'La nuova normalità: Istruzioni per un futuro migliore'
Eccoci, buonasera, buonasera a tutti, buonasera a tutti quelli che ci ascoltano e buonasera
a Rosa Polacco, a Ilvo Diamanti e a Innocenzo Cipolletta. Io sono qui per salutarvi e dirvi
quanto sono contento di questo incontro tra persone che, come dire, si frequentano in
vario modo, si conoscono. Intanto ringrazio Rosa Polacco, giornalista, giornalista del
Rai di Radio 3 perché è una delle persone che segue con più attenzione non soltanto
le cose dei libri della cultura in senso umanistico, ma anche, posso dirlo, le cose dell'economia.
Noi tra pochi giorni apriremo l'edizione del Festival d'Economia, la quindicesima, con
Innocenzo Cipolletta che è stato tra i fondatori del Festival. Ilvo Diamanti è venuto a non
so quante edizioni a discutere. Però quest'anno non è stato invitato. Quest'anno non è
stato invitato perché a un certo punto bisogna creare l'appetito, giusto Ilvo? Eh, se no
diciamo l'anno prossimo ci saranno le manifestazioni di piazza. Andrò alla concorrenza, andrò
alla concorrenza. L'economia non ha concorrenza. Non ha concorrenza, beh questo mi viene, sono
contento di Carosa, il quale ci seguirà anche appunto come RAI. E sono particolarmente contento
perché a discutere e a presentare il libro di Innocenzo Cipolletta, La Nuova Normalità,
uscito in questi giorni con un sottotitolo impegnativo che poi commenterete, Istruzioni
per un futuro migliore, quindi queste istruzioni pratiche le ascolteremo, abbiamo Ilvo Diamanti
che è una delle persone che in questi anni ha ragionato di più sui cambiamenti di cui
Innocenzo Cipolletta parla in questo libro. Lo ha fatto in tanti modi, lo ha fatto facendo
ricerche, organizzando analisi, intervenendo sui giornali, repubblica negli ultimi anni e anche con
libri. Io sono il fortunato privilegiato editore che non tutti, perché purtroppo non sono uscito
a pubblicarli tutti, ma una buona parte dei libri di Ilvo Diamanti li ha pubblicati e ne ricordo
solo l'ultimo che ha un titolo che è merito suo perché Ilvo è un grandissimo titolista e da editore
non posso che apprezzarlo, lo ha mi ha proposto un giorno, chiamiamolo Popolocrazia, le metamorfosi
della nostra democrazia e Popolocrazia era il titolo giusto per quel libro che non affrontava
i temi del populismo in quanto movimento politico o movimenti politici che definiamo populisti,
ma di una torsione appunto di tutto il sistema. E ripeto, parlando di nuova normalità credo che
questi temi entreranno. Innocenzo Cipolletta è una persona che molti di quelli che ci ascoltano
conoscono, che ha fatto molto nella sua vita attraversando continuamente il confine tra
la pratica dell'economia, la gestione dell'economia e l'analisi economica da cui è nato. Innocenzo
Cipolletta è un economista, ha iniziato studiando da econometrico ed analista i dati dell'economia,
i fatti e poi nell'ufficio studi di varie organizzazioni, è stato direttore di Confindustria,
ha svolto incariche importanti al vertice di aziende private e pubbliche e però ha
riflettuto molto sui fenomeni in cui l'economia era sempre collegata, però,
e questo è uno dei suoi pregi che non tutti gli economisti hanno, con una sfera più ampia che è
quella politica ovviamente, ma anche quella sociale, quella culturale. E nella nuova normalità,
in questo suo ultimo libro, questo si vede moltissimo. E ultima cosa che dico e di cui
gli sono grato è che la scrittura è di assoluta chiarezza. Addirittura qualche volta sembra che le
cose cui parla le renda talmente chiare che sembrano semplici, mentre non lo sono affatto.
In realtà non lo sono affatto. E però questa è una delle virtù che tutti riconoscono e io,
come editore, non posso che essergli grato. Mi fermo qui, passo la parola a Rosso Polacco,
che condurrà questa conversazione, e ci rivediamo alla fine per i saluti finali. Grazie ancora e a
presto. Grazie Giuseppe Laterza e grazie agli ospiti di questa sera. Un libro veramente denso,
utile, illuminante e incoraggiante, soprattutto. Qualcosa di cui c'era bisogno per rispondere allo
spaisamento che ci colpisce da da oltre un anno, con quella chiarezza a cui faceva riferimento
Giuseppe Laterza, che è parte di questa parte importante, di questa stessa vena incoraggiante,
che almeno io ho trovato nel libro di Innocenzo e Cipolletta, La Nuova Normalità, Istruzioni per
un futuro migliore. Allora, da dove partire? L'ho detto, è molto denso, anche i miei appunti lo
sono. La Nuova Normalità è quella delle crisi, è quella dei cigni neri. Forse lo ricorderete,
il cigno nero è una sorta di profezia, quella del filosofo americano Nassim Taleb, che in un
libro si chiamava appunto Il Cigno Nero, mette al centro l'elemento dell'imprevedibilità. Il
futuro, come dice Taleb, è assolutamente imprevedibile e lo riporta anche Cipolletta
all'inizio del libro, sarà sempre meno prevedibile ed è da questo assunto che bisogna partire per
organizzare stati, modelli, filosofie e sistemi. Se gli elementi imprevedibili diventano la norma,
e non l'eccezione, e le crisi si susseguono e si stratificano l'una sopra l'altra in una
circolarità di cause ed effetti che le rendono, come abbiamo visto anche naturalmente in questa
pandemia, che è l'occasione, immagino, delle riflessioni di innocenza Cipolletta, che però
vengono da prima e vengono da lontano, se tutto questo rende le crisi più difficili da comprendere,
