‘Quando l'Europa tradì se stessa' di Somma
Buonasera, siamo qui a discutere il libro di Alessandro Somma, un libro molto interessante
che ha un titolo, come sapete, abbastanza provocatorio, cioè quando l'Europa tradisce
stessa, è tanto interessante che ha anche sollecitato l'intervento di una delle due
che vuole partecipare. Il sottotitolo per certi aspetti è ancora più sollecitante
perché dice come continua a tradirsi nonostante la pandemia. Per cominciare la nostra conversazione
con il professor Zia Lonca che ringrazia il piano di Alessandro Somma, l'autore del libro.
Partirei proprio brevemente da Alessandro Somma che è un giurista, anche uno studioso di Germania,
di ordo liberalismo, di storia del pensiero giuridico e quindi del contributo che il diritto
e il pensiero giuridico dà a forgiare le istituzioni, le istituzioni politiche e le
istituzioni economiche. Chiederei ad Alessandro brevemente di dirci la tesi fondamentale di
questo libro, cioè mi chiederei ma davvero l'Europa ha tradito se stessa e se è così,
quando e perché è successo? Intanto grazie alla casa editrice di questa occasione,
grazie a Nello Peterossi per esserti reso disponibile a mediare questa discussione e
al professor Zia Lonca per essere intervenuto. La tesi di fondo di questo libro si misura
innanzitutto con il mito fondativo dell'Europa, dell'Europa Unita. L'Europa nasce per evitare
le guerre, per evitare i conflitti e per promuovere la pace. Per promuovere la pace
però bisogna che a monte ci sia giustizia sociale e a ben vedere inizialmente c'era
spazio affinché la face fosse sorretta da un progetto di giustizia sociale, un progetto
di una comunità politica che è politica nella misura in cui comprende dei meccanismi
di redistribuzione della ricchezza dai territori e dalle persone più ricche ai
territori e alle persone più povere. Questa progettualità però svanisce dopo poco,
svanisce alla conclusione dei cosiddetti 30 gloriosi, cioè quando a livello planetario
esplode il neoliberalismo e si decide che la ricchezza si ridistribuisce esclusivamente,
prevalentemente almeno attraverso il mercato, attraverso il libero incontro di domande e
offerte. L'Europa diventa un'architettura istituzionale pensata per blindare questo
modo di ridistribuire ricchezza, quindi pensata anche per spoliticizzare il mercato,
metterlo al riparo dalla politica, metterlo al riparo dal conflitto sociale. In tutto questo
qualcuno ha potuto pensare che le crisi scatenassero delle reazioni opposte, cioè che
fossero l'occasione per rimettere l'Europa sulla strada della giustizia sociale. Non è successo
nel 2008, la crisi del debito sovrano è stata anzi l'occasione per stringere i bulloni
dell'architettura istituzionale messa a guardia del neoliberalismo e non sta minimamente succedendo
adesso nonostante ci siano retoriche e discorsi pubblici che fanno apparire l'opposto, noi siamo
dentro, restiamo ampiamente dentro un paradigma neoliberale, non ci scostiamo dall'idea secondo
cui è il mercato che deve ridistribuire ricchezza, non abbiamo alcune intenzioni di
riequilibrare il capitalismo e la democrazia, la democrazia resta al rimorchio di un capitalismo
sempre più invasivo, di un mercato sempre più minaccioso per le società e questo rimette al
centro la volontà di recuperare lo Stato per consentirgli di difendere la società dal mercato,
il problema è che se si chiamano in causa gli stati non necessariamente il recupero della
dimensione nazionale avviene con il rispetto della democrazia, io penso che questa sia la
sfida, promuovere democrazia e promuovere giustizia sociale senza mettere al centro di questa riflessione
lo Stato nazionale oppure l'Europa, l'Europa e lo Stato sono strumenti, il fine ultimo è la giustizia
sociale e in questa fase storica mi pare di poter dire che l'Europa non è in grado di promuovere
questo, dobbiamo immaginare un modo per recuperare la centralità dello Stato legandolo però ad un
obiettivo di democrazia e di giustizia sociale. Grazie Alessandro, darei la parola al professor
Gelonka ricordando una cosa nota, il professor Gelonka è a sua volta uno studioso di cose
europee, del rapporto tra istituzioni europee, democrazia, neoliberalismo ed è un critico,
qui davanti tra l'altro in questo momento l'ho visto sulla mia scrivania uno dei libri suoi
pubblicati anche dalla terza, questo contro rivoluzione, la disfatta dell'Europa liberale,
quindi per certi aspetti forse le supposizioni non così lontane da quelle di suo, ma anche se
credo che poi probabilmente sia nell'analisi che anche nella proposta ci siano delle differenze,
cioè immagini strategie diverse, alternative. In ogni caso vi lancio la palla chiedendo anche a
lui se veramente l'Europa ha tradito se stessa e quando e come se ne può uscire,
forse su questo può emergere anche una differenza utile a discutere di posizioni. Grazie.
Si grazie, come si può uscire lasciamo per dopo perché dobbiamo prima parlare su questo libro che
è molto interessante, io condivido tante idee di Alessandro, ha fatto un buon lavoro diciamo,
infatti mi piace questo libro tanto perché è molto italiano, c'è un grande affetto per l'idea
di federalismo, io devo dire non conosco altro paese dove c'è così tanta nostalgia per l'idea
federale, solo in Italia, infatti per Alessandro tutti sono federalisti, cattolici, socialisti,
anche neoliberali, ovviamente federalisti sono tutta Europa ma non hanno tanti tifosi, lui cita
qualcuno che io conosco dal nome molto bene perché sono olandese, Hendrik Brookmans, conosco
lui non dall'Olanda ma perché insegno a College of Europe a Bruges dove lui era capo per diversi
anni, ma in Olanda nessuno conosce Brookmans e il federalismo è popolare in America, Svizzera,
Germania, tre stati federali, ma in Francia, Olanda, Polonia, Svezia il federalismo è una
religione con pochi fedeli, ora meno di mai, per questo io trovo questo libro molto italiano,
perché in Italia l'idea di stato federale europeo è sempre viva, ma ho una domanda per l'autore,
è vero che l'integrazione europea doveva smantellare lo stato sovrano nazionale,
è vero questo come scrive? Oppure come diceva mio amico, già morto, Alan Milward,
forse l'integrazione europea doveva rinforzare o come ha detto lui salvare lo stato nazionale,
e io devo dire che sono d'accordo con Milward, grande storico, e ora vedo che gli stati nazionali
comandano Europa più di mai, e sono d'accordo con Alessandro che questo è un grande problema,
ma non vedo la volontà dei stati nazionali di fare un passo indietro, infatti i sovranisti
di diverso tipo, sono già dalle Kurz e Rutte al Salvini e Le Penne, sono già una maggioranza
nel Parlamento europeo, e in Germania il Corpo Costituzionale e la Banca Centrale
hanno una posizione molto chiara su questo, solo in Italia quando qualcosa non va tutti
guardano Europa, ma in Germania no, e certo non in altri paesi come Londra o Polonia.
