'Il verso giusto: 100 poesie italiane' di Luca Serianni
Buongiorno a tutti, buongiorno professor Lucas Riani. Benvenuti alla presentazione di un libro
bellissimo, rispetto al quale c'è molto da dire, molto da discutere, molto da ragionare. Lo ha
scritto il professor Lucas Riani, che è uno dei più eminenti italianisti, ha insegnato una vita
alla sapienza di Roma, ha lavorato su tantissime questioni della nostra lingua e sulla storia
della lingua italiana. Ha appena pubblicato il professor Lucas Riani per la terza questo
volume, Il verso giusto, cento poesie italiane. E' un volume, ed è quello di cui parleremo oggi,
davvero prezioso. E' prezioso innanzitutto per la cura editoriale, cioè è proprio bello vedere
la pagina, come è stata risposta, l'utilizzo delle note, il tipo di discorso che tiene insieme
questa personale antologia di poetica italiana. E' prezioso la cura editoriale, è preziosa la cura
intellettuale. Ecco, questo libro si apre con una breve, ma densa e ironicamente consapevole
prefazione del professor Lucas Riani, che prova a spiegare un po' il senso di questa selezione,
prevede già tutte le possibili obiezioni e polemiche, e con grande arte retorica,
con grande arte dell'argomentazione, risponde in punta di penna a tutte le possibili osservazioni,
lasciando ovviamente aperto il dibattito, la discussione rispetto ai criteri scelti per
selezionare queste cento poesie della letteratura italiana. Professor Riani,
parleremo ovviamente di questi criteri, mostreremo quali poesie sono state scelte,
quali insospettabilmente escluse, e ne motiveremo ovviamente le ragioni, ma io vorrei iniziare
questa presentazione, conversazione con lei, facendole una domanda che è la grande domanda,
una domanda che ha una forma di ingenuità apparente, ma che in realtà prova a nominare
ciò che a volte ci dimentichiamo di nominare, cioè lo specifico della poesia. La domanda potrebbe
essere perché la poesia è poesia, o meglio ancora, se vogliamo essere un po' più precisi,
in che cosa si differenzia la prosa dalla poesia? Noi diamo per scontato che la poesia esiste,
diamo per scontato che conoscendola, frequentandola, sappiamo esattamente che cosa
rappresenta il suo linguaggio e la sua misura, ma probabilmente non lo sappiamo bene. Insomma,
la differenza tra la prosa e la poesia. Dunque, immaginiamo di rivolgere una domanda del genere a
un bambino, quindi a chi sia legittimamente titolare dell'epiteto di Ingenuo. Il bambino
risponderebbe probabilmente che nella prosa la riga di stampa occupa tutto lo spazio previsto,
nella poesia, nella pagina di un testo poetico, ci sono molti bianchi. Risposta ingenua,
ma non assurda, perché prescindendo dalla poesia metricamente regolata, un sonetto ovviamente,
si va a capo dopo ogni sillabo, nella poesia moderna e contemporanea gli spazi bianchi hanno
un significato preciso e sono vettori di un significato accanto alle parole che sono espresse.
Di là da questo però c'è anche da dire che nella poesia si investe molto sulle singole parole,
questo è importante anche nella prosa, ma non fino a questo punto. Ogni parola è in una poesia
soppesata, carica di valori, carica di significato e, attingendo al mio libro, farò due esempi,
il primo non tanto ovvio, il secondo invece popolarissimo. Quello non tanto ovvio è di
Reni Giozena, poeta genovese, siamo nel secondo ottocento, poeta abbastanza singolare, abbastanza
appartato che tra l'altro nella sua vita fu magistrato a Massawa, in cui era cominciata da
pochi anni, dal 1885 se ben ricordo, la colonizzazione italiana. Nella poesia che ho
accolto nella antologia si descrive un funerale notturno nel caldo africano nonostante la notte
e dice Zena tra l'altro l'azzurranza scettica del mare con un abbinamento, azzurranza è un
insolito nome di colore ma soprattutto scettico ci fa pensare a una persona, a un essere umano che
può essere scettico o no. Azzurranza scettica è un modo per indicare che ovviamente la natura è
indifferente alla dramma di qualcuno che sia morto e poi poco dopo dice la brezza contumace,
un fresco venticello che non si fa sentire anche in piena notte. Sono elementi che rappresentano un
distacco indubbiamente dalla lingua poetica tradizionale. Il secondo e più celebre esempio
naturalmente è quello di Montale, spesso il male di Vivi era incontrato, Ossi di Seppia,