questo non significa che siano impossibili da affrontare e da analizzare. Allora, Cipolletta,
Ehivi percorre, poi conclude, con un apparato storico che già prima, a Of the Records e
Diamanti, sottolineava come un elemento veramente prezioso di questo studio, sugli eventi più
rilevanti dal dopoguerra a oggi. Per molti di questi eventi abbiamo pensato, o abbiamo letto,
abbiamo sentito la frase, niente sarà più come prima, questa frase tombale che toglie il fiato
e toglie soprattutto le prospettive. Se guardiamo solo all'inizio di questo 2000 pieno di promesse,
solo nei suoi primi 20 anni, sono tre le crisi che abbiamo affrontato, l'11 settembre 2001,
la crisi nascata dal terrorismo globale, con la nascita di quell'industria della sorveglianza,
che Cipolletta ricorda, la crisi finanziaria del 2007 e la pandemia, non c'è bisogno di ricordarlo,
del 2020. Un'era di turbulenza, lei Cipolletta, a un certo punto dice, non possiamo più pensare
di tornare a una normalità che escluda le crisi, le crisi diventano quindi paradigma e questo
richiede che si elaborino nuove strutture solide e al tempo stesso però mi sembra anche agili. Come
si entra in questo futuro dove la crisi è sistematica? Beh grazie, grazie per le parole
che sono state dette anche le mie confronti. Questa è una riflessione che nasce proprio dal
fatto che c'è una sequenza di crisi e ogni volta che le abbiamo affrontate, abbiamo detto accidenti,
nulla sarà più come prima, tutto cambia e poi abbiamo ripreso a vivere normalmente e ci siamo
quasi scordati delle crisi passate. Io questa prima osservazione l'ho avuto quando cominciai
a lavorare, alla fine degli anni 60, mi imbattei come economista nella prima crisi da petrolio,
alla fine del gold standard, i cambi che erano fissi e io credevo veramente che il mondo era
cambiato completamente. Oggi quando si parla a qualche giovane di quella crisi, nessuno se la
ricorda più, pensano a sì vabbè ma quelli erano tempi sicuri, erano tempi belli, erano tempi
tranquilli, come qualche duro pensa al periodo del miracolo economico, come se il miracolo
economico fosse stato un periodo tranquillo, tutti sapevano che sarebbe andato bene, tutti
rimpiangono quei tempi. Io sono nato nel 41 e mi ricordo che quegli anni erano terribili,
anni in cui la gente soffriva, ci facevano sacrifici giganteschi. Basta ricordarsi che
gli anni 50 e anche buona parte degli anni 60 sono stati gli anni del grande esodo degli italiani,
grandi migrazioni degli italiani avvengono nel miracolo economico, cioè quando noi diventiamo
ricchi, almeno col senno del poi diciamo che se eravamo diventati ricchi, una gran parte,
milioni di italiani scappavano dall'Italia perché morivano di fame. Questo per ricordare che le crisi
piano piano uno se le dimentica, però è certo che nel corso degli ultimi anni noi abbiamo delle
crisi che diventano sistemiche, cioè non soltanto di un paese o di un'area ma di tutto il mondo e
questo è sicuramente qualche cosa di nuovo e qualche cosa di imprevedibile. Abbiamo avuto
la crisi del terrorismo, poi quella della finanza, poi quella della pandemia, tutti dicono che la
prossima sarà quella del clima, io mi auguro che non sia quella della guerra. Il problema è che per
affrontare questa situazione noi non possiamo metterci a prevedere quale crisi sarà la prossima
per poterla prevenire, se ci riuscissimo tanto di guadagnato, ma direi che è quasi impossibile.
Quello che dobbiamo fare è rafforzare i nostri sistemi per essere capaci di resistere a una
crisi senza sapere da dove viene e questo è il grande insegnamento credo che abbiamo ottenuto
da questa crisi pandemica perché questa ci ha mostrato che avevamo indebolito il nostro apparato,
avevamo pensato che il nostro apparato dovesse essere efficiente e quindi abbiamo eliminato
gli sprechi, ci siamo messi in una situazione di correre al massimo per cercare di ottenere tutto
in ogni momento e quando è arrivata la crisi abbiamo rischiato di brutto. Adesso stiamo
ricostituendo parte delle nostre riserve e io mi auguro che questo sarà il grosso apprendimento
che avremo da questa crisi, cioè dobbiamo costituire delle riserve e di questo parlo nel
mio libro ma di questo poi andiamo avanti. A proposito della costruzione di queste riserve,
come vorrei coinvolgere subito il professor Diamanti, lei di crisi ne ha osservate, raccontate
e analizzate moltissime in questi anni piccole e grandi, di anno in anno leggiamo i rapporti
per esempio che lei cura sugli equilibri e gli esquilibri che animano e attraversano il paese,
soprattutto il rapporto stato-cittadini-cittadini-istituzioni e su questo poi le chiederò
di tornare anche più avanti, leggendo e ascoltando l'analisi di Cipolletta, lei trova una coerenza
con lo stato del paese e soprattutto con gli umori di chi lo governa da un lato e di chi lo
abita e lo anima dall'altro, i cittadini, è pronto il paese per queste nuove forme consolidate,
strutture più solide in grado se non di prevedere il futuro e le crisi del futuro,
comunque di fronteggiarle quindi con un sistema di coesione sociale, di investimenti sul pubblico,
anche delle temutissime tasse, questo è qualcosa che arriva poi verso la fine, ma fa parte tutto
di un discorso, quel rapporto di fiducia e di equilibrio tra stato e cittadini, secondo lei
c'è questa possibilità di prospettiva, Elbo Diamanti, e secondo lei si, qualcosa manca.
Microfono? Il professore ha il microfono spento?