Sono d'accordo con Alessandro che neoliberalismo economico ha fatto tanti danni al progetto
europeo e ai cittadini europei, e lui scrive molto potente su questo, e ha ragione, però mi chiedo
se fa senso disparare al corpo morto, perché la pandemia sta uccidendo non solo il liberalismo
politico, ma anche il neoliberalismo economico. L'autorità nazionale, ma anche questa europea,
ci dice cosa possiamo fare sulle strade, nei negozi, in uffici, in case private,
case private, quante persone possiamo incontrare nelle case private durante la festa?
L'economia funziona principalmente con l'aiuto di Stato adesso, l'economia privata aiuta
principalmente con l'aiuto di Stato e non penso che dopo questo Covid tanto cambierà,
perché abbiamo preso tanti debiti che solo l'estate nazionale o l'autorità europea possono
garantire. La domanda per Alessandro è come si può legittimare decisioni pubbliche? Democrazia
nazionale è debole, democrazia europea praticamente non esistente, grande potere con poca
trasparenza e responsabilità producerà grossi problemi. Non so se li possiamo risolvere,
ma sono convinto che lui conosce la risposta. Alessandro ovviamente ti do la parola per
rispondere, faccio una piccola chiosa. Non siamo tutti così federalisti, certo per un periodo è
stato così anche sulla scia di Ventotene, il Ventotene è più richiamato che il Letto,
il manifesto. A un certo punto non è che invece che federalisti occupiamo della retorica federalistica
il fatto di aver aderito alla filosofia del vincolo esterno in maniera totale, a critica,
vi avrebbe quasi da parlare di una sindrome dell'autoasservimento?
Beh sì, anche io avrei speso qualche brevissima parola sugli italiani e il federalismo. Io,
come dice Jan, mi sono occupato di questa ideologia nel volume, ma fondamentalmente
per contestare l'idea che se l'Europa è difettosa è perché è un progetto incompiuto. E' incompiuto
se noi pensiamo al federalismo che contempla la giustizia sociale, appunto questo federalismo di
matrice di senso latissimo socialista che ha in mente strategie di redistribuzione della ricchezza,
di emancipazione delle persone. Però poi c'era anche un federalismo neoliberale,
che è quello del vincolo esterno, che è quello che pensa che lo Stato debba cedere gli strumenti
di controllo sul mercato perché gli Stati sono reattivi al conflitto sociale, perché gli Stati
hanno delle cinghie di trasmissione tra il conflitto sociale e la scelta politica,
ed è una scelta politica che tendenzialmente va contro il mercato, sicché questo tipo di decisioni
vanno concentrate al centro ed è questo il modo per spoliticizzare il mercato e rendere il
neoliberalismo un'ideologia impermeabile appunto al conflitto sociale. Questo è il modello di
federalismo che si è imposto in Europa, da questo punto di vista l'Europa è una storia di successo
e per quello che riguarda il ruolo degli Stati è vero che gli Stati hanno un ruolo all'interno di
questo schema, ma vuole dire è il neoliberalismo che affida ruoli allo Stato, cioè per il neoliberalismo
lo Stato deve imporre il funzionamento del mercato, deve rappresentare la mano visibile
del mercato e questo non significa mettere lo Stato fra parentesi ma ridefinire l'agenda politica
dello Stato che deve appunto sostenere il mercato, sostenere la redistribuzione della ricchezza
attraverso il mercato, tradurre le leggi del mercato in leggi dello Stato, usare la concorrenza come
strumento di direzione politica del comportamento delle persone, questo è il modello e per inciso
il ruolo dello Stato evidentemente non è predefinito, risente dei contesti, in questa
fase storica di pandemia lo Stato deve assumere compiti particolarmente incisivi, deve ripianare
perdite economiche presso i privati, deve appunto impedire alle persone di incontrarsi, poi magari
approfondiamo quali altre finalità ci possono essere non direttamente legate al sostegno
dell'ordine economico ed è un classico del neoliberalismo quando le cose vanno male ci
vuole un ente che socializzi le perdite, questo è lo Stato, ma quando poi le cose vanno bene
allora si torna a privatizzare i conflitti, a privatizzare le entrate, gli introiti, non mi
pare che da questo punto di vista ci sia una grossa modifica nell'agenda politica dell'Europa
e nell'agenda politica che il neoliberalismo affida agli Stati, dopodiché io sono d'accordo
con Konyan quando lui dice che gli Stati non hanno perso tutto il peso all'interno della
costruzione europea e non solo per le cose che ho appena detto, ma perché il federalismo
neoliberale è un federalismo di tipo competitivo, lo è necessariamente perché si fonda sulla libera
circolazione dei fattori produttivi, in particolare dei capitali e quando i capitali circolano
liberamente gli Stati si fanno una guerra tra di loro, una concorrenza spietata tra di loro per
attirarli, a parte il fatto che poi c'è solo un modo per attirare capitali, cioè massacrare il
lavoro, precarizzarlo, abbattere i salari e abbattere la pressione fiscale sulle imprese,
questo scatena una competizione selvaggia tra gli Stati, i quali necessariamente conservano
un ruolo, ma perché è il ruolo che per questi è previsto dal federalismo di tipo neoliberale,
c'è un modo per ripristinare la decisione, il modo per ripristinare la decisione è recuperare
un legame tra, ripristinare l'equilibrio tra capitalismo e democrazia, cioè ripristinare
degli spazi di manovra politica nell'organizzazione del mercato, in questa fase storica non vedo altri
soggetti che possono farlo che non lo Stato, a me pare che sia fondamentalmente questo poi il ruolo
che potrebbe riassumere lo Stato, ma non ho un feticismo particolare per la costruzione statale,
mi interrogo su quali altri strumenti al momento ci siano e che possono essere impiegati per questo
tipo di finalità e non ne vedo altri, forse ci conviene in questa fase in cui credo che Nello
Preterossi sia uscito dalla riunione per qualche problema tecnico, forse non so se...
