolazione
cioè la fragilità
allora
se per un verso
ci fa riscoprire la paura
per l'altro verso
ha come nel suo profondo
una forza
positiva
che è la forza
che si sperimenta
quando
se ci si unisce tra fragili
si supera il pericolo
si superano
le difficoltà
anzi
viene fino ad emergere
l'urgenza
di una nuova visione
quando si è
fragili c'è una sensibilità
in più
che è quella di sentire il bisogno di aiuto
che è quella di urlare aiuto
che è quella di stendere la mano
che è quella anche di riconoscere
più facilmente
la fragilità dell'altro
diceva
un antico monoco
benedittinio medievale
Ubiamor
Ibi Oculos
se c'è un po' d'amore
ci sono occhi per vedere
ecco perché allora
la fragilità
può essere anche
come dire una spinta
a riconoscersi
vicini
e a scegliere
la vicinanza de facto
in una fraternità di scelta
a fare di ciò che
abbiamo visto esistere
nella biologia
ricordiamo la famosa
il battito d'ali di una farfalla
che poi produce un ciclone
in California
ecco questo legame de facto
oggi deve diventare una scelta
altrimenti se non diventa
una scelta diventa una condanna
infatti
la ragione
di una pandemia che ci ha distrutto
nasce dalla disattenzione
per una globalità
solo diciamo
di efficienza
e non di solidarietà
un mondo troppo largo
ci ha costretti a rinchiudersi
ad isolarci
e questo ci ha reso più deboli
più fragili
sia nella pandemia
ma anche adesso nella guerra
la divisione
rende più fragili
ecco perché io
direi che la forza della fragilità
è una forza
che nasce dalla
consapevolezza
che l'unione dei fragili
ci rende davvero molto forti
non so se questo si può dire
in maniera sloganistica
ma non c'è dubbio
che
il monoteismo dell'io
la egolatria direbbe
Giuseppe de Rita
o l'io come re
cade ai piedi d'argilla
cade al minimo
come dire
problema della globalizzazione
fino a distruggersi
anzi a cercare la pace
dopo essersi distrutti
ecco io invece credo
che la
fragilità
ha dentro di sé una sorta di
se accolta e compresa
di una nuova etica
l'etica
della responsabilità
vicendevole
l'etica della cura
di fronte alla guerra
di fronte alla pandemia
di fronte
alla prossima prova
quella delle cavallette
non so che cosa
potrà avvenire
l'unica vera salvezza
è il prenderci cura
gli uni degli altri
perché da questa reciprocità
che nasce
un nuovo umanesimo
o nuovi umanesimi
ecco
questo voglio dire
come diceva prima bene
i professori Calcati
nessuno
nessuno auto nasce
nessuno si autobattezza
tutti noi
nasciamo
per l'incontro tra due persone
questo
come dire
questa fragilità iniziale
che è il grande dono
della vita è subito
un noi
non c'è un io assoluto
e questo dovrebbe
insegnarci tante cose
poi il professore Calcatti
non riesco a sottolineare
la sparizione del padre
o della madre
grazie Lucesso
intanto
hai aperto in questo
tuo intervento anche una dimensione
che è presente nel libro
e che è una dimensione politica
politica nel senso più alto
del termine
nel senso appunto
della logica quotidiana
parlamentare o partitica
nel senso che tu
nel libro dici esplicitamente
che di nuovo appunto
questa interconnessione
che si è resa così evidente negli ultimi due anni
per via della pandemia
ha messo un po'
come dire a nudo tutti i limiti
delle visioni sovraniste
che invece come dire avevano
dominato
l'attenzione
da un certo punto di vista
il fatto che
ai noi c'è una guerra dentro casa
purtroppo
sembrerebbe ricordarci
che invece ancora
la lettura che tu proponi
non è così entrata
nelle teste
nei cuori di tutti
e tuttavia di nuovo
lo scenario che stiamo assistendo ci ricorda
l'interconnessione
e la difficoltà
anche come dire
di fare scelte
la difficoltà strategica, operativa, politica
in cui i paesi europei
il nostro piccolo
si vedono appunto
coinvolti in questo periodo
è proprio legata dalla consapevolezza
che c'è un legame
fortissimo di tutti
con tutti
passerei alla dimensione
politica sociale
la dimensione invece è un pochino più
legata all'individuo professore
sia per iniziare a dialogare un po' anche con i nostri
ascoltatori
una persona
voleva sapere da lei se nella sua esperienza
è cresciuto
il disagio
psicologico
e se ci vuole dire
come dire, se c'è una particolare
coloritura di un disagio
anche nuovo a cui si assiste
in questo periodo
un altro punto in cui la volevo sollecitare
io invece perché è troppo augiotta
all'occasione
è legato a due
figure mitologiche
che sono centrali anche per il discorso
della psicanalisi a cui fa ricorso
non si inorpaglia nel suo libro
e sono le figure di Prometeo e di Narciso
due come dire
modelli di comportamento
entrambi pericolosi
volevo sapere appunto se si è
riconosciuto in questa lettura
di non si inorpaglia, se ci vuole dire
qualche cosa su cosa è diventato
il narcisismo oggi
se è meno pericoloso che in passato
se insomma volevo
avere il piacere di
sentire da lei un po' una
lettura di questa parte
anche della riflessione di non si inorpaglia
non la sentiamo?
