FUTURO
Buonasera, buonasera a tutti e benvenuti all'ottavo incontro di Interregno, uno spazio di confronto
intergenerazionale dove cerchiamo di vedere le differenze e i punti in comune tra diverse
generazioni, quindi tra passato presente e in particolare stasera con uno sguardo al futuro.
Grazie quindi come sempre a Teresa che l'ha creato e grazie ai nostri ospiti di stasera,
Maurizio Ferraris, filosofo e accademico, Laura Tripaldi, buonasera, grazie, dottoranda in scienza
nanotecnologia e materiali e Federico Neirotti, scrittore e attivista. Buonasera a tutti. Allora,
le nuove tecnologie stanno abilitando nuovi tipi di contenuti, le piattaforme spendono ormai
miliardi nella lotta per cercare di ottenere delle quote di mercato e l'interazione sulle
piattaforme social, anche per il dibattito politico a livello globale, è ormai stato
sdoganato. Con il Covid poi le tecnologie sono emerse nuovamente come la chiave per salvare
le vite umane attraverso i vaccini, attraverso i vari strumenti per i pazienti, ma quello che
vorremmo chiederci stasera è un po' l'uomo, quello di carne, ossa, pensiero. In tutto questo è al centro
o è sempre più ai margini del discorso? L'episodio di oggi si concentra proprio sul futuro, quindi
grazie nuovamente ai nostri ospiti e incomincio con Maurizio che nel suo libro Documanità dice
proprio di comprendere la vera natura del web, comprendere la vera natura del web è il primo
passo verso la comprensione della rivoluzione in corso che genera un nuovo mondo, un nuovo
capitale, una nuova umanità. Che cosa significa esattamente? Significa che noi spesso pensiamo
al web come se fosse, soprattutto le vecchie generazioni, come una specie di televisione
un po' diversa, non sappiamo neanche in quanto diversa, tant'è che il modo normale per disegnare
il web è l'infosfera, come se fosse una sfera dell'informazione, della comunicazione, mentre in
realtà è una docusfera, cioè un ambito di registrazione, prima di tutto di registrazione,
questo che cambia tutto con il web. Prima nella comunicazione analogica uno diceva una cosa e
poi se mai e quasi sempre mai si registrava, adesso ogni nostra interazione con il web viene
registrata, dunque produce valore e quindi pone in realtà l'uomo al centro, nel senso che banalmente
io posso benissimo immaginare un web, un'umanità senza web, in effetti l'umanità è stata senza
web per tanto tempo, ma non un web senza umanità e quindi il ragionamento che vorrei suggerire
proprio come viatico, ottimistico rispetto al futuro, è che mentre una tecnologia imperfetta,
un'automazione imperfetta trasforma l'umano in macchina, nel senso che quando sei alla catena
di montaggio sei un pezzo di macchina anche tu, o quando fai il dattilografo, stai facendo la
funzione che adesso scopriamo, o fare un dittafono, un'automazione perfetta porta l'umano
al centro, perché come crei l'automazione? Banalmente registrando tutti gli atti degli
umani, che cosa significa automatizzare? Fare come gli umani, noi siamo sollevati dal lavoro,
ovviamente uno dice, beh sollevati dal lavoro e anche dallo stipendio, questo è il problema,
ma questo lo risolvi riconoscendo che noi stiamo lavorando in qualunque momento della nostra vita,
nel senso che stiamo producendo valore, se le piattaforme si arricchiscono così tanto,
non è perché ci frustino dentro ad una miniera, ma semplicemente perché noi lavoriamo per loro
gratis, producendo valore. Chiarissimo, quindi questo web, questa rete Laura, è al centro anche
di una parte del tuo libro in cui parli proprio della tessitura, quindi della tessitura di un
arachnido di arachne e di come siamo definiti come esseri umani proprio dalla tecnologia che
utilizziamo. Che cosa ci è? Spiegaci un po' di più di questo concetto. Sì, assolutamente,
allora intanto ovviamente, sicuramente diciamo il concetto di rete è diventato sempre più pervasivo
nelle nostre vite e quando parliamo di rete ovviamente facciamo sempre riferimento, quasi
sempre riferimento alle tecnologie digitali, ecco, e invece la mia prospettiva sul concetto di rete
è un po' diversa perché io parto dal punto di vista invece delle tecnologie e dei materiali,
che è un po' il mio ambito di ricerca e io diciamo ci tengo anche a sottolinearlo perché a volte
ho l'impressione in generale che a volte ci illudiamo che esistono delle tecnologie che
sono completamente disincarnate, completamente dematerializzate e che esistono in uno spazio
completamente altro, ma in realtà diciamo tutte le tecnologie, anche quelle più virtuali, in realtà
si fondano su substrati materiali e quindi anche diciamo il web inteso dal punto di vista
digitale ce ne rendiamo conto sempre di più, considerando per esempio anche il costo energetico
per esempio delle tecnologie digitali. Ecco, nel mio libro la mia prospettiva è stata un po' quella
di cercare di riflettere sul modo in cui i materiali che costruiamo si intrecciano un po'
con le nostre vite e con le nostre identità e come appunto accennavi la mia riflessione è partita,
in realtà è partita dalla ragnatela e la ragnatela diciamo è un oggetto molto interessante perché in
realtà la cosa veramente interessante è la relazione diciamo tra la ragnatela e il ragno
che la produce perché la seta del ragno è un materiale che potremmo definire un materiale
intelligente nel senso che è capace diciamo di auto organizzarsi in autonomia formando una
struttura microscopica incredibilmente complessa in maniera completamente diciamo automatica,
in maniera spontanea senza bisogno diciamo che il ragno intervenga diciamo costruirla nella sua
struttura microscopica e questa struttura le conferisce tutta una serie di caratteristiche
affascinanti che le permettono insomma di andare a integrarsi se vogliamo con tutto l'apparato
cognitivo del ragno, con la mente del ragno tanto che appunto c'è un po' l'idea che diciamo non
solo il ragno costruisce la sua ragnatela ma c'è anche un rapporto diciamo più nell'altra
direzione ecco perché la ragnatela a sua volta influenza il mondo del ragno, la realtà del
ragno, l'identità del ragno come animale quindi c'è una sorta di circuito di feedback tra queste
due cose e a questo proposito appunto mi sono trovata a riflettere anche sul mito di Aracne