Si è spostato a destra, perché lì pure le estreme si toccano. Bene, quindi anche le risorse del
recovery tanto magnificate, mi pare di capire nella visione di Somma, però su questo invece
mi interessa molto capire da Jan, se posso darci del tu, come la vede, nel senso che mi pare di
capire che nella visione di Alessandro Somma non ci sia un cambiamento vero in ragione della pandemia,
allora mi chiedo, ma il patto di stabilità verrà veramente rivisto in maniera radicale,
rimarrà, verrà rimesso in piedi, attualmente è solo sospeso, questo recovery è servito soprattutto
a una narrazione diversa rispetto alla crisi del debito, la crisi innescata dal 2008, oppure c'è
qualcosa di più sostanziale, perché poi molti dicono ma le risorse messe a disposizione negli
Stati Uniti ad esempio, ma anche in altri paesi, sono proporzionalmente molto maggiori rispetto a
quelle europee, quelle europee arriveranno, ancora non sono arrivate, non si sa, ancora devono essere
approvate da tutti i parlamenti, arriveranno in cinque anni, sono debiti, prestiti, diciamo,
e anche quelli che non sono prestiti sono in fondo finanziati con la partecipazione al bilancio
europeo e con nuove tasse, insomma si è empatizzato, si sarebbe empatizzato troppo,
insomma ritornerà l'austerità, ritornerà il mantra del debito, in Italia qui siamo molto sensibili a
questo perché ci ricordiamo che cosa è stata l'esperienza del governo Monti, e poi anche la
questione vaccinale, non è certo stato un successo, diciamo, finora il piano vaccinale,
la gestione del problema vaccini da parte dell'Europa, no? Per esempio, poi vi do subito la
parola, una cosa che mi colpisce, una riflessione che ho fatto, cioè paradossalmente sembra che
l'Europa sia la più, l'Unione Europea, la Commissione, sia rimasta l'ultima a credere
fideisticamente nell'ordine dei contratti, nella rule of law come ordine contrattuale,
ordine economicistico, privatistico, a rispetto, conta solo far bene i contratti e rispettarli,
mentre quelli che il neoliberismo l'hanno portato, cioè Regno Unito e gli Stati Uniti,
molto pragmaticamente hanno capito subito che la questione vaccinale, ad esempio,
era una questione geopolitica e geoeconomica e che quindi tirava in ballo interessi nazionali,
lo Stato, l'intreccio tra economia e politica, diciamo così. Cioè non è che siamo un po'
come dire, gli europei, io no, perché non ci ho mai creduto, ma insomma, chi gestisce
l'Europa è l'ultimo custode dell'ideologia appunto in versione tedesca, euro tedesca,
ordo liberale e per questo alla fin fine non solo fa pagare dei prezzi in termini sociali
e democratici, perché poi il problema è la legittimazione democratica, come diceva Jan,
ma è anche inefficiente, cioè non funziona. Si può girare intorno quanto si vuole,
ma il Regno Unito di Boris Johnson sta risolvendo il problema dei vaccini alla grande,
l'Europa no. Jan, partiamo da lui. No, guarda, tutto è relativo, io sono assolutamente d'accordo
che queste negoziazioni con AstraZeneca soprattutto sono andate male, ma se si parla di Stato nazionale
non possiamo dire che funziona così bene, guarda Germania, ieri turn around, 180% e se si guarda
nelle autorità regionali, guarda Lombardia. Dunque tutto è relativo, abbiamo un problema
di diverso tipo, autorità pubblica, europea, nazionale, urbana o regionale,
ha preso tanta responsabilità, ma il successo l'hanno fatto pochi. Johnson adesso può dire
sono stato furbo con questi vaccini, ma prima ha fatto le cose molto dannose. Guarda,
io per me queste diverse autorità pubbliche possono fare qualcosa meglio e l'altro peggio,
con vaccino è come con la guerra, l'Unione Europea non fa molto bene, perché? Perché
devi reagire molto veloce e strategico e tutte le volte quando devi definire strategia di 27
o 28 paesi ci vuole tempo per trovare interessi in comune e questo risultato è un compromesso
spesso non ideale, perché se ottieni un compromesso non significa che il compromesso funziona,
significa solo che hai trovato accordo fra 27 membri. Dunque l'Unione Europea era sempre molto
più brava per le norme di collegamento, creare leggi per tutti, ma era sempre un po' debole
quando ci mancava tempo e dovevi fare qualcosa in fretta e fare bene e per questo abbiamo fatto
molto male durante la guerra in Jugoslavia, vi ricordate? Adesso abbiamo altro tipo di guerra,
abbiamo fatto così e così in Europa, ma questo non significa che solo il Stato nazionale può
fare queste cose, perché se Stati nazionali tutti fanno furbo come Netanyahu o Johnson,
fanno tutti questi accordi veloci, secreti e pagano sotto tavolo, diventa una grande confusione.
Dunque dobbiamo trovare un modo giusto, ma per trovare un modo giusto devi pensare nel modo
istituzionale adequato, guarda per questo io parlo sempre di Europa come impero, perché per me
Europa è molto più qualcosa che non somiglia allo Stato, perché non c'è questo centro di governo
chiaro, non sono frontiere veramente come Stato nazionale, è un totalmente diverso animale e può
fare qualche cosa meglio e l'altra peggio, qui io sono molto pragmatico devo dire, se non possono
fare le cose bene senza istituzioni e senza risorse e questo è il problema e qui il Recovery
Fund è un piccolo simbolo di più grande solidarietà, per esempio, ma è piccolo diciamo, hai detto giusto
che gli americani oppure gli inglesi possono mobilizzare molto più risorse per sviluppo dopo
Covid che Europa, perché Europa ha questo problema? Perché i creditori non vogliono che i debitori
gli dicano cosa fare con i loro soldi, è questo chiaro? Dunque dobbiamo trovare l'altro modo di
fare affari in Europa che secondo me non sarà Stato federale europeo, io non vedo questa opzione,
possiamo fare un discorso se questo è buona o cattiva notizia, ma io non vedo questa opzione,
perché stati nazionali trattano, e questa è l'ultima sentenza, l'Unione Europea come loro
gioco, loro controllano tutto e nel fine del giorno quando ci vuole cercare colpevole Europa,
ma quando è successo loro dicono abbiamo fatto noi, e io non vedo tanto trasferimento di potere
nell'Europa, vedo regole comune, adesso le misure di controllare se tutti fanno come
legge prevista, ma non vedo tanto trasferimento di potere, e questa è un'osservazione empirica,
questa non è un'osservazione normativa, possiamo avere dibattito cosa andrebbe meglio.