provo a dare delle risposte rapide
a tutte e tre le questioni
permettendomi anche però di fare
una piccola
sottolineatura
sulla dimensione politica del testo
di non si inorpaglia
perché mi sembra che lì
come dire
ci sono due indicazioni
molto preziose
la prima indicazione
fa perno sulla cura
noi non dobbiamo
dissociare la cura
dalla politica
cioè non dobbiamo pensare che
la politica
possa esistere senza
implicare una pratica
di cura
e quando diciamo
il signor Pallalo lo dice
meglio nel libro, quando diciamo
che il prendersi cura
è un destino possibile
della fragilità
significa che
la cura impedisce ogni volta
alla vita umana
di essere spersonalizzata in un numero
quando c'è cura
l'altro, quello di cui io mi prendo cura
non è mai un numero
ma assume come diceva Francesco
nella sua enciclica
assume il valore di
di essere
immensamente sacro
immensamente
sacro è l'altro a cui
noi ci dedichiamo
diventa
quando c'è cura
le singolarità sono tutte messe in valore
la politica ha bisogno
della cura
per non
inaridirsi
ed essere solo il luogo dove si
si trasmettono numeri
si quantifica la vita
si spersonalizza la vita
accade anche nella guerra
sono dei numeri
quanti civili, quanti soldati, quanti carri armati
dietro il numero c'è sempre
un volto
come dice un filosofo
c'è sempre un volto
e il volto è il segno
del carattere immensamente sacro
della vita
questo è un primo punto
un secondo punto molto importante
è una lettura
molto identica a quella che Pasolini
ha scritto nella prima lettera di San Paolo e Corinzi
quando
Paglia fa a suo modo
però molto convergenti
in cui si dice che la politica
si fonda sulle grandi parole
della fede e della speranza
ma se queste due parole
restano dissociate
dalla terza parola
che è quella dell'amore
diventano mostruose
semplicemente mostruose
le parole della fede e della speranza
di una grande Russia
del recupero
della restaurazione dell'impero
del recupero dei propri territori
la fede e la speranza
è l'amore che
impedisce che queste due parole
si rivelino mostruose
la domanda
vado in ordine
la domanda della nostra ascoltatrice
quella domanda
risponderei così
che per un verso è evidente che il disagio ha aumentato
coinvolge soprattutto
dal punto di vista psichico
le nuove generazioni
e soprattutto sintomi
come l'attacco di panico
come lo stato d'ansia
come la somatizzazione
come i passaggi all'atto auto-lessivi
come la depressione
che ha investito profondamente
il mondo giovanile
mentre noi siamo abituati a pensare
che la depressione è come dire
accompagni la vita nel suo declino
e invece il covid
ha esasperato una tendenza
che era già in atto prima
cioè sono i giovani
che soffrono maggiormente di depressione
e questa sofferenza è legata
alla mancanza di senso della vita
diciamo la vita non acquista senso
e se la vita non acquista senso
la depressione è la risposta
alla caduta del senso
al tempo stesso però direi
che sarebbe un gravissimo errore
è un punto su cui io insisto molto
nell'etichettare
questa generazione
come la generazione covid
non esiste nessuna generazione covid
esiste un disagio
che deve essere curato
con attenzione
ma se noi introduciamo il termine
nefasto di generazione covid
noi trasformiamo
la sofferenza
in una vittima
mettere l'abito della vittima
significa mettere un abito torbido
che impedisce
l'assunzione della responsabilità
io ho due figli adolescenti
quindi so quanto hanno sofferto
ma non penso che siano generazione covid
penso che il loro compito
sia rendere generativo
quello che hanno vissuto
perché la formazione non è lineare
non è mai come sapere
che la gente ha vissuto
non è mai come salire una scala
un piolo dopo l'altro
la formazione è fatta di inciampi
di incidenti
di cadute da cavallo
è fatta di urti
è fatta di fallimenti
e dunque è fatta anche di prove
come quella del covid
è una prova assolutamente difficile
epocale per certi versi
ma ecco io non identificherei
questa generazione
come la generazione covid
la terza questione
ricordamela?