Questa è la metafora del tempo, senza parole, senza parole, mi raccomando come adesso
rammentatemi i momenti in cui non mi sentiste, in quel caso magari mi metto le cuffiette,
diventa più diretto, però ormai sono talmente abituato come voi a comunicare a distanza,
comunicare come ormai stiamo dicendo, non so perché lo chiami smart, non c'è niente di smart
in questo modo di operare, che manco mi accorgo più, questo sarà uno degli aspetti che peraltro
tratta anche Innocenzo Cipolletta nel suo testo, l'irruzione di fatto della comunicazione a distanza
attraverso i nuovi media, attraverso la rete, però ci tornerò perché secondo me è una questione su
cui rischiamo di entrare in una fase diversa da quanto noi stessi riusciamo ad immaginarla,
cioè una frattura che va oltre, come dire, l'emergenza prodotta dal virus, che è la terza
crisi a cui fa riferimento Cipolletta nel suo libro, cioè che individua come le principali
fratture, direi in questo caso facciamo riferimento appunto, dell'ultima fase,
dell'ultimo ciclo storico del dopoguerra, in pratica evidentemente, ne parlavamo anche prima
con il Record, l'attacco alle torri gemelle, seguito dopo dalla crisi economica verso la fine
del primo decennio e oggi siamo qui in mezzo alla nuova anormalità. Faccio una, come dire,
parafraso il testo di Cipolletta, sostanzialmente quello della nuova normalità. Io, come dire,
me lo sono letto con attenzione, anche se, lo dicevo in precedenza, è difficile arrivare
a un punto specifico, nel senso che i cini neri di cui parlava in precedenza la Rosa Polacco,
la nostra conduttrice, non sono più cini neri, cioè ormai pare che tutti i cini stiano diventando
neri intorno a noi, quindi non abbiamo più un'anomalia, un elemento, un fattore di, non dico
di novità, di rottura con il passato, di irruzione, di ciò che noi non avevamo mai visto. Sembra che
noi ci siamo abituati ormai a tutto, perché tutto cambia sempre più spesso, in luoghi sempre diversi
e in modi sempre diversi, però molto spesso traumatici. Però, se posso in questo caso
intervenire, contribuendo ad andare oltre la prima questione che è stata posta, secondo me,
ribadisco, noi ci troviamo in una fase che in qualche misura potrebbe essere diversa dal
passato. Intanto c'è un aspetto che non è, ovviamente Cipolletta nel suo libro lo ripropone,
ripropone in modo continuo e costante, ed è la questione della globalizzazione. La globalizzazione
non è una formula così general generica, può sembrarlo, però non lo è, perché è davvero
una grande novità rispetto al passato. Perché la globalizzazione, qui cito un sociologo importante,
che per me è stato importante, comunque Anthony Giddens, la globalizzazione sta a sottolineare,
a significare che tutto ciò che avviene, dovunque nel mondo, in qualsiasi momento,
ha effetti, e può avere effetti immediati, qui dove ci sono io, nello stesso momento.
E questa è la novità, cioè noi non dobbiamo più attendere che un evento riproduca i suoi effetti
altrove fino ad arrivare a noi. Cioè ciò che avviene Torri-Semele si ripercuote immediatamente
nella nostra vita e io me ne accorgo, lo rammentavo in precedenza fuori collegamento,
perché era il giorno in cui arrivavo a Repubblica, ma io me ne sono accorto perché al momento in cui
il direttore e il fondatore mi accompagnarono all'ufficio centrale per presentarmi ai colleghi,
ai giornalisti, li trovavo tutti distratti, guardavano altrove, cioè guardavano in alto dove
ci sono, c'erano, adesso hanno cambiato sede i monitor. E allora anche noi alzammo gli occhi e
vedemmo uno degli aerei che attraversava una delle Torri-Semele, perché gli aerei lo rammenta
ovviamente Spolletta, sono quattro neanche tre, uno viene costretto ad abbattersi dai viaggiatori,
da coloro che erano a bordo, gli altri tre invece colpiscono due lettori.
Noi in quel momento ci accorgiamo, io mi accorgo come tutti, che quello che è avvenuto in quel
momento fa parte della nostra vita, lo rammenta direttamente e farà parte della nostra vita,
lo rammenta lo stesso ovviamente Enzo Cipolletta, quando dice la prima volta di fatto che da,
tra virgolette, potenza, che segna anche questo, un altro aspetto che viene ripreso più volte,
il cuore, il centro dell'Occidente, anzi che dà senso a questa definizione, a questo che non è
più un bipolarismo, ma lo era, Occidente e Oriente, la prima volta che viene colpito
direttamente al suo interno. Ora io non voglio occuparmi già da solo tutto lo spazio, per cui
in una certa misura penso che rilancerei la palla con la quale ha innocenzo Cipolletta,
chiedendo questo. Allora, ribadisco ciò che mi sono detto immediatamente leggendo il testo,
c'è una parte finale che dovrebbe essere un appendice, ma che in effetti è davvero un
testo in sé, è davvero una chiave di lettura di tutto questo testo, perché? Perché è una
sorta di sommario delle crisi, di sommario delle emergenze, di sommario, diciamolo pure,
insomma, delle non tanto crisi soltanto, semplicemente, degli imprevisti, delle
imprevisioni di ciò che va oltre le nostre previsioni. Ed è un sommario assolutamente,
da un certo punto di vista, sconcertante, perché si tratta di eventi e di fatti che noi tutti
conosciamo, hanno attraversato la nostra storia e anche la cronaca in molti casi,
proprio per questo tendiamo, è stato già detto, a dimenticare. Questo è un aspetto interessante,
però, cioè la normalità, la normalizzazione, anche in questo, nella integrazione degli imprevisti
nella nostra visione, l'imprevisto fa parte della nostra visione e questo è un problema,
dopo farò più riferimento all'ultima fase che secondo me è difficile da prevedere,
siccome si svilupperà, però questa è, tra virgolette, la novità, il fatto che noi possiamo
parlare di imprevisto nel momento in cui possiamo prevedere, cioè noi possiamo parlare di fratture
nel momento in cui abbiamo di fronte degli scenari che appaiono in qualche modo, in qualche
misura, definiti, cioè con dei confini precisi e comunque con un linguaggio interno completamente
stabilito. Oggi, secondo me, questo non è più così, noi ci ritroviamo di fronte a crisi continue,
poi ci sono altri aspetti più specifici che mi piacerebbe e che sicuramente cercherò di
precisare, di inserire, ma per ora provo un attimo a fermarmi perché osservo che già mi guardate male