LM se l'Europa è questo animale strano, che poi fa anche un po' problema perché se non riusciamo
a definirlo, a capire che cos'è, per me almeno, che mi occupo di filosofia del diritto,
filosofia politica è un po' un problema, voglio capire con quale forma politica ho a che fare,
verso cui si sta andando, però in ogni caso non è che allora sono stati fatti dei passi un po'
azzardati, uno fra tutti, una moneta senza stato, non è che l'Euro più che migliorarci e farci
convergere, a noi italiani non ci ha migliorato, questa si può dire, c'era la tesi del superamento
delle zavorre italiche attraverso il vincolo esterno, codificato in una moneta senza stato,
gestita diciamo sovranazionalmente, non ha funzionato, ma in più ha prodotto forse più
divergenza e asimmetrie che convergenza tra gli stati, in qualche modo forse è diventato anche un
po' uno strumento di controllo, non solo per una struttura così diciamo tecnocratica centrale,
ma anche di potere per alcuni stati, che poi magari possono pesare nell'Unione Europea,
di più anche imporre determinate scelte, cioè diciamolo in un altro modo, credere di aggirare
il nodo del politico, della grande decisione politica, costituente, per via tecnica,
apparentemente tecnica, falsamente, illusoriamente tecnica, è stato saggio? In Italia i Ciampi,
Prodi hanno ritenuto probabilmente che facendo, anteponendo la moneta ci sarebbe stato poi un
effetto politico, cioè l'Europa federale politica, perché ci credevano? Forse questo calcolo,
questa strategia si è rivelata fallace, errata, non si è realizzato questo, ma forse perché,
come dice Jan, ragioniamone, convogliamo i popoli anche, se si vuol fare gli Stati Uniti
d'Europa deve essere il risultato di una decisione collettiva, oppure si pensa che non sia possibile,
non sia augurabile, si sceglie un'altra strada. Far finta di avere tutto quello che presuppone
una moneta comune e poi non averla, credo che produca dei problemi. Lo so che è un'indicibile
questo, perché soprattutto in Italia di questa cosa non si può parlare, ma oramai il Re è nudo
e ci sono molti libri importanti che sono usciti su questo tema e so che per Alessandro questo è
un nodo. Assolutamente, anche perché in verità il fatto che ci sia una politica monetaria gestita
dall'Europa e una politica fiscale di bilancio che è radicata presso gli Stati nazionali,
questa immagine è un'immagine che non è corrispondente al vero, o meglio, è vero dal
punto di vista formale, ma dal punto di vista sostanziale le cose sono messe in modo molto
diverso. Facciamo un piccolo passo indietro. Sino agli anni 70 si parlava di una politica monetaria
comune, concessione di sovranità monetaria all'Europa, ma si diceva anche che quella
accessione di sovranità doveva essere preceduta, o quantomeno accompagnata, da un'accessione di
sovranità in materia fiscale di bilancio, cioè se c'è una moneta comune ci deve essere anche
una politica, un bilancio europeo comune. A un certo punto si è smesso di pensarli in questi
termini e si è detto facciamo intanto la moneta, il resto poi verrà. Il resto è venuto nei fatti,
ma con delle scelte politiche che non sono state discute, perché il problema non è tanto la moneta
unica, il problema sono le politiche monetarie. Se la politica monetaria ha come finalità unica
il controllo dell'inflazione, questo significa necessariamente che le politiche fiscali e di
bilancio, che siano formalmente di competenza degli Stati o meno, ma quelle politiche devono
essere necessariamente restrittive. Non si può fare politica fiscale di bilancio espansiva,
non si può finanziare il welfare, non si può perseguire la piena occupazione, perché sono
politiche incompatibili con l'input unidirezionale, la moneta deve perseguire il controllo dell'inflazione,
controllo sulla stabilità dei prezzi. Questo è stato un esito voluto, assolutamente voluto.
Non solo, noi abbiamo un'architettura istituzionale che è questa, la moneta unica, il sistema delle
libertà fondamentali del mercato e così via. E poi c'è un'architettura informale che è quella
che sta presidiando l'attuale assetto dell'Europa, dalla moneta in avanti, anche un po' prima della
moneta, la Jacques Delors in avanti. Jacques Delors è colui il quale esordisce attuando la
Libra Circolazione dei Capitali, che stava scritta nei trattati sin dall'inizio, ma che
nessuno voleva attuare. Per gli effetti di cui parlavo prima, se i capitali circolano liberamente,
gli Stati si fanno la guerra per attirarli. Dicevo, questo meccanismo informale è quello che io chiamo
il mercato delle riforme. Tutti i trasferimenti finanziari da Bruxelles agli Stati nazionali,
tutti, dal piano Marshall, che è la fase in cui si inizia a parlare di Europa e la si concepisce
come un progetto atlantico, non come un progetto europeista, come un progetto atlantista, in avanti
le fasi in cui c'è stato l'allargamento a sud, l'allargamento a est, la gestione dei fondi
strutturali, la gestione della crisi del debito e anche questa attuale fase di gestione della crisi
pandemica funziona in questo modo. Io ti do i soldi, ma tu in cambio mi fai delle riforme e guarda caso
sono tutte riforme strutturali in senso neoliberale. E' una gabbia questa, è una gabbia. E se mi
permetti due parole, Nello, sull'attuale forma di assistenza agli Stati, vuol dire, c'è questo
recovery fund che dovrebbe portare 209 miliardi all'Italia, ma quando mai? Sono 209 miliardi ai
quali bisogna togliere i soldi che rappresentano i trasferimenti dell'Italia all'Europa, il netto
sono 59 miliardi, calcoli della Commissione europea, in sette anni, perché il recovery fund è agganciato
al piano finanziario pluriennale, cioè per i sette anni. Di questi la maggior parte sono debiti,
sono soldi che ci vengono prestati e quindi un debito, ma anche i trasferimenti cosiddetti a
fondo perduto, espressione pessima perché sembra dare i soldi a uno che non li sa spendere,
e proprio anche dal punto di vista del linguaggio è fastidioso, sono prestiti che l'Europa ha contratto
sui mercati, ma sono prestiti, l'Europa li deve restituire e visto che l'Europa un bilancio suo
significativo non ce l'ha, quei soldi saranno o trasferimenti dagli Stati all'Europa, oppure la
rinuncia ad alcune spese europee, ad esempio per i fondi strutturali, quindi diciamo che alla fine
sono soldi che si pagano, perché il debito che sia europeo o che sia italiano, tedesco, francese,
sempre debito. Quindi il meccanismo resta quello, non solo i soldi che arrivano sono per complessi
meccaniche, anche quelle legate a condizionalità piuttosto stringenti, peggiori di quelle che
avevano interessato la Grecia o che hanno interessato i paesi che sono stati visitati
da quel soggetto gentile che è il Fondo Serva Stati, il MES, il Meccanismo Europeo di Stabilità,
perché le condizionalità sono decise di anno in anno nel semestre europeo, che è una fase