prometeo e narciso
in realtà il nostro tempo
è il tempo di narciso
innanzitutto lo dice anche Paglia
questo è il tempo di narciso
su questo c'è una grande convergenza
di autori molto diversi tra loro
cosa significa
dire che il nostro tempo
è il tempo di narciso
beh
se ci pensate
e qui rubo un po' il mestiere di Monsignor Paglia
se uno
prende la Torah
c'è un solo peccato
nella Torah
è vero che uno può dire non è vero
c'è una moltiplicazione di peccati
perché si moltiplicano i precetti
ogni cosa che uno fa deve stare attento
ma in realtà
se noi andiamo veramente al sodo
c'è un solo grande peccato
che è la sola grande follia
dell'umano di cui la Torah parla
in continuazione
che è quella di
credersi Dio
di voler farsi Dio
del criterio di essere Dio
che dal serpente tentatore
non a caso evocato da Monsignor Paglia
nel suo libro anche se rapidamente
dalla tentazione
del serpente
non è tanto assaggiare l'oggetto
proibito, non è quello il punto
il punto è farsi come Dio
farsi essere Dio
ma questo si vede in Putin
Putin è la realizzazione
di questa tentazione
di farsi Dio
la bomba atomica che cos'è?
sono come Dio
decido della vita e della morte
di tutti
allora questa deificazione
è diciamo
la forma estrema del narcisismo
la forma maligna del narcisismo
e io penso che sia
un tratto del nostro tempo
di quello che io chiamo appunto
il tempo ipermoderno
concludo su questa parola
che Paglia cittadini Poveschi
che è un autore per me importante
che usa questa
espressione di ipermodernità
il significato che io do a questo termine
è molto semplice
se pensiamo alla modernità con Kant
noi pensiamo
che la modernità
cioè il tempo dell'illuminismo
è stato il tempo in cui l'essere umano
la ragione critica si è emancipata
dalla superscrizione religiosa
nel senso del termine
dall'irrazionalità
delle tenebre
e quindi è un processo di emancipazione
lì io ho guadagnato
la propria autonomia critica
l'ipermodernità
consiste nella
trasfigurazione
narcisistica di questa autonomia
cioè l'io diventa come Dio
l'io diventa
Dio
siamo di fronte
quindi ecco il tema biblico
siamo di fronte alla
natura perversa del desiderio umano
la Bibbia non è mai morale
almeno
io sono un lettore
ma non c'è mai
moralismo nella Bibbia
ma
c'è l'idea che
l'umano si ammala
quando rigetta la sua fragilità
non è la fragilità la malattia
ma questo guardi
che ha un valore anche clinico
quando i pazienti stanno male
quando si credono degli io
quando sono troppo attaccati al loro io
quando stanno bene, quando fanno amicizia
diciamo nel modo semplice
con la loro fragilità
vanno meglio
questo ci rassura molto
e la ringraziamo
io continuo
sulla scia di Massimo
Calcati
dicendo che in effetti
questa volta faccio il prete
in effetti
Narciso è il primo santo del calendario
forse anche l'unico
direbbe Steiner
che è l'unico
santo venerato
sul cui altare
si sacrifica tutto
anche gli affetti più cari
per questo io credo che
dire che la fragilità
non è una anomalia
dire che il limite
è la condizione umana
è come dire
deve diventare un patrimonio comune
un patrimonio comune di tutti
della scienza, della politica
dell'economia
della spiritualità
della cultura
ecco perché io credo che
ci troviamo di fronte
ad un cambio di epoca
dice Papa Francesco
perché quando il professore Calcati
ricorda l'atomica
e noi per la prima volta nella storia
l'uomo può distruggere