a cui facevi riferimento tu che ovviamente come sapete è la leggendaria tessitrice che fu tramutata
in un ragno per punizione diciamo per punirla della sua incredibile abilità nella tessitura e
per inciso diciamo la tessitura tra tutte le tecnologie antiche forse una di quelle che sono
più affascinanti per noi oggi perché ha un sacco di intersezioni sia con le tecnologie informatiche
sia per esempio con la scienza dei materiali e le nanotecnologie contemporanee e appunto Aracne
diciamo si tramuta in un ragno questa è un po' la sua punizione e nel tramutarsi in un ragno
diciamo che Aracne si fonde con il suo telaio e costituisce un unico corpo che è un po'
naturale un po' tecnologico e il designo di Aracne ovviamente ci viene raccontato un po' come
ovviamente una maledizione nel mito originario ma io credo che non deve essere necessariamente
così almeno questa è un po' la prospettiva che provo a proporre nel mio libro perché magari
questa fusione con la tecnologia può essere anche qualcosa di produttivo ecco ovviamente
questo magari ci richiede di abbandonare alcune diciamo delle categorie dei pregiudizi che abbiamo
su cosa significa essere umani ecco. Se dovesse spiegare in due parole che cosa sono le
nanotecnologie per chi non lo sa per chi non lo conosce? Certo assolutamente diciamo che le
nanotecnologie sono quell'ambito della scienza contemporanea che si occupa di lavorare su quella
che appunto viene definita la scala nanometrica un nanometro è un miliardesimo di metro che
detto così può voler dire tutto e niente però diciamo la cosa interessante delle nanotecnologie
è che lavorando su una scala così piccola diciamo che agiscono un po' sullo stesso livello
degli organismi viventi quindi per esempio le proteine che costituiscono le nostre cellule,
i meccanismi diciamo più intimi dei nostri corpi biologici funzionano sulla stessa scala
delle nanotecnologie. Il virus è un organismo tra virgolette diciamo che è grande circa una decina
insomma di nanometri poche decine di nanometri ed è proprio per questo che poi le nanotecnologie ci
permettono anche di magari risolvere o affrontare o combattere insomma questo virus ecco questo per
dirla in maniera molto sintetica. Chiarissimo dopo approfondiremo anche questo l'utilizzo
delle nanotecnologie. Federico invece è molto interessante quello che diceva prima Maurizio
riguardo alle piattaforme, le piattaforme non ci schiavizzano non ci non ci frustano per dargli i
dati, li diamo spontaneamente è il nostro insomma lo facciamo continuamente facciamo tutti i giorni
senza fare neanche particolarmente fatica. E anche in questo momento per inciso quindi
stiamo chiedo scusa ma teniamolo presente stiamo lavorando in due sensi uno esplicito
posto che sia lavoro e un implicito ma che genera molto valore. Ecco Federico cosa ne
pensi di questa rete di piattaforme di dati? Sì da questo punto di vista un po' la riflessione
che mi interessava che volevo portare era proprio un po' forse il passaggio che negli ultimi anni è
avvenuto in maniera inequivocabile. Se il web è nato di fatto come rete per mettere in connessione
tra di loro degli esseri umani, infatti specie degli esseri umani che avevano cominciato a
studiare produrre ricerche avevano bisogno di scambiarla tra di loro, il passaggio inequivocabile
che si è consumato negli ultimi dieci anni è che questa rete di esseri umani si è trasformata in
una rete di piattaforme che gestiscono i servizi attraverso cui noi facciamo uso delle possibilità
che vengono fornite dal web. Questo è un cambiamento piuttosto degno di nota non soltanto
in termini di mero utilizzo di internet perché diciamo che le potenzialità di internet nel corso
del tempo sono aumentate da un certo punto di vista si è ridotto lo spazio di creatività
a disposizione però internet che ci piaccia meno funziona bene siamo connessi in questo momento da
quattro posti diversi ci stiamo parlando in maniera piuttosto fluida e altre persone da altri canali
stanno assistendo alla nostra conversazione. Quello che però diciamo è avvenuto un po' sotto
il radar è un fenomeno di accentramento delle potenzialità fornite da internet perché se negli
ultimi dieci anni si è instaurata una vera e propria infrastruttura formata da una serie di
piattaforme che gestiscono un po' tutti gli ambiti della nostra socialità su internet non soltanto
in senso esplicito quindi noi che utilizziamo facebook, streamyard che è la piattaforma che
stiamo utilizzando in questo momento ma sono a loro volta delle piattaforme, le infrastrutture
che permettono a facebook di funzionare quindi i grandissimi conglomerati che costituiscono i
server banalmente i sistemi di server che permettono ai dati di viaggiare in giro per il
mondo e su questo peraltro qualche mese fa se non ricordo male c'era stata una notizia di cronaca
abbastanza lampante in questo senso un incendio all'interno di un data center di uno di questi
grossi conglomerati ha prodotto dei disservizi su una quantità disparata di piattaforme web
addirittura c'è questo elemento in particolare che a me era rimasto molto in testa ovvero il
fatto che dei giocatori di un videogioco online si erano ritrovati svegliandosi il mattino dopo
privati del mondo che normalmente loro abitavano giocando tutti i giorni con quel gioco lì perché
il loro mondo era conservato all'interno di quel server e a causa di questo incendio il loro mondo
era perduto fondamentalmente ecco un evento come questo secondo me racconta molto bene questo
passaggio di potere in un certo senso e ci chiede allo stesso tempo di porre attenzione su il
funzionamento di questa rete di piattaforme perché è questa rete di piattaforme che di fatto è
costituita da parecchi monopoli che interagiscono a livello globale con la socialità e la produzione
di cultura e anche la produttività umana oggigiorno sono questa rete di piattaforme che in un certo
senso regola al 100% il nostro modo di utilizzare internet ed essendo internet completamente centrale
all'interno della nostra vita dobbiamo necessariamente chiederci come funzionano e quali
sono gli equilibri di potere che regolano i rapporti tra le piattaforme e soprattutto tra
le piattaforme e gli utenti. Scusate, mi ero mutata. Maurizio, lei cosa ne pensa di questo tema?