durante la quale si concorda il contenuto delle leggi di stabilità, delle leggi di bilancio degli
Stati, a proposito di manovre fiscali di bilancio che sono nelle mani degli Stati, ovviamente no,
perché c'è il semestre europeo, quindi di anno in anno tu conosci le condizioni che devi rispettare
per ottenere quei soldi. Visto che all'Europa piace tanto il diritto privato, se fossimo dentro
il diritto privato qui siamo dentro un contratto con condizioni veramente potestative che renderebbero
il contratto nullo. Grazie, allora la parola a Yann, segnalo una domanda, chi la vuole raccogliere
per entrambi, tra le varie che sono arrivate, una questione che credo sia rilevante, di Paolo
Offer, chiede un avvicinamento dell'Europa alla teoria monetaria moderna, che ora sta
prendendo piede, insomma è oggetto di interesse alla modernale theory, potrebbe aiutare l'Europa
stessa o almeno un ritorno alla visione canesiana dell'economia, quindi è un po' un riferimento a
quei presupposti, almeno per quanto riguarda la visione canesiana, l'incapsulamento dell'economia
nella politica, nello Stato, che ha il controllo anche del libro Movimento di Canna, la ripressione
finanziaria, diciamo così, che avevano reso possibile un'Europa migliore in fondo, mi pare
di capire dal libro di Alessandro che lui ritiene che prima della svolta l'Europa si sia giovata
anche di quest'altra impostazione generale diversa, un merito alle politiche economiche,
nel rapporto tra democrazia e capitalismo, democrazia e finanza, e poi, visto che ci
avviciniamo un po' a concludere la nostra conversazione, però ancora un pochino di tempo
ce l'abbiamo, solleciterei appunto sulle prospettive, cioè il professor Djalonka
appunto è critico tanto degli Stati che dell'Europa, mi vorrebbe dire come si ridà un po' di potere
la cittadinanza, quali sono le strategie alternative ma realistiche, nel senso che
abbiano una forza politica, diciamo così, per evitare il doppio rischio, insomma, di un potere
tecnocratico, di un potere nazionale ripiegato su se stesso, forse anche di un neoliberalismo
la cui crisi potrebbe non portare a un superamento ma a un incattivimento, a una nuova rivoluzione
passiva, come la chiamava Gramsci. Guarda, ci sono cose diverse, io sono totalmente
d'accordo con ciò che ha detto Alessandro su neoliberalismo, ma è vero che negli anni 60 e 70
l'altra ideologia, l'altro modo di fare economia, socialwirtschaft e dell'or, con chi ho lavorato
brevemente, credeva in questo e quando ha creato il mercato comune ha anche creato fondi regionali
perché sapeva che il mercato non risolve diseguaglianze, credeva che deve aiutare
più deboli perché nel mercato comune più forti possono ottenere risultati migliori.
E dopo è cambiato il paradigma ideologico e quando hanno creato la moneta comune,
chi ha scritto il blueprint per la moneta comune? I banchieri, nel tempo di nascita
di ideologia neoliberale. Se è vero, aspetto io, che il neoliberalismo dopo questa pandemia sarà
morto, viene l'altra ideologia, altro modo di fare bene e male in economia. Io non so che cos'è,
non penso che si torni a Keynes perché Keynes è un'idea di più di cento anni vecchia e dunque
non so cosa succede, è difficile fare speculazioni. Ma io so che in Europa sarà sempre difficile
coinvolgere i cittadini. Perché? Perché la democrazia senza partecipazione è sempre debole.
Dovete leggere il grande maestro italiano Giovanni Sartori, la partecipazione sale di democrazia.
Nell'Europa il governo è sempre più lontano dal cittadino, la partecipazione è sempre sul
livello locale. Nelle città o comuni è molto più facile coinvolgere i cittadini che nel
Stato nazionale, è certo, in Europa. Europa ha provato anche a sviluppare democrazia come
democrazia nel Stato nazionale e questo non funzionava. Perché c'è Parlamento,
c'è Commissione come esecutivo, c'è Corte, ma non funzionava mai. E molto bene,
perché sappiamo che il Parlamento con tutti i poteri che ha ottenuto negli ultimi anni non è
centro di decisione. Abbiamo visto ultimamente quando nel Parlamento europeo la deputata
socialista ha fatto vedere questo contratto con tutte le righe cancellate nel nero con AstraZeneca.
E fino ad oggi non sappiamo cosa è successo. C'è zero trasparenza su queste negoziazioni,
possiamo solo speculare. Il Parlamento europeo non può ottenere niente. Il problema è non solo
il Parlamento europeo, il problema è anche che tutte le prove di convoiere cittadini sono
fallite. Io mi ricordo la prima Costituzione europea e questa consultazione con i cittadini
era veramente comica, come nel mio gioventù in Polonia. La mattina si incontra giovani,
pomeriggio sindicalisti, domani mattina con le donne, tutto organizzato con clienti di
istituzioni europee. Non c'era niente spontaneità. Adesso abbiamo inizio di nuovo di dadito di futuro
europeo e loro sono cittadini. Nessuno prova nemmeno nelle istituzioni europee a cambiare
modo di comunicare con i cittadini, anche se abbiamo possibilità tecnologica molto più
grande con internet e creare un ponte con cittadini. Ma non c'è niente idea. Dunque qui
sono un pochino scettico perché se trasferisci poteri a Bruxelles senza creare più grande
trasparenza e meccanismo di responsabilità, la gente non lo compre. Dopo queste negoziazioni
fallite con aziende farmaceutiche, chi si è dimesso a Bruxelles? Nessuno. Non c'è nemmeno
discussione su questo, non c'è modo di fare. Non voglio dire che le emissioni sono migliori,
ma questo è il problema. Non sono problemi di ideologie economiche che magari il no liberalismo
passa, ma ci sono problemi istituzionali come si crea questa fiducia di cittadini che la politica
è fatta non per loro ma da loro. Perché nella democrazia chi è sovrano? Cittadino. Consultazioni
non bastano. Consultazione è offesa per la democrazia. Perché consultazioni come faceva
Macron e dopo ha fatto decisioni totalmente opposte. Non serve a nessuno. Grazie. Le cose
che diceva Janno mi facciano pensare che anche questi governi tecnico-politici, noi ora ce ne
abbiamo uno in Italia, un governo cosiddice tecnico-politico, a mezzo. Oppure governi di
unità nazionale, ma di grande coalizione, anzi meglio. Da tempo, da anni, pensiamo a tutta la
tempesta sul disperè della emergenza finanziaria. In Italia l'abbiamo conosciuto, ma anche in altri
paesi. Forse rientrano in questa tendenza a non far partecipare granché i cittadini,
a immunizzare il potere di governo, su scala nazionale, ma direi comunque in un rapporto
costitutivo con quello che poi l'Unione Europea vuole, con l'agenda di cui ci chiamava prima
Alessandro. Il Parlamento Europeo giustamente veniva descritto da D'Elonca. Nella migliore
delle ipotesi è una scena su cui appunto qualcuno con coraggio può far valere, può
imporre delle domande, però poi le risposte non arrivano e soprattutto non c'è la possibilità di
cambiare. Non ci sono gli strumenti per chiamare a rispondere e anche assumersi le responsabilità.
