'Il fascismo è finito il 25 aprile 1945' di Franzinelli
Buongiorno, buonasera a tutti e a tutti, buon 25 aprile. Io sono Carlo Greppi e sono molto
felice di dialogare con Mimmo Franzinelli che vedete qua al mio fianco intorno al suo
ultimo libro che è uscito da poche settimane per, ovviamente, per Editori La Terza e che
si intitola Il Fascismo è finito il 25 aprile 1945. Per chi non conoscesse l'operazione che
ho l'onore di curare per La Terza, il libro esce nella serie Fact-Checking, la storia,
la prova dei fatti, il suo settimo volume, qua vi mostro rapidamente gli altri della serie,
che, come dire, i volumi della serie hanno in comune un titolo molto provocatorio,
spesso antifrastico, per iniziare a riflettere sull'aderenza eventuale allo stato dell'arte,
delle conoscenze storiche di determinati luoghi comuni duri a morire. Appunto,
Il Fascismo è finito il 25 aprile 1945, Il Fascismo è finito nel 1945, l'abbiamo sentito
innumerevo di volte in questi 77 anni per obiettivi solitamente assai poco nobili,
ma ce ne parlerà Minimo Fazinelli. Allora, Minimo Fazinelli non credo che debba essere
introdotto, è uno dei massimi esperti in Italia della storia del fascismo storico e del neo
fascismo che dal fascismo prende idealmente poi le mosse, è autore di tanti altri libri,
mi limito a citare gli ultimi due, entrambi editi dalla terza, Storia della Resistenza
con Marcello Flores, uscito nel 2019, peraltro in questi giorni lo trovate in edicola con Repubblica,
e Storia della Repubblica Sociale Italiana, 1943-1945, uscito nel 2020. Tra i suoi ultimi
lavori ci sono questi che credo fotografino molto bene anche la complementarità dei suoi
ambiti di ricerca e di divulgazione, termine che ahi no in Italia ha un'accezione non sempre
positiva, invece Minimo è un grandissimo, oltre che studioso, divulgatore, riesce a fare arrivare
al grande pubblico temi specialmente quelli molto caldi, come quelli che discutiamo oggi.
Allora il libro Il fascismo è finito nel 25 aprile 45 è un libro che è costruito in una
maniera a mio avviso, ma sono di parte, molto intelligente, nel senso che mostra questa
continuità della quale Minimo ci sta per parlare attraverso quattro capitoli che si
passano idealmente il testimone, poi c'è un quinto capitolo che è una sorta di ampia postilla sulla
persistenza delle cittadinanze onorarie a Benito Mussolini che rivelano appunto un'inquietante
continuità, ma diciamo il pezzo forte quantitativamente parlando del libro, il nucleo
che occupa gran parte del libro parte dall'immediato dopoguerra, addirittura dalla guerra che ancora è
nel vissuto delle persone e arriva letteralmente a ieri, cioè all'assalto della CGL e ai mesi che
l'hanno preceduto, che tutti ricordiamo. Allora la prima domanda che ti farei Minimo, ringraziandoti
ancora per essere qui con noi, è come possiamo iniziare a confutare questo falso mito attraverso
uno sguardo sulle biografie? Tu ne racconti alcune di particolarmente esemplari, ovviamente a tutti
viene in mente Graziani che poi in realtà nel dopoguerra muore subito per cui come dire non
può dare continuità a quella la sua trattoria biografica, ma tu racconti alcune biografie di
magistrati, poliziotti, prefetti che passano pressoché in denni o addirittura in alcuni
casi facendo carriere esemplari dal ventennio fascista alla prima repubblica. Ti invito a
partire da qua se vuoi. A proposito di Rodolfo Graziani, generale, grande criminale di guerra
in Africa, nell'Italia centrosettentennale, prima di lasciarci ha avuto il tempo di incontrarsi con
Giulio Andreotti e di dargli una sorta di trasmissione del testimone e quindi anche lui
nel suo piccolo ha dato un contributo alla continuità dello Stato. Carriere, biografie,
tra dittatura e repubblica, quindi tra monarchia e democrazia, mentre in Germania ci sono stati
storici che hanno scavato su questo versante, in Italia c'è stato un po' di ritegno e le
biografie sono fondamentali. Sono fondamentali per vedere il personale politico, i funzionari
dello Stato, la burocrazia che ha un peso notevole. Allora direi sulle orme del grande Claudio Pavone,
noi storici possiamo verificare come nel passaggio tra dittatura e democrazia ci sia
un'allato, una discontinuità notevole. Viva Dio, è caduta la dittatura, è finita la guerra,
il popolo poi ha sancito la vittoria della Repubblica. Benissimo, assolutamente vero,
incontestabile e per fortuna. Ma dietro cosa c'è? Dietro c'è un passato che proietta una
lunga ombra e la proietta attraverso personaggi, personaggi chiave della vita reale, cioè
personaggi che stanno nella alta magistratura, Suprema Corte di Cassazione e devono applicare,
ad esempio, l'amnistia Togliatti ai fascisti, certo che riescono ad applicare un modalmente
estensivo che aprono le carceri e fanno uscire quasi tutti. Prefetti che vengono reinsediati,
mentre i prefetti della Liberazione vengono cacciati, soprattutto da Mario Scelba. Poliziotti,
allora cominciarono a fare qualche nome, l'Ovra, cioè la polizia politica fascista,
che aveva come obiettivo quello di decapitare ogni forma di senso politico, aveva come direttore
animatore, mente lucidissima, Guidoleto e Guidoleto cosa fa? Dopo un rapido passaggio
in carcere durante una parvenza di epurazione viene liberato con tante scuse e diventerà
il direttore delle scuole tecniche di polizia, effettivamente qualche titolo di competenza ce