e io comunque mi trattengo. Rosa Polacco immobile, lo so che è il problema di questa,
la novità del tempo che ci costringe a comunicare senza renderci conto di come
comunichiamo e di cosa diciamo e di quando ci blocchiamo e ci fermiamo. Lo spazio si è dilatato
ma il tempo no. Questa dimensione storica, a cui fa riferimento il luogo Diamanti, è importante
perché dice possiamo parlare di fratture quando abbiamo davanti il quadro integro, intatto,
quindi la dimensione storica sicuramente è fondamentale anche unita a quella che io vorrei
chiamare invece la dimensione filosofica di questo libro perché è forse la cosa che mi colpisce di
più, che mi colpisce ma non mi sorprende conoscendo appunto le analisi di Nascenzo Cipolletta, la sua
attenzione. Prima tra l'altro con Giuseppe La Terza parlavamo proprio in questi giorni si celebra
un anniversario importante per la casa editrice 120 anni, allora è sempre tempo di bilancio,
è tempo di vedere anche rispetto al catalogo come è cambiata l'attenzione di una casa editrice
alla cultura, auguri infatti per questi 120 anni e rifiutiamo sul fatto che oggi la filosofia,
oggi, non da oggi, qualcosa che insomma che affonda anche nel novecento, non è che si sia
di sorta, che non ci siano i filosofi o gli approcci filosofici però la cosa più utile e
più interessante forse per noi oggi, anche discutendo di un libro come questo, è vedere
i suoi meccanismi applicati ad altre discipline che con la filosofia dialogano l'economia,
è una delle sovrane di questo dialogo, di questa dialettica e però appunto Enzo Cipolletta,
il suo sguardo da economista ha una prospettiva filosofica evidente in un nucleo di questo
libro, questo concetto di futuro che lei chiama Futopia, Futopia è un futuro utopico che richiede
una visione positiva del futuro per poterlo disegnare, allora da un lato l'approccio storico,
da un lato quello filosofico in mezzo queste strutture da ripensare organi internazionali,
sovranazionali, sempre più forti che vadano ad agire dove in particolare Cipolletta?
Sì, voglio ricordare una cosa, io sono nato facendo previsioni come econometrista,
economista e poi ho una anemesi storica che mi trovo a dire che non è possibile prevedere,
forse perché l'ho provato per tanto tempo e non è possibile prevedere e come diceva Ilvo
precedentemente è vero noi ci troviamo in una situazione irregolare, ecco una cosa interessante
credo che dobbiamo capire sempre di più, specie di economisti, i sociologi un po' meno perché loro
già lo sanno, noi economisti abbiamo la tendenza di cercare le regolarità, le famose leggi
dell'economia, cioè le cose che si ripetono, quelle che sono permanenti, quelle che sono vere e non
ci rendiamo conto che la vita invece è fatta di eccessioni, non è fatta di regolarità, è fatta
di irregolarità rispetto a quella che è una norma generale e queste irregolarità che bisogna
tenere presente perché noi viviamo in una realtà che non è una realtà uguale a una legge economica,
faccio un esempio banale, spesso uno dice la crescita economica porta all'occupazione e poi
si fanno dei calcoli che se cresce dell'1-2% l'economia l'occupazione cresce 0,5-0,6-1-1,5
secondo quelli che sono i parametri. Poi se andiamo a mettere i punti di questi due fenomeni
su una scacchiere vediamo che è una nuvola dove la retta passa in mezzo, ci passa ma probabilmente
non tocca neanche un punto, cioè la realtà non sta nella legge, la realtà è nella irregolarità e se è
nell'irregolarità che dobbiamo fare noi per guardare al futuro? E lì vengo a quello che diceva Rosa
Polacco prima, guardare il futuro secondo me con un'idea di quel futuro che vogliamo, ci dobbiamo
muovere verso un futuro che noi vogliamo anche se non abbiamo nessuna garanzia che questo venga
raggiunto, però se le nostre intenzioni, se il nostro spingersi è verso qualche cosa che è
desiderabile, ci avvicineremo, andremo verso quella direzione senza stare troppo a giudicare
se quello che possiamo conseguire è qualche cosa di realizzabile. Dicevano i sociologhi prima che
chi si pone come obiettivo qualcosa che è raggiungibile non raggiungerà mai nulla, deve
porsi qualcosa di irraggiungibile, ecco quella che io ho chiamato una fotopia. Se è vero che il mondo,
come ricordava Ivo Diamanti, ormai è fatto di eventi locali che diventano immediatamente
globali, ecco allora che dobbiamo avere bisogno di un governo globale. L'idea di un governo globale
di per sé è irrealizzabile, lo sappiamo benissimo, già in Italia non riusciamo a fare un governo
nazionale, l'idea di fare un governo globale può essere fuori del mondo, però se andiamo a
riflettere a tutti gli organismi internazionali che abbiamo costruito, ognuno secondo una
motivazione specifica, ci rendiamo conto che un embrione di governo mondiale ce l'abbiamo. Abbiamo
il Ministero della Sanità che è l'OMS, abbiamo il Ministero dell'Economia che è il Fondo Monetario
Internazionale, abbiamo il Ministero dei Diritti Umani che è l'ONU, abbiamo il Ministero del
Commercio con l'Estero che è il GATT, ognuno di questi organismi è un organismo costruito con
le sue regole, con partecipazioni più o meno plenarie di tutti quanti i paesi, con storie
diverse. Perché non mettersi piano piano a cercare di razionalizzare questo sistema,
costruire degli organismi internazionali che siano in qualche maniera costruiti più o meno
con gli stessi statuti, con le stesse organizzazioni e cominciare a delegare a questi organismi quello
che è necessario. Lo abbiamo visto con la sanità, la gestione dei vaccini. La gestione dei vaccini
a livello mondiale non si può fare con la buona volontà, non si può fare nemmeno revocando le
licenze come ha messo Biden, ma poi alla fine non lo farà perché il problema è la produzione,
non è tanto la licenza. Però si può fare, si si mette d'accordo a livello internazionale per
dare magari una giusta ricompensa a chi ha prodotto i vaccini, ma poterli discorre a tutti
quanti i paesi, cominciando a costruire in tutti i paesi fabbriche. Ci vorrà del tempo, però è una
strada che si può cercare di organizzare. Io credo che la gestione del futuro dovrà avvenire
attraverso questi grossi ministeri mondiali che non hanno la caratteristica di un ministero di
un governo mondiale, ma ci si approssimano e per approssimazione piano piano dovremo andare avanti.