Questione di cui appunto il fatto che uno si può dimettere quando fallisce è costitutivo
della democrazia, direi. Ma dando la palla un po' a Alessandro, approfitto per aggiungere anche
due domande. Una è molto diretta ma secondo me da prendere sul serio e te la giro.
E' possibile uscire dall'euro o è solamente un'idea priva di fondamento? E poi un collega
e amico, filosofo politico Francesco Maria Tenesco, di saluta, pone una questione più teorica,
cioè sul rapporto tra neoliberismo e liberismo. C'è una certa confusione poiché il primo è
interventista e dice lui coincide con l'ordoliberalismo, diciamo, non del tutto magari
ma comunque c'è un rapporto, invece il secondo è il liberalismo tradizionale, diciamo, o il
liberismo tradizionale no. E quindi se cosa ne pè? Cioè fare un po' di chiarezza tra liberismo,
neoliberalismo, ordoliberalismo, aspetto economico, aspetto politico. Poi vedo che nei commenti vari
che ci sono qualcuno, di cui non vedo il nome, dice magari il liberalismo fosse morto. C'è
qualcuno che ha meno speranza. Questo è il tesa di Aleksandr Dugin, ideologo di Putin.
No, però credo che si riferisse più al liberismo economico che al liberalismo politico e allo
stato di diritto. Credo fosse più riferito al neoliberalismo economico. Che anche io temo è
ammaccato ma come potrebbe anche dare dei bei colpi di corda, diciamo. Alessandro, a te la parola.
Visto che dobbiamo parlare di Keynes, si può riprendere Keynes per dire sì, morirà ma nel
lungo periodo quando saremo morti noi. Quindi la cosa ci interessa poco, fondamentalmente.
Teoria monetaria e soprattutto Keynes. Keynes funziona se ci sono dei presupposti di ordine
istituzionale politico e funziona se agisce all'interno di una comunità coesa, all'interno
di un demos. Perché Keynes significa ridistribuire ricchezza e la ridistribuzione della ricchezza
presuppone solidarietà, presuppone ad esempio una cosa che non sta neanche in terra, che un tedesco
dica, insomma io che sto meglio trasferiamo un po' dei miei soldi agli italiani, ai greci o altri
popoli che stanno peggio. Questi meccanismi solidaristici sono complessi in uno stato
nazionale, figuriamoci in questo animale strano, come giustamente diceva Jan, che è l'Unione
Europea. Quindi il demos europeo non c'è, ma non c'è una comunità che ha condiviso
delle modalità di gestione del conflitto sociale, che ha condiviso delle modalità di ridistribuzione
della ricchezza come conseguenza del conflitto sociale. Non puoi fare Keynes se non hai questo.
Così come non puoi fare Keynes se hai la libera circolazione dei capitali. Perché gli effetti di
cui parlavo prima, salari abbattuti e welfare e pressione fiscale sulle imprende abbattute,
significa che non hai soldi per il welfare, che è salario indiretto, e che hai dei salari
massacrati e quindi non ti funziona questo meccanismo che è complicamente keynesiano,
per cui tu hai salari elevati, quindi consumo elevato, che a sua volta produce occupazione.
Perseguire la piena occupazione non lo fai. Purtroppo dal punto di vista neoliberale la
piena occupazione dà un notevole potere contrattuale al lavoro e questo è probabilmente uno dei motivi
principali per cui non si persegue la piena occupazione. Perché nei regimi di disoccupazione,
i livelli di disoccupazione che abbiamo noi, il lavoro è più controllabile e quindi i neoliberali
sono felici e contenti. La distinzione per me è che il neoliberalismo e il liberismo sono la stessa
cosa. Lo so che non è molto diffusa questo orientamento, ma io metto sullo stesso piano
anche il neoliberalismo e l'ordoliberalismo. E' vero che l'ordoliberalismo, cioè il neoliberalismo
tedesco contempla un intervento più incisivo dello Stato rispetto al neoliberalismo haieckiano
austriaco, però è anche vero che la finalità dell'intervento satanica è la stessa, cioè tenere
in piedi il mercato, le leggi dello Stato che scignottano le leggi del mercato. Il fatto di
avere più o meno leggi è un dato quantitativo, non è un dato qualitativo, quindi non vedo grossa
distinzione in questo. Come indurre partecipazione? La partecipazione deve avere senso,
cioè io produco conflitto sociale nel momento in cui questo mi consente di incidere sulla scelta
politica. Anche lì devo avere una comunità politica, come controparte nel conflitto sociale,
un soggetto che può operare delle scelte politiche, ma la controparte della comunità
politica, il Stato nazionale è un'entità che sta fuori e che evidentemente non può essere cinga di
trasmissione di nulla, oltre al fatto che ha delle scelte di architettura istituzionale come
l'indipendenza delle banche centrali e un sacco di altre cose che sono pensate per rendere il
conflitto, per neutralizzare il conflitto sociale, c'è uno studio dietro queste cose,
non sono scelte in qualche modo casuali. Per quello che riguarda l'euro io francamente
non conosco molti economisti che stimo, che dicono che uscire sarebbe problematico,
ma non tanto quanto stare dentro, così come conosco altri economisti che stimo pure loro,
che dicono l'opposto. Questo è un nodo che non riesco a sciogliere, ma a me interessa un'altra
cosa, non dobbiamo deciderlo a tavolino o durante un dibattito se è opportuno o meno uscire dall'euro,
quello che noi dobbiamo fare è allargare la partecipazione democratica per rendere partecipata
una decisione di questo tipo e riattivare il circuito della democrazia. Significa innanzitutto
che intanto se usciamo dall'euro lo facciamo con questi leader politici, io preferirei averne altri
e il conflitto sociale mi serve anche per selezionarne di migliori rispetto a quelli che
abbiamo adesso. Seconda considerazione, una scelta importante di quel tipo presuppone che ci sia una
tensione ideale forte perché devi reggere poi delle conseguenze anche pesanti dal punto di vista
di possibili impoverimenti, di scontri enormi con altri paesi che magari te la fanno pagare
sulla scena internazionale, quindi appunto hai bisogno di tensione ideale e la tensione ideale
la ricrei se hai modo di avere un conflitto. Per inciso quando parlo di conflitto sociale parlo
di conflitto sociale democratico nella cornice costituzionale, non parlo di altro evidentemente.
Insomma tutte cose che mi fanno mettere l'accento sulla dimensione della partecipazione democratica
e a monte sul conflitto sociale come senso della partecipazione democratica e come killer della
partecipazione democratica se questa non può svilupparsi appunto in questa direzione. Io
metterei in questi termini, non dobbiamo scegliere che cosa è meglio adesso,
dobbiamo farlo dopo che abbiamo ripristinato le condizioni della partecipazione democratica.