in cui la divina indifferenza stampata con la maiuscola per volontà di Montale con i poeti
contemporanei. Dobbiamo valutare anche queste scelte che per i poeti più antichi sono ricostruite
dall'editore moderno. Si parla anche della statua della sonnorenza concentrando in questa immagine
il principio della indifferenza definita addirittura divina, con chi lo sa forse un'allusione alla
tarassia degli epicurei, all'immagine dei dei esistenti secondo gli epicurei ma indifferenti
alle incendie del mondo. Già la statua ci parla di immobilità, di indifferenza, possiamo anche
usare nel linguaggio comune perché stai lì come una statua quando qualcuno non si muove, non
reagisce, ma addirittura si aggiunge anche la sonnorenza propria del merigio. Ecco c'è un
investimento sulla parola che va oltre la parola, siamo portati a chiederci, di là dal significato
letterale, che cosa il poeta voglia dire o possa dire. Ecco questo è un punto chiave. Professore,
io ascoltandola, ed è molto bello perché lei è partito in questa risposta a evocare la figura
del bambino, il bambino è che pone le domande quelle essenziali, quelle dritte, quelle che gli
adulti hanno pudore a porre per timore di non fare bella figura. Allora, in questa idea semplice
che il bambino direbbe, beh, la poesia, innanzitutto, sono gli spazi bianchi che stanno attorno alle
parole, questa idea ci porta immediatamente in un mondo magico. Mi viene in mente quello che la
Kabbalah, cioè la tradizione mistica ebraica, a volte dice della Torah. La Torah, quindi come
dire, il Pentateuco per i cristiani, insomma, la Torah, sono importanti le lettere stampate,
nere, sulla carta, ma altrettanto, e più importanti, sono gli spazi bianchi che circondano
la lettera. Anche quelli vanno interpretati anche in quello spazio bianco, secondo la Kabbalah
ebraica, si trova il senso del messaggio divino. Questo ragionamento, questo paragone, che dal
bambino ci porta ai grandi mistici della tradizione ebraica, tutto sommato, ci porta ulteriormente a
questa visione del linguaggio magico. Cioè, nella poesia le parole vengono caricate di significati,
esattamente come un mago del Rinascimento poteva caricare di significato un amuleto oppure un
simbolo. E questo carico di significati veniva poi lanciato, gettato in mano al mondo. Da questo
punto di vista, professor Seriani, in che misura nel lavoro poetico è importante il cosiddetto
mondo dell'immaginazione? Che non è, come dire, semplicemente fantasticheria, ma quel luogo spesso
indagato, per esempio dai Rinascimentali, che si pone a metà strada tra il cielo e la terra,
è il luogo in cui il concetto astratto si fa un po' più concreto e la percezione sensibile invece
si astrae e cerca di avvicinarsi al concetto. Cioè, il luogo in cui terra e cielo si incontrano
e che per un istante il significato e il significante diventano un po' la stessa cosa.
La poesia è davvero il luogo in cui si può scatenare una magia?
Beh, direi di sì, naturalmente con l'avvertenza che per molti secoli la poesia italiana è stata
dominata dal riferimento ai generi, alla tradizione. Allora questa particolare scintilla
tra significato e significante, la sua rappresentazione fonetica, va ricercata
perché in apparenza i poeti tendono a imitarsi, tendono a citarsi, proprio come scelta deliberata.
Devo dire che io ho cercato di dare rappresentazione anche ad altre voci rispetto a quelle della
tradizione poetica che ha inciso in modo molto notevole per tanti secoli e le altre voci sono
voci che non ci parlano solo dell'amore infelice, questo è uno dei temi poetici tradizionali,
sembra che tutti gli amori debbano andare a finire male, se non vanno a finire male
allora non c'è materia poetica. Però uno dei testi dei primi secoli che ho scelto,
che secondo me è il testo più divertente dell'antologia, è il contrasto di cielo
d'alcamo che mette in scena un corteggiamento da parte di un corteggiatore molto rozzo,
molto popolano e una donna altrettanto popolana che all'inizio resiste ma alla fine cede.
L'ultimo verso è piuttosto carino perché non ce l'aspettiamo in una poesia d'antologia,
perlomeno d'antologia destinata alla scuola, quindi non è esattamente il mio caso,
all'oletto negimo alla buonora, non c'è bisogno direi di tradurla, andiamo a letto a più presto.
Ecco questo era per indicare che non ci sono solo le donne irraggiungibili cantate dai grandi poeti
che pure hanno naturalmente una loro rappresentanza, però è interessante anche dal punto di vista
tematico andare a cercare temi che non sono quelli più usuali, quelli direi che si depositano
nella memoria di una persona di 60 o 70 anni che ha alle spalle i suoi legittimi e spesso
anche buoni ricordi di liceo. Ecco professor Seriani questa sua risposta è interessante,
mi sono venuti in mente mille possibilità, mille domande che vorrei farle in questo momento. Da
una parte c'è quest'idea che nella sua selezione di queste cento poesie che rappresentano la storia
della poesia italiana, ecco c'è l'idea di liberare i poeti e la poesia da una certa sedimentazione
scolastica e quindi di riscoprire un canone, di proporre un canone diverso. Ci sono tanti
carneadi per chi ha fatto il liceo, non tutti ovviamente, perché troviamo Petrarca, troviamo
Dante, troviamo Ariosto, Montale, Gozzano, Leopardi, insomma è una selezione in cui abbiamo
molte volte l'occasione di tornare a casa e quindi di rismanzoni, di riscoprire come dire la lingua e
i panorami che la scuola ci ha fornito e ci ha insegnato. Quindi abbiamo tante occasioni per
tornare a casa ma ne abbiamo ancora di più per riscoprire e destrutturare un canone. E' l'idea
che, lo diceva lei professore, cioè i poeti spesso si citavano l'uno con l'altro come appartenenti ad
una tradizione. E' una tradizione che si pone su una linea temporale diversa rispetto a quella
della cronaca, dei fatti che si svolgono lungo il filo del tempo. E' Machiavelli che torna a casa,
si mette la vestaglia e parla con Tito Livio che lo sente suo contemporaneo. Insomma,
in che misura questa rottura della tradizione, questo far ritornare a parlare i poeti tra di
loro, cioè tutto sommato questo libro, ecco, si può leggere come un infinito dialogo della poesia
con se stesso, dei poeti tra di loro, che altrimenti all'interno di una storicizzazione
troppo forte sembra quasi scomparire. Cioè lei ha fatto rivivere quel senso machiavellico di
una tradizione eterna, perenne, che continua a essere superiore rispetto al banale scorre del
tempo. Mi farebbe piacere se fosse così, spero. Io ho avuto questa sensazione. Ecco,
questo è molto rassicurante. Riguardo il canone, ci tengo a dire che fino al medio
novecento sono presenti tutti i poeti che consideriamo classici e che sono poeti,
fra l'altro, che anche a me come personale esperienza di lettura piacciono molto. Tra
i classici che ha citato ormai aggiungerei anche il Moretti di A. Cesena, che è geniale in alcune
soluzioni che così avvicinano non solo alla colloquialità linguistica, ma anche alla
usualità di una vicenda familiare col suocero che dopo il lauto pasto e sonno lento e altre cose.
Però ho inserito qualche voce diversa o non del tutto prevedibile. Citavo prima i barocchi. Secondo
me i barocchi sono ancora aggravati nell'opinione comune da un giudizio, o meglio da un pregiudizio,
perché viene dato, prescindendo dalla lettura diretta, di cattivo gusto. Si dice barocco
letterario, si dice cattivo gusto. Intanto, che sia un'etichetta che non funzioni molto bene,
lo ricaviamo dal fatto che il barocco è anche una stagione universalmente ammirata nella storia
dell'arte e dell'architettura. Lì non parleremmo di cattivo gusto. Se andiamo a guardare le poesie
che possono essere, come è ovvio, più o meno belle, però c'è una rottura del canone tradizionale
che a me sembra molto interessante. Pensiamo per esempio alle poesie rivolte a donne che hanno
singoli difetti fisici, che non sono affatto poesie caricaturali. Sono poesie che innovano
un modello abbastanza rigido che è quello che si definiva della descrizione femminile, per cui i
dovevano essere biondi, gli occhi neri, la pelle bianchissima. Qui invece la bella zoppa di Sempronio
è il sonetto di questa serie che ho accolto, ma ce ne sono anche altri. La bella balbuziente,
per esempio, di Scipione Enrico Messinesi, che non ho inserito, oppure un'altra poesia di un poeta
ancora meno conosciuto se possibile, il veronese Paolo Abriani, che dà voce ad una balbuziente
che parla con questo ritmo mozzo, con questo ritmo sincopato. Non è che ne abbia messi tanti,
ne ho messi però 4, forse 5, per dare spazio ad una tradizione che secondo me è meritevole
di attenzione. Al di fuori del barocco, ma sempre pienamente appartenente al 600, ho inserito poi
un poeta come Redi, che è un nome più noto, fu anche un grande scienziato, che nel suo Diti Rambo
Bacco in Toscana dà una rappresentazione vivacissima della ubriachezza di Bacco, che non riesce a
completare il discorso, ha l'impressione che tutto ruoti intorno a lui, gioca sul brindisi che si
fa col calice riempito di vino e la città omonima verso cui immagina che la nave in cui crede di
trovarsi con Arianna sta andando. Cercare per carità di dare una rappresentazione in cui accanto
al noto il 5 maggio, naturalmente c'è e non poteva mancare, ci sia l'ignoto. Faccio solo una postilla,
i classici classici con la c maiuscola ci sono perché io li ammiro ma anche perché sono presenti
nella memoria collettiva degli italiani. Faccio un esempio relativo ai sepolcri dove si parla
da un certo punto di celeste corrispondenza di amorosi sensi tra chi resta e i defunti.