lo aveva, però nascono dei dubbi sulla sua lealtà democratica. Oppure il caso sul quale mi sono più
a lungo interessato, perché è un caso oramai sconosciuto ed è un caso da manuale di continuità
dello Stato, quindi di continuità nella discontinuità come rilevo, è quello di
Marcello Guida. Chi è Marcello Guida? Chi era? Marcello Guida giovanissimo tra fine degli anni
30 e inizio degli anni fino al 43 fu il comandante della colonia penale di Ventotene, dove c'era il
fioffiore degli antifascisti, da Rossi a tanti altri, a Pertini, a Terracini e gestire in un
modo molto duro da tecnocrata della dittatura questa situazione di confine di polizia. Poi quando
il 25 luglio il fascismo implode, il funzionario intelligente passa, diventa battagliano e durante
la resa in fa un po' il doppio esodo. Insomma per farla breve ce lo ritroviamo nel 69, anno decisivo
per la cosiddetta strategia della tensione, quest'ora a Milano e dopo l'eccidio fascista
il 12 dicembre alla Banca Nazionale della Ricoltura, cosa fa? Fa una cosa allucinante,
cioè copre la pista nera, Freda, Ventura, Ordine Nuovo e dà credibilità anche televisiva alla
pista anafrica, Valprida, Pinelli e via dicendo. Questo personaggio poi andrà in onorata pensione,
l'unico momento delicato della sua carriera è alcuni mesi più tardi quando incontrando il
presidente della Camera, Sandro Pertini, che poi diventerà come sappiamo Presidente della Repubblica,
gli porge la mano e Pertini rifiuta, ricordando questo personaggio cosa aveva fatto nei primi
anni 40. Questo è un caso interessante, ma ci sono tanti altri che nel libro documento Gaetano
Azzarite che da Presidente del Tribunale della Razza diventerà poi, passando come Consulente
dei Ministri di Grazia e Giustizia, diventerà addirittura il primo Presidente della Corte
Costituzionale. E allora dobbiamo interrogarci su questo passato che non passa, su questa eredità
di biografie di carriere dalla dittatura alla Repubblica. Sì, sono totalmente d'accordo
ovviamente. Azzarite e Guida, fammelo dire, gridano letteralmente vendetta appunto le loro
biografie e illuminano a mio avviso magistralmente questa continuità nella discontinuità. Tu parlavi
di lealtà democratica, sei già arrivato, diciamo procedendo idealmente per grandi passi cronologici
appunto alla stagione delle stragi. Questo mi permette di introdurre due questioni che
naturalmente secondo me si parlano moltissimo e sulle quali ti chiederei di dire la tua. E c'è
da un lato c'è una continuità politica, al di là appunto della continuità dello Stato,
legata più altre carriere e mi riferisco ai partiti e ai movimenti di fatto dichiaratamente
neofascisti che sono sempre proliferati nell'Italia Repubblicana, a partire dall'MSI fino ai due
attuali che se vorrai nominerai, li nomini nel libro, io cerco di non farlo mai. C'è ovviamente
una grande partecipazione alla stagione delle stragi, al quinquennio nero che stavi evocando,
parliamo di formazioni con obiettivi più o meno velatamente eversivi, almeno in alcune
fasi e almeno alcune frange. E dall'altro lato c'è quella che gli storici definiscono la memoria
grigia soprattutto degli ultimi 40 anni, la memoria anti-antifascista, la memoria che favorisce o
partecipa all'offensiva revisionista nella quale la mia generazione è cresciuta totalmente dentro,
per cui è stato necessario tra le altre cose pubblicare libri come quelli che vi ho mostrato
prima, come anche I partigiani però di Chiara Colombini che a mio modo di vedere è la risposta
che aspettavamo da tanti anni ai danni che ha fatto Giampaolo Panza. Ecco, non è facile districare
perché questo è un tema immenso, però ti chiederei magari due parole, forse proprio a partire dall'ultimo
capitolo che è in titolo di La guerra dei simboli, quanto siano collegate come dire queste due
persistenze, da un lato la persistenza esplicitamente come dire ispirata al ventennio e ancora di più
al fascismo di Ciannovista e alla Repubblica Sociale e dall'altra appunto un humus nel quale
questi movimenti nuotano che è quello che a mio modo di vedere di lealtà democratica non ne ha
sufficienza ecco se non altro. Se vuoi dire due parole su questo te ne sono grato. Certamente,
i simboli sono importanti in qualsiasi situazione, per qualsiasi regime, personaggi, situazioni,
ricorrenze, anniversari, in quale si può rispecchiare, trovare le radici proprie della
comunità e guardare avanti ed operare in modo fattivo. Ebbene, in questa realità negativa del
fascismo ci sono anche dei simboli, dei personaggi ai quali vengono inditolate strade o addirittura
statue, così via dicendo, appunto ci troviamo prima i criminali di Guerra Graziani, addirittura
Mausoleo nel suo paese natale e l'amministrazione comunale lo ha sponsorizzato e lo ha aperto,
lo ha finanziato. Cose che non succedono in Germania, ricordiamolo, rispetto ai criminali
di guerra nazisti. Dicevo, personaggi che so, cito alcuni che sono analizzati nel libro Italo
Balbo che nella memoria collettiva oggi viene ricordato in modo parziale, quindi fazioso,
anche da alcuni grandi giornalisti di cui non starò adesso a fare il nome, ma che scrivono,
giusto per dirne uno, sui maggiori quotidiani nazionali. Viene ricordato Balbo come lo
sfortunato battuto in circostanze misteriose dalla contraria italiana sul cielo di Tobruk nel
1940, ma non si ricorda che fu lui a organizzare nella marcia su Roma militarmente le colonne
