INFORMAZIONE
Eccoci qua. Buonasera a tutti e grazie per essere qui a Interregno anche questa sera,
dopo l'episodio della volta scorsa che era sull'ambiente, uno dei nostri ospiti è diventato
ministro, quindi vediamo che cosa succederà questa sera con i nostri nuovi ospiti. Interregno è uno
spazio di confronto intergenerazionale che offre la terza, che ringrazio, in cui cerchiamo di fare
le differenze e i punti in comune tra diverse generazioni, tra passato presente e anche con
uno sguardo al futuro. Questa sera andiamo con noi Giorgio Zanchini che è giornalista e conduttore
radiofonico, Alessandra Tommasi che è co-founder e CEO di Weal Media e Marta Bernardi che è
coordinatrice editoriale di Scomodo Trino che è la redazione del 25 più grande d'Italia.
Superando quindi questa barriera tra le generazioni iniziamo a parlare proprio di
informazione. L'informazione è cambiata chiaramente moltissimo negli ultimi decenni, c'è un momento
che possiamo definire il momento in cui si è iniziato a parlare a livello globale,
proprio se sentite la necessità a livello globale di utilizzare informazione digitale che è l'11
settembre, dal 2001 con le Torri Gemelle non bastava più la tv abbiamo tutti iniziato a seguire
twitter, social, facebook, instagram eccetera. Oggi nessuna redazione anche quelle più diciamo
tradizionali da l'Economist, Washington Post, Instagram Editor, Social Media Strategist,
il Guardian sono su TikTok ma questo non vuol dire semplificare l'informazione così va sempre più in
profondità. Quindi partiamo con Marta e chiediamo a lei che cosa vogliono i giovani d'oggi e quindi
perché in qualche modo il modo di fare informazione è cambiato, cos'è questo nuovo modo di fare
informazione? Allora innanzitutto parto facendo una considerazione su quanto possano risultare
stagnanti le due categorie di vecchio modo di informazione, mondo dell'informazione e nuovo
mondo dell'informazione perché di fatto per esempio una rivista come la nostra, scomodo, si pone come
una rivista cartacea in un mondo, in un momento storico, quattro anni e mezzo fa in cui stava
scoppiando l'informazione web quindi di fatto di primo appiccito dal punto di vista proprio materiale
siamo un modello di informazione cartaceo però nonostante questo ci riconosciamo in un nuovo
modello di informazione ma noi cerchiamo di colmare un po' quello che secondo noi è un gap
nell'attuale mondo delle informazioni perché probabilmente usare il termine informazione
singolare non restituisce la complessità di una situazione in cui la cosiddetta generazione z,
quella che riconosciamo come portatrice del nome di giovani sostanzialmente che spesso ci si
interpelle, ci si chiede che cosa vorrebbero. L'idea è che quello che spesso i giovani vorrebbero è una
visione di insieme, l'internet è pieno di piccole informazioni molto atomizzate e molto sostanzialmente
sotto forma di snack, di flash che restituiscono un singolo punto di vista o un singolo micro
approfondimento. La nostra idea è quella di cercare di dotare i lettori di strumenti per
leggere l'informazione sostanzialmente quindi nel nostro modello scomodo per esempio l'informazione
passa attraverso un processo di formazione quindi noi per scrivere un articolo prima di tutto
discutiamo tra pari, discutiamo con esperti e dialoghiamo con il reale. Questo è un po' quello
che noi intendiamo come modello di informazione che vorremmo fosse del futuro e in effetti vorremmo
vedere anche un po' di più in testate e modelli di informazione che magari sono completamente
basati su internet come per esempio il will però nonostante questo provano appunto ad innovare
portando anche un approfondimento che era tipico del cartaceo. Quindi l'idea sarebbe quella di
provare a scongiurare dei fenomeni come quelli delle sostanzialmente delle notizie false che
circolano nel web soprattutto per fenomeni come quello delle bolle social attribuendo alle persone
la responsabilità di leggere in modo critico le informazioni che trovano sulle testate. Per farlo
ci vuole una formazione che non deve essere per forza una formazione calata dall'alto da una
struttura come l'università dove si va ad imparare un mestiere, non tutti vogliono fare i giornalisti
e non tutti quelli che per esempio scrivono per scomodo vorrebbero fare i giornalisti ma vorremmo
essere tutti e tutte cittadini informati. Quindi noi vediamo il nostro lavoro come giornalisti,
giovani giornalisti e giornaliste anche un passo per diventare dei futuri lettori più informati e
più critici. Pensiamo che per esempio uno dei grandi problemi che c'è nel modo di fare informazione
in Italia sia la mancata trasparenza sul posizionamento politico delle testate per esempio
avremmo tantissimo da imparare dalla stampa estera per esempio della stampa americana che si dichiara
subito di primo acchito pro Trump o pro Biden per esempio c'è proprio un'editoriale all'inizio del
giornale in cui ci si dichiara in un certo modo e da lì in poi il lettore sa da che punto di
vista parte chi scrive e da lì può costruirsi la propria opinione leggendo con strumenti critici.
In Italia questo non avviene, si racconta un po' dietro lo spettro del giornalismo neutro,
del giornalismo che riesce a dare una visione oggettiva ma è molto difficile dare una visione
oggettiva, probabilmente è utopistico, neanche chi vive le situazioni nel reale riesce a restituire
effettivamente un'opinione oggettiva di quello che ha vissuto, è molto utopistico che lo possa fare
una persona che va sul reale a vedere cosa succede o ancora peggio che sta chiusa in casa
leggendo fonti secondarie. Quindi l'idea è che probabilmente i giovani vogliono una visione
d'insieme ma soprattutto vogliono un'ammissione, un'ammissione che l'informazione sia sempre in
qualche modo di parte in quanto autoriale da un lato e dall'altra in quanto frutto comunque sempre
di una simmetria informativa, anche un giornalista molto informato riuscirà sempre a restituire solo
le informazioni che riuscite a raccogliere, quindi probabilmente un po' di sincerità, questo vorremmo
portare. Hai messo dentro una quantità di informazioni che adesso parleremo solo di quello
che ci hai detto. Giorgio, tu che rappresenti in questo caso un po' appunto il vecchio modo di fare
informazione, anche se poi vecchio non è perché è ancora qui, è ancora qui tra di stabilissimo, secondo te
che cosa risponderesti a Marta? So che sono 100 punti però questo bisogno di sincerità.