Da questo punto di vista credo che noi europei siamo ben disposti perché abbiamo costruito un
organismo internazionale. Io di questo scrivo sul mio libro in senso di riconoscimento. L'Europa
è una start-up, intesa una start-up istituzionale, un'invenzione. Per la prima volta si è fatta
un'organizzazione internazionale unita, cioè dei paesi si sono messi insieme per governarsi
senza che uno vincesse sugli altri una guerra disastrosa. Nel passato abbiamo provato tante
volte a creare l'Europa, ci ha provato Napoleone, ci ha provato Carlo Magno, ci ha provato pure
Hitler sotto certi punti di vista e abbiamo sempre fallito perché non si riesce a costruire
un insieme di popoli con uno che vince e impone la sua legge sugli altri. Ci si riesce attraverso
la cessione di potere progressiva con dei ritardi, con delle lentezze, con delle burocrazie
che qualche volta ci fanno dire che l'Europa non funziona, però poi in realtà ci accorgiamo
che il vero futuro del mondo sarà costruire tante Europe e alla fine avere un governo del mondo più
unito. Le pagine sull'Europa sono davvero interessanti perché lei dice che l'Europa
non sarà mai, credo, un'istituzione finita come lo sono le nazioni che la compongono,
il mondo ha bisogno di istituzioni flessibili, ma dice anche che l'Europa è una grande innovazione
irrazionale perché la razionalità non produce innovazione. Vedendo anche a come produce
innovazione, adesso appunto non mi addentro nel ragionamento, però appunto la razionalità
risponde a quello che conosciamo, se invece bisogna cimentarsi sul piano di quello che non
conosciamo può entrare in gioco solo l'irrazionalità, quando l'irrazionalità
propone il suo nuovo equilibrio a sua volta diventa sistema, diventa razionale,
però l'innovazione razionale non è data. L'Europa ha mostrato proprio durante questa
crisi all'inizio un volto molto, insomma una solidità, un rifugio e ha costituito
sorprendentemente dopo molto tempo che era abbastanza tartastata, rituperata, invece
ha ricostituito un modello di fiducia che poi negli ultimi mesi anche per via delle
questioni legate ai vaccini e forse a una politica che su scala nazionale abbiamo visto
anche da noi, i governi centrali immaginano delle politiche, delle azioni di contenimento
o di spesa a seconda di quello che vogliamo analizzare, i governi locali, siano essi gli
stati o le regioni, spesso adottano invece soluzioni e strade diverse. Questo crea un
conflitto, è uno dei tanti conflitti che sono presi in esame Eivo Diamanti, da qui
volevo ripartire con lei, perché scorrono grandi binomi nel libro che animano e percorrono
il nostro presente, spesso in dicotomia e in contraddizione. Pesso e ambiente, globalizzazione
e nazionalismo, stato e mercato, democrazia e disuguaglianze, per far pronte a tutto questo
abbiamo detto si immaginano organismi sovranazionali sempre più forti e diffuse e capillari, corpi
istituzionali di maggiore dimensione, mi chiama così Innocenzo Cipolletta. Lei è d'accordo
Diamanti? Non ho sentito tutto, è un po' disturbato il collegamento, però ho capito
il senso del discorso. La questione europea in particolar modo è quella che mi ha molto
colpito per come viene affrontata da Cipolletta, in realtà è vero come dice adesso Enzo Innocenzo,
adesso che si tratta di un esperimento, una start up, però con dei problemi di attuazione,
di realizzazione, intanto è vero che, non so se ho capito male, ma Enzo dice che bisognerebbe
trovare il modo, magari anche un percorso per andare oltre questo dualismo che c'è,
diciamocelo pure da un lato tra la Commissione e il Parlamento, tra l'Europa delle nazioni e
l'Europa dei cittadini, cioè noi oggi vediamo l'Europa come un'entità che peraltro è fondamentale,
è divenuta fondamentale, ne parla molto, ne parla anche con molta attenzione, diciamocelo pure,
oggi noi riusciamo, l'Europa lo ricorda anche nel suo testo Innocenzo, è una creazione post
bellica che ha come obiettivo la risposta a una crisi, anche quella, l'obiettivo lo dicevano i
padri fondatori è mai più guerre, perché le guerre mondiali che abbiamo conosciuto sono nate
esattamente qui, in particolar modo in un paese che non per caso a suo tempo è stato diviso attraverso
un muro che serviva come dire a rassicurare, ma che dopo è stato anche il segno e uno
dei come dire degli aspetti, degli elementi che Cipolletta affronta nel suo testo, è uno degli
aspetti che ci dicono di quanto stiamo cambiando, cioè noi siamo andati oltre la frattura est-ovest,
occidente-oriente che poi era Russia-America o Unione Sovietica, dopo la caduta del muro,
perché il muro non è soltanto il muro che attraversava Berlino, da due blocchi come lo
chiamavamo, infatti oggi noi ci troviamo a fare i conti, non sempre in modo tranquillo,
con quel che resta o quel che è venuto dopo la caduta del muro, cioè al di là della Russia o
al di qua della Russia, perché noi di fatto abbiamo di fronte a noi delle democrazie in
divenire, insomma, i paesi del patto di Visegrad sono in Europa e magari sono più europeisti di
noi, io faccio da tanti anni, ogni anno, un'indagine su 5-6 paesi europei che cambiano appunto di anno
in anno, poi a quel che ho visto i paesi più europeisti quando erano inseriti nel campo di
analisi, nel campo di studio, erano proprio Ungheria e Polonia ad esempio, perché sono
i paesi che beneficiano maggiormente del contributo europeo, noi stessi voi facevate
riferimento, c'è anche in questo testo, all'intervento dell'Europa a nostro sostegno e