Questa espressione si trova, si può usare in senso scherzoso, ironico da parte di un giornalista
che alluda alla riconoscibilità dell'espressione. Io cito il brano di un giornalista che parla di
corrispondenza di amorosi sensi, qualche mese fa, tra Renzi e Salvini. E' chiaro che si gioca
su uno scherzo che però funziona perché chi legge può anche non riconoscere Foscolo ma capisce che
si tratta di una citazione letteraria che ha questo effetto di frattura, questo effetto di scintilla ironica.
Da questo punto di vista, professor Seriani, se il linguaggio poetico, un linguaggio che ha
delle familiarità con il linguaggio magico, in questo caso assistiamo a un percorso magico di
un verso, di un'espressione poetica che si comporta come un meme, cioè come un'unità di significato
che utilizzano noi uomini, le nostre letture, per manifestare e propagandarsi nel tempo,
mutando significati, essendo poi manomesso in un passaggio che anche in questo caso
prende un'altra direzione spaziotemporale. E quindi è molto bello trovarsi all'interno
di questo ordito che ci offre la poesia. D'altronde questa idea dell'ordito e della
piega è un'idea barocca. Forse noi nei nostri tempi il momento barocco è un momento interessante
ed eloquente, questa idea di sempre riguardare cosa c'è al di là della piega e di perdersi
nei particolari, nelle continue mutazioni. Quindi andare a riscoprire o scoprire per la prima volta,
per esempio, l'importanza dei poeti barocchi in questo caso è fondamentale. Potrebbe essere
anche uno strumento per comprendere meglio i nostri tempi, ma ovviamente la poesia non
ha bisogno di avere un fine per essere letta, è domina, è assoluta. E questo è una banale
osservazione. Ma, professor Seriani, parlavamo della poesia barocca e poi arriveremo a…
Le faccio una domanda che serve anche illustrare il modo in cui è composto questo libro,
le decisioni che sono state prese nell'immaginare e costruire questo libro. Cioè la poesia barocca
spesso viene dimenticata, poco affrontata, perché è considerata difficile. I poeti utilizzano parole
desuete, non sappiamo bene il significato, richiede un grande sforzo, un grande lavoro.
Allora, lei quale scelta editoriale ha fatto? Mi spiego meglio, rispetto alle note a piedi pagina,
il tentativo di spiegare le parole. Noi siamo abituati nei manuali scolastici che a volte ci
sono commenti giganteschi, che una a seguire parola per parola il significato si perde poi
quella prima impressione forte che è del linguaggio poetico, ma nello stesso tempo è necessario dare
qualche spiegazione. Mi viene in mente, lei lo scrive nella sua prefazione, che Carducci,
quando fece un'antologia scolastica di poesia, rifiutò totalmente le note a piedi pagina,
dicendo che esistono edizionari che gli studenti e le studentesse vadano a prendersi di questi
edizionari e facciano uno sforzo. Ecco, lei dinanzi alla presenza massiccia delle note,
o annullare completamente le note e lasciare i versi così come sono, nella loro limpidezza e
cristallinità, che tipo di scelta ha adottato nel presentare questa antologia? Il verso giusto,
ecco, la mettevo nel verso sbagliato, il verso giusto che è destinata a tutti i lettori. Ecco,
non è una lettura destinata agli specialisti, agli studiosi della lingua italiana. Questo è
un libro che dovremmo avere tutti in casa e che ci riguarda profondamente, perché è un libro da cui
noi siamo parlati. Che scelta ha fatto professor Seriani? Allora, intanto è naturale che un'antologia
scolastica abbondi in un commento anche molto analitico. Starà poi al docente, che è il
mediatore culturale rispetto ai libri di testo, a illustrare la poesia senza farla schiacciare
dall'erudizione delle note. Quanto a me, io dunque sono ricorso ad una notazione essenziale che
naturalmente non ha potuto fare a meno di chiarire gli eventuali riferimenti mitologici, perché forse
la difficoltà principale oggi, anche per una persona colta ma giovane, è di identificare
automaticamente che di Faon la fanciulla, cito ancora Foscolo, questa volta dall'Ode all'amica
risanata, è saffo. Ecco, io mi limito a dire saffo. Do un po' per scontato che il lettore di questo
libro, se anche non sa chi è Saffo, non se lo ricorda, possa facilmente attingere notizie. E
poi approfitto delle note per fornire con sobrietà, naturalmente con misura, qualche
osservazione linguistica, perché naturalmente il mio mestiere primo è questo. E allora anche qui
faccio un esempio preso questa volta da Rolly, che è un poeta del primo setticento, abbastanza
interessante nel suo genere, e a un certo punto in una poesia rivolta ad un amico inglese viaggiatore
in Italia, lo stesso Rolly passò gran parte della sua vita in Inghilterra come precettore
d'italiano dei figli del re. Siamo in un secolo del settecento, che è il secolo dell'europeismo,
del confronto tra realtà diverse. A un certo punto parla delle ragazze che questo suo dedicatario ha
incontrato nei viaggi in Italia e le definisce ninfe. Ecco, potremmo chiederci perché ninfe,
la risposta è semplice, perché ragazza era una parola che in poesia non si usava, si sarebbe
usata, cominciata a usare solo alla fine del secolo e uno dei più antichi esempi lo troviamo
nel Parini giocoso di poesie di Ripano e Opilino. Anche nella lingua comune ragazza si affaccia nel
cinquecento. Dante non usava questa parola perché non esisteva. Ecco, poteva dire fanciulle,
ma non poteva dire ragazza. Questo è un elemento abbastanza curioso su cui mi sembrava utile far
riflettere il lettore. E su un altro piano, passiamo questa volta ad Annunzio, poesia meritamente
molto famosa, La pioggia nel Pineto, dove a un certo punto lui dice la figlia dell'aria per
indicare la cicala e la figlia del limo per indicare la rana. Ecco, io ho fatto notare che
queste formule si ritrovano nell'Ossian, va pronunciato all'italiana, di Cesarotti, questo
poemetto ricavato da un falso sostanzialmente scozzese di Macpherson che ricostruisce queste
mitiche vicende di Ossian. In Italia si è diffusa la traduzione di Cesarotti che è fondamentale per
un certo clima romantico, tenebroso eccetera. Tra l'altro Cesarotti usa proprio questa espressione,
figlio dei fregni per indicare il cavallo, quindi una caratteristica inerente al soggetto che diventa
che si esprime attraverso il figlio di. D'Annunzio aveva molte letture, come sappiamo,
chi lo sa se si tratta di poligenesi oppure anche di una fonte. Questo sarebbe stato troppo indicarlo
qui, però dare questo suggerimento, questo accostamento non mi sembrava male per cercare
quello che lei diceva prima, un contatto con la tradizione poetica che è ovviamente molto cambiata
nel tempo ma che ogni tanto presenta dei fili che ci permettono di accordare momenti e poeti diversi.
Ecco, è esattamente questo l'ordito che si manifesta leggendo il libro del professor
Seriani, Il verso giusto, ed è un ordito in cui, da una parte, riassumo, usciamo dallo spazio-tempo,
ci riaffacciamo alla tradizione poetica, alla poesia eterna dei poeti e continuano a parlare
tra di loro. Da una parte c'è la lingua che si muove su altre direzioni, con altre strade,
e con grande sobrietà il professor Seriani a nota crea delle piccole piste, dei percorsi
paralleli che il lettore può seguire attraverso gli strumenti e l'inizio, la spinta che il professor
Seriani dà a tutti i lettori. E lo abbiamo detto, e su questo vorrei tornare ancora un attimo,
professor Seriani, c'è anche il tentativo di rivedere un canone. Ecco, all'interno della
sua antologia, per esempio, lei ha meritoriamente dato molto spazio anche alle poetesse, quindi
alla tradizione poetica femminile, che per una tradizione pigra e, per certi versi, maschilista,
è stata un po' dimenticata all'interno delle antologie scolastiche, il luogo principale dove
donne e uomini incontrano la poesia e iniziano a studiare la poesia. Ecco, ci può spiegare di
questa scelta importante, di questo grande lavoro di far riemergere invece l'importanza della poesia
delle poetesse. Volentieri, dunque, per quanto riguarda l'età contemporanea non ho fatto altro
che prendere atto della realtà, perché la poesia femminile è una presenza rilevante e assolutamente
ineludibile quali che siano le scelte dell'antologista. Per i secoli precedenti la cosa
è meno ovvia e io ho accanto a Gaspara Stampa, che è riconosciuta come un esponente del
pietrarchismo cinquecentesco, ho inserito anche Isabella Morra, che è una poetessa meno nota,
molto interessante, che morì fra l'altro appena a 25 anni, uccisa dai fratelli,