Allora a Marta provo a rispondere attraverso tre punti. Il primo vorrei anzitutto denunciare la
difficoltà che ha la mia generazione un giornalista che come me si è formato nel
novecento di aggiornare i propri linguaggi e capire che cosa accade nonostante io cerchi di studiare,
nonostante io per ragioni professionali come potete immaginare cerco di essere il più aggiornato
possibile, ma l'aggiornamento della grammatica e dei linguaggi giornalistici di quello che oggi è
diventato il giornalismo è per una persona della mia generazione può essere la più curiosa del
mondo un'operazione molto difficile perché è una questione di ambiente nel quale si è cresciuti. La
natività digitale, mettiamola così, semplicemente ti fornisce degli strumenti o un abecedario che io
non posso avere, nonostante appunto tutto l'impegno e la curiosità che io provo a metterci, io fatico
in ogni caso a calarmi in un ambiente mediale che non è quello nel quale io sono cresciuto. Quindi
molto probabilmente le domande della generazione di Marta non sono anzi le risposte che cerca la
generazione di Marta, non sono le stesse risposte che cerco io e probabilmente non sono nemmeno le
stesse risposte che cercano Alessandro e tu Silvia. Fatta questa a dire aggiungo soltanto un inciso,
il mio modo di informarmi, il mio modo di dare significato al mondo, il mio modo di gerarchizzare,
il modo in cui io istintivamente costruisco un'agenda e cerco un'agenda è certo molto diverso,
abbastanza diverso, poi voi siete tre colleghi quindi in realtà fate un lavoro uguale al mio e
avete lo stesso tipo di bisogni, necessità e istanze che ho io, però è credo piuttosto diverso
a quello che mettete in atto voi, cioè per essere molto pratici, io ogni giorno passo 2-3 ore a
leggere giornali cartacei e immagino che questa sia un'attività che nessuno di voi tre fa e il
tempo che io dedico ad esempio a informarmi sui social è immagino di gran lunga inferiore a quello
che dedicate voi e a quello che dedica comunque un under 25 a generazione Z. Fatta questa prima
introduzione c'è un secondo punto sul quale vorrei provare subito a mettere per così dire i piedi nel
piatto e poi arriverò al terzo punto che mi vede invece in disaccordo rispetto a quanto ha detto
Marta poco fa. Allora Marta pone però una questione decisiva, se lei che ha 21 anni si
domanda implicitamente, ora non voglio per forza siccome sono un conduttore radiofonico e televisivo
gettarvi subito nell'agonismo, nella conflittualità, nella differenza di posizioni, però lei a un
certo punto ha detto che il problema della rete, dell'informazione che troviamo in rete,
dell'informazione che viene cercata dagli adolescenti o dai ventenni è che è una offerta
atomizzata, mi pare che abbia usato questa parola, per cui ci sono percorsi della notizia fatti di
piccole informazioni atomizzate, mi sembra che in questo modo Marta non l'ha detto esplicitamente
ma rimandi alla necessità di un ordine, di una gerarchia, di un sistema di significati che
permettano a chi cerca informazioni di trovare quelle informazioni appunto all'interno di un
sistema ordinato, mettiamola così. Perché dico questo? Perché io sono figlio come generazione
quello che Alberto Sorrosa, che è un grande italianista, ha definito uno straordinario
fatto organizzativo e cioè il quotidiano di carta stampata. Quando io prendo il Corriere
della Sera, Repubblica, qualsiasi giornale, sono cose banali quelle che dico e voi conoscete meglio
di me, io più o meno entro in un ambiente che ha un ordine, che ha delle forme, che ha delle
gerarchie, che ha dei luoghi geografici dove io trovo, intendo dire pagine 1, 2, 3 al fine del
giornale, dove io trovo quello che mi aspetto come lettore di trovare. C'è un ordine, c'è una
gerarchia. Io sono figlio di quel sistema lì, un sistema organizzato. Quello che credo preoccupi
Marta, ed è il tentativo che fa scomodo, che da un certo punto di vista è un ponte fra il modo in
cui noi, la mia generazione, cerca, offre, organizza le notizie, i fatti informativi,
e il modo in cui lo fanno gli adolescenti di oggi, che invece rischia di essere atomizzato,
casuale, persino inintenzionale, dicono gli studiosi. Che intendo dire con inintenzionale?
Noi siamo cercati dalle notifiche. Quando io e la mia generazione cerchiamo un'informazione,
mettiamo in atto un'azione, cioè andiamo a comprare il giornale, accendiamo il giornale radio,
accendiamo il telegiornale o cerchiamo sulla rete delle notizie. Oggi sempre di più le generazioni
under 25, under 30, ovviamente cercano anche le notizie, ma si imbattono casualmente,
inintenzionalmente nelle notizie, perché sono i cosiddetti mercanti dell'informazione,
a cercare la loro attenzione attraverso le notifiche, che possono essere notizie,
informazioni, ma possono essere tante altre cose. E mi fermo qui, perché se no parlo troppo.
C'è il terzo punto però, che è quello sul quale c'è un mio disaccordo su Marta. Marta,
con una coraggiosa posizione giovanile, dice una cosa che a mio avviso non è vera. Lei dice
che quello che vogliamo offrire noi di scomodo è un finger-pointed giornalismo, un giornalismo che
faccia capire subito il proprio punto di vista. I giornali anglosassoni dichiarano per chi votano
e la linea editoriale di quel prodotto giornalistico è esplicita, è raccontata. Ma Marta,
i giornali italiani questo l'hanno sempre fatto. Stamattina ho intervistato Ferruccio De Bortoli,
lui prima delle elezioni ha sempre detto che il Corriere della Sera appoggia Romano Prodi e quindi
invita i propri lettori a votare Ulivo. Il punto è che il giornalismo italiano, ma se tu prendi
Repubblica, io più o meno, anzi, diciamo i giornali italiani sono persino troppo partigiani,
anche per vendere loro pensano a un readership, a un lettore tipo. Se tu prendi Libero, La Verità,
Il Giornale, hanno dei pubblici di riferimento, hanno delle posizioni leggibilissime. Se tu
prendi Il Manifesto, io so perfettamente qual è la posizione del Manifesto, in politica economica,
in economia. Se prendo Il Fatto Quotidiano, è il quotidiano che ha appoggiato il governo giallorosso,
è il quotidiano che esplicitamente, Marco Travaglio scrive in editoriale Il Giorno Sì e Un Giorno No,
difendendo Giuseppe Conte e rimpiangendo Giuseppe Conte. Ci sono alcuni giornali che,
per ragioni storiche, Il Corriere della Sera tra questi, ma non solo Il Corriere della Sera,
in parte anche Repubblica, vengono storicamente definiti dei giornali omnibus. Siccome da noi in
Italia il mercato editoriale è complessivamente povero, un giornale omnibus, grosso modo,
sta a dire, ma immagino queste cose le sappiate meglio di me, che in effetti io cerco di, come
la televisione generalista, di sparare un po' nel mucchio, cioè di essere acquistato da lettori più
diversi, cioè dal notabile meridionale, dal borghese, ma anche dal borghese progressista,
o dall'intellettuale o dall'insegnante. Come faccio questa operazione qui? Anzitutto cerco
di coprire tutti gli argomenti, cosa che alcuni giornali ad esempio non fanno. Domani, un giornale
che ha un anno di vita, diretto tra l'altro da un vostro coetaneo, da Stefano Felti, che è uno
giovane e quindi cerca di intessere un rapporto fra linguaggi diversi, fra pubblici anche diversi,
domani è un giornale che non può essere un giornale omnibus, perché è un secondo, un terzo giornale,
che non dà tutte le notizie. Il Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa cercano di fare
questa operazione, ma soprattutto nel caso del Corriere della Sera ospitano degli editoriali
di segno diverso, cioè anche domani questo lo fa. Io su un determinato tema trovo editoriali
con delle linee diverse, di nuovo un po' perché cerco di tenere assieme capra e cavoli, cioè di
tenermi il lettore conservatore ma anche il lettore progressista. Personalmente io preferisco leggere...
Aspetta, aspetta, qua stiamo andando sull'audience che è ancora... esatto, è un altro tema ancora che poi lo affronteremo.
Perdonami, finisco solo con questo tema. Io trovo Panebianco e Ernesto Galli della Loggia,
che fra mille virgolette possono essere considerati due editorialisti liberali,
ma trovo anche Carlo Verdelli e tutta una serie di editorialisti invece ascrivibili, diciamo,
al progressismo e alla sinistra e quindi a te, Marta, immagino che la linea editoriale del giornale
sembri confusa. Però quella del Corriere della Sera forse è meno facilmente legibile, ma il grosso
dei giornali italiani hanno invece delle linee giornalistiche ed editoriali abbastanza esplicitate
e a mio avviso abbastanza legibili da chiunque li acquisti. E mi fermo.
Ecco, trovo molto interessante questa richiesta, diciamo, un po' mia colpa, un po' no,
del vecchio modo di fare informazioni, poi appunto, ripetiamo, non è finito,
cioè è ancora lì e si sta evolvendo. È interessante perché Will invece,
secondo me, ha una visione un po' diversa da quella di Marta, ma anche da quella di Giorgio,
quindi mi interesserebbe sapere da te, Alessandro, che cosa pensi di questo?
Sì, ma come dire, sento gli anni che passano, mettiamola così, anche perché mi sento più
vicino a Giorgio che a Marta in molte delle posizioni. Devo dire che però come Will non
ne facciamo, cioè almeno noi proviamo a non farne mai una questione generazionale. Io credo
che all'interno delle generazioni ci siano più o meno sempre, adesso voto per pieno,
la stessa voglia di essere informati e di sapere, di persone che hanno la capacità,
il tempo, lo spirito di prendersi la briga di informarsi in qualunque maniera e altre che non
ne hanno intenzione, grandi e vecchi, giovani e meno giovani, quindi non credo che sia una
questione generazionale. Will ha un intento che non è quello di dire studia, vattela a cercare,
devi approfondire, dannazione. Will prova a dire se sei distratto, completamente distratto,
parti da qua, prima eri zero e fai uno, sappi, devi essere consapevole, questo è uno, non è dieci,
quindi sappi che è proprio la base, base, base. Però è un tentativo proprio di avvicinamento
all'informazione, non è una voglia di dare la totalità, mettiamola così. Sono d'accordo con
quello che dice Giorgio, naturalmente non ha bisogno che io rafforzi quella posizione,
cerca la abbastanza chiarezza, diciamo così, del posizionamento dei giornali. Se uno in braccia
libero viene già identificato come un po' nostalgico dei Berlusconiani e invece se è un
altro tipo, ma è la stessa Repubblica, è Corriere, forse fra di loro che sono più vicini, ma comunque
hanno sempre avuto un'identificazione, mettiamola così. Come Will, la prima cosa che noi proviamo a
fare è quella di non essere identificati e di non parlare a solo una generazione, anche se,
come racconto spesso, ovviamente abbiamo come risultanza del fatto di essere sui social un
pubblico più giovane, che non giovanissimo, diciamo che meno giovane, però il nostro gruppo demografico
più importante tra i 25 e 34, quindi giovani ma non giovanissimissimi, mettiamola in questi termini,
e una volta una ragazza ci ha scritto come feedback rispetto al podcast, poi io l'ho chiesto di
allargare il feedback a tutte le altre piattaforme, e arrivando a Facebook lei ci ha detto, su Facebook
c'è un pubblico molto più litigioso, virgola, ma lo so che far parlare 50-60 anni di ambiente
di inclusione sociale è impossibile. Cioè lei, a vent'anni, 21, quindi l'età di Marta, aveva
chiarissimo nella sua testa che c'era un oiato generazionale in termini di valori fra quello
che pensava lei e quello che pensavano i più grandi celli. Wynn prova ad essere una cerniera
generazionale e far parlare, o meglio mettere in mostra, diciamo così, quello che i più giovani
hanno come interessi in termini valoriali ai più grandi celli, che magari oggi hanno più disponibilità
di potere, di incidere, economica o decisionale, ma facendoli vedere che cosa invece interessa ai
più giovani. Credo che, fatto centro a quello che dicevo prima, cioè che la percentuale di persone
che hanno voglia di interessarsi è più o meno la stessa, fatti come dire le dovute proporzioni con
i vari periodi storici che vogliamo, eccetera eccetera eccetera, quello che cambia è, uno, la base
valoriale e quindi i temi, e due, che ci faccio con quel pezzo di informazione. Credo, Marta ce lo
può dire meglio di chiunque altro, che i giovani, anche se è una definizione che mi fa schifo,
i giovani in generale, diciamo, tendenzialmente, in generazione dei più giovani, diciamo così, oggi la
necessità è quella di dire, ok, ho questo pezzo di informazione e quindi che ci faccio. Cioè non è
solo ce l'ho quel pezzo di informazione, ma ho quel pezzo di informazione e che ci faccio. Quindi,
una voglia di attivismo. Poi può essere un attivismo vero, come dire, durissimo, scendo
in piazza, mi schiva un'associazione, frequento un'associazione e via discorrendo, ma sono sempre
le stesse proporzioni di persone che lo faranno. Oppure lo condivido sui social, metto like e
commento con i miei amici su una pagina. È sicuramente un livello di attivismo più basso,
forse non sufficiente per quello che chiedeva Marta, che chiede Marta giustamente, ma io credo
che sia come dire un inizio, mettiamola così, e ha la possibilità di mettere forte e chiaro in
risalto i temi che sono di interesse e quindi anche poi a chi ha il potere di incidere, si legga
la politica, far dire basta parlare di quei temi che a me non me ne frega niente, vorrei che facessimo
di più su questi temi, la transizione ecologica, la lotta alle diseguaglianze, eccetera, eccetera,
che sono temi più forti magari per le nostre generazioni rispetto a quelle delle generazioni
precedenti. Ecco sì, volevo lasciare un attimo la parola a Marta proprio per rispondere a quello
che è stato detto fino adesso. Ma sì, io in realtà colgo la palla al balzo e in pratica do
in parte ragione sia a Zanchini che a Tommasi, perché sono consapevole che ci sono alcune testate
che sono molto posizionate politicamente, però diciamo che la mia denuncia di vaghezza dal punto
di vista di posizionamento politico si rifà un po' anche ai cambiamenti che vedo nel tempo,
nei giornali, che molto spesso sono legati ad alcuni elementi per me problematici del business
model che sta dietro proprio il mondo dell'informazione. Quindi per esempio il recente
cambiamento proprio di personale e di linea di Repubblica mi sembra che sia, non so, abbastanza
emblematico sotto questa luce, sotto questo punto di vista. E inoltre peraltro, sempre portando
al vostro mulino, trovo che appunto come partecipante a un'assemblea editoriale so anche
che è molto difficile comunque mantenere una linea coerente e posizionarsi ogni volta mettendo in
chiaro con i propri lettori che posizione si prende. Anzi ogni tanto probabilmente non è neanche la
cosa giusta da fare o quantomeno non è quella che facciamo noi sempre. Però diciamo che ci
sono alcuni temi fondamentali dal mio punto di vista, appunto scuola, università, immigrazione,
ambiente, lavoro, che sono un po' i pilastri della nostra società e se vengono strumentalizzati in
campagne costruite ad hoc che molto spesso portano visibilità a un preciso personaggio
politico o a un preciso taglio di visione di una situazione politica come per esempio può essere
la crisi di governo che si è da poco conclusa, trovo che questo tipo di modello, di approccio
alla notizia, possa essere dannoso anche proprio per il tipo di dibattito pubblico che va a creare,
come diceva giustamente prima Tommasi, il mondo dell'informazione ha una responsabilità grossa che
è quello di portare all'attenzione dei policy maker e degli stakeholder tutta una serie di
questioni, di questioni che sono di interesse generale. Il modo di esprimere questo interesse
generale, il frame con cui si comunica questo tipo di grandi issue, secondo me è molto importante ed
è in questo che denunciavo una vaghezza o una mancanza di continuità. Non per questo sono
convinta o penso che la redazione gli scomodo o i giovani con tutto che da poi in poi, anche
prima, tenete conto che quando io parlo a nome dei giovani sto parlando a nome di Marta e a
malapena a nome della mia assemblea editoriale, quindi non pensiate che io abbia da avere tutta
questa voce in capitolo per i giovani, però dico in assoluto come rappresentante della mia
generazione trovo sia un po' questo il problema, quello che ho appena descritto.
Io sto avendo credo dei problemi connessione purtroppo, quindi vi sento a momenti.
Ecco, perfetto mi sentite.
Ora non ti sentiamo più. Allora voi invece Alessandro e Marta mi sentite?
Perfettamente.
Noi tre ci sentiamo.
Continuiamo lo stesso giro di prima.
Perchè in realtà, allora sta tornando Silvia, ma insomma ho delle obiezioni anche a queste
ultime tue affermazioni Marta, ma insomma non posso romperti le scatole su qualsiasi
cosa tu affermi. Silvia la parola a te però.