fasciste dal 1921 in provincia di Ferrara, in tutta l'Emilia Romagna, la colonna di fuoco da
lui guidata verso la Veneto. Queste cose non si ricordano, si ricordano solo che non partecipò
alla campagna razziale del 1938. Ne siamo tutti lieti, però non fu nemmeno contro,
ricordare oggi una figura di un soffocatore della democrazia come Balbo perché fece la
trasvolata atlantica mi sembra una cosa piuttosto curiosa, come anche la figura di un altro ex
ministro Giuseppe Bottà, il ministro dell'Educazione nazionale, che attuò nel 38-39 in modo vecero la
legge razziale nelle scuole, anche lui ricordato con strade e via dicendo, è una cosa che una
democrazia non può fare, non si può permettere. Come anche mi suona piuttosto strano che una
dirigente politica di destra vanti come precursore del suo movimento il Giorgio Almirante che è un
personaggio meritevole di storia, anzi a me spiace che non gli sia ancora dedicata una biografia,
Almirante dicevo che ha avuto un ruolo di primordine nel battaggio razzista, la difesa
della rassa era il redatore capo, durante la Repubblica Sociale Italiana collaborò anche
dei bandi minacciando la fuggilazione ai partigiani e nel secondo dopoguerra fu il leader del partito
fascista, il Movimento Sociale Italiano, che uscirò a lungo tra la strategia legalitaria
del cosiddetto doppio petto e quella del manganello, intrattenendo legami anche con
organismi della destra radicale quali Ordine Nuovo, nel quale c'erano personaggi come Pino
Rautie che diventava poi senatore per il Movimento Sociale Italiano, questi personaggi simbolo che
nella destra radicale e non vengono visti positivamente, forse sarebbero ripensati
quantomeno sul piano della memoria pubblica. Poi un altro argomento al quale dedico molto
spazio perché è legato all'attualità, è quello della cittadinanza onoraria concessa nel 1924 da
migliaia di comuni italiani a Benito Mussolini e che oggi in continuazione sui giornali Leggiamo
la cronaca suscita polemiche in molti consigli comunali tra chi la vuole cassare e chi invece la
vuole confermare. Da ultimo, tre giorni fa, un grande meraviglia, il comune di Carpi, provincia
di Modena, ha confermato la cittadinanza, proprio il comune di Carpi, dove c'era il campo di fossoli
che oggi si può visitare, dove si passò anche il primo Levi, che conferma la cittadinanza a
Mussolini. Molto interessante, come d'altronde l'ha confermato lo scorso anno il comune di Salò,
capitale della Pubblica Sociale. Ebbene, il mio libro non è tanto un libro di polemica perché su
questo punto per la prima volta faccio chiarezza, cioè sono andato negli archivi, ho verificato la
stampa dell'epoca e ho scoperto che questo discorso della cittadinanza onoraria non nasce
come il modo, diciamo che non so più se per la mistificazione o per l'ignoranza, alcuni cittadini
già si sostengono, da un consenso popolare a Mussolini che non si può negare e quindi non
possiamo falsificare la storia. E no, nasce come direttiva nell'aprile del 1924, governativa di
Giacomo Acerbo, che era sottosegretario alla presidenza del Consiglio e autore della legge
maggioritaria, che il 15 aprile del 1924 portò delle elezioni dominate dal manganello e che
furono poi contestate da Giacomo Matteotti con risultati che appunto conosciamo. Ebbene,
lui mandò delle direttive governative a tutti i comuni e ai commissari preferizi che avevano
sostituito le amministrazioni di sinistra accacciate con la violenza, di conferire a questa
cittadinanza onoraria Mussolini. Perché? Entro il 24 maggio, data inaugurale della nuova
legislatura, per vantare un consenso e quindi fare un passo avanti verso la dittatura. Ecco,
questo lo ho sintetizzato in modo molto rapido, ma nel libro è assai documentato, e questo è un
dato incontestabile. E quindi oggi il problema non è di rispettare la verità storica confermando
quella cittadinanza, ma casomai confermandola, confermare una mistificazione e una manovra
dall'alto fatta per i motivi che ho rapidamente accennato. Quindi a volte dietro queste battaglie
dei simboli ci sono questioni di sostanza molto importanti che vale la pena di conoscere e anche
appunto in riferimento alla nostra consapevolezza democratica della comunità. Mi permetto di
aggiungere un evento che naturalmente non poteva essere presente nel tuo libro, perché il tuo
libro era già in distribuzione, e cioè l'istituzione della giornata nazionale della memoria e dei
sacrifici degli alpini venti giorni fa, che ha scatenato numerosissime polemiche, direi ranghi
stranamente quasi unificate da parte del mondo degli storici ai noi tardive, perché di fatto
la data prescelta, tra l'altro che cade il 26 di gennaio, cioè un giorno prima del giorno di
memoria, celebra la guerra dell'asse, per cui ovviamente sono d'accordo sul fatto che i simboli,
in generale tutti i dispositivi della memoria pubblica, non solo italiana naturalmente,
sono tutt'altro che questioni superficiali, ma spesso come minimo si limita a certificare lo
stato di malcerta salute, appunto nel nostro caso di una democrazia. Penso anche, ho visto
tra i commenti che sto per iniziare a girarti, Paola Cocchi scrive, pensi che qui a Ferrara
Sgarbi ha annunciato una mostra su Balbo aviatore? Penso a un altro rumore che abbiamo sentito
innumerevoli volte, mancò la fortuna non il valore, a proposito della guerra fascista.
Diciamo che la decontestualizzazione del perché gli italiani erano in giro per il mondo a combattere
tra il 40 e il 43 regna sovrana e credo che contribuisca a delineare il quadro inquietante,
anzi cito Genoveffa Giuri, è difficile mantenere uno sguardo distaccato, l'amarezza c'è. Concordo,
penso che un libro come quello di Mimmo Franzinelli, per chi si fosse collegato dopo,
lo vedete anche scritto il fascismo è finito 25 più 45, sia come lo definiamo noi,
riferito a tutti i libri di fact-checking, un manuale di autodifesa, appunto da queste
frasi fatte che ci impediscono di riflettere. Solo per farvi capire qual è il passaggio da
un capitolo all'altro, dopo la prefazione il libro riflette sull'eredità della dittatura,
il primo capitolo, poi magistratura e continuità dello Stato, appunto mutuando le riflessioni,
proseguendo le riflessioni di Pavone che Mimmo citava, poi poliziotti e prefetti dall'uno
all'altro regime, alcune storie esemplare, appunto per l'importanza delle carriere e
delle biografie di cui si parlava, uno sguardo al presente e l'ultimo capitolo, diciamo quello
che vigela da appendice, quello appunto sulla guerra dei simboli. Uno sguardo al presente,
devo dire che mia personale opinione l'ho trovato anche un capitolo coraggioso, nel senso
che noi storici siamo spesso tirati per la giacchetta rispetto alle questioni relative
al presente, legittimamente da parte diciamo del pubblico, di chi ci intervista, però non
è sempre facile dire cose sensate, intelligenti, avere uno sguardo anche analitico, non di staccato
necessariamente, ma che dica qualcosa di intelligente sulle dinamiche sotto i nostri
occhi che banalmente non sono concluse, per cui non hanno la possibilità di essere studiate
con la giusta prospettiva. Cito due frasi di Mimmo che trovate nella prefazione, mi
ha ricordato il fascismo eterno di Umberto Eco che dice che certo che il fascismo storico
non può tornare così come è stato, perché nella storia nulla si ripete uguale a se stesso,
ora Mimmo scrive di certo il fascismo del ventennio non ritornerà nelle forme storicamente
imberate tra le due guerre mondiali, i movimenti post neofascisti dell'21° secolo hanno forse
più diversità che non similitudini rispetto ai loro modelli originari, il pericolo per
la democrazia non è infatti rappresentato dai linguaribili nostalgici, ma da chi riuscisse
eventualmente a reinterpretare modelli rassicuranti proposti da un qualche personaggio carismatico,
disponibile a reprimere le veranze dissidenti e a conquistare le piazze profittando di situazioni
confuse in episodi quali l'assalto alla sede nazionale del CGL come accaduto a Roma nel
9 ottobre 2021, con una tecnica che ricorda gli esordi diciannovisti dei fasci italiani
di combattimento e chi più di Mimmo Franzinelli, chi meglio di lui conosce appunto gli esordi
diciannovisti del fascismo italiano. Allora ti solleciterei a partire da questa tua riflessione
nella preparazione e da quello che poi scrivi nel capitolo dedicato a dire due parole su
questi rigurgiti diciamo finali dalla nostra prospettiva, che finali ai noi probabilmente
non sono e poi lascerei un ultimo spazio, ho già visto che ci sono due o tre domande
che ti rimbalzerò. Certo questo assalto alla sede del CGL se
riusciamo a calarci nel periodo in cui venne effettuato era il tentativo di dare una spallata
in un momento anche diciamo di confusione, di puniti, di sofferenza sociale durante l'imperversare
della pandemia, le contestazioni contro il Green Pass, contro lo Stato e quindi ci
è stata questa tentativa di incanalare diciamo pure la sofferenza, la rabbia della piazza
verso un obiettivo, un obiettivo ben chiaro e questo è un elemento di ricorrenza nel
primo fascismo, perché il fascismo non è nato con una maschera reazionaria ma anzi
Mussolini come sappiamo veniva dall'estrema a sinistra e ancora si presentavano 19 appunto
come rivoluzionari e quindi questo tentativo era chiaramente inserito in questo tipo di
matrice ed ha preso un po' tutti diciamo di sorpresa per la sua radicalità e anche
più per il suo valore simbolico e se non che c'è stata per fortuna una reazione,
non soltanto della magistratura ma anche diciamo della democrazia che ha mobilitato
poi a Milano e in particolare a Roma una grossa manifestazione che ha fermato questo tentativo
diciamo di incendiare una situazione difficile e confusa e anzi proprio la settimana scorsa
sono stati effettuati ancora alcuni arresti anche se si è rimasti peraltro a mezz'aria,
anzi consentito che non si è proprio fatto niente, su quanto il Presidente del Consiglio
aveva preannunciato sulla intenzione di verificare la possibilità di sciogliere questa organizzazione
chiaramente neopracista, forza nuova e come d'altronde ci sono altri organismi su quella
lunghezza d'onda, io ho analizzato in modo particolare Casa Pound che si rifanno al cosiddetto
fascismo del terzo millennio cioè ricostruendo a loro modo creativamente un tessuto populista,
demagogico e anche con uno sfondo sociale che poi il fascismo aveva, che so certi esperimenti
anche di occupazione di stabili nelle periferie romane dove purtroppo la sinistra non ha più una
presenza, una tensione, una capacità di mobilitare e allora quando si lascia un vuoto è un insegnamento
che vale per sempre, in vuoto c'è qualcuno che lo riempie e in questo caso vediamo il paradosso
in piena democrazia di una destra radicale che si occupa diciamo di organizzare volte dove la
sinistra è scomparsa. Di conseguenza credo che questa monografia che sono stato molto lieto di
inserire in questa collana ottimamente diretta da Carlo Greppi, che è una collana stimolante,
ce n'era veramente bisogno e che mi ha appunto a mia volta stimolato ad una scrittura diciamo
abbastanza agile e senza il concetto parato di note che di solito appesantisce anche se
necessario i testi storici pur cercando di mantenersi su un piano rigoroso di riferimenti,
citazioni, documenti e fatti perché è un'altra caratteristica della collana, cioè se vogliamo
smontare luoghi comuni e text news dobbiamo essere precisi e cogliere le situazioni con esattezza.
Sì a questo proposito grazie per il quadro di nuovo ai noi un po' desolante,
chiaramente a macchia di lopardo perché poi la penisola italiana è in realtà geograficamente,
politicamente e culturalmente complessa, però ai noi appunto sull'operazione Far Checking ha
mostrato un'inquietudine che ha traccimato in aggressività e minacce, credo che tutti i presenti
sappiate quelle ricevute da Ricco Betti e a Chiara Colmini, per aver fondamentalmente scritto dei
libri, sì chiaramente con un titolo che è un po' uno schiaffo in faccia volutamente, ma che
hanno tutti in comune appunto questa solidità documentaria e storiografica, proprio l'idea di
riportare un po' allo stato dell'arte delle nostre conoscenze attuali, naturalmente, determinati
argomenti molto caldi nel senso comune e questa difficoltà ad arrivare in determinati territori
dove la destra post fascista, l'estrema destra italiana regna sovrana, credo che mostri nitidamente
come il lavoro da fare sia ancora lungo. Io qua ringrazio pubblicamente Mimo per essere salito a
bordo perché ha dato un contributo veramente notevole a questo libro e prima di introdurre
qualche commento e qualche domanda dico che adesso ci sarà qualche mese di lavorazione,
poi ne arrivano altri di far checking, uno che sta un po' all'interno di questo ragionamento,
non posso dire di più, però siamo ancora nel Novecento, siamo ancora nel periodo più buio
e con alcuni suoi falsi miti duri a morire e poi ci allarghiamo ampiamente arrivando agli
antichisti, per cui non vi dirò di più neanche su questo, ma l'operazione continua, addirittura
poi coinvolgerà anche non storici to cure, ma storici che si occupano di temi collaterali,
ovviamente molto convergenti. Tra i commenti che ho visto, spero di non dimenticare nessuno,
Caterina Iele che dice queste cose a scuola non ce le insegnavano 30 anni fa e questo credo che
sia uno dei problemi. Io vengo, sono fresco fresco da un manuale di storia e so cosa significa,
dove ragionare misurando i termini su questo grande problema appunto della continuità che
è esistita, da continuità nella discontinuità per citare come l'ha definita prima Mimmo,
però va affrontato assolutamente. Ricordo l'autobiografia di un picchiatore fascista
di Salierno, libro a mio viso meraviglioso, in quale a un certo punto lui racconta che
ai turbolenti anni 50 i programmi scolastici di storia naturalmente arrivavano, se non sbaglio,
alla fine del Risorgimento o poco oltre e per cui lui dice chiaramente le nostre posizioni
politiche non si formavano a scuola perché noi non sapevamo nulla di cosa era stato il fascismo,
cioè non ci veniva insegnato, ma a casa, nel quartiere, nei circoli di partito,
lì imparavamo, ci formavamo le nostre opinioni. Questo vale anche per tutto quello che succede
nel dopoguerra, ma non voglio rubare spazio, saluto Alessandro Marzomagno, grazie per essere
con noi. Ci sono dei commenti che ti lascio per continuare a riflettere, magari vi potete poi
sentire anche a parte. Lorena Villa dice una tragica curiosità, nel mio paese in provincia
di Frosinone c'è ancora una via del Littore, negli anni 60 e 70 le amministrazioni democraziane
non vollero cambiare la titolazione come le minoranze comuniste chiedevano. Oggi neanche
ci si pone più il problema. Scusate se non vi citerò tutti e tutte, ma ci sono tanti commenti.
Barbara Simeon dice che a Gorizia, oltre a negare la cittadinanza a Liliana Segre e mantenere
quella Mussolini, sono usi a ricevere con tutti gli onori in comune i rappresentanti della decima
masse. Poi intanto ti giro una domanda che ci fanno spesso in queste ore, ma sei tu l'ospite
che deve rispondere. Johnny Felice chiede, e poi ci saranno un paio di altre domande,
come si può ricostruire la memoria condivisa su 25 aprile, anzi si può ricostruire la memoria
condivisa su 25 aprile? La riformulazione suona come una domanda retorica ma la giro a Mimmo.
Sì, sull'insegnamento della storia contemporanea c'è una cosa abbastanza strana. La storia
contemporanea entra in Italia con il fascismo, perché il fascismo voleva inserire, come poi
fece, la marcia su Roma come fulcro dei programmi, ma questo già a partire dalle scuole elementari,
che erano all'epoca le uniche scuole dell'obbligo. Venne istituita una commissione per il libro di
testo unico, potete immaginare cosa c'era scritto in questo libro di testo. Quando crollò il fascismo,
cosa fece la classe dirigente democristiana? Perché alla fine fu quella. Fece una cosa che
oggi a me sembra ridicola. Invece di postare il problema di ridefinire i programmi in modo
confacente agli eventi, in modo democratico, semplicemente tagliò la storia e la fece
arrivare al massimo alla grande guerra. Quindi risolse il problema ignorandolo.
Veniamo alle altre domande. La via del Littorio francamente mi mancava, è una cosa straordinaria
e complimenti alle amministrazioni comunali che la mantengono. Via del Littorio in Italia,
chi l'avrebbe mai pensato? A volte la realtà supera la fantasia. La questione della memoria
condivisa. In linea di massima, diciamo come io mi considero uno storico freelance o fuori,
esterno alle accademie e non legato ai partiti, il termine memoria condivisa non mi entusiasma.
Vedo poi concretamente quando viene messo in pratica dalle amministrazioni, dagli enti statali,
la memoria condivisa in realtà è una memoria faziosa, una memoria rigidamente selettiva,
che estrapola da un contesto globale e complesso un aspetto e questo aspetto lo generalizza.
Allora, ritornando a quanto diceva prima Carlo, la questione delle polemiche terribili sul 26
gennaio sul discorso della Russia, per me il problema non è tanto l'errore, se così lo si
può chiamare, del 26 gennaio, il problema non è la data, il problema è il contenuto,
il problema è la valutazione che vogliamo dare della guerra di aggressione, di rapina,
che Mussolini ha deciso contro la Russia, in modo criminale, anche perché poi Hitler non
voleva gli italiani, Mussolini ha insistito, gli hanno andati al macello, diciamo, e adesso si
vuole ricordare, non l'aggressione in modo autocritico e sofferto da parte nostra,
ma la ritirata, quindi è una grande anabasi. Allora per me il problema non riguarda tanto la
data, ma riguarda il contenuto, ma avrei un modo magari più avanti di tornarci.
E quindi, memoria condivisa, attenzione, c'è una memoria condivisa, chiedo io,
sui crimini di guerra italiani in Etiopia, nella guerra di Abissinia, in Libia e anche in Russia,
e anche in Grecia e anche nei Balcani, c'è una memoria condivisa, benissimo, quando ve lo
dimostreranno e mi risponderanno in modo positivo, rivedrò un po' le mie posizioni.
Questa è dal 25 aprile. Allora, io preferisco parlare di antifascismi, non di antifascismo,
c'era una dimensione plurale, come credo ci sia ancora oggi, e allora, forse in questa direzione
ci si può incamminare in tanti su una strada condivisa, che è il valore della democrazia.