non soltanto a nostro sostegno, dopo l'ultima delle crisi che vengono citate all'inizio del
testo e che poi lo attraversano e che è quella che ancora adesso abbiamo di fronte, cioè la crisi
pandemia. L'atteggiamento nei confronti dell'Europa verso l'Europa degli italiani cambia
notevolmente dall'inizio della crisi via via che il tempo passa, cioè diventa abbastanza evidente
anche agli occhi degli italiani l'importanza che ha l'Unione Europea per noi, dopo che vengono
investite quella massa di risorse che ci permette oggi di andare ben oltre il problema della salute
e quindi risale anche la fiducia nei confronti dell'Unione Europea, anche se per quel che riguarda
l'Italia è sempre una fiducia condizionata, noi non siamo euroscettici, io ho sempre scritto che
siamo eurotattici, noi siamo europei quando ci conviene, almeno parlo dell'opinione pubblica,
cioè se il 35-40% di italiani che hanno fiducia nell'Unione Europea erano molti di più nel 2001
quando siamo entrati nell'euro e poi è rapidamente caduta perché la fiducia, perché come racconta
nel suo stesso libro Enzo, le crisi successive e non solo quella del 2007-2008 dal punto di vista
economico si tende a scaricare dall'esterno, di cercarne le cause all'esterno per cui la
causa diventa l'euro, l'Unione Europea, però allo stesso tempo, perché dico eurotattici, perché se la
fiducia nell'Unione Europea oscilla dopo la prima fase, intorno al 35-38% e noi possiamo apparire
tra i paesi fondatori e centrali dell'Europa come il meno europeista, in realtà l'altra domanda che
puntualmente io inserisco ha un esito ben diverso, e qual è l'altra domanda? Ma se ci fosse un
referendum per restare nell'euro, non dico nell'Europa, nell'euro, voi come rispondereste?
75%, 80% secondo il periodo degli italiani e dicono ma poterei no, ma siamo mica matti,
cioè a noi, ripeto, magari non ci piace l'Europa ma non abbiamo nessun'intenzione di uscire
dall'ombrello europeo. Questo è un vantaggio e uno svantaggio, è un vantaggio sicuramente,
perché comunque ci permette di restare dentro questa che è una costruzione in divenire,
ma fondamentale, ricorda in più occasioni, però allo stesso tempo è anche un problema,
perché sottolinea qual è il nostro atteggiamento nei confronti dell'Europa,
cioè ancora adesso esiste un'Europa come somma di stati e come referente istituzionale in
casi di emergenza, ma per noi ancora l'Europa non è ciò che veniva anche evocato in precedenza,
come dire, usiamo la formula normalmente comunità europea, sicuramente non è ancora una comunità,
sarà mai possibile, è difficile perché gli italiani, i cittadini in Italia hanno un
atteggiamento evidentemente diverso, ma non completamente diverso anche nei confronti dello
Stato, lei faceva riferimento in precedenza alle mie ricerche, probabilmente a quello che faccio
ogni anno sugli italiani e lo Stato, gli italiani e le istituzioni, anche lì potete vedere come è
cambiato l'atteggiamento degli italiani negli ultimi report proprio in seguito alle crisi,
praticamente dal 2019, ma soprattutto l'ultimo nel 2020, e lì l'atteggiamento di fiducia cresce,
perché? Perché è sempre meglio, come dire, attaccarsi a, chiamiamolo pure, un appiglio,
a un chiodo, piuttosto che ritrovarci dopo rovinosamente a terra. Posso anticipare forse
qual è la questione che io invece trovo diverso, che per me va oltre oggi rispetto a tutti i temi
su cui non intervengo, perché ho imparato molto e sostanzialmente condivido l'analisi e la lettura
che dà Enzo Cipolletta, la banalizzo. Enzo Cipolletta dice che le crisi servono, perché
di fatto sono sfide che ci impongono di affrontare problemi nuovi, per cui in realtà poi l'imprevedibile
diventa prevedibile, perché noi in qualche modo impariamo ad affrontare problemi nuovi, diversi.
Prenesso che io, se avessi dovuto rispondere al suo quesito sul nostro mestiere, di cosa prevedo,
io rispondo sempre, quando mi chiedono questo, che io il futuro non lo prevedo. Al massimo
prevedo il passato, a volte il presente, perché è anche quando tento di raccontare il presente,
cioè di presentare il presente, il vestigio non è evoluto, mi sbaglio, ma perché siamo in tempi
in cui il tempo ha cambiato sostanzialmente il suo significato e il suo ruolo, per due ragioni,
una che è stata affrontata già, che è affrontata da Enzo in molte parti del testo, l'altra che vorrei
aggiungere io, cioè che c'è ma non è come di così centrale, come ritengo io. La prima è che se penso
a un impatto pesante, forte, che ha avuto la pandemia del virus, utilizzo l'aspetto che è ben
sottolineato da Cipolletta, cioè la diffusione del digitale, cioè noi a differenza delle altre
crisi abbiamo cambiato il modo di comunicare, abbiamo cambiato profondamente, cioè se io passo
le giornate a fare videoconferenze, lezioni online, come adesso seminari, incontri online,
perché si fa tutto online? Perché si fa tutto online? Però guardate che online cambia anche
la dimensione del tempo, cioè quando io dico non prevedo il futuro, questa è una mia scelta,
quando dico al massimo prevedo il presente, scusa? Perché invece ne sarebbe capace,
no? Facevo ironia, ho fatto una battuta che invece ne sarebbe capace. Assolutamente,
io posso prevedere il futuro solo nel momento e in fase in cui il futuro è proiezione del presente,
è prosecuzione del presente, è in tempi in cui il tempo assume una modalità di svolgimento
diversa, come oggi. Oggi è difficile dire il vero.
Scusi, la interrompo ma arriva tardi la nuova voce, mi scusi.
No, no, c'è problema. Allora ne approfitto per girare, c'è Enzo Cipolletta,
solo se però diamanti scusate perché forse ho avuto anch'io un calo di tensione della connessione
che tanto ci dice di questo tempo, solo se diamanti aveva finito. Però sono arrivate
un paio di domande che volevo tirare a Enzo Cipolletta prima di chiudere perché purtroppo
l'ora a nostra disposizione si è già velocemente esaurita e certo resterebbe da parlare dell'altro
punto fondamentale analizzato nel libro, cioè quello che riguarda il capitalismo e quindi poi
il suo rapporto con la globalizzazione, con i nuovi sistemi, con la spesa pubblica, con il ruolo
dello Stato nelle nostre economie e tutte cose che magari discuteremo e ascolteremo anche al
Festival Economia e Inverno dove il libro verrà di nuovo presentato. Però qui c'è una domanda
di qualcuno che ci sta seguendo che dice ma allora il nuovo mondo globale post 89 di fine
della storia, pace liberale mondiale, civiltà occidentale, modello unico è un fallimento o
un'illusione? Cipolletta gliene faccio anche subito un'altra, di Giorgia che dice la globalizzazione
quanto ci rende superficiali? Siamo in grado di gestire emozionalmente questa mole di tragiche
informazioni? Sono domande importanti, dovrei scrivere un altro libro, ma la globalizzazione
secondo me è una tendenza insida della nostra storia e come tale è un processo che va avanti,
andrà avanti perché è incido nell'animo umano quello di connettersi e di relazionarsi con tutti
quanti gli altri. Relazionarsi con gli altri significa in qualche maniera assumere alcune
cose degli altri e cedere alcune caratteristiche proprie agli altri e c'è un processo di
omogenizzazione che evidentemente incontra degli ostacoli e questi ostacoli sono i fallimenti
della globalizzazione però sono ostacoli transitori. Enzo posso intromettermi così?
Io in un minuto, dico le due cose che dovevo dire e quindi tu puoi di fatto tener conto
anche di questo. Ripeto, la questione del digitale e della comunicazione digitale
trasforma questa società che era una società delle mediazioni, anche la nostra democrazia è
una società della mediazione rappresentativa, è una società immediata cioè senza mediazioni,
dove tutto è subito ma tutto finisce cioè tu hai un presente che si riproduce e si ripropone e questo
è un problema perché la democrazia ad esempio è fatta di mediazione, noi tra demos e kratos abbiamo
quel che sta in mezzo, una cosa anche la televisione era una mediazione ma nel momento
in cui ci affidiamo al digitale non lo è più e questo si collega all'altro problema nuovo cioè
cosa sta cambiando davvero in questa fase, in questa crisi nuova che secondo me è il vero
problema che ha impatto su tutto compresa la democrazia, il problema è che ne ho scritto su
Repubblica anche ieri, si sta sciogliendo la società, il vero problema secondo me diverso
dal passato è che tutte le crisi che tu racconti anche in fondo, le rivoluzioni sono mobilitazioni
di massa in cui le persone si entrano in campo da sole, compreso il 68 mettiamolo così cioè 68
gli anni attuali, noi abbiamo delle mobilitazioni che sono evidenti, forti, oggi in realtà ciò che
noi affrontiamo è un periodo in cui sembriamo predestinati alla solitudine in cui il modo per
comunicare è questo, il modo in cui io mi rivolgo ai miei studenti è questo, il modo in cui noi
parliamo dovunque comunque, certo questo è importante perché supera lo spazio e supera
il tempo però ragazzi senza tempo, senza spazio, senza gli altri io sinceramente ritengo che ci
ritroviamo, cioè a me non piace, andiamo di fronte a una crisi che è molto diversa dalle
altre che hai individuato tu in questo testo, cioè se la normalità è questa io andrò alla
ricerca di una nuova normalità, scusa. Non ho capacità di rispondere a tutti questi
quesiti, effettivamente bisogna approfondirli meglio però volevo dire una battuta perché
siamo alla fine. Noi ci parliamo con questi mezzi e il mondo si sta connettendo, ecco io la cosa
che trovo simpatica e buffa al tempo stesso, in Europa abbiamo assistito alla uscita dell'Inghilterra
dalla nostra comunità e noi parliamo inglese, cioè non c'è più una nazione nell'Europa che
parli inglese tranne Malta perché gli irlandesi hanno il gaelico e ognuno di noi ha la nostra
lingua, eppure quando parliamo in Europa fra di noi, l'altra volta ho avuto un incontro con i
francesi e io parlavo in inglese e loro parlavano in inglese e tutti parliamo in inglese, allora
questi mezzi, che chiamavano il mezzo, anche la lingua è un mezzo, è un mezzo che media in qualche
maniera i nostri discorsi, ci li rende più simili, ci consente di comunicare e io credo che è vero
stanno saltando i mediatori di un tempo ma si stanno ricostruendo dei nuovi mediatori che magari
non ci piacciono, però c'è sempre una funzione di mediazione perché il discorso individuale non
riesce a tenere insieme i paesi e allora bisogna darsi da fare ciascuno di noi per costruire dei
nostri mediatori. Volevo poi dire un'ultima affermazione, mi è stato chiesto se la globalizzazione
ci rende superficiale, ecco io questo non credo, credo veramente che la globalizzazione ci renda
partecipi e capaci di comprendere che il mondo è fatto di tante diverse situazioni con dei drammi
che un tempo non conoscevamo, che oggi invece possiamo affrontare e a cui possiamo contribuire
anche a una soluzione. Guardiamo il dramma delle migrazioni, penso che abbiamo la possibilità,
tutti quanti, di poter intervenire e di dare ciascuno di noi un contributo per risolvere
questo problema e questo lo possiamo fare proprio perché siamo in contatto continuamente con una
realtà che magari 100-200 anni fa non avremmo neanche capito. Le migrazioni che ci sono state
in Italia quando uscivano tanta gente, negli anni 50 quante persone che degli anni 50 sapevano che
c'erano i migranti, quelli che stavano vicino a coloro che scappavano lo sapevano, ma in tante
città nessuno ci pensava, nessuno faceva niente e abbiamo abbandonato queste persone che hanno
dovuto risolvere i problemi per conto loro. Ecco adesso io credo che non siamo più superficiali,
abbiamo molti problemi e possiamo anche tentare di trovare delle soluzioni tutti quanti assieme.