Da un certo punto di vista bisogna anche capire un po' l'uomo dove sta a questo punto, chi è al
centro? L'uomo, la natura, la tecnologia, nel futuro chi vincerà? Da una parte io direi che
Bill Gates per quel che ne so è un uomo che in questo momento è un uomo che affronta un complicato
divorzio e quindi non direi che è una macchina. Dunque certo uno può dire che siamo sfruttati,
ma gli sfruttatori sono degli umani esattamente come Rothschild era un uomo o Van Der Beek era
un uomo, quindi dobbiamo toglierci l'immaginario che c'è, non che sia stato evocato adesso,
ma c'è spesso le macchine che prenderanno il potere. No, le macchine non prendono strutturalmente
il potere perché le macchine non sono interessate al potere, gli umani sono interessati al potere,
al denaro e quindi sicuramente potremmo essere sfruttati ma da altri umani. Dire il contrario
è pensare che Cesare sia stato ucciso dai pugnali e non dai congiurati. Dopodiché venendo ai
pugnalatori vorrei proporre una riflessione. Intanto il fenomeno, noi lo definiamo come
globale, ma non è affatto globale. La Cina non c'è dentro a questo, è completamente fuori,
completamente esclusa e autonoma, perché? Semplicemente perché non ha osservato le
leggi di copyright, ha fatto le proprie piattaforme e ha socializzato il plusvalore
che viene prodotto da coloro che lavorano, cioè tutti i cinesi, che producono valore
sulle piattaforme. Questo pone un problema però perché uno Stato, diversamente da un'impresa
commerciale, è interessato all'idea dei propri cittadini e quando uno Stato può avere accesso,
poi se fai tutto con il telefono, compreso pagare come avviene in Cina, allora a questo punto tu hai
davvero una visione micrologica di tutto quello che fanno i tuoi cittadini. Ma in Occidente questo
non avviene, ci sono dei pro e dei contro, cioè l'Occidente è indubbiamente più liberale perché
la nostra privacy non è minimamente minacciata. Noi spesso crediamo che le piattaforme siano
interessate alla nostra privacy, ma no, sono interessate ai nostri soldi, è una cosa
differente. Se io vado su Amazon e compro un Kalashnikov, Amazon non va a dire alla polizia
Ferrari si è comprato un Kalashnikov, il giorno dopo semplicemente mi propongono pistole, veleni
e cose di questo genere, cioè ciò che l'algoritmo ha selezionato come coerente ai mistiri di
comportamento. Diverso invece in Cina, perché in Cina come ovvio gli Stati sono interessati,
la Cina coerentemente con i principi del comunismo dà welfare perché la povertà è stata radicalmente
ridotta e nessuno è disoccupato in Cina, se non pochissimi, è veramente impressionante perché c'è
poi anche quell'etica che tutti devono essere occupati, ma può farlo con una riduzione drastica
della libertà personale. Io penso che la via giusta sarebbe invece che grandi entità
sovranazionali, per esempio l'Europa, che fra l'altro, notate quello che succede adesso,
c'è Biden che dice bisogna lasciare liberi i vaccini, bene così, la Cina non mette bocca su
tutta questa cosa qua, la Merkel dice no veramente i brevetti eccetera, sembra cattiva la Merkel,
però riflettiamoci, Biden lascia liberi i vaccini perché sta già guadagnando l'America tantissimo
con le piattaforme, quindi quello che lui sta evitando è che gli tassino le piattaforme e
quindi rende liberi i vaccini, la Cina gioca per conto suo perché ha già fatto questa scelta,
la Merkel come rappresentante dell'Europa dice boh tutto quello che abbiamo sono i vaccini,
cerchiamoci di prenderci i soldi dei vaccini, perché? Perché l'Europa non ha né piattaforme
nazionalizzate né piattaforme private e a questo punto l'Europa è semplicemente una massa di 450
milioni di persone che producono dati, cioè lavorano, senza essere pagati. Allora se allora
l'Europa dicesse alle piattaforme guardate o vi tassiamo il giusto e non per l'abuso di posizione
predominante oppure per la lesione della privacy che sono sempre gli argomenti che fa l'Europa,
ma perché voi sapete perché siete così ricchi? Perché siete una fabbrica che non paga i suoi
lavoratori, è facile che una fabbrica si arricchisca molto se non paghi i lavoratori,
quindi tassi questo e con questo plus valore che tu riesci a ottenere a livello di entità
sovranazionale importante perché un piccolo stato può anche non essere interessante,
se Liechtenstein va a negoziare con le piattaforme, fai quello che vuoi non ci interessa, però 450
milioni di persone significa davvero una massa di denaro molto forte, allora lì puoi trovare le
risorse per generare un welfare che dia ricollocazione e sostegno ai tantissimi che
sempre più perderanno lavoro attraverso il web e voglio dire è inutile cercare di fare dei finti
lavori o ricreare dei lavori all'antica perché noi non li vorremmo più fare, obiettivamente
siamo diventati più civili e più sofisticati e allora cerchiamo di guardare in avanti,
cioè cerchiamo di pensare che c'è un enorme lavoro implicito che viene svolto da ognuno di noi,
ovviamente molti di noi hanno dei lavori, potranno avere dei lavori, però ci sono
tantissimi lavori che scompariranno e allora come si sostengono le persone che facciano
questi lavori? Come si riqualificano? Ci vanno delle risorse, certo non le prendi dalle tasse,
le prendi dalle piattaforme e oltretutto legittimamente perché non stai dando un
obolo a delle persone, stai pagando il loro lavoro, solo un punto che fa riflettere. Oggi
i mendicanti spesso hanno il telefonino, questo significa che loro stanno producendo valore e
probabilmente un valore molto più elevato delle lemosina che prendono nel momento in cui
consultano il loro telefonino. Se noi riconosciamo questo diamo anche più dignità a un mendicante.