E sulla questione della teoria moderna monetaria?
Ripeto anche su questo io sono un giurista e non sono un economista, ho letto evidentemente
in questo caso conosco economisti stimati dal mio punto di vista che l'accettano o la
rigettano. Questo come tante altre proposte che sono uscite. Mi permetti una piccola battuta su
le cose che dicevi tu Nello prima sulla campagna vaccinale e quello che sta emergendo. A me pare
che questa vicenda faccia mostri, ma tutta la vicenda sanitaria, mostri i limiti a cui è giunto
una costruzione che ha affidato tutto quanto al mercato. Perché non c'è solo questa fiducia nei
contrattini e nel fatto che poi uno li rispetti. Adesso poi anche il DNA della costruzione europea,
che è una comunità di diritto, che è la frase di Wallstreet, che vuol dire lascia il tempo che
trova anche perché non ha consente di fare questo tipo di operazioni tecnocratiche che per
definizione cancellano la dimensione politica. Ma c'è questa considerazione, quindi l'inutilità
della costruzione europea o meglio l'utilità della costruzione europea che mette fra parentesi
la politica e affida tutto al mercato e poi si stupisce del fatto che il mercato è cattivo.
Anche sul fronte sotto il livello statale, diceva prima Jan il disastro della Lombardia,
io spero che questa vicenda, cioè una situazione nella quale le regioni italiane che fondamentalmente
si occupano di sanità, il bilancio al 90% delle regioni è la sanità, che hanno combinato un
disastro con i liderini regionali che fuggono dalla responsabilità politica quando conviene,
sparano un po' di tutto quando invece conviene loro. Io spero che si riveda anche non solo
l'autonomia differenziata, che comunque realizzeranno, ma anche l'autonomia che c'è
adesso, che evidentemente è un qualche cosa che ha prodotto esclusivamente dei disastri. Quindi lo
svuotamento dello Stato verso l'alto con la costruzione europea e verso il basso con il
sistema delle regioni nel caso italiano è funzionale a un progetto di svuotamento del
mercato dall'ingerenza della politica. Ripeto, per me lo Stato nazionale non è il fine, è uno
strumento, il fine è la giustizia sociale e il controllo politico sull'ordine economico. Non
sono nazionalista ma neanche sono sovranazionalista. Lavoro con gli strumenti che ci sono per ottenere
quel fine che è la giustizia sociale. Io penso che si debba pensare in questi termini.
Bene, siccome abbiamo ancora alcune questioni e un pochino di tempo le lancerei a Iane,
anche a te Alessandro. Ma intanto ringraziamo, per questo ci dicono che bisogna assolutamente
mettere le mani su questo libro. Paolo Hoffer lo scrive e ci fa i complimenti con l'eccellente
presentazione. Lo ringraziamo e soprattutto siamo contenti del fatto di aver sollecitato curiosità
rispetto al libro. E poi ci sono una serie di questioni, anzi due, collegate, due domande
collegate che l'anno dopo penso soprattutto a Iane, a professor Djalonka. C'è proprio
sul Parlamento europeo. Sono due posizioni opposte. C'è chi dice che il Parlamento europeo
non conta nulla per fortuna e c'è chi dice che la questione fondamentale è proprio quella
che il Parlamento dovrebbe avere molto più potere, dovrebbe essere come un Parlamento
nazionale. Poi sappiamo che, aggiungo io, c'è una tendenza a spostare il potere dai
Parlamenti agli esecutivi anche negli stati democratici, costituzionali, insomma di antica
tradizione. Però comunque certamente il Parlamento europeo non è come il Parlamento di una nazione
democratica, diciamo così, perché ha meno potere. Ecco, secondo lui potrebbe essere questa la via,
cioè rafforzare il potere del Parlamento, renderlo effettivamente il luogo della legittimazione
democratica. Poi aggiungo, ci sono anche altre due questioni, approfitto perché questo è un po'
l'ultimo giro e ve le dico tutte. C'è chi, diciamo, avanza una preoccupazione, cioè queste politiche,
diciamo, le politiche europee ora hanno allentato l'austerità ma potrebbe tornare, riessere messa
in campo, anzi probabilmente lo sarà, o comunque ci saranno dei debiti. In ogni caso le difficoltà
che incontra l'Europa, qualcuno addirittura, Daniele Marchitella, le paragona al Bienio,
al governo, diciamo, che portò poi all'avvento di Hitler al potere, insomma il governo Bruning,
cioè le, poi ci sono anche altre, Fonpape, Neslaichere, ma insomma quei governi d'affari
tecnici, tecnocratici, che imposero l'austerità e non videro il problema politico che stava
venendo su prepotentemente. Quindi la domanda è, non rischiamo una deriva estremista in queste
condizioni? E poi c'è un'ultimissima domanda molto rilevante per entrambi e cioè, ma non è che oggi
l'unica vera istituzione federale europea è la BCE, per quanto organo tecnocratico non politico,
e non è la BCE il vero fattore di game changer, diciamo, il fattore che ha cambiato il gioco,
diciamo, anche nella risposta dell'Unione Europea alla crisi pandemica rispetto alla
crisi del 2008, cioè quello che più che il recovery fund è quello che ha cambiato veramente è quello
che sta facendo la BCE. La domanda viene da un amico, anche costrugioso, oltre che una persona
che ha avuto un ruolo politico, il suo repartesilario, cioè Alfredo Dattore, che peraltro
è autore di un libro sull'Europa e il ritorno del politico. A voi l'ultima parola.
Io penso che il Parlamento europeo è debole perché non può scegliere il governo europeo,
ma funziona adesso almeno meglio che consiglio commissione anche corte. Ma il problema non è
cosa funziona nei trattati, diciamo, sulla carta. Io sono anche giurista, dunque, Alessandro,
niente offesa per i giuristi, ma la verità è che durante la crisi le istituzioni informali hanno
preso decisioni più importanti. Durante la crisi finanziaria, sappiamo la storia di Varoufakis su
Ecofine, quando li hanno mandato via, hanno detto che è base legale. E loro hanno detto che era
controinformale. Durante la pandemia, le decisioni sono prese in fretta, nel modo non trasparente e
informale. Io penso che questo mondo post pandemia sarà anche molto pieno di turbulenza. Penso che
il nostro dibattito di potere formale non sia molto rilevante adesso. I giuristi devono fare
questo lavoro perché quando la situazione si calma dobbiamo avere un'idea di come si fa nel
modo istituzionale proprio. Ma nei prossimi 5, forse 10 anni, che saranno molto difficili,
penso che emergono situazioni totalmente nuove dove il potere e non la legge sarà decisivo.
E' questa situazione che non mi tranquillizza, ma come analista devo accettare e capire.