Il problema della società, così non c'è società. Tutti i miei sondaggi dicono una cosa su cui ho
ricevuto tantissime critiche la prima volta che l'ho scritta, che il tempo passato sul digitale,
quindi collegamento internet una volta si diceva, è direttamente proporzionale alla sfiducia negli
altri, cioè più tempo passiamo con il digitale su in rete, maggiore il grado di sfiducia negli
altri, lo rilevo sempre nei sondaggi e questo è spiegabile perché siamo sempre con gli altri e
sempre da soli come adesso. Io normalmente in tempi come questi, non oggi, ho una sola cioe,
mia moglie che mi osserva, ma qui intorno ho sempre il mio cucciolo che salta e mi dice mi
porti fuori, mi porti fuori. Scusate, non intervengo perché oggi ho parlato troppo e le cose che ho
sentito mi sono state molto utili. Ho anche un amante che ha un cane affettuoso, io ho un gatto
assassino che devo chiudere fuori, se no mi squarcia mentre siamo in diretta e questi sono
altri problemi, adesso al di là della mia facile ironia. Il mio nome è assassino, forse avete mai
visto il mio cane, è un cucciolo, è un cavalier, quindi cavaliere di tausende. Ma anche questo,
i cavalieri privati hanno fatto irruzione anche in questa dimensione. Ma lo sapete, è aumentato
in modo impressionante l'acquisto, il numero dei cani in famiglia. In Germania dicono che è
aumentato del 50 per cento per esempio, io non ho mai trovato tanti cani, tante persone con
cane in giro per strada come in questo periodo, perché siamo soli. Abbiamo un figlio che voleva
intervenire. Sì, credo che si stia collegando Giuseppe III, eccolo, tornato tra noi. Bene,
io sarei rimasto ad ascoltarvi ancora per un'altra ora, e più, perché in realtà i temi che voi
avete potuto soltanto evocare, e ringrazio molto Rosa che è stata bravissima nel porvi le suggestioni,
sono talmente tanti che credo possiamo darci un appuntamento e rifare questa discussione,
riprendere tutti gli spunti. A me veniva in mente, a proposito di essere soli, una cosa molto semplice,
io faccio libri e penso che i libri siano dialoghi, sono modi per stabilire contatti e
relazioni. Uno può essere solo, secondo me, in uno stadio con 20.000 persone e invece in compagnia
in una biblioteca con 20.000 libri. Io a questo ci credo molto, credo che il fatto fisico non sia
da solo sufficiente a creare una relazione intensa, forte. Certe volte la puoi creare
addirittura con un autore scomparso qualche secolo prima e questo mi fa essere ottimista,
perché durante la pandemia la gente ha continuato moltissimo a leggere libri. La cosa straordinaria
è che non è vero che era un problema di occupare il tempo, perché all'inizio della pandemia la
gente ha letto meno libri, perché era confusa, stordita, ha cercato su internet, ha visto un po'
più di televisione. Poi, dopo un po', ha ricominciato a leggere libri, romanzi, saggi e questo secondo me
ha cercato quella compagnia, una compagnia nutriente, con autori che raccontavano qualcosa
di sé, degli altri, del mondo. Quindi in questo confronto molto interessante tra l'ottimismo e
l'oltranza di Innocenzo Cipolletta e qualche venatura di preoccupazione che ho colto in ilvo,
nel fatto che tutte e due hanno illuminato il nostro presente, io da editore devo dire
un forte ottimismo, perché nonostante la grandissima difficoltà, il fatto che le persone
oggi leggono di più, le statistiche ci dicono che la venda dei libri è addirittura cresciuta,
se mettiamo dentro anche gli ebook, rispetto all'anno precedente, mi fa essere ottimista.
Scusate questo piccolo aspetto autobiografico, però era soltanto per dirvi grazie mille,
a Rosa Polacco, che come al solito è straordinariamente brava e capace nel far
parlare al meglio e tirare fuori le cose e anche per le opinioni che lei ci ha dato,
e grazie mille a Irvo Diamanti, di cui noi aspettiamo di discutere un prossimo libro
scritto da lui, magari con Innocenzo Cipolletta. Grazie anche a Innocenzo Cipolletta,
ci rivediamo presto per tutti gli incontri, La Nuova Normalità è il libro che speriamo che da
oggi possa essere comprato e letto da tante persone e ragionato in base alle tanti stimoli
che ci dà. Quindi ringrazio tutti voi e al prossimo appuntamento di Casa La Terza.
Grazie.
Grazie, buonasera.