XVIII puntata
Da Mosca La Voce della Russia!
"1812.
La Bufera napoleonica". XVIII puntata del ciclo a cura di Dmitrij Mincenok. La guerra andava avanti già da un mese.
In tutte le corti europee era stato diffuso il discorso che Napoleone aveva rivolto ai suoi marescialli. " Sono venuto per porre fine una volta per sempre al barbaro colosso del Nord. Costui è entrato in contatto con la civiltà con la spartizione della Polonia. Adesso dovrà essere la Polonia a riportarlo al suo posto. La civiltà respinge gli abitatori del Nord. L'Europa dovrà fare a meno di loro". Il 20 luglio il comando francese venne a sapere che l'imperatore Alessandro all'improvviso aveva lasciato le sue forze armate.
Era successo a Polozk, ad un centinaio di verste da Vitebsk e a due giorni di cavallo da Mosca. La notizia di quella fuga preoccupò Napoleone perche egli giustamente pensava che la presenza del sovrano incitasse i soldati a combattere e quindi faceva sperare nella tanto agognata battaglia campale.
La sua uscita di scena confermava che il comando russo intendeva continuare ad arretrare. Napoleone nemmeno sospettava che dei veri e propri scontri erano in corso a questo proposito nell'alto comando russo perché sin da Vilnus una parte dei generali ad Alessandro chiedeva per l'appunto una battaglia campale.
A questa idea si opponevano decisamente soltanto due.
Uno era il comandante in capo De Tolli e l'altro era il barone Karl Fhul, quello che Bagration chiamava "il maestro" della tattica militare prussiana. Era stato Fhul a mettere a punto la strategia della lotta a Napoleone attraverso il logoramento delle sue truppe costrette a penetrare sempre più in profondità nel paese. Purtroppo la storia non lo ricorda fra quanti si adoperarono per la salvezza dell'Impero russo.
Nei libri di storia si scrive che Alessandro avesse allora lasciato l'esercito perché non voleva che il suo nome fosse legato alla ritirata.
In verità egli lo aveva fatto per un altro motivo. A convincerlo era stato il ministro di polizia e il conte Arakceev.
Agendo di cordata erano riusciti a dissuaderlo dall'idea di dare battaglia come avrebbe voluto il generale Bagration, Ermolov ed alcuni altri. Il conte Arakceev aveva sposato decisamente la posizione del comandante De Tolli che si opponeva a tale scenario e non per codardia, ma in forza di un freddo calcolo. Con l'attuale rapporto di forze, tre francesi contro un russo, era una follia pensare di poter battere Napoleone. Da parte sua il ministro di polizia Balasciov che conosceva le sue debolezze aveva convinto Alessandro a recarsi a Mosca per una nobile causa: chiamare il popolo alle armi.
Al sovrano piacevano queste uscite ad effetto. Per la verità l'esercito russo versava in una condizione pietosa e i soldati erano pochi.
Arakaceev era riuscito a strappare ad Alessandro un decreto di mobilitazione che imponeva alla piccola borghesia e ai contadini di mettere a disposizione dell'esercito un uomo ogni cento abitanti. In tempo di pace vigeva la regola di uno su cinquecento. La classe dei mercanti poteva evitare il reclutamento con una ammenda pecuniaria, mentre la nobiltà era esentata dal servizio militare obbligatorio. E qui sarà opportuno soffermarsi su cosa era il servizio militare nella Russia ai primi del XIX secolo.
Prima di tutto durava 25 anni e per ogni insignificante disobbedienza diventava a vita. Ma anche dopo aver guadagnato il congedo il soldato era votato ad una vita di disperazione. Senza una casa, senza un mestiere e senza alcun diritto. Entrando nell'esercito il soldato veniva ridotto e trattato come un animale, con il solo strumento del bastone.
Vigevano ancora le regole introdotte dall'imperatore Paolo per trasformare il soldato in una macchina da guerra alla maniera prussiana: punizioni corporali ed infiniti esercizi in piazza d'armi. Dall'alba al tramonto si andava avanti con l' - un-due -.
Alla domenica in chiesa e poi ci ubriacava fino al lunedì. Il regolamento esistente rendeva gli ufficiali nemici personali dei soldati.
Il che, secondo lo storico Juri Lotman, perseguiva uno scopo pratico. In caso di sommossa o di colpo di stato gli ufficiali non avrebbero potuto contare sulla solidarietà dei soldati che giurando fedeltà allo zar, in effetti si sarebbero rifiutati di obbedire agli insorti soltanto per l'odio che nutrivano per i loro diretti superiori. Fonvisin, il futuro decabrista e protagonista delle prime guerre di Alessandro, pur rendendo onore all'eroismo e al coraggio del soldato russo, è costretto a scrivere nelle sue memorie che all'esercito russo mancava proprio quell'entusiastica e infuocata audacia nell'attacco che aveva permesso ai francesi di sconfiggere tutte le armate europee.
Oggi sappiamo che quell'entusiastica e infuocata audacia delle truppe rivoluzionarie si spiegava con le tre celebri parole: Liberté, fraternité, egalité, alle quali l'antiquato esercito russo poteva opporre servilismo e marce senza fine.
Eppure quell'esercito, contrapposto alla migliore armata di Europa guidata da un condottiero geniale, seppe dar prova di un coraggio personale entrato nella leggenda.
Se allora la nazione seppe superare con onore quella prova lo si deve prima di tutto al coraggio senza pari del soldato russo.
Alla Battaglia di Borodinò mancavano meno di due mesi.
Avete ascoltato la XVIII puntata del ciclo "1812.
La bufera napoleonica" a cura di Dmitrij Mincenok.