Quindi il fascismo, che è il laboratorio della distruzione della democrazia, e gli antifascismi,
che hanno riconquistato la democrazia, in una dimensione alternativa al fascismo, perché se
dobbiamo ricondurre il fascismo alla sua essenza, credere vuol dire combattere, è la guerra. Mussolini
in la guerra l'ha predicata e l'ha fatta, l'ha fatta a suo modo, è molto tragico e terribile
per gli italiani, ma rimane ancora per lui stesso, visto la fine che ha fatto. Ebbene,
avendo studiato a lungo la Resistenza, mi sono soffermato, soprattutto sulle ultime lettere,
di fucilati, di deportati e di prigionieri politici. E qual è la differenza di fondo tra le ultime
lettere, cioè tra i testamenti morali del partigianato e dei fascisti? La differenza
di fondo è proprio sulla guerra. Mentre le ultime lettere dei repubblichini, della Repubblica
Sociale Italiana, hanno la stessa sofferenza a livello personale, a livello familiare,
per la durazione imminente della vita, quello che li distingue è il giudizio sulla guerra,
cioè si riproduce la pedagogia mussoliniana della guerra come banco di prova tra i popoli,
come aspetto di valore. Mentre invece, se andate a leggere queste lettere,
io ne ho curato anche una edizione, rispetto a quelle che non figurano nel testo classico
da Malvezzi e Pirelli per Einaudi. Dicevo, i partigiani, quasi tutti i partigiani,
collocano se stessi, la loro attività, la loro vita, la loro morte, dentro un orizzonte di pace,
di ritorno alla pace, di dover combattere, perché te lo impone la situazione, per porre fine alla
guerra. Mentre invece la guerra i fascisti la vogliono perpetuare. E quindi il fascismo deve
avere questo componente, il rifiuto dalla guerra e di pace, non come pace visione inerte,
ma come processo di costruzione della pace, di dialogo tra i popoli. Io dico anche,
di prospettiva federalista, come lo era il manifesto di Rentotena nel 1942, di Ernesto
Rossi, di Gattilio Spinelli, di Eugenio Colorni, i quali al confino, dopo aver fatto anni e anni
di prigione, si facevano questa domanda. Il nazionalismo ha portato la prima guerra mondiale,
la seconda guerra mondiale. Cosa possiamo fare per evitare che si arrivi alla terza e ultima,
definitiva, terribile guerra mondiale? Disinnescare il nazionalismo. Come? Con
un federalismo, proponendo stati uniti d'Europa. Questa era l'antirettrice. Certo,
oggi abbiamo un'Europa unita che è meglio di niente, però è la cosiddetta Europa dei
burocrati. È un'Europa che non ha, diciamo, un respiro ideale come alcuni antifascisti,
come quelli che ho citato, invece voleva. Partiamo in questa direzione e allora il 25
aprile potrà diventare un'occasione condivisa per riscoprire le nostre radici di tolleranza,
di democrazia e di guerra alla guerra. Grazie per aver rimarcato queste differenze
abissali che rendono impossibile la loro condivisa e della riflessione sul fatto che
l'amore non è condivisa innanzitutto da giudizio di tutto quello che è accaduto prima. Siamo
veramente agli sgoccioli. Antonella Braga ti ringrazia per questa opera necessaria e coraggiosa.
Poi ci sono tre domande che ovviamente meriterebbero un paio d'ore ciascuna. Io
te le giro tutte e tre per competenza, sperando di non aver dimenticato nessuna domanda esplicita.
Tu vedi cosa rispondere a quale e poi io procedo a salutarci. A Barbara Simeono scrive
Gorizia è la nuova Gorizia, lette capitale cultura 2025. Per dar seguito a quelle riflessioni.
Allora Stefano Borgarelli dice uso politico della storia, revisionismo fazioso, atti
versivi, battaglia solo culturale, pedagogica eccetera o anche legale e politica diretta.
Questo ovviamente la giro immediatamente a Mimmo Franzinelli. Gaia Guerenti allarga
ancora di più l'ambito chiedendo ma come mai la sinistra è scomparsa? Qua te la giro per
dovere professionale. Stefano Colloraffi, anche geograficamente parlando, chiede scusa se ampio
eccessivamente la questione. Riferimento all'assalto del 6 gennaio negli Stati Uniti,
possiamo cominciare a pensare al rischio di una sorta di internazionale fascista e non
sovranista o nazionalista. Ci sono varie riflessioni e complimenti ma direi che su
queste ultime tre sollecitazioni puoi dire la tua e poi io vado a chiudere.
Direi sollecitazioni e domande da far tremare le vene e i posti,
sono però stimolanti e indicative di una sete di conoscenza, di una volontà di mettersi alla
parola, di dialogare e di sapere e di maturare una maggiore consapevolezza.
Allora vediamo di rispondere. Di fronte a certe manifestazioni del fascismo che infrangono in
modo evidente la legge, diciamo che l'aspettativa assolutamente giusta, giustificata è che si
intervenga per ripristinare una situazione di legalità. Però io sono convinto, diciamo da
antifascista libertario, che da parte antifascista, da parte democratica, limitarci ad un appello al
braccio della legge sia una missione di sconfitta. Una missione di sconfitta rispetto a quanto noi
sia stato in grado di entrare nelle scuole, di interagire nella società, nel quartiere dove si
vive. È lì che a mio avviso bisogna muoversi dal basso in un'azione collettiva. Questi sono i valori
di cui dobbiamo farci portatori. E poi basta con l'autocommiserazione. Il 43, 44, 45, qualcuno
ricorda come è coprì, ma se andate appunto a leggere i diari anche dell'epoca fu un dramma.
Nel ventennio gli antifascisti erano immarginati al carcere, al confino, in esilio. Come possiamo
noi oggi lamentarci? Assolutamente no, non possiamo lamentarci, non abbiamo questo diritto.