Mille spunti in questo discorso di Maurizio, mi attacco ad uno e poi agli altri. Vaccini,
parlavamo di vaccini. Laura, nanotecnologie, in questo momento c'è sempre un po' come diceva
anche il professor Ferrari, si parla spesso di questa paura della tecnologia e poi ci torneremo
dopo. Le nanotecnologie potrebbero partecipare in modo pervasivo ai nostri meccanismi biologici,
qual è il confine tra umano e inumano oggi, naturale e tecnologico? Che cosa ci aspettiamo
per il futuro? È una domanda molto impegnativa, però dal mio punto di vista, dalla mia prospettiva
ovviamente scientifica molto situata, mi sono resa conto studiando i materiali e le nanotecnologie
che molto spesso diciamo, diamo per scontato che sia molto semplice fare una distinzione
tra gli organismi viventi e i corpi tecnologici, gli oggetti tecnologici, però diciamo non sempre
è così facile tracciare questa linea. Tendenzialmente siamo abituati magari a pensare,
cioè pensiamo un organismo vivente, ovviamente un organismo vivente è capace di fare tutta una
serie di cose che un oggetto tecnologico, una macchina, per come siamo abituati a concepirla,
diciamo non è capace di fare, quindi un animale cresce, si sviluppa, cambia nel tempo,
mentre una macchina sostanzialmente ha bisogno di essere assemblata e costruita da qualcuno,
diciamo da un progetto che è esterno, diciamo alla macchina stessa e che in qualche modo
riesce a metterne insieme i pezzi. In generale questo ci ha spinti un po' a pensare per molto
tempo che esistesse una distinzione rigida tra noi e le nostre tecnologie. A un certo punto,
diciamo, abbiamo cominciato a porci una domanda secondo me molto interessante, cioè qual è
l'origine di questa diversità? Prima all'inizio magari pensavamo che l'origine di questa diversità
fosse insita nella natura materiale dei corpi, per cui i corpi viventi hanno qualcosa che la
materia inorganica non ha, qualcosa di speciale, di unico e di riproducibile, però lentamente,
con il progresso scientifico, insomma abbiamo cominciato a renderci conto che in realtà la
chiave di lettura della differenza tra le macchine e i corpi viventi è in realtà nella struttura,
nel modo in cui sono organizzate le diverse parti di un organismo e quindi nella loro
architettura. Abbiamo cominciato a studiare con le nanotecnologie, in particolare quelli che
chiamiamo processi di auto-organizzazione, cioè la capacità di un sistema materiale,
anche completamente inorganico, anche completamente artificiale, di organizzarsi
in maniera spontanea in strutture ordinate e complesse. La chiave di questi sistemi è il
fatto che sono sistemi che possiamo definire bottom-up, cioè che si organizzano spontaneamente
dal basso per dare forma a strutture complesse. In questo senso, secondo me è interessante anche
quello che diceva prima Federico, cioè il fatto che spesso la fragilità di un sistema complesso
risiede nell'accentramento, cioè nel fatto che siamo abituati a strutturare i sistemi complessi
con un approccio top-down, cioè in qualche modo pensando che debba esserci un centro di controllo
che in qualche modo dirige l'organizzazione del sistema e forse abbiamo questo pregiudizio perché
noi esseri umani siamo fatti un pochino così, abbiamo il cervello e pensiamo che il cervello
controlla il corpo e che ci sia questa struttura che poi tendiamo a riprodurre secondo me su tanti
livelli, politico, tecnologico eccetera. Però in realtà spesso i sistemi complessi, questo l'abbiamo
scoperto appunto anche grazie alle nanotecnologie, sono capaci di organizzarsi da soli e diventano
intelligenti proprio attraverso la capacità di diventare sempre più complessi attraverso
le relazioni senza bisogno di essere controllati da un centro di controllo, da un centro di comando.
È molto interessante perché sentire parlare di nanotecnologie in certo modo ci fa riflettere
sulla struttura proprio organizzativa degli esseri umani di per sé, mentre parlavi pensavo alle
strutture sociali, come si costruiscono, in un certo modo è molto interessante perché da una
parte abbiamo l'idea strutturale che veniva citata anche prima del comunismo ad esempio,
che lavora in un certo modo, dall'altra parte quella del capitalismo che funziona in un modo
molto diverso ma ha sempre a che fare con la società. Federico tu su questo so che volevi
anche rispondere sicuramente a Maurizio rispetto a quello che è stato detto prima, ma volevo anche
chiederti appunto di analizzare un po' il rapporto con la semantica, perché ci sono molte parole che
vengono utilizzate e che hanno anche a che vedere con il rapporto di potere delle piattaforme.
Sì, secondo me in questo senso ci sono almeno un po' di considerazioni che mi aiutano per
spiegare un po' il mio punto di vista riguardo, ovvero il primo pezzo è che senza dubbio c'è
una eterogenità di queste piattaforme dal punto di vista globale, Facebook non è per esempio una
piattaforma di fatto globale, il servizio però che eroga la tecnologia che è implementato quella
misura in cui se non si chiama Facebook ha un altro nome, però la mentalità che c'è dietro
l'idea di sviluppare di fatto delle infrastrutture tecnologiche che possano sovrimporse uno strato
di socialità fisica e creare in tutto e per tutto uno strato di socialità digitale che oggi fatica
a volte a distinguersi da quella fisica, quello è stato un po' in un certo senso il malefico colpo
di genio che ha innescato l'era della cosiddetta economia delle piattaforme e proprio in questo
senso ricollegandomi anche al discorso sull'interdipendenza che c'è all'interno dei
sistemi complessi, spesso e volentieri quando si parla di questi enormi conglomerati in generale
di queste piattaforme le si definisce come piattaforme che sono too big to fail, ovvero
troppo grandi per fallire addirittura alcuni si spingono fino a dire che sono troppo grandi
per esistere, questo nella misura in cui i meccanismi che abilitano l'esistenza di una data
piattaforma in questo momento, i meccanismi proprio economici che permettono a Facebook di lucrare su
il lavoro che noi naturalmente svolgiamo utilizzando Facebook ci obbliga in un
certo modo a avere grosse difficoltà a immaginare una vita senza queste piattaforme
oggigiorno perché spesso e volentieri abbiamo dei pezzi proprio di funzionamento della società
moderna che necessariamente si sono innestati all'interno di queste piattaforme, basti pensare
e dell'esempio forse più più radicale di tutti a immaginarsi di esplorare il web oggigiorno senza
utilizzare un motore di ricerca che di fatto a parte poche eccezioni che purtroppo non funzionano
bene come quelle più blasonate però tutti i motori di ricerca afferiscono a dei grossi conglomerati
che tirano avanti grazie a dei meccanismi di fatto estrattivi nei confronti dei dati che noi
produciamo. Ecco questa secondo me questa questa inversione di potere in cui a un certo punto la
piattaforma parassitava dei bisogni degli esseri umani e oggi sono gli esseri umani che devono
necessariamente parassitare la piattaforma perché senza di essa non possono più assolvere ad alcune
funzioni ordinarie del loro quotidiano ha creato un'ulteriore conseguenza e su questo secondo
me c'è un pezzo molto importante riguarda l'utilizzo delle parole e soprattutto la dimensione semantica
del web. Questo non perché noi facciamo esperienza di internet soltanto attraverso le parole ma perché
nel 90 per cento dei casi il dietro le quinte di queste piattaforme ha un funzionamento tale
da permettere la messa a valore dei dati che noi produciamo solamente attraverso dei processi
di semantizzazione di questi dati che noi produciamo. Semantizzazione nella misura in cui riuscire a
categorizzarli per poter poi creare delle categorie di merce che possano assumere un
valore per interlocutori diversi. Ad esempio? Ad esempio questo riguarda specialmente,
mi immagino per esempio, il funzionamento dei meccanismi marketing in generale di pubblicità
su Facebook. Faccio l'esempio di Facebook perché secondo me è un po' più semplice da afferrare.