E questo voglio dire, che i prossimi anni saranno duri, duri, duri. Sono d'accordo con
Cacciari che dice che fra un anno comincia il gioco vero. Io penso che durante questi anni
le cose che non possiamo immaginare sviluppano. Non è molto tranquillizzante, ma è così.
Credo anch'io che fra un anno, un anno e mezzo, non celebreremo gli esiti, i renici della svolta
determinata dalla pandemia. Ma invece ci sarà un urto pesante con la sfida dell'effettività dei
poteri e anche con le questioni economiche. Per esempio anche con la questione di se la BCE
continuerà a fare o meno quello che sta facendo ora. Bideman e Bundesbacke stanno manifestando
nervosismo, vedremo. Ed è un po' la domanda che poneva Alfredo Dattore.
Ma questo che ho detto non dovrebbe essere tutto negativo, perché abbiamo visto che il settore
pubblico è diventato più importante. Tutti hanno pensato che il settore pubblico è solo per pulire
cose sportive, ma il settore privato può fare tutto. Adesso si capisce che non è così. Penso
che i risultati possono essere anche positivi, solo che nel turburezza non si sa mai. E questo
mi dà paura. Ma solo questo. Scusa Alessandro. No, no, ma pensando alla parola di Alessandro,
anche io penso che sia anche l'occasione di un conflitto. L'importante è che il conflitto non
venga sterilizzato, cioè che non venga perseguita la via della spoliticizzazione,
che noi in Italia abbiamo subito pesantemente da più di dieci anni. Questo è il punto.
Speriamo. Però bisogna anche che emergano soggetti della conflittualità, che diano forma
al conflitto. Alessandro, più di tu, vai. Sul Parlamento, il Parlamento europeo,
a parte che è un Parlamento veramente fino a pagina 5, perché può solo discutere proposte
di legge, non può formularne so stesso. Ma poi è un'entità scollegata da un demo,
abbiamo un Parlamento con le prerogative di un Parlamento nazionale, ma poi scollegato da un
demos, che mi sembra il problema fondamentale. Cioè quindi scollegato dal conflitto. Allora,
non è uno strumento che ripristina partecipazione da questo punto di vista. Sulla osterità che
ritornerà e sul pessimismo che hanno espresso sia Ian sia Nello per il futuro, sono assolutamente
d'accordo. Sono stati sospesi i parametri di Maastricht. Cioè sono stati sospesi. Quando una
cosa è sospesa significa che non viene buttata via nel cestino, viene intestinata. E c'è già un
bello scontro sull'anticipare questo, sul fatto che sia prima piuttosto che poi. E quando
ritorneranno i parametri di Maastricht, magari leggermente riformati con qualche operazione di
Cosmesi, ma sicuramente non ritoccati nella loro essenza, saranno problemi grossi. Perché noi
avremo un debito al 160-170% del PIL quando il limite è il 60%. Giusto per menzionare una
grandezza che salta agli occhi. E allora sì, questo produrrà necessariamente dei conflitti.
Perché se non c'è la disponibilità a riformare seriamente i parametri di Maastricht, che significa
buttare nel cestino questa Europa, e non lo vedo francamente politicamente possibile, e neanche
istituzionalmente, giuridicamente, perché per cambiare i trattati ci vuole un'unanimità. Basta
un olandese qualsiasi per inceppare questi propositi di riforma. A quel punto, certo,
si apre un conflitto sociale spaventoso, perché i problemi di giustizia sociale irrisolti diventano
necessariamente problemi di ordine pubblico. E allora, per dirla alla Wolfgang Streck,
cosa si inventerà il neoliberalismo, il capitalismo nella sua veste neoliberale per
sopravvivere, dopo che tutti gli espedienti sono già stati giocati? Forse un po' di repressione,
resta questo. C'è qualcuno che si sta preparando, che sta facendo qualche prova generale in questa
fase in cui ci stiamo abituando allo stato di emergenza? Non lo so, sono domande che per qualcuno
possono suonare retoriche e forse lo sono. Non voglio apparire come un terrappiattista che vede
dietro qualsiasi azione dei retroscena assolutamente fantasiosi, mi limito a registrare
il fatto che gli espedienti per far sopravvivere le cose così come hanno funzionato negli ultimi
anni sono esauriti, resta esclusivamente la repressione, non c'è altro. Questo sarà un nodo
grosso e comunque questo è ciò che porta a dire anche a me che i prossimi anni saranno anni brutti.
Beh, però anche l'occasione per rimettere al centro una politica in senso forte e un'idea di
democrazia presa sul serio, se vuoi radicale, ma presa sul serio. Direi anche il nucleo sociale
della nostra Costituzione, non è che non ci siano dei terreni potentemente di attualità,
dei terreni anche assiologici di valore. Certo, il rischio che in realtà la neutralizzazione
tecnico-politica prevalga, a proposito, mi colpisce che vorrei ricordare una cosa,
ieri Draghi ha detto che il mercato unico, e poi se volete dire qualcosa su questo,
poi chiudiamo veramente, ha assicurato protezione sociale, ha protetto il lavoro. A me sembrava che
la protezione sociale fosse frutto di quello che è accaduto prima nel trentennio glorioso,
nel compromesso capitalismo-democrazia, soprattutto che fosse stata stabilita dalla
Costituzione del 1948 e in particolar modo quando è stata presa più sul serio ed è stata applicata.
Cioè che sia lo Stato lo Stato sociale democratico, lo Stato di diritto del secondo
dopoguerra ad aver messo al centro, pensate all'articolo 3 della nostra Costituzione,
la protezione sociale, come diritti, non come elemosina. Mi colpisce, è come l'escusazio non
petita. Era come una risposta a chi dice che il mercato unico ha minacciato la protezione sociale,
mi è sembrato un voler dire no, ma in fondo non l'ha impedita. Storicamente e politicamente la
protezione sociale è il risultato di lotte e dello Stato sociale di diritto, direi. Almeno
io la vedo così e forse se ce ne ricordiamo questo periodo difficile che si annuncia sarà
meno in mano alla politica che neutralizza, diciamo alla tecnocrazia travestita da politica
che è al fine di neutralizzare la politica democratica. Questo però, qui non sono arbitro,
qui sono di parte. Va bene, se avete ancora un intervento siamo felici. Non so se Gian o
Alessandro. Consiglio a tutti leggere questo libro. Ottimo, è vero e anche quelli del
dialogo. Grazie a Gian, a Alessandro e a tutti voi che ci avete seguiti. Mi pare molto denso e ricco.
E poi quando uno individua i problemi, anche senza nascondere, senza infingimento, intanto
ha già il campo davanti e quindi si può attrezzare per le lotte, per le quali occorrono
idee. E qui oggi mi sembra che ne sono venute fuori diverse e non ovvie, non proprio quelle
mainstream. Va bene, grazie e buonasera. Grazie, grazie.