Anzi, io farei a noi una domanda, andando a intendere, a interpretare le sofferenze
degli antifascisti nei tempi della persecuzione, che eredità ci hanno dato e cosa siamo riusciti
a fare del loro messaggio. E quindi interrogarci in questo modo e cercare di dare delle risposte
che siano risposte collettive. Indubbiamente la sinistra è in situazione oggi, che ha definito
la deludente, è un eufemismo. Si è passati da anni di retorica, di parlarsi addosso,
io ricordo certi discorsi del 25 aprile, dove c'era la distanza della realtà, da come la si
rappresentava, ad una affasia. Non si parla più, si preferisce rinunziare a certi argomenti. Allora
forse la sinistra, partendo anche dai politici della sinistra, dovrebbero, scusate, mettersi
a studiare la storia, la storia del novecento, la storia di questi ultimi anni, capire gli sbagli
fatti dalla sinistra e smetterla di stare lontani dalla prova di toccare certi temi caldi, oppure li
si è toccati a volte in un modo francamente discutibile, ma ci manca adesso lo spazio per
andare sino in fondo. L'internazionale fascista, il fascismo nato in Italia, si è poi proiettato
in Europa e anche nel mondo, lo si è visto dalla Germania a Portogallo, alla Spagna,
alla Grecia, in epoche diverse, in altri continenti, in Brasile. Lo stesso Mussolini,
da dittatore, pensava che Roma fosse un faro mondiale e poi abbiamo visto come è finita,
credita hanno lasciato. In momenti i neofascisti, pur avendo una forte componente nazionalista e
sciovinista, hanno sviluppato delle alleanze anche dentro l'Europa. Penso che li si debba
studiare senza demonizzarli, senza attribuire a loro più potere di quanti non ne hanno, per cui
non sono convinto, non mi risulta che ci sia un'efficiente internazionale nera, anche se
c'è la propensione a muoversi in questa direzione. Io ricordo ad esempio adesso un testo onoroso e
importante, uscito nei primissimi anni Sessanta da Fulcinelli, scritto da Angelo Del Bocca,
grandissimo studioso dei crimini di guerra coloniali italiani e da Mario Giovanna, un
partigiano di giustizia e libertà, che poi ha scritto libri molto importanti e sono stati
sottovalutati sulla storia della resistenza, I figli del sole, che era appunto primi anni Sessanta,
sui tentativi di dar vita a questa internazionale fascista. Allora l'interrogativo
dell'ascoltatore lo porrei come un invito a studiare in questa dimensione internazionale,
che purtroppo ha visto degli elementi che confermano questa analisi. Faccio un solo
riferimento e poi mi fermo. Un personaggio come Stefano Delle Chiaie, fondatore di Amalguada
Nazionale, un personaggio che ha svolto lavori sporchi non soltanto in Italia e in Europa,
ma anche in America Latina come consulente del piano Commodore, che era un piano di aguzzini
veramente nazifascisti per eliminare in Brasile, in Cile, in Argentina e in Uruguay ogni forma di
dissidenza. Lui ci andò per addestrare quelle polizie, l'ha passata liscia e questa sua
dimensione internazionalista, se così la vogliamo chiamare, è praticamente sconosciuta oggi.
Grazie Mimmo per essere qui nell'impresa italica e rispondere a noi in parte a tutte e tre le
sollecitazioni. Nel frattempo è arrivato uno tra gli ultimi commenti, Monica Garbelli,
che dice complimenti per il vostro lavoro di ricerca accompagnato a quello di divulgazione
e non in senso spregiativo, che anche grazie a questi incontri è riuscita a diffondere,
dando a molti la possibilità di approfondire la storia. Siamo noi a ringraziare voi per essere
stati e state qui con noi. Cogliamo l'invito di Mimmo, che mi ha convinto a cercare di non
lamentarci, a superare anzi l'amarezza, perché appunto sono state epoche ben più buie della
nostra, ma a vigilare. Nel mio e nel nostro piccolo noi vediamo un'immensa vivacità e un
enorme interesse intorno a fact-checking e in generale a tutte le operazioni che vogliono
accorciare la distanza tra senso comune e quello che la comunità degli storici ha ricostruito,
proprio anche dei territori appunto da quel mondo pulviscolare che poi va a comporre il
mondo in cui viviamo. Per cui vi siamo davvero grati per tutto quello che ci sta succedendo
intorno. Ovviamente ringraziamo Editori La Terza per pubblicare libri importanti e per aver ospitato
questa conversazione in casa La Terza. Grazie ad Ario Bassani, che non vedete ma ha organizzato e
ha fatto la regia di questo incontro. Vi invito a continuare a seguire i social di La Terza e
ovviamente faccio il check-in. Un ultimo sguardo a Mimmo Franzinelli, il fascismo è finito il 25
aprile 1945. Per continuare a riflettere anche oltre appunto la data di oggi che stiamo ancora
celebrando, vi auguro cene di festeggiamenti e ricordiamo anche con allegria la liberazione.
Grazie a tutti e a tutte e grazie soprattutto a Mimmo. Arrivederci, grazie a voi.