Eccomi, adesso mi sentite, perfetto.
Marta parlava di business model, ha citato questo termine interessantissimo di cui diciamo
l'informazione ha bisogno perché bisogna in qualche modo anche evolversi proprio dal
punto di vista di business model. In passato diciamo c'erano tre modi di finanziarsi.
Sì allora.
E' la terza, vai Giorgio.
Aspetta Silvia ripeti, allora dicevi, per chi ci sta guardando stavi dicendo c'erano
tre modi per finanziarsi.
Tre modi per finanziarsi.
E ne dico con la pubblicità.
E il librido di questi due.
Quindi oggi come si è evoluto invece il modo di fare informazione, il business model per
chi fa informazione?
A chi lo chiedi?
A Giorgio, a te.
Allora questa è la domanda delle domande.
Immagino che su questo ascoltare Marta e Alessandro sia interessantissimo.
Anche stavolta farò un po' di rompiscatole, nel senso muoverò delle obiezioni e farò
delle domande ad Alessandro e Marta perché mi interessano molto.
Peraltro io poco prima di iniziare questa conversazione con voi ho ricevuto da mio cugino
Jacopo che peraltro fa il vice direttore di Internazionale, che è una rivista interessante
dal punto di vista del business model.
Perché è cresciuta negli anni, erano quattro scalcagnati, invece ora è una rivista tra
le più vendute e affermate, organizzano un festival molto partecipato.
Insomma sono riusciti in un territorio editoriale, un mercato editoriale, insomma poi Alessandro
su questo sarà molto più preparato di noi.
Aspetta scusate non ho idea di cosa sta succedendo, però ho staccato tutti i device, quindi credo
che tutto sia sotto controllo.
Stavo dicendo che mi dispiace perché credo che sia un problema esterno e di cui comunque
non posso fare niente.
Però volevo consegnare un po' l'attenzione di chi ci sta guardando e soprattutto ovviamente
di Marta, Silvia e Alessandro un po' di punti di nuovo sulla questione del business model.
Il problema del giornalismo di oggi.
Ah no, vi dicevo, ho ricevuto da mio cugino un link a un pezzo di Wittgenstein sul Post,
Wittgenstein come sapete è Luca Sofri, che raccontava, descriveva la situazione italiana
con un approccio molto realistico e molto franco, sfrontato, quasi come quello di Marta.
Cioè lamentava il fatto che l'opinione pubblica italiana, quella più avvertita, quella più
attenta, passa, non dico la giornata, ma gran parte del proprio tempo a criticare i
giornali di carta stampata, a dire siete fatti male, vendete poco perché siete fatti male,
insomma temi e frasi che io ho ascoltato tutta la vita.
Non spendendo però la stessa severità di giudizio ad esempio su tutto l'universo social
e aggiungendo che in Italia c'è stato un ribaltamento, voi siete troppo giovani per
aver conosciuto tutte le polemiche che ci sono state in Italia sull'intervento pubblico
a favore dell'editoria, cioè i soldi per mantenere in vita giornali cooperativi o
giornali di partito, un sistema che è entrato in crisi, fate conto, 15 anni fa, che è stato
riformato e che però adesso vede molti meno soldi di sostegno e di finanziamento diretto
all'editoria nel momento in cui la rete, la rivoluzione digitale, ha provocato, volenti
o non volenti, una crisi profonda dell'editoria stessa.
Ora capirete dove sto andando a parare con il mio discorso, perché il problema e le
opportunità che ci ha posto di fronte la rivoluzione digitale riguardano proprio il
business model, cioè oggi rispetto a quando ero ragazzo io c'è un eccesso di offerta,
non c'è una scarsità di risorse, c'è una sovrabbondanza di risorse.
Io in fondo non ho più bisogno, se ho uno smartphone con un abbonamento che costa 5
euro al mese, 10 euro al mese, posso sentirmi sufficientemente informato e in grado di cercare
e trovare tutte le informazioni di cui ho bisogno.
Non ho più la necessità che avevo io quando avevo l'età di Marta di andare in edicola
e spendere un po' di lire, all'epoca mia e oggi un po' di euro, per acquistare dei
quotidiani, oltre a pagare il canone per la radio e televisione pubblica, oltre a abbonarmi
magari ad altre riviste.
Oggi quest'eccesso di offerta ha determinato l'impoverimento, come sapete il declino dell'offerta
pubblicitaria, poi il Covid ha dato la mazzata finale al sistema editoriale italiano, ma
insomma questo ha determinato una crisi profonda di gran parte dei gruppi editoriali italiani
che adesso in modo affannoso cercano di trovare un modello editoriale sostenibile.
Come sapete il mondo anglosassone più o meno sta trovando delle strade, il mondo tedesco
e in parte il mondo francese e in parte anche il modello Guardian è interessante perché
diventano appunto delle fondazioni che ricevono contributi di forma più diversa, ma voi due,
e mi riferisco a Marta e Alessandro, siete protagonisti e figli di due modelli per me
e per la mia generazione interessantissimi, cioè nel momento in cui il giornalismo ai
miei occhi sembrerebbe, insomma Silvia lo sa meglio di noi, una professione morente,
agonizzante, che fatica terribilmente a stare sul mercato, e io conosco decine se non centinaia,
tutti ragazzi da scuola di giornalismo, che semplicemente si affacciano al mercato del
lavoro e sanno perfettamente che o saranno precari per 30 anni o camperanno con 1000
euro al mese, perché oggi l'idea di un giornalismo in cui sei assunto con un contratto a tempo
indeterminato da parte di un giornale, una televisione o una radio, che sia un grande
gruppo editoriale, è diventata molto marginale. 4 giornalisti su 5 di quelli iscritti con
posizione attiva a casaggi teimpici sono autonomi, partite IVA, che guadagnano spesso
meno di 6 mila euro l'or di l'anno, questo è il dato di fatto, il dato di realtà, per
cui le strade che voi due avete intrapreso, perché sono ai miei occhi particolarmente
interessanti? Marta io voglio bene a scomodo, ho un sacco di figli e di amici che lavorano
a scomodo, quindi adesso tesso le loddi della vostra grande operazione giornalistica, però
le obiezioni che ho mosso a Pietro Forti, che lo dico per chi ci sta guardando, è il
responsabile dell'attualità di scomodo e quindi un collega di Marta, quando è venuto
a portarmi tutti i numeri ho detto, ma voi come vi mantenete? Come retribuite i colleghi?
Come li pagate quelli che scrivono sul giornale? Perché il problema della sostenibilità appunto
è il problema, voi organizzate quelle bellissime feste, peraltro in Covid manco se possono
più organizzare, in cui vi autofinanziavate e permettevate in questo modo ai numeri di
uscire, però il lavoro di tutti voi, almeno credo, Marta tu mi correggerai, era su base
volontaristica, cioè si partecipa e si collabora gratuitamente, quindi non è che puoi costruire
un'esistenza professionale in quel modo, è un lavoro nobilissimo, mentre quello che sta
facendo Alessandro è altrettanto interessante, perché loro invece, immagino Alessandro i
primi obiettivi, venendo tu peraltro da un mondo che ha dei business model molto chiari
e che è riuscito a fare dei profitti anche di rara capacità efficacia, tu hai scelto un modello
che invece si è subito a posto la questione come facciamo a stare sul mercato, come facciamo a
mantenerci, come facciamo immagino anche a retribuire chi sta, chi collabora e lavora con
noi. Certo voi siete un po' l'eccezione, perché poi immagino ci sia anche molto branded dentro
Will, cioè ci siano anche delle forme di finanziamento, anzi è interessante che tu ce lo
racconti, perché ricordatevi una cosa, perché parlavo di crisi del mercato del modello italiano,
perché in buona sostanza non c'è un sito di informazione, a parte un paio di eccezioni,
forse adesso The Post International, ma uno dei siti di informazione a cominciare dal Post,
passando per lettera 43, per l'inchiesta, non ce n'è uno che sia inattivo, e lì purtroppo gli
editori quando investono sui siti di informazione in Italia ci rimettono dei soldi, cioè l'intero
sistema di offerta editoriale italiana è in difficoltà, non soltanto quello tradizionale,
anche quello online, per cui la strada che ha intrapreso Alessandro, secondo me dal punto di
vista del business model è interessantissimo, mi fermo e potrei parlare otto ore del modello
americano, però credo sia più interessante sentire voi. La povera Silvia ora sembra
addormentata, povera, ci è stata frisata con gli occhi chiusi. È incredibile, proprio quando
devo parlare io si blocca. No, volevo lasciar parlare prima Marta, perché io penso che anche
gli obiettivi di Scomodo e di Will siano molto diversi, sono sicuramente diversi, quindi Marta,
dicci un attimo tu qual è lo scopo di Scomodo e come si finanzia? Beh, allora, primo punto molto
importante è che Scomodo non è solo un giornale, anzi, principalmente è un movimento culturale,
quindi questa è una specifica da fare grossa all'inizio e in generale nasce dall'Igea che ci
sia bisogno di dare una concretezza a questa voglia di partecipazione, di attivismo e di
movimentismo da parte dei giovani, che questa vada anche tradotta in qualcosa di pratico che
effettivamente si riesce a fare, è un lavoro di raccolta di informazioni, di incontro con il
reale, di confronto tra pari, è una cosa che ci sembra alla nostra portata, diciamo, che quindi è
una cosa che noi portiamo avanti nel quotidiano, è un lavoro effettivamente per ora, per la
grandissima parte volontario, il mio è un lavoro volontario, ci sono a spot alcuni lavori che
riusciamo a rendere sostenibile attraverso delle partnership, ma noi spendiamo praticamente metà
del nostro tempo a scegliere le partnership, di modo che siano perfettamente in linea con i nostri
valori, di modo che noi le accettiamo eticamente, i nostri partner principali sono Greenpeace,
Banca Etica, Internazionale, Action Aid, sono molto scelti e riescono a finanziarci ed aiutarci con
delle partnership di progetto precise, quindi per esempio la stampa di inquinanti, che è questo
numero speciale che per adesso è uscito in due edizioni, è stata completamente finanziata
da Greenpeace e questo ci ha permesso anche per esempio di stamparla a zero impatto, che è una
cosa che non sempre riusciamo a fare con il mensile tradizionale e in generale l'idea è
quella di puntare ad una sostenibilità nel futuro che sia maggiore rispetto a quella che c'è adesso,
però dall'altra la volontà è anche quella di far rimanere in scomodo le persone che sono in
scomodo adesso, perché? Perché la gente viene da noi e invece di andare in un posto dove pubblicando
due post su Instagram al giorno si viene effettivamente pagati, probabilmente forse
anche di più addirittura di un giornalista iscritto con un tesserino che lavora come
autonomo, però diciamo che alle persone che scegliono quel tipo di lavoro lì, finisce molto
spesso quelli della mia età, soprattutto per mancare tutta la parte valoriale, la parte in cui
loro riescono a costruire qualcosa in cui credono e quindi un sacco di persone preferiscono venire
da noi, costruirsi insieme a noi e costruire insieme a noi un progetto che sia un bagaglio
di formazione, ci facciamo tutti insieme, per insieme progredire verso un modello di sostenibilità,
che è una cosa un po' diversa rispetto a pensare fondiamo un giornale dove tutte le persone riescono
ad essere pagate come noi sogniamo che un professionista della pintura e della divulgazione
sia pagato. Noi abbiamo dei sogni molto ambiziosi, ci piacerebbe a tutti essere pagati giustamente
per un lavoro per cui ci impegniamo moltissimo e lavoriamo alcuni noi tipo anche 20 ore al giorno,
però il punto probabilmente è che diciamo che per ora stiamo privilegiando la dimensione
qualitativa rispetto alla dimensione quantitativa. Inoltre ci sono tutta una serie di iniziative che
noi proviamo a fare proprio negli spazi che sono aperti nelle città. Per ora quello principale è
quello di Roma, a Spintime, che ormai appunto ha anche una credibilità social e ha ospitato pochi
eventi, essendo che è stato aperto praticamente quando è iniziato il covid, però i pochi eventi
che ha ospitato sono in generale i bar e una forma di autofinanziamento. Però è appunto l'apertura
anche negli spazi delle città. A Torino stiamo lavorando per aprire uno, lo stesso a Milano,
probabilmente anche a Napoli. Sono degli altri modi per far contribuire le persone alla lettura
di scomodo e poi inoltre c'è il fatto che comunque noi pubblichiamo e distribuiamo un prodotto che ha
una qualità che viene riconosciuta da tutte le persone che si abbonano, che in realtà sono
quelle che garantiscono la sostenità minima che corrisponde con il costo di stampa principalmente.
C'è da dire che però alcune professionalità che sono già avanti nel loro percorso di formazione,
come per esempio le persone che si occupano di grafica, che non so se avete mai notato,
però è scomodo è una parte fondamentale, sono retribuite. Perché si tratta di un lavoro altamente
professionalizzato, probabilmente allo stesso livello di quello del giornalismo, proprio nella
sua parte editoriale, però ha una componente pratica e di skill che va valorizzata in un
contesto come quello in cui siamo adesso, altrimenti queste persone non lavorerebbero
più con noi. Probabilmente uno dei problemi di cui soffriamo è anche che le persone che si
occupano della parte più editoriale, le reghette ci mettono di più a scappare da un modello dove
non si è sostenibile da subito, probabilmente perché hanno anche un'attenzione al contenuto,
al valore che è più alta, più o meno statisticamente in media. In generale noi crediamo appunto che il
tipo di iniziative che portiamo avanti noi siano riconducibili, come lo siamo dal punto di vista
legale, a delle iniziative che non sono a scopo di lucro. Sostanzialmente noi siamo un'associazione
di promozione sociale. Marta, tu sei studentessa universitaria, perdonami questa domanda, che studi?
Io studio Scienze internazionali per la cooperazione e lo sviluppo all'Università di Torino.
E tutto torna. È chiaro che ci sia un obiettivo diverso per Scomodo e per Will,
e quindi Will però allo stesso tempo ha una base valoriale, che è una base valoriale forte su cui
spasa praticamente tutto il tipo di informazione che fa. Come si finanzia Will e come i valori
di Will rimangono intatti nonostante il lavoro con i brand. Permettimi però di tornare su un
punto che toccava prima Giorgio, che trovo particolarmente interessante. Ho avuto il tempo
di frequentare il DEE, il Dipartimento per Editoria a sufficienza per appassionarmi alla
faccenda del finanziamento pubblico. Ma credo che il digitale, che ancora trattiamo come se fosse
una novità quando parliamo di editoria, dovremmo darlo abbastanza per scontato, ha messo in luce
chiaramente delle debolezze che erano molto più evidenti. In generale questo è successo,
ho lavorato in diverse start up americane, eccetera. Il digitale ha solo reso molto più
evidente, in speciale in Italia dove c'erano degli accrocchi che stavano lì, il quietrovivere aveva
cristallizzato. È arrivato il digitale che non è democratico in un certo senso, ha spazzato via il
modo in cui le cose si erano intancredite e si è reso evidente il bubbone, il problema che c'era
là sotto. Dall'altra parte gli editori hanno tentato per molto tempo di usare il loro potere
per influenzare la politica e anziché trovare un nuovo modello di business hanno cercato di
rendere più pesante lo zainetto di chi correva veloce, Google, Facebook e gli altri, focalizzandosi
poco sulla loro di transizione digitale, secondo me, la mia personalissima opinione. La musica ha
avuto un momento terribile, Marta magari non se lo ricorda, madonna come sono vecchia a usare
queste espressioni, ma c'era Napster, abbiamo iniziato a scaricare la musica legalmente con
Napster, poi piano piano, piano, piano, e ad oggi c'è un sistema estremamente legale che è Spotify
di ascoltare della musica in streaming senza dover comprare un cd, ma pago un abbonamento,
eccetera. L'editoria ha faticato ad arrivare a un sistema del genere, poi adesso è qualche
anno che ci sono dei sistemi di subscription, quindi di sottoscrizione di abbonamento,
probabilmente si è perso del tempo cercando di rallentare una corsa che invece era destinata
ad andare sempre più veloce come sta andando. Quello che fa Will è avere tutti i collaboratori
o dipendenti strapagati, nel senso che cercava di fare tutti felici naturalmente, ma se guardo
quanto viene pagato un giornalista per un pezzo su un giornale tradizionale, un contributo su
Will, che se vogliamo è estremamente più semplice rispetto a scrivere un pezzo per un quotidiano,
è pagato credo 6, 7, 8 volte se non di più. Assolutamente sì, perché credo in inglese dicono
if you pay peanuts you get monkeys, quindi se vogliamo le persone brave bisogna avere la
capacità anche di attrarre i talenti. Dall'altra parte io non ho mai lavorato nel modo dell'editoria,
ho sempre trovato giusto pagare le persone per il loro lavoro. Di visibilità non credo che abbia
mai pagato nessuno la spesa al supermercato, quindi non è il modo in cui io voglio supportare le
persone che collaborano con Will. Noi abbiamo un business model che è molto chiaro, cioè quello
di lavorare insieme a soggetti terzi, che siano aziende o associazioni, nella co-creazione di
contenuti. Io lo rivendico con grandissimo orgoglio questa cosa, uno perché è estremamente
trasparente il fatto che quando qualcosa è su Will è sponsorizzato e pagato, c'ho scritto
grande come una casa naturalmente. Il secondo aspetto è che bisogna guardare i dati, no? Media
in politics hanno livelli di fiducia bassissimi da parte della popolazione, quello che resiste
sono le aziende e le aziende, il 67% della popolazione, il 94% se guardiamo solo Gen Z,
guarda per dire cosa tu stai facendo per cambiare il mondo su critical social issues. Ecco, allora
prendiamo le aziende e diciamo tu cosa stai facendo per cambiare il mondo nel tuo piccolo
grande impatto che puoi avere, che sia fare il prodotto in una nuova maniera, che può essere
raccontare il tuo prodotto in una maniera diversa e il consumo critico dall'altra parte, che è
fortissimo e che la comunicazione può ulteriormente supportare, è il modo per accelerare questo tipo
di cambiamento. Non c'è nessuno che ha detta una linea, come dire, editoriale se non noi stessi,
la nostra linea editoriale per rispondere a quello che diceva prima Marta anche, non è nel singolo
post ma è fortissima al nostro posizionamento, il 30% dei post su will parlano del tema della
sostenibilità, dell'emergenza climatica, è fortissima questa cosa, questa linea editoriale,
il singolo post non ha come dire, secondo me, un imprinting, non è che tutte le volte diciamo negare
climate change è una cavolata, non credo che sia necessario farlo, ma ovviamente basta scorrere,
dare due scrollate al feed ed è evidente. Io credo che il business model sia, come dire,
diverse formule in base alla mission che ognuno si dà, quello che raccontava Marta è chiaramente
peculiare per la fondazione che si sono dati, la realtà che loro intendono fare,
un altro tipo di mestiere e abbiamo modi diversi, ci sono diverse modalità di business e diversi
modi di portare a casa la pagnotta, credo che il mondo dell'editoria ci sia concentrato troppo
poco. Ieri sera sono entrato per pochi minuti su Clubhouse in una stanza dove si parlava di
editoria digitale eccetera e ho sentito ancora dire ma il giornalista, la testata giornalistica
è una garanzia di qualità che il digitale non può dare, il giorno in cui era stata pubblicata
per non so quante ore l'intervista di Brunetta di sette mesi prima è lasciata lì. E chi è che
l'aveva pubblicata? Google? L'aveva pubblicata qualcuno? L'errore sta a tutti ma ancora dire,
il digitale verso sui cartacei, il Corriere che deve essere pubblicata per prima e tutti gli
altri dietro a loro. Ancora dire il digitale sono le fake news e il giornale no, il modello di
business è il pagamento della notizia, è un modo di raccontare la storiella molto falso, non si è
mai pagato per la notizia, non si è mai pagata la notizia, si è sempre pagato il Groupon alla
fine, si è pagato tanto altro ma non la notizia di per sé. Ecco quindi i modelli di business vanno
solo portati al digitale e adattandosi a quella che è la situazione attuale. Mi sono scaldato
perché Marta si scalda e io mi scaldo e mi piace la passione. È giusto, questo dibattito è fatto
apposta per scaldarsi. Mi piace anche che è arrivata una domanda da Pietro sui commenti che
ci dice, visto da fuori Will pare più business che giornalismo, se vincono i prodotti del genere
sarà alla lunga una grossa perdita per il giornalismo. Penso che in qualche modo tu abbia
già risposto però non so se vuoi aggiungere qualcosa sul fatto che appunto Willy per sé non
è una testata. Ma a parte quello, adesso facciamo un po' di nemici, ma trovo più svilente il fatto
che su un sito di un grande quotidiano nazionale, diciamo così su tutti i grandi siti di quotidiani
nazionali, in alto ci siano contenuti rubati da Instagram di qualche canale con il gattino che
fa che scivola sul ghiaccio o l'incredibile azione di questo o di quell'altro. Lo trovo
svilente, se vado sulla grande testata devo trovare qualcosa di altissima qualità, dato che non hanno
un altro modello di business se non il click sul banner, ma teranno dei video terrificanti o titoli
di clickbaiting. Will fa un altro mestiere, fa divulgazione per, come dico sempre, se fosse un
corso di karate è il corso per le cinture bianche, quindi dobbiamo avviare le persone ad interessarsi
della cosa pubblica e mi sento, sono molto molto forte, mi arriva a dire che non abbiamo
alcun tipo di condizionamento che invece hanno chi secondo me si manifesta, si racconta molto
più puro che poi assolutamente non lo è. Noi siamo sufficientemente piccoli perché nessuno
si interessa a noi per fare alcun tipo di pressione e non abbiamo alcun tipo di agenda politica se non
quella di provare a rispondere alla base valoriale generazionale. Sì, posso porre una domanda e
muovere un'obiezione ad Alessandro. Allora la domanda che faccio a entrambi è quanto siete
liberi, peraltro vi parla un giornalista che campa grazie al fatto che nella bolletta che ho ricevuto
della CEA poco fa c'è una voce per il servizio pubblico, cioè io campo grazie al canone, quindi
sono di tutti i più colpevoli, mettiamola così, io campo solo perché i tuoi genitori, Marta, pagano
la bolletta o forse Silvia e Alessandro forse pagate la bolletta, insomma io campo grazie a voi.
Io ringrazio voi, ho tolto, sgombrato il campo da questo equivoque. Faccio una domanda, quanto siete
liberi rispetto al partner che, fai conto, sponsorizza un numero? Io immagino Marta e tu mi
risponderai, noi condividiamo la battaglia di quel partner e poi ti chiedo Alessandro, quando tu
appunto, non so se si definisca tecnicamente branded content, ma insomma tu, ecco rispetto
a quel post dove esplicitamente, insomma citato poi chi lo sponsorizza, sei libero però di dare
quella notizia seppur in pillole, seppur breve e appunto senza urtare la sensibilità, lo dico
perché i grandi giornali carta stampata, ad esempio con i loro grandi investitori, come sapete, sono un
po' in difficoltà. Aggiungo un'ultima cosa, Alessandro, secondo me c'è stata anche un'evoluzione
delle homepage, dei quotidiani classici, nel senso che se guardi Repubblica oggi, anche il Corriere
della Sera, secondo me, è molto migliorata rispetto alla colonnina di destra con i gattini e le donne
seminute, perché stanno puntando molto di più sul paywall con un ritardo ventennale rispetto
agli americani, però adesso credo che quella direzione, quella scommessa, un po' d'introit
in più, li stia portando. Mi fermo. Poi lasciamo parlare anche Marta, perché giustamente gli è
stato detto che lei... No, no, lei fa di io! Mi sono bloccato, volevo... Esatto, facciamo ripetere prima Marta. Bravo.
Era uguale. Comunque, parlando della libertà rispetto ai partner, io devo dire che forse
anche in realtà, rispondendo un po' a una cosa che ha detto prima Alessandro, molto spesso c'è un po',
da una parte una mitizzazione dell'online e dall'altra una mitizzazione dei giovani, il che
porta un po' ad un feticismo nei confronti di scomodo, perché siamo giovani che sono online
ma pubblicano il cartaceo e questa cosa triggera le persone e quindi porta tantissimi partner,
potenziali partner, a rivorgersi a noi chiedendo l'opinione dei giovani su questo argomento.
E in quel caso lì, alla fine, ci lasciano moltissima libertà dandoci un tema molto generico, ma questo
tipo di richieste tre quarti delle volte le bocciamo. Il tipo di richieste che ci piacciono
di più sono quelle in cui noi inseguiamo, tra virgolette, un lavoro di ricerca o di divulgazione
che fa un altro partner e correndogli un po' incontro, diciamo, ma noi siamo interessati,
vorremmo approfondire, ci date una mano. E il momento più bello è in cui loro ci dicono
sì, assolutamente, soprattutto perché voi siete giovani, siete cartacei, ma siete anche online,
quindi ci piacete. Perché non pensiamo insieme a un contenuto? Bene, la parte in cui si pensa
insieme il contenuto con i partner è la parte più formativa in assoluto, perché finché c'era
chiacchieriamo tra vent'anni c'è un tipo di opinioni che girano. Se invece c'era chiacchieriamo
con qualcuno di più formato che ha molta esperienza sulle spalle, vengono fuori delle
cose notoriamente più interessanti. Però se non c'è la libertà tematica o d'opinione, noi partner
non lo scegliamo proprio. E il punto, una cosa un po' emblematica che è successa rispetto al rapporto
cartaceo online di cui parlava prima Alessandro, cioè del fatto che c'è moltissima critica sul
cartaceo e si critica poco l'online da una parte e dall'altra invece, invece di aggiornarsi,
il cartaceo ha cercato di far pesare di più il bagaglio dell'online. E per esempio a noi è
capitato che ci scrivessero un articolo su Scomodo in cui testevano le lodi delle nostre guide su
Instagram, strumento che era al tempo quasi nuovo del social e quindi tutti cercano di capire come
usarle. La cosa che fa ridere è che le nostre guide su Instagram sono lo scanner del cartaceo e
quindi questa roba qua fa morire, cioè siamo stati incensati per saper usare l'ultimo strumento social
quando invece non era altro che il cartaceo trasferito su Instagram. Questo mi ha fatto moltissimo
ridere, secondo me è emblematica e in generale è molto importante capire che per esempio io
l'abbonamento all'online lo lascio un euro al mese a New York Times. Perché? Perché fanno un lavoro
veramente bello, nel senso che tutto il loro lavoro di mappe, tutto il lavoro anche di
programmazione che c'è dietro al sito è proprio un lavoro di qualità. Quindi io penso che quando si
parla di giornalismo su internet si debba parlare di quel tipo di giornalismo su internet e quello
è un modo di fare giornalismo su internet. E poi ci sono tanti altri modi che però in qualche
modo nella mia gerarchia di qualità stanno anche un po' sotto quel tipo di approfondimento lì.
Quindi questa è una cosa un po' laterale però che secondo me è importante sottolineare in questo
divorso. A me il tema è che, credo che per quanto mi riguarda il descrimine sia il fatto che a me
l'attualità, la notizia non interessa. Cioè mentre il dare la notizia più o meno distorta perché
chiama l'investitore più o meno pesante al direttore del giornalone, il corriere della
Repubblica, al Sadomedi, magari esiste magari no, non lo so, è una dinamica che non conosco,
noi non diamo la notizia, noi raccontiamo un tema che spacchettiamo ma sono sempre gli stessi,
c'è un cambiamento demografico, un cambiamento tecnologico, un cambiamento nell'economia,
nel modo di produrre valore e il cambiamento, viva Dio, nella consapevolezza sulle questioni
climatiche. Queste sono le quattro cose che noi raccontiamo e basta di Salvini, di Maio,
non raccontiamo praticamente mai, adesso ovviamente dobbiamo farlo sulla chesi di
governo per aiutare ad orientarsi un minimo su cosa sta succedendo, ma non c'è la notizia da
parte nostra. E quindi siamo molto più liberi, cioè il partner col quale noi lavoriamo si deve
inserire in uno di questi quattro cambiamenti, se tu fai dei nuovi pantaloni, non mi interessa se
è a vita alta, a vita bassa, stretto, largo, in quale di questi quattro canali tu ti stai inserendo,
stai cambiando il modo in cui l'hai prodotto, il modo in cui impatta l'ambiente e via discorrendo.
Quindi questo è il modo col quale noi interagiamo. Se non c'è comunione di intenti, diciamo così,
rispetto a questi quattro megacambiamenti, noi non raccontiamo e fa niente, perderemo qualche
revenue, ma meglio perdere un contratto perché non c'è la condivisione di idee o ci stanno
raccontando delle fregnace rispetto che perdere l'osso del collo con tutta la community perché
ci siamo venduti a qualcuno che ci raccontava il falso. E questa è una grande difficoltà,
quando facevo il consulente l'amministratore regato di una grande azienda mi ha detto
Alessandro qua ci dicono sempre che siamo wider than white e poi più pulito c'è la rogna e l'ho
trovato interessante perché l'azienda mente anche internamente, non solo esternamente.
Questo è il primo aspetto. Quando adesso Marta diceva lei per cosa paga, io sono un po' più
grandicello, io pago quasi 390 euro all'anno credo se non di più di abbonamento a The Information,
che è una di fatto per me è una newsletter perché sul sito io non navigo su internet,
praticamente o mi arriva nella mail o non faccio nient'altro. The Information è una newsletter di
altissima qualità, sono di 18-20 reporter, lei è un ex Washington Post, mi sembra New York Times,
una roba del genere, e ha fondato The Information. Il loro punto di vendita è qua nella Silicon
Valley non sappiamo tutto quello che succede, tendenzialmente lo sappiamo per prima e te lo
spieghiamo meglio di tutti. Io quei 390 euro che sono all'anno glieli do con gioia, stessa cosa lo
faccio con Trends che è una newsletter plus un gruppo su Facebook, è giornalismo, non so se è
giornalismo, per quanto mi riguarda è la conoscenza su cose più o meno attuali e contemporanee che mi
interessano. Il Corriere.it, se dobbiamo fare nomi e cognomi, qualche giorno fa, settimana fa,
la diatriba Salvini Di Maio, contenuto brandizzato, sponsorizzato, non un banner,
è proprio un video, un branded content fatto da un grande marchio dell'alimentare,
diciamo così, con un atleta, e poi di nuovo Salvini Di Maio. Mi sono trovato quel flusso
completamente disconnesso, non mi interessava nel primo, nel terzo, nel contenuto brandizzato,
e quindi ho buttato via tutto quanto, non sono per nulla incentivato a pagare,
anche se ho l'avvolamento al Corriere.it, ma poi non ne faccio grande utilizzo. Un giorno senza
Trends, un giorno senza The Information, un giorno senza The Atlantic, soffro perché sono le cose
che mi danno. Non so se Trends è giornalismo, non so neanche se The Information forse è vero e proprio
giornalismo, ma è il modo di acquisire consapevolezza che mi interessa. E Will vuole
essere una versione molto più light rispetto alla, diciamo, concretezza di questi contenuti,
e offrire questo tipo però di consapevolezza, di informazioni e di avviamento al dibattito pubblico.