tutti gli altri
la seconda ondata
il tema dell'ecologia
con la distruzione
dell'ambiente
noi possiamo distruggere
l'intero creato
c'è poi una terza prospettiva
che nel libro accenno
tutte le nuove tecnologie
convergenti ed emergenti
dall'intelligenza artificiale
ed intorni
che possono davvero trasformare
l'uomo in una macchina
ecco perché
la dimensione della fragilità
o del limite
diciamo così
è davvero
come dire
la prospettiva più umanizzante
e quando si accenna
appunto
all'amore come cardine
anche della libertà
e dell'uguaglianza
per me è molto vero
perché la famosa affermazione
la mia libertà
finisce dove inizia la tua
e non è più vera
dobbiamo essere liberi solidarmente
congiuntamente
ecco perché
io ho voluto sottolineare un aspetto
cioè aggiungo al termine
fraternità
anche
l'altro termine amicizia
perché una fraternità
malintesa
può diventare omicida
dire che il popolo russo e il popolo italiano
sono un unico popolo
o anche che sono popoli fratelli
ma deve esserci anche
una fraternità
amicale
segnata dall'amore
ecco perché
è un tempo questo particolarmente
prezioso
per riflettere, per dibattere
ecco questo nostro piccolo incontro
io lo sento anche
come un piccolo
aiuto
per sostenerci tutti
in una nuova visione
che deve arrivare
ed è per me triste
assistere
ad esempio
a tanti dibatti
da adesso anche sulla guerra
perchè sono privi
di una visione
quale Europa, quale mondo
vogliamo
dopo quello che sta accadendo
non può esistere un cessato
il fuoco senza una visione
che sia
una visione di
fraternità plurale
una visione
della amicizia
tra i popoli, a me ha fatto sempre
impressione
un'affermazione, qui parlo soprattutto
per i credenti, per i cristiani
un'affermazione di un grande
patriarcha, Tenagoras
quello che si abbracciò con Paolo VI
negli anni 60
rompendo una
divisione e lui diceva
chiese sorelle
popoli fratelli
noi possiamo dire
chiese divise
popoli divisi
ecco bisogna dare
anche al termine
fraternità
un valore
di quell'amicalità, Aristotile diceva
che la polis si fondava sull'amicizia
ecco
un po' su questo io credo
che la politica, l'economia
e il resto, compresa la chiesa
dovremmo riflettere
con maggiore attenzione
perché ha ragione
nel dire che la Bibbia non è
morale, la Bibbia è storica
ed è la storia che ci salva
se è una storia non di
narcisi o di prometei
ma la storia di fratelli
che cercano di amarsi
e di sostenersi
di qui il termine della cura
che prima veniva evocata
io volevo
girarti
una riflessione, una domanda
di Pierluigi
che ci scrive
e approfittare di questa domanda
che ora ti farò per
chiederti anche un commento
sulla tua ultima
attività, sulla tua ultima esperienza
appunto legata al mondo
degli anziani, ci chiede Pierluigi se la
presa di coscienza della necessità
della cura di cui stiamo parlando
è stata
assimilata davvero
o se invece non è
stata una parentesi appunto
emergenziale che già
sta tramontando
e appunto approfitto di questa domanda
per chiederti Vincenzo che
lezioni stai
traendo, che riflessioni
stai facendo da
questo tuo confronto ancora più
serrato che in passato, ovviamente tu di anziani
ti sei occupato molto anche
negli anni passati, però ti volevo chiedere
nella tua esperienza con
l'RSA, con le tante
occasioni di incontro che hai avuto, con le scelte
anche politiche
a cui si sta lavorando, che
riflessioni ci vuoi restituire
su questo punto?