un esempio se vogliamo di femminicidio dell'epoca, e che in un piccolo canzoniere
lamenta soprattutto l'abbandono da parte del padre, che era un diplomatico e l'aveva lasciata,
e aveva lasciato lei, bambina o ragazza, senza la sua presenza ed è interessante, credo, la poesia
che ho scelto rivolta al Siri, cioè al fiume che scorre presso l'attuale Valsinni in Basilicata,
che si collega a un grande tema, quello del fiume come simbolo di un territorio,
ma anche come carico di una sua propria simbologia specifica, i miei sospirsi in quali spera il
Tebro, l'Arno e il Po, dice Petrarca per esempio, e alla fine di questa poesia si augura di finire,
di morire nelle acque del Siri. Poi un'altra poetessa del passato che ho tenuto a rappresentare
è Faustina Maratti Zappi, siamo ancora nel Settecento, e ci sono due sonetti che ho voluto
inserire, uno che svolge un tema tipicamente femminile nella poesia femminile, intendo che
il tema della gelosia. I poeti maschi si lamentano del fatto che la donna sia irraggiungibile, non
cede al loro amore, ma non perché ami qualcun altro, questo sarebbe uno smacco intollerabile,
non ama nessuno, quindi neanche me poeta che le rivolgo la poesia. Le donne in questo sono
molto più dirette, quindi il tema della gelosia, che pure ha dei caratteri abbastanza topici,
però è un tema femminile. E poi l'altro sonetto è rivolto ad un tema che non è necessariamente
femminile, ma che però la Maratti tratta con particolare intensità, è il dolore per la morte
di un figlio bambino. Non è naturalmente solo femminile perché viene subito in mente Carducci
di Pianto Antico, che pur amando io Carducci oltre ai poeti barocchi non ho inserito, lo diamo un
po' per noto, ho inserito un altro sonetto di Carducci, ugualmente molto noto, Funere Mercit
a Cerbo, sullo stesso tema della morte del figlioletto Dante, ed un'altra poesia meno nota
questa volta Ave, in cui Carducci tocca con delicatezza e con equilibrio veramente classico
della morte di un adolescente figlio della sua amante Carolina Piva Cristofori, cantata
col nome classico di Lidia, morto a 15 anni di tifo, in cui forse rivive l'anticodo dolore del
padre. Dico questo della morte di un bambino perché per noi oggi è una tragedia di cui
difficilmente potremmo immaginare l'eguale. Per il passato però era un'evenienza assolutamente
messa in bilancio perché una parte non trascurabile di bambini moriva o in quella
che si chiama l'età perinatale oppure anche nell'infanzia. C'è questa risposta a Roma
dove vivo, nel Policlinico, l'antica clinica pediatrica, che ha come epigrafe questa frase
in puero homo, è un latino facilissimo, nel bambino c'è l'essere umano, ma noi oggi ci
chiederemo ma che cosa vuol dire, che cosa ci deve essere nel bambino? Certo non un cane o uno
smartphone, ma per forza c'è l'essere umano, ma si tratta di un'ammunizione ai medici a curare
con particolare attenzione i bambini perché la morte di un bambino è comunque la morte di un
essere umano. Oggi noi veramente non avremmo bisogno di una raccomandazione del genere che
risale a poco più di un secolo e mezzo fa e che ci fa capire quanto certi valori di riferimento
cambiano. Questa sua risposta, professor Seriani, è importante perché ci dà un altro punto di vista
in cui noi possiamo leggere, rileggere la tradizione poetica, quello appunto di riscoprire
la relatività di certi valori, come si mutano nello spazio del tempo e come siamo arrivati
oggi invece a sposarvi questi valori. Quest'idea della morte del bambino, io guardo qui, io l'ho
mostrato prima della diretta, la prima edizione del Mondo salvato dei ragazzini di Elsa Morante,
che è uno dei miei libri preferiti. Ecco, lei ha deciso, per esempio,
qui andiamo verso la poesia contemporanea, di inserire la poesia con cui si apre questo libro
di Elsa Morante, un libro che ha molte cose, è un manifesto, è un proclama, è una chiave magica,
come diceva la stessa Elsa Morante. Questo libro si apre con una poesia che lei ha inserito
nella sua antologia, che è Addio, in cui Elsa Morante si rivolge a Bill Morov, questo pittore
con cui lei ebbe un rapporto molto stretto, molto forte e molto intenso. E lì è interessante perché
lei parla della morte di Bill Morov e ne parla utilizzando immagini legate all'infanzia. E su
questo poi lei, nella breve introduzione, con cui per ogni poesia c'è una breve introduzione che
riepiloga la vita dell'autore e che dà un po' il senso di questo lavoro, lei punta proprio
l'attenzione, cioè chiede ai lettori di fare attenzione rispetto all'utilizzo di queste
immagini infantili legate alla morte di un ragazzo. Infatti, se noi non sapessimo qual è stata
l'occasione che ha determinato la nascita di questa poesia, potremmo pensare piuttosto alla
morte di un ragazzo perché Elsa Morante sottolinea questi aspetti e lo fa in genere per il suo
particolare modo di percepire l'infanzia e la giovinezza, come un mondo di ragazzini, per usare
il titolo di un libro a cui lei teneva molto, lo definì pochi anni dopo come il più bel libro che
aveva scritto. Naturalmente non è detto che gli autori... Ma io sono d'accordo con Elsa Morante,
il suo più bello in assoluto. Ecco, ma nella storia che quando uscì di lì a poco nel 74,
non ti acqua in generale, i critici che la giudicarono populista, nella storia c'è una
scena di violenza da parte di un giovane soldato tedesco e Morante usa per riferirsi a questo che è
un prevaricatore naturalmente che però lei vede nella sua debolezza tutta una serie di immagini
simpatetiche. A un certo punto si addormenta dopo aver consumato lo stupro e osserva Morante i sogni
che poteva fare erano quelli all'incirca di un bambino di otto anni. C'è questa idea di
rappresentarlo anche nel momento della violenza che naturalmente subisce quella che Morante chiama
la tragedia che dura da 3.000 anni, la storia, c'è anche questa idea di rappresentarlo nella sua
fragilità, nella sua debolezza. Questo è un aspetto interessante, tipico del mondo anche narrativo.
Ecco, questo esempio professore, riagganciato al ragionamento che lei ha fatto precedentemente,
ci spiega anche come sia possibile ritornare alla poesia, alla lettura della poesia,
attraverso l'antologia che lei ha preparato, appunto anche in una chiave sincronica,
non soltanto diacronica. Cioè ci sono alcuni temi che poi possono tornare in maniera carsica,
secoli più avanti, in altri contesti che avendo la possibilità di avere uno sguardo su 100 poesie
scelte della tradizione italiana, possono emergere molto facilmente. Quindi questo ci spiega che sono
possibili, davvero possibili, tante percorsi di lettura. Ecco, non è necessariamente un libro che
si può leggere in maniera consecutiva, cercando di vedere nel tempo come è cambiata la poesia
italiana, ma si possono trovare all'interno di questa tradizione dei portali spazio-temporali
in cui certe immagini, certe metafore, certe sensibilità risuonano tra di loro al di là del
tempo che è trascorso tra di loro. A me questa possibilità di vivere un'uscita dal mondo mi
sembra una delle grandi chiavi per leggere il suo libro. E che il suo libro ci offre,
perché con la scelta di 100 poesie, davvero una scelta intelligente di 100 poesie, ci dà
tutti la possibilità di trovare percorsi, di utilizzare queste poesie anche come macchina
per pensare. Professore, ma ci vuole spiegare qualcosa di più sul criterio con cui lei ha
selezionato queste 100 poesie? Perché è ben complicato. Io non oso immaginare le nottate,
le telefonate magari di colleghi amici con i quali lei magari si confrontava in questa scelta,
dicendo, no professore, ma devo aggiungere questa poesia a questo poeta, perché non l'ha fatto? Ma
quella è più importante di quell'altro? Io personalmente me la sono un po' presa perché
non c'erano i sonetti di Tommaso Campanella, che per me sono un vertice assoluto. Ma insomma,
la selezione, lei nella preparazione, l'ho detto prima, risponde in maniera molto sobria,
ironica, intelligente a tutte le possibili obiezioni. Ma questa idea di selezione,
come è stata e su quali criteri lei ha lavorato e si è mosso? Allora, un criterio è quello di
considerare comunque, di rappresentare comunque i poeti classici per comune riconoscimento,
anche quanto ad altezza artistica. Su Dante non ci piove, il caso di dire. Come scriverei
nella prefazione? Dante, Dante. Dante, Dante, quindi è tale anche per me. L'altro è quello di
rappresentare vari generi, quindi c'è la poesia giubileresca col detto del gatto lupesco, che è
anche un testo abbastanza interessante, insolito per la nostra sensibilità, per le nostre conoscenze.
C'è la poesia, ancora restiamo nel Medievole, la poesia religiosa con Giacopone da Tobi. Quindi
c'è l'idea di una rappresentanza sufficientemente varia perché la poesia può dire tante cose e può
anche scherzare. Ovviamente viene subito in mente Ariosto, per cui ho scomodato lo splatter
nella scena che ho ospitato di Orlando impazzito che fa stragi inverosimili uccidendo tutti quelli
che gli capitano a raggio sotto le mani. Poi ci sono anche altri poeti che insistono sull'elemento
del gioco, quindi rappresentare il più possibile una varietà di voci e naturalmente poi fondarsi,
questo è inevitabile anche sul mio personale, quindi discutibilissimo, gusto di lettore. Questo
gusto è discutibile in assoluto, diventa assolutamente eccepibile per quanto riguarda
il secondo novecento. Direi che fino a Caproni possiamo tutti essere d'accordo. Dopo Caproni si
apre un baratro perché un po' non c'è nessun canone prestabilito, un po' sono io stesso come
esperienza di studio che muovo meglio nell'ottocento o nei secoli precedenti che non nel
contemporaneo, quindi confesso anche che alcune scelte sono dettate dal limitato raggio delle
mie conoscenze. Detto questo mi offro come un doverosamente San Sebastiano alle trecce che
possono essere scoccate su tutto naturalmente, non sono io a dire su che cosa, ma su questa scelta
dei contemporanei che sarebbe stata comunque eccepibile. Ci tenevo però a chiudere con dei
viventi, l'ultimo poi tantologizzato il numero 100 Enrico Testa nato nel 1956, questo per
rappresentare un percorso ancora in atto ed è lo stesso motivo per cui nell'introduzione cito
anche poeti che non sono letterati, cito due studiosi molto affermati nei loro campi, l'economista
Tutino e il fisico Doppliker, ma alludo anche i poeti della Domenica che certamente loro stessi
per primi non pensano di sfidare di mille secoli in silenzio, torna ancora Foscolo, ma che però
dedicano alla poesia tempo impegno e anche passione. Questo secondo me è un elemento
importante dal punto di vista sociologico, se posso dire, perché se la poesia non interessa
più a nessuno allora davvero dobbiamo prendere atto che è morta. Se invece interessa ancora e
anche se una parte notevole di quelli che scrivono poesia non fa della buona poesia,
ma questo non veniva anche nel passato, non è che nel passato chiunque scrivesse un sonetto
imbroccava la strada giusta. Questo è un segno di vitalità ancora della poesia,
che la poesia ha ancora qualcosa da dirci. Infatti, professor Seriani, nella sua prefazione
una delle parti proprio più dolci è la parte finale in cui lei dedica spazio proprio a dare
una carezza ai cosiddetti poeti della domenica, a questi meravigliosi, a volte disastri letterari
totali, ma che mantengono forte e vivo questa esigenza di espressione più potente, più autentica,
e che comunque viene continuamente cercata. E poi, certo, è la storia, è il canone a decidere
a decidere chi ce la fa, chi non ce la fa, chi potrà riemergere, ma insomma i poeti si pongono
da un'altra parte della storia e hanno pazienza e tempo. E questa carezza che lei dà è molto bella,
ma come anche la carezza che le è dato, per esempio, un grande poeta come Totti Scialoia,
che le ha voluto inserire nell'antologia. Il verso giusto, questa antologia di 100 poesie
italiane scritte dal professor Lucas Seriani per la terza, è un libro che è pieno di sorprese,
pieno di divertimenti, pieno di carezze, pieno di stupori e a volte di pagine molto dolorose. Tutte
presentate però con quella sobrietà, con quel senso della misura che è una delle regole del
linguaggio poetico per definizione. Quindi è un libro che si muove, come dire, è un'antologia,
ma un'antologia non solo poetica perché all'interno contiene delle poesie, ma l'antologia poetica nel
suo modo di porsi, nella misura, nel garbo con cui si presenta ai lettori e al giudizio dei lettori
e al piacere dei lettori. Professor Seriani, io sono molto felice di averla rincontrata,
di aver fatto questa conversazione con lei. Leggete Il verso giusto e ringraziamo anche
la Casa di Trice da Terza che ci ha ospitato. Certo, ringraziamo anche tutti quelli che si
sono connessi. Ovviamente ringraziamo tutte le persone che si sono connesse. Grazie professore,
a prestissimo e grazie a tutte le persone che ci hanno seguito. Arrivederci, grazie.