Facebook mette a valore tutti i contenuti che noi produciamo e non soltanto i contenuti che
noi produciamo esplicitamente ma anche quelli che produciamo implicitamente, ovvero il nostro modo
di utilizzare la piattaforma e li traduce in delle categorie che siano interpretabili attraverso
la lente del bene che Facebook scambia, ovvero spazi pubblicitari. Questo significa che la valanga
di contenuti che noi pubblichiamo su Facebook, addirittura molto probabilmente la trascrizione
automatica delle parole che noi stiamo pronunciando in questo momento perché questa diretta e indiretta
anche su Facebook diventa poi, alla fine di questa grossa catena di montaggio, un elemento che va a
nutrire delle categorie che siano leggibili da coloro che vogliono acquistare degli spazi
pubblicitari su Facebook. Questo meccanismo crea delle conseguenze piuttosto importanti,
secondo me, sul nostro modo di produrre proprio l'esperienza non soltanto della cultura ma in
generale la produzione di tutto ciò che è umano e del modo in cui noi ne facciamo esperienza.
Perché di fatto ci ritroviamo a utilizzare delle piattaforme che oggigiorno monopolizzano,
in generale, accentrano in gran parte la nostra capacità di comunicare, specialmente in questo
periodo di pandemia, e allo stesso tempo crescono dovendo, in un certo senso, seguire il tracciato
delle loro necessità di sviluppo. Quindi nel caso di Facebook sviluppare nel miglior modo
possibile il potenziale della piattaforma di vendere spazi pubblicitari. Se noi pensiamo
all'idea che la forma di questa piattaforma cambia a partire dai dati che produciamo noi,
ma che vengono interpretati attraverso, nel caso di Facebook, quel tipo di lente,
ci rendiamo anche conto che aumentando il volume e la frequenza, ci ritroviamo in una condizione in
cui noi cambiamo il nostro modo di utilizzare Facebook, perché cambia l'aspetto della piattaforma,
e dunque cambia ciò che noi scriviamo, il tipo di contenuti che noi pubblichiamo e il tipo di
interazioni che noi abbiamo. Se noi amplifichiamo e mettiamo in scala questo tipo di fenomeno,
ci rendiamo conto che milioni di persone in tutto il mondo cambiano il nome della piattaforma,
ma la dinamica rimane la stessa. Di fatto sono attaccate con la flebo ai cambiamenti
dell'aspetto di queste piattaforme, e di conseguenza fanno cambiare anche il loro modo di esprimersi,
non soltanto a parole, ma anche dal punto di vista di che caratteristiche hanno i contenuti
che vengono inseriti all'interno di questi spazi. L'ultimo esempio che vorrei portare,
che secondo me è il più lampante, ha a che fare con Google. E' un esempio che vorrei portare
perché è quello che, almeno a me personalmente, in un certo senso ha fatto fare clic. Google,
un po' come tante altre piattaforme, tira a campare vendendo anche in quel caso dei spazi
pubblicitari, ovvero permettendo a dei clienti di posizionare il loro prodotto, in generale il
loro sito web, in cima alla lista delle ricerche di una data parola chiave. Per poter vendere
questi spazi pubblicitari, Google chiede a chi vuole promuovere un'inserzione sulle sue pagine
di associare il prodotto che vuole promuovere ad una parola chiave, che è la stessa parola chiave
che poi io potrò cercare su Google e ritrovare poi quel prodotto lì in cima. Fino a qua, diciamo,
per quanto mi riguarda, è tutto normale alla fine della fiera, è un po' il funzionamento di tutte
queste piattaforme. Quello che mi ha lasciato abbastanza sterrefatto è un dato che è sicuramente
cresciuto perché la ricerca ormai ha qualche anno sulle spalle, che riguarda la frequenza
attraverso cui avviene questa vendita di spazi pubblicitari. Google, per poter vendere questi
spazi pubblicitari associate a delle parole chiave, mette di fatto all'asta il posizionamento
all'interno di una parola del linguaggio umano e lo fa con una frequenza per me spaventosa,
cioè lo fa circa 60.000 volte al secondo, ovvero 60.000 volte ogni secondo una parola,
in generale un elemento del linguaggio umano in qualsiasi lingua possibile viene associato a un
valore economico per poter poi essere utilizzato per poter posizionare un'inserzione pubblicitaria.
Con una frequenza di questo tipo per me diventa, insomma, piuttosto lampante quanto questo meccanismo
cambi il nostro modo anche di percepire il linguaggio e di utilizzarlo, perché rapidamente
non ragioniamo più in termini di cosa stiamo cercando, cosa vogliamo trovare su Google,
ma che tipo di parole chiave noi dobbiamo utilizzare per poter arrivare al risultato
che vorremmo ottenere. Io uso quasi sempre quelle sbagliate,
invece ci metto molto tempo a trovare i miei risultati. Però è una cosa molto interessante,
l'altro giorno stavo ascoltando un dibattito proprio su questi temi e una delle cose che mi
ha più colpito, e in questo senso vorrei chiederla a Maurizio che è il più senior tra di noi,
mi ha molto colpito come se in un ipotetico mondo in cui non ci fossero più questi motori di ricerca,
queste piattaforme, eccetera, le domande venivano poste a gruppi generazionali diversi,
i più senior erano meno spaventati all'idea che questa cosa potesse succedere, perché evidentemente
l'avevano già vissuta, in un mondo in cui i motori di ricerca non esistevano,
i social non esistevano, eccetera. Per i più giovani era impensabile vivere in un mondo in
cui tutto questo non esisteva, quindi un futuro in cui fondamentalmente si ritrovava senza i
punti di riferimento fondamentali che sono quelli che rappresentano per noi.