Ecco, in questo senso direi che per questo il pubblico ormai è fondamentale. Io vorrei da voi
proprio un giro velocissimo in cui mi dite che cosa è il pubblico per The Information oggi,
che cosa rappresenta l'audience. Parti tu, Giorgio.
Sì, ora ti rispondo con una parola secca, poi provo a argomentarlo,
ma per pillole, in termini radiofonici. La risposta è dipende. Dipende da chi sei come
produttore di notizie, diciamo come fonte e punto alfa della filiera dell'informazione,
che dà la notizia, fornisce le informazioni. Dipende da qual è il tuo pubblico. Ora vi parlo
del mio specifico, insomma, poi provo a fare un brevissimo ragionamento anche sul resto del campo
giornalistico. Io ovviamente sono un giornalista del servizio pubblico, faccio una trasmissione
radiofonica al mattino, faccio una trasmissione televisiva all'ora di pranzo. Abbiamo un pubblico
ben specifico, ma noi abbiamo un contratto di servizio. Quindi noi, oltre a tenere presente,
ma alla radio lui si fa molto meno che in televisione, perché in televisione con l'audience
e soprattutto con il FA, siccome c'è l'auditel che monitora minuto per minuto chi ti ascolta,
perché, a che ora, con quale capacità di spesa, c'è un rapporto molto più stretto fra il tipo di
trasmissione che fai e il pubblico che lo riceve. Alla radio i dati di ascolta arrivano dopo tre
mesi, sono contestati, quindi è un po' più lasco questo rapporto con il pubblico. Però,
posto che non esiste un'assenza di consapevolezza, anche perché soprattutto negli organi di stampa
privati c'è un ufficio marketing che su questo è molto sensibile, ma insomma, è posto che,
rispetto al mondo anglosassone, noi italiani storicamente siamo molto più deboli da questo
punto di vista, ma questo è un territorio troppo complicato e non centro dentro, io devo aggiungere
al fatto che devo sapere chi è il mio pubblico l'elemento appunto del contratto di servizio e
del fatto che lavoro per il servizio pubblico. Quindi le logiche di mercato nel nostro caso si
applicano fino a un determinato punto. Noi dobbiamo dare anche una ricaduta sociale,
diciamo una specie di welfare informativo che il servizio pubblico dovrebbe, poi magari non lo fa,
dovrebbe assicurare per un mandato esplicito, per il fatto che grazie a voi noi campiamo,
lo giornalista del servizio pubblico e l'intero sistema radio televisivo pubblico. Io ho
l'impressione che la frammentazione dell'offerta e l'eccesso di offerta stiano rendendo il rapporto
appunto fra chi fornisce le informazioni e il proprio pubblico di difficilissima lettura,
però proprio in ragione del fatto che la competizione è così forte e l'offerta così
alta e così ricca si va sempre di più verso o la specializzazione o modelli di business model
molto precisi. Quello di Marta è piuttosto interessante, quello di Alessandro che è molto
diverso è altrettanto interessante, infatti devo dire che ho ascoltato con enorme interesse,
perché avete detto delle cose ai miei occhi di grandissimo pregio, e però la mia impressione
è che sempre di più si cerchi appunto di capire chi è il proprio lettore, il proprio ascoltatore,
il proprio navigatore, il proprio telespettatore, perché la partita è diventata così difficile che
altrimenti o lo fai per le ragioni nobili per le quali lo fa per ora Marta, ma magari poi invece
diventeranno un prodotto anche sul mercato, oppure semplicemente sul mercato non riesce a starci.
Marta, per il pubblico intendiamo lettori, community, audience, quello che vuoi fondamentalmente.
Sì, diciamo che a me interessa molto la traduzione italiana del termine community,
che sostanzialmente sarebbe comunità, perché diciamo che il primo pubblico di scomodo sono
tutte le altre persone che fanno scomodo, che non hanno scritto quell'articolo di preciso,
ma che collaborando il progetto hanno interesse nel comprendere che cos'è su cui stiamo indagando
tutti insieme, quindi quello è il primo pubblico di scomodo. Il secondo pubblico di scomodo sono
le librerie, che sono le prime a ricevere il giornale cartaceo, perché sono anche quelle
che lo distribuiscono gratuitamente e sono anche un po' l'intermediario tra noi e il mondo,
cioè tra noi che ragioniamo sulla realtà e gli altri che poi leggono i nostri ragionamenti,
e si passa attraverso di solito la cultura, che per noi viene un po' esemplificata dalle
librerie e dai punti scomodi, che sono il punto di raccordo con l'audience. Se poi invece in generale
parliamo di chi sono tutti quelli che leggono scomodo in tutte le sue forme, quindi volendo
anche online, noi ci rivolgiamo principalmente a un pubblico di pari, che quindi sostanzialmente
auspicabilmente sono under 30, under 25, però troviamo anche piuttosto fastidioso questo
giovanilismo diffuso, per cui siamo anche convinti che, anzi sappiamo benissimo, che una fetta dei
nostri abbonati sono nonne. Nonne interessatissime al lavoro dei giovani scomodi e scomode,
e sostanzialmente io credo che effettivamente leggano il giornale e probabilmente trovano
qualcosa di interessante che non c'è nelle trezate tradizionali, che non credo che sia solo il fatto
che è scritto anche da uno dei loro nipoti. Però in assoluto non vedo una possibilità precisa,
ma vedo nei nostri lettori la volontà di approfondire in modo, come diceva anche prima
Alessandro, slegato dall'attualità. Quindi questo è un po' il mio punto.
Per quanto mi riguarda direi che il nostro pubblico è per la maggior parte giovane,
perché quelli sono le persone che stanno sui social ad oggi. È molto meno giovane di quanto
uno può pensare, diciamo, inizialmente. Più del 20% di chi segue Will ha più di 35 anni,
ma il pubblico finale, diciamo così, di Will sono i partecipanti alle cene di casa,
come diceva il mio capo, Kitchen Stable Conversation, è lì che poi avvengono le vere
discussioni. Se chi ha letto Will poi è in grado di influenzare, in un certo senso, il dibattito in
casa, provando appunto a livello domestico anche soltanto, a portare alle stanze magari con un po'
di coraggio, Will ha fatto un pezzetto del suo lavoro. C'era arrivato un messaggio una volta,
un direct, che diceva che sono arrivate le mie cugine da Londra, adesso sapevo parlare di alcuni
temi e mi avete dato il coraggio di prendere la parola. Mio papà di solito mi schiacciava e non
avevo il coraggio di parlarne. Quello lo trovo interessante anche perché così facciamo davvero
da cerniera generazionale, perché, come dice qualunque bravo esperto di mercato e di marketing,
74% delle decisioni avviene tra pari. È lì che vogliamo andare a dare il nostro impatto.
Fantastico. Grazie a Marta, Alessandro e Giorgio per essere stati fino alla Kitchen Stable Conversation
che avremo tra mezz'ora, spero, tutti quanti davanti al nostro piatto di pasta. Grazie per
aver partecipato a Interregno. Interregno torna tra due settimane, il 3 marzo, sempre 19,
tema sarà lavoro e avremo con noi Antonio Aloisi, Giulia Pastorella e Tito Boeri. Alla prossima e
grazie a tutti di aver partecipato. Grazie a voi, è stato un piacere. Ciao. Ciao a tutti. Grazie a voi.