Una battuta che è un po' diversa da
quella che ha fatto il Papa
durante il Covid io amo
dire che siamo tutti
nella stessa tempesta
ma in barche differenti
ci sono alcune
barche molto più fragili
come quelle degli anziani
che sono state spazzate
via in una maniera
incredibilmente
senza
ostacoli
e in effetti questo è avvenuto perché
perché manca la cura
per un verso
la società ci ha allungato la vita di 20-30 anni
per l'altro verso
non sa come mantenercela
ecco la sfida
di come prendersi cura
degli anziani
del nostro paese
non offrire qualche
servizio
ma visto che viviamo tutti
20-30 anni in più
in una prospettiva di infragilimento
è urgente
che la società
si attrezzi
permettetemi questa parola
per prendersi cura di tutti
e accompagnarci
nei nostri
lunghi anni
di infragilimento
appunto prendendoci cura
di un gli altri
e la società dei più deboli
in questo la parte
degli anziani
per certi versi è quella più
fragile ed io
mi trovo in una condizione davvero un po'
singolare di un religioso
anzi di un
vescovo che dirige un di
castello vaticano di essere anche a
palazzo chigi responsabile
di una commissione che deve
riorganizzare la politica
degli anziani però qui vedo
una strana alleanza
ho accolto questa sfida
perché vedo che oggi
non possiamo stare tanto a dibattere
sulle competenze
oggi c'è una
alleanza comunque
da fare tra
tutti per poter
prendersi cura e sollevare
e aiutare
coloro che sono i più fragili
anzi gli anziani
nella loro fragilità ci dicono
che tutte le età sono
fragili compresa quella giovanile
e questo è un
cambio di cultura
grazie
Vincenzo mi vengono in mente alcune
discussioni che abbiamo
fatto insieme durante la gestazione
del libro intorno al
mito della salute perfetta
ti ricordi Vincenzo? Condividi
con Massimo e con chi ci ascolta
noi avevamo letto insieme questa
definizione di salute
dell'organizzazione mondiale di sanità
poi è cambiata, devi ora
la domanda è a professore Calcati
questa
no nel senso che
come dire
un incentivo alla
nevrosi quella definizione nel senso che
nessuno si può definire in salute
se la salute appunto
è legata a quella definizione
appunto di mancanza
di qualunque forma di malessere
allora mi collego anche a quanto
diceva adesso appunto
Monsignor Paglia
sull'allungamento medio della vita che è una cosa
ovviamente straordinaria
e che però
necessariamente ci mette
a confronto con una lunghissima
stagione in cui la salute perfetta
non è pensabile di averla
e ricordava appunto Monsignor Paglia
che in realtà appunto le fragilità
esistono in tutte le fasi
volevo sollecitare appunto su questo il professor Calcati
questo mito della salute perfetta
ora ci spostiamo ma apparentemente
dal tema
quanti danni ha fatto e quanti danni
continua a fare
beh si insomma
già l'espressione se ci pensate
no
diritto alla salute
è un'espressione
in sé molto contraddittoria
perché
il diritto alla salute non è che noi lo
possiamo assicurare
anzi fa parte
della vita stessa il rischio
di una malattia
nell'atrocità
la malattia che colpisce i bambini per esempio
dov'è il diritto alla salute lì?
c'è una fatalità
c'è qualcosa che noi non possiamo governare
ho evocato prima la figura
di Giobbe che tra tutte è quella che più
incarna questo paradosso
di una sofferenza che non ha legge
quindi quando noi invochiamo
il diritto alla salute in realtà
stiamo formulando qualcosa di
profondamente contraddittorio
il diritto non può essere alla salute
il diritto deve essere alla cura
quello lo possiamo assicurare
noi possiamo assicurare
il diritto alla cura
e come fa notare giustamente Paglia
e questo è un tema a me molto caro
facendo supervisione
clinica in certi hospice
per esempio che si occupano
di accompagnare la vita
alla sua fine diciamo
noi lì vediamo bene che
la cura prosegue
quando la terapia
ha esaurito le sue possibilità
cioè che la cura e la terapia
non sono le stesse cose
così come non è la stessa cosa la cura e la guarigione
come dire noi vediamo a volte
che la terapia ha esaurito
la sua potenzialità
diciamo
benefica
ma resta la cura
e la cura è ciò che umanizza
diciamo così la relazione
con l'altro
e noi dobbiamo preservare
la cura
quindi non garantire un astratto
diritto alla salute
ma garantire un concreto
di spirito e materia
una cura che esorbita
sia la dimensione della guarigione
sia la dimensione della terapia
aggiungerei un'altra cosa
ma qui proprio riguarda il mio mestiere
ma se uno di voi
prendesse l'ultima
formulazione
dei disturbi mentali
il DSM
tutti noi
noi tre
3 più 1
4
tutti noi
e tutte le persone che ci ascoltano
saremmo dentro questo manuale
quindi allora
da una parte c'è
l'idealizzazione della salute
dall'altra parte
c'è la medicalizzazione
della vita
cioè quando un bambino per esempio
in una scuola elementare
particolarmente vivace
difficile da disciplinare
la diagnosi di bambino
iperattivo
non se la prende
una bambina che ha una
fobia alimentare
diventa anoressica
un bambino che fa fatica
ad apprendere
rivela una dislessia
una discalculia
noi siamo di fronte anche ad una esasperazione
della medicalizzazione
della vita
mentre noi dovremmo sempre ribadire il concetto
per cui tutti siamo fatti in modo strano
in modo diverso
in modo un po' disturbato
il problema è rendere il disturbo
fecondo
non pensare che la
salute sia la soppressione
dei cosiddetti disturbi
che poi sono i nostri talenti in realtà
se uno va proprio a spingere a fondo
le cose
cioè le mie anomalie, le mie bizzarrie
parlo dal punto di vista mentale
sono anche
le mie risorse
come dice Paglia
la mia fragilità è preziosa
in quanto tale, in quanto fragile
nonostante
la fragilità
noi dovremmo
liberarci di un concetto di felicità
che è un concetto
conformista
mentre ciascuno di noi
ha il diritto di avere una misura singolare
della sua felicità
perché solo nei regimi totalitari
esiste
un solo modo di essere felice
e che viene
imposto tra l'altro in modo
solitamente violento
e repressivo
Io intervengo solo per salutare
quanti ci ascoltano, mi presento
sono Dario Bassani, il social media manager
degli editori della Terze
e vorrei dire che purtroppo
Lia Di Trapani, la nostra editor, ha avuto
un problema di carattere tecnico
e che quindi non potrà
continuare a moderare
questo bellissimo dialogo che stiamo
tutti seguendo
quindi io ringrazio moltissimo
il professor Recalcati e il monsignor Paglia
che insomma ci hanno dato
molto su cui
pensare in questo momento
e insomma
se non avete altre cose da aggiungere
io fermerei qui
la conversazione
se il monsignor ci congeda
con un'ultima riflessione
Io volevo legarmi
all'ultima affermazione del professor Recalcati
noi corriamo il rischio
di aver, come dire,
romanticizzato l'amore
e romanticizzata
persino la salute
cioè l'abbiamo come
strappata dalla storia
e la storia
è un complesso di
come dire, di debolezze, di ricchezza
di fragilità
di emozioni
ed è in questo
senso allora che forse
la cosa, l'affermazione
più bella
che io vorrei lasciare
più bella, affermazione bella
che ho, ecco lì è tornata
l'affermazione più bella
che io vorrei fare
anche vedendoci finalmente noi tre
come la faceva un bravo
gesuita francese
mai senza l'altro
adesso non voglio dire
mai senza noi tre
allarghiamo
mai senza l'altro
è un modo per capire meglio
e poi vivere meglio questo nostro tempo
quest'epoca che ha bisogno
in effetti di uno scatto
di riflessione
e anche di cura
grazie Vincenzo
mi scuso per essermi assentata
per qualche minuto
ma a proposito di fragilità
dopo due anni di collegamenti
di zoom e di dirette
i miei limiti rispetto alla tecnologia
sono assolutamente identici
vi ringrazio davvero molto
è un'emozione stimolante
che lascia a me
ma credo lascerà tutte le persone
che ci hanno ascoltato
con questa convinzione
della necessità di non limitarsi
alla tecnica
di non limitarsi
a uno sguardo corto
mi pare che l'esortazione
che è arrivata forte e potente
è quella appunto di richiamarsi
ai valori dell'etica
ai valori della comunità
e aggiungo ai valori
dell'ascolto
e del tentativo
di capire
la complessità
di quello che c'è dentro di noi
e intorno a noi
anche a questo servono i libri
che cerchiamo di fare insieme
sicuramente è un tentativo
come dire di comprendere
questa complessità
e insieme anche l'esortazione
a una risposta possibile
che tra l'altro ha questa copertina
che io trovo bellissima
e naturalmente sono
strumenti utilissimi per capire
molto di noi stessi
e degli altri i libri del professor
Recalcati che ora le faccio
questo piccolo dispetto
lei aveva detto non sono qui per parlare dei libri miei
ma almeno in chiusura mi lascia
esprimere la mia gratitudine
perché io sono una sua lettrice
molto attenta, guardi qui quanti ne ho
e quindi è stata veramente un'occasione per me di grande arricchimento
e come senz'altro lo è stato per tutti coloro che ci hanno ascoltato fin qui
grazie davvero, vi ricordo
Vincenzo Paglia, La Forza della Fragilità
grazie professor Recalcati
grazie, faccio vedere il libro
l'ultimo non c'era ancora?
ah no, pensavo fosse il suo
grazie, grazie professor
un saluto a tutti