Volevo chiedere a Maurizio, la tecnologia ci sta aiutando o ci sta alienando,
ci sta rendendo schiavi oppure no? Io penso che avrei una seria difficoltà a
vivere in un mondo senza occhiali, senza vestiti, senza tetti sulla testa e senza penna e carta,
tutto questo è tecnologia. Arachne è ognuno di noi, nel senso che l'essere umano diventa umano
non in un certo momento o quando ci sono delle cose elettriche intorno a lui, l'essere umano
ha cominciato a essere umano e non un animale non umano nel momento in cui ha spaccato la
prima pietra per cavarne un raschietto o qualcosa. Quindi da questo punto di vista non esiste un
essere umano estraneo alla tecnica e la tecnica è la rivelazione della natura umana, non c'è una
natura umana fuori della tecnica, c'è solo l'animalità. La tecnica è la rivelazione della
natura umana, tanto è vero che ci sono civiltà intere di cui non c'è rimasta quella tecnica
che si chiama scrittura e che noi conosciamo attraverso dei apparati tecnici che si trovano
nelle tombe. Non mi sembra casuale che noi parliamo di paleolitico, neolitico, età del
bronzo, età del ferro, perché è proprio quello, le tecniche che usavano questi ci rivelano chi
erano questi nostri antenati. Allora, se le cose stanno in questi termini avrei due punti,
perché sono state dette le cose molto importanti, uno rispetto alla differenza tra l'organismo e il
meccanismo e l'altro invece rispetto alla questione delle piattaforme e dell'influenza
che hanno le piattaforme. Comunque per venire proprio alla domanda iniziale, cioè lei non si
preoccupa, tu non ti preoccupi del fatto che non ci sono più i motori di ricerca perché hai passato
un bel pezzo della tua vita a guardare su indici e schedari. Vorrei fare però notare una cosa,
che Platone si lamentava della scrittura, la scrittura che ognuno di noi considera parte
della sua vita. Lui non voleva che si insegnasse la scrittura perché temeva che la gente poi non
andasse a scuola da lui e si comprasse i libri e basta. Fra l'altro è provato che le società
senza scrittura hanno più memoria di noi, è provato, quindi noi dovremmo dire ci stiamo
rovinando la memoria, come quello che dice internet rende stupidi. Ma chi ti dice che
eravamo intelligenti prima? Già questo è un postulato non dimostrato. E' certo che in genere
una tecnologia ci rende, per esempio io non ho dei denti così buoni come potrei aver avuto se
fossi vissuto nel paleolitico e avessi mangiato della carne cruda. Avrei dovuto avere dei denti
notevolmente più buoni. Si lamenta il mio dentista, mi lamento io? No, semplicemente
l'evoluzione è questo fenomeno qua. Allora, venendo alla questione evoluzione e organismo
e meccanismo, cerco di sviluppare intanto la questione molto importante delle piattaforme.
Allora, io non credo che per esempio in questo momento noi quattro siamo condizionati dal fatto
di essere su una piattaforma, eppure siamo su una piattaforma. Siamo condizionati nella misura in
cui per esempio abbiamo programmato la nostra giornata pensando che non dovevamo abbandonare
il luogo fisico in cui ci trovavamo per andare in un altro e trovarci tutti quattro. Questo
sicuramente è un condizionamento, però non mi sembra che il contenuto di quello che noi stiamo
dicendo sia influenzato dal formato in cui noi ci troviamo. Oltretutto, per esempio, non è
obbligatorio, io non sono mai stato su Facebook né su alcun social. Dall'inizio ho già tanta
difficoltà a rispondere alle mail, che se poi mi beccassero a fare il furbo sui social mentre
non rispondo alla gente sulla mail mi tirerei soltanto dei nemici. Poi, ma questa è una mia
convinzione, io non credo che il grosso del guadagno delle piattaforme derivi dalla pubblicità.
All'inizio era la pubblicità, ancora adesso finché c'è qualcuno che fa la pubblicità,
continuano a fare la pubblicità. Ma in realtà il vero guadagno è la conoscenza sia del mercato,
sia la capitalizzazione dei dati. Perché noi, quando io chiedo qual è la capitale del Rwanda
su Wikipedia, io non divento proprietario della capitale del Rwanda, mentre Wikipedia,
e la piattaforma che sta dietro Wikipedia, sa che c'è un tizio che ha cercato qual è la capitale
del Rwanda. Poi sul fatto che noi diventiamo un po', e quindi che per esempio i nostri consumi
sono condizionati dalle nostre ricerche perché mettono la prima cosa, io cerco sempre i frammenti
dei presocratici sopra Google. Che tipo di prodotto può essere associato ai frammenti
dei presocratici? Quindi io penso, se uno cerca, diciamo così, delle stupidaggini o delle cose
commerciali su Google, avrà in cambio delle stupidaggini nelle cose commerciali. Poi io non
dico che i frammenti dei presocratici siano chissà che cosa, certe volte sembrano davvero
delle stupidaggini anche perché sono dei frammenti. Però comunque uno può cercare queste cose e per
inciso può cercarle anche il mendicante di cui sopra, cioè un mendicante che dispone di una
biblioteca gratis, di una discoteca gratis eccetera. Allora secondo me il vero punto è che noi siamo
generalmente portati ad assumere un atteggiamento vittimistico nei confronti delle piattaforme,
loro intelligentissime e noi stupidissimi. Cerchiamo di fare un po' di lavoro signoria
servitù, loro non andrebbero da nessuna parte senza di noi. Se non ci fossimo noi, loro sarebbero
spacciate. Facciamo presente questo punto, non dobbiamo farlo presente noi personalmente perché
una lotta di classe contro le piattaforme mi sembra difficile da attuare. Dove vai? Vai a
cercare il posto dove spaccare, togliere l'elettricità. Non mi è chiarissimo come potrebbe
essere questo, mentre mi è chiarissimo il fatto che gli stati che sono interessati al benessere
dei loro cittadini e sono anche interessati al fatto che non possono tassare i loro cittadini
più di tanto per generare un welfare, si troveranno benissimi a tassare le piattaforme e fra l'altro
con piena legittimità perché appunto non è che in fondo uno Stato, i vecchi Stati che
nazionalizzavano il petrolio per esempio, gli si poteva sempre obiettare. Vabbè sei un bel tipo,
hai avuto la fortuna di avere nel tuo territorio il petrolio e adesso te ne approfitti, ma noi
lavoriamo per estrarre. Mentre in quel caso non è che c'è stata la fortuna di qualcuno, c'è il
lavoro, letteralmente il lavoro degli abitanti di quello Stato, dei cittadini di quello Stato.
E vengo alla questione. Questa storia del lavoro è importante perché giustamente Laura ha parlato
di sistemi bottom up e dice che noi siamo abituati a pensare top down mentre la vita
si organizza e anche certi meccanismi si organizzano bottom up. Faccio notare che il
cervello funziona bottom up, nel senso che nessun neurone pensa. I neuroni scaricano
semplicemente delle scariche elettriche e poi il risultato è un pensiero, quindi sta funzionando
bottom up esattamente come un termitaio, solo che al posto delle termiti c'è i neuroni. Qual è la
vera differenza, quindi, che non è top down, bottom up? La vera differenza è che non tra l'umano e
la macchina, ma fra l'organismo e la macchina, tra ogni tipo di organismo e la macchina,
l'organismo, ovviamente poi ci sono delle eccezioni ma sono liminari, ha solo due posizioni on off,
o è acceso o è spento e quando è spento è per sempre. Mentre il meccanismo è pensato per avere
tante posizioni on off on off come una lampadina, per esempio, il computer non è che muore se resta
senza elettricità, semplicemente smette di funzionare e poi rimette l'elettricità e quello
funziona. Questo è molto importante perché da questo deriva il fatto che noi abbiamo fame,
desideri, curiosità, ci annoiamo per esempio, tutte cose che ci portano per esempio sulle
piattaforme e fanno sì che le piattaforme raccolgano i nostri dati. Le piattaforme da
soli invece non raccoglierebbero nessun dato, quindi questo segnala secondo me la signoria,
mettiamola così, dell'umano sopra alla macchina perché la macchina senza l'umano non va da
nessuna parte, esattamente come il virus per inciso, ma questo è un altro discorso, cioè se il virus si
fosse impiantato in un bradipo non credo che sarebbe diventato un problema mondiale perché da
una parte i bradipi sono molto localizzati e poi non spiccano per attivismo, quindi non ci sarebbe
stata la pandemia bradipica, mentre gli umani sono tanti, si muovono un sacco eccetera e quindi il
virus esiste solo perché esistiamo noi, da solo avrebbe una vita grama, torni ai suoi pipistrelli
e vedrà, oramai però è abituato a stare con noi e si trova molto meglio. Quindi una volta che noi
abbiamo messo in chiaro, soprattutto con noi stessi, l'importanza che noi abbiamo per le macchine,
l'importanza che noi abbiamo per le macchine, nel senso che le macchine hanno bisogno di noi,
a questo punto abbiamo un potere contrattuale enorme, non con le macchine perché tanto alle
macchine non importa niente di noi, ma coloro che queste macchine pensano, gestiscono, sviluppano,
eccetera eccetera eccetera. Io credo che, tra l'altro punto, insistere sul fatto,
insisto spesso su questa cosa, sulla privacy, perché ti dico, noi diciamo che il vero problema...
Aspetta, privacy, ci torniamo un attimo perché adesso volevo collegarmi con Laura per l'azione
macchine. Se diventassimo noi le macchine, cioè questo concetto di cyborg che tu hai anche Laura
approfondito, quali sono i rischi che effettivamente questa cosa succeda?
Posso fare solo una precisazione rapidissima? Allora, io sono una macchina dalla mia nascita,
nel senso che sono postumano, ho delle appendici meccaniche, mi hanno insegnato a leggere e a
scrivere, che non facevano assolutamente parte della mia dotazione naturale, mi hanno insegnato
a stare a tavola, adesso non potrei vivere senza occhiali o cose di questo genere. Quindi il
postumano è cominciato quando quel tizio ha spaccato in due una pietra e di lì, cioè l'umano
e il postumano nascono insieme. I cyborg, cioè, ma realmente noi pensiamo che qualcuno possa avere
qualche convenienza a creare una macchina che poi voglia essere pagata, voglia avere la pensione a
campi dei diritti? Mi sembra che è palesemente un non senso, noi facciamo delle macchine appunto
per avere degli oggetti che non muoiono, non si stancano, non si lamentano, non hanno dei diritti.
Siamo arrivati a definire, ed è giusto, una conquista di civiltà e diritti degli animali,
perché sono organismi, non credo che riusciremo mai a fare i diritti delle macchine, perché sarebbe
controintuitivo, voglio dire come quando un autore solitamente acuto come Harari dice che
possiamo immaginare un'automazione che sia automazione non soltanto della produzione,
ma anche del consumo. Questo è un non senso, automatizzare il consumo è la cosa più
antieconomica che ci sia, tu automatizzi la produzione e la distribuzione in vista del
consumo, dire ho inventato una macchina per mangiare la pasta asciutta fa ridere, mentre una
macchina per fabbricare pasta in quantità industriali non è che fa ridere, quello che si fa ed è conveniente.
Laura? Ok vado, mi inserisco, tanta carne al fuoco. Sicuramente tu e Silvia
menzionavano questo concetto di cyborg, sicuramente quando io parlo di cyborg
non faccio riferimento all'idea di costruire una macchina antropomorfica che poi ovviamente
rivendichi anche dei diritti, il concetto di diritti delle macchine non è una cosa di cui
io poi in realtà mi sono mai molto interessata, anche perché secondo me ragionare in questi
termini dà per scontati molti passaggi e forse anche mette sulle macchine
una somiglianza con l'umano che anche non esiste in questo momento e non credo che
quella poi sia la direzione per il futuro. Quindi per ritornare un po' sul tema delle
nanotecnologie, secondo me la cosa interessante delle nanotecnologie, che ovviamente sono ancora
una scienza molto giovane quindi metto le mani avanti, però adesso siamo qui a parlare di futuro
quindi facciamo un po' di speculazione, è il fatto che le nanotecnologie appunto si inseriscono in
maniera integrata all'interno dei nostri corpi e quando si parla di cyborg di solito si fa
riferimento alla capacità di alcuni oggetti tecnologici di integrarsi con i nostri corpi
viventi per in qualche modo produrre un organismo nuovo e diciamo in questo senso
sicuramente noi già ci troviamo nell'epoca del cyborg nel momento in cui appunto
abbiamo, ci troviamo appunto in un momento storico per ritornare insomma sul tema del vaccino che
ovviamente in questo momento è molto caldo, in un momento storico in cui le nanotecnologie
stanno incominciando a entrare all'interno dei nostri corpi, per cui questa cosa detta così
sembra un po' inquietante, però la realtà è il fatto che comunque i nuovi vaccini, quelli RNA
messaggero funzionano sfruttando le nanotecnologie, sono un esempio di nanomedicina e per me insomma è
molto interessante vedere come si tratta di uno dei primi esempi, dei primi momenti in cui le
nanotecnologie effettivamente vengono diffuse su una larga scala, entrano un po', si integrano
nelle nostre vite e questi oggetti tecnologici appunto funzionano in modo molto interessante
perché per rigollegarci un po' a quello che dicevamo prima appunto basano il loro funzionamento
su una capacità di auto organizzazione, diciamo su una sorta di intelligenza che funziona un po'
in maniera autonoma rispetto a noi. Ovviamente noi li abbiamo progettati però diciamo rispetto
a uno strumento tecnologico come gli altri, forse è anche questo che li rende inquietanti, forse anche
per alcune persone, insomma che comunque giustamente ci fa sorgere tutta una serie di domande è il
fatto che una volta che un vaccino entra nel nostro corpo non c'è un interruttore, non è che possiamo
dire ok fermi tutti, funziona in maniera irreversibile e incomincia a integrarsi con i
nostri meccanismi biologici, in qualche modo parla la lingua del nostro corpo, parla il
linguaggio del nostro corpo e secondo me è interessante anche cominciare a riflettere sul
modo in cui le nuove nanotecnologie diciamo vanno un po' a sfumare anche il confine tra materia e
informazione, magari qui sempre andando sul fronte della speculazione ricollegandomi un po'
anche a quello che diceva Federico, insomma il predominio del linguaggio, è interessante come
queste nuove tecnologie magari potrebbero anche insomma andare a costruire un ponte tra due mondi
che riteniamo spesso separati, il mondo dei corpi e il mondo dell'informazione e quali possono
essere le conseguenze per esempio di avere dispositivi che all'interno dei nostri corpi
comunicano con i dispositivi tecnologici all'esterno, con la realtà virtuale e ovviamente
questo genera tutta una serie di anche di paure e di inquietudini che io non trovo stupide anche
ovviamente pur lavorando in questo ambito, anzi trovo molto interessanti perché credo che dovrebbero
essere il punto di partenza per sviluppare una riflessione sempre più approfondita sugli oggetti
tecnologici. In generale io credo che, cioè io non sono diciamo tecnoottimista, ecco questo lo
dico insomma perché ovviamente dalla mia posizione potrebbe sembrare che io creda insomma che le
tecnologie o le nanotecnologie o qualsiasi tecnologia possano diciamo risolvere i nostri
problemi, io credo un po' che questa posizione sia contraddittoria in molti sensi come del resto lo è
la posizione di chi rifiuta completamente le tecnologie perché entrambe queste posizioni si
basano un po' sull'idea che esista una distinzione tra noi e la tecnologia invece come giustamente
diceva il professor Ferrari da sempre siamo integrati con la tecnologia e non è questa non
è diciamo una cosa nuova. Sicuramente io credo che ci possa essere qualcosa di molto produttivo da un
lato e anche di potenzialmente rischioso nella nella vicinanza nell'intimità che stiamo sviluppando
con le nostre tecnologie. Una cosa che credo è che credo che sia molto importante e in questo
sicuramente do ragione al professor Ferrari, è il fatto che non dobbiamo metterci sempre in una
posizione di passività nei confronti delle tecnologie perché io credo che molte delle
cose che noi possiamo fare con le tecnologie dipendono anche dalla nostra prospettiva
culturale e diciamo il modo, la nostra cultura, il modo in cui guardiamo i materiali, la nostra
cultura materiale in qualche modo va a influenzare le tecnologie che costruiamo in molti modi ecco e
diciamo ovviamente appunto sì la storia umana è un po' segnata dai materiali che noi abbiamo
utilizzato, l'età della pietra, l'età del ferro, poi è interessante come noi chiamiamo l'età
della pietra, l'età della pietra perché alla fine le uniche cose che ci sono rimaste dell'età
della pietra sono i sassi però in realtà durante l'età della pietra abbiamo fatto un sacco di
altre tecnologie molto più intelligenti anche di colpire con un sasso un altro sasso e in realtà
secondo me se noi cominciamo un po' a cambiare la nostra prospettiva sulla tecnologia appunto
e incominciamo non più a pensarla nei termini di prendere assassate gli oggetti ma incominciamo
un po' a pensarla diciamo in termini di un'interazione un pochino più intima, più intelligente, più soft
ecco secondo me possiamo aprirci a tutta una serie di nuove prospettive. Federico voglio lasciarti
rispondere sia al tecnopessimismo di Laura e al commento precedente del professor Ferraris
perché sono sicura che hai qualcosa da dire al riguardo. Allora io partirei dal tecnottimismo
perché il fatto che tu l'abbia detto mi ha portato a riflettere ma io come mi posiziono?
Io di fatto di formazione mia personale sono completamente tecnopessimista ma nella misura
in cui vedo queste evoluzioni e non ci vedo grossa via d'uscita dal punto di vista proprio pratico
allo stesso tempo però c'è un pezzo di me che mi fa dire le tecnologie che sono state sviluppate
nell'era digitale non sono facilmente replicabili come lo sono state le tecnologie precedenti.
Mi spiego meglio, creare uno strumento, continuo a fare gli esempi di Facebook solo perché credo
che sia immediato, creare una piattaforma che di fatto in questo momento mi permette potenzialmente
di letteralmente mandare dei messaggini a 2 miliardi di esseri umani che adesso non sono
proprio 2 miliardi precisi però sono circa 2 miliardi di nomi e cognomi che di fatto esistono
sul pianeta Terra ecco creare questa cosa qua non è proprio uno scherzo, non mi basta dire non uso
più Facebook e vado ad utilizzare qualcos'altro. Certamente posso dire mi privo di quello strumento,
mi privo di delle possibilità offerte dalle piattaforme ma a quel punto lì devo scendere
un compromesso grosso, un compromesso che forse come individui possiamo senza dubbio fare e dire
non mi avvalgo più delle potenzialità fornite da un motore di ricerca oppure da un archivio
sconfinato di video immediatamente disponibili come YouTube. Dal punto di vista invece forse
collettivo è un po' più difficile guardarci in faccia e dirci ma noi possiamo fare a meno
delle piattaforme di messaggistica istantanea oggi, possiamo fare a meno di un gigantesco archivio che
funziona benissimo e che ci permette di vedere video su tutto lo scivile umano fondamentalmente
in un battibaleno. Ecco quello è il pezzo che a me fa dire di una parte di me sono tecnottimista
ma nella misura in cui non potendo fare a meno di queste tecnologie dal punto di vista di
collettività sociale non potremmo fare a meno di trovare un modo per riappropriarcene dal punto
di vista di chi possiede da un lato le tecnologie ma soprattutto il capitale infrastrutturale che è
stato generato di fatto estraendo valore da noi negli ultimi anni e questo pezzo qua secondo me
è abbastanza fondamentale per leggere, per cercare, per immaginare una chiave di lettura su quello che
accadrà, che potrebbe accadere in futuro perché da un lato io davvero non credo che ci sia la
possibilità di fare a meno oggigiorno di queste tecnologie perché ci hanno abituato troppo bene
e sono ormai davvero parte integrante del nostro modo di stare in società e non solo di stare in
società ma anche di produrre qualunque tipo di bene. Dall'altro lato c'è un tema di politiche
inequivocabile perché forse non si tratta nemmeno di dialogare in termini appunto nazionali ma
necessariamente in termini sovranazionali tenendo a mente peraltro il fatto che ci sono
delle differenze culturali in questo approccio piuttosto radicali cambiando da continente a
continente. Il caso della Cina emblematico ha un approccio molto molto diverso rispetto a quello
occidentale, resta però il fatto che i meccanismi del conglomerato Tencent che gestisce tutti i
vari Facebook, YouTube però cinesi sono gli stessi che regolano il funzionamento di Facebook,
YouTube e via dicendo in occidente. Quindi secondo me il vero campo di battaglia in un
certo senso per il futuro è seriamente quello ovvero in che modo politicamente ci muoveremo
per cercare di trovare una soluzione estremamente complessa di un problema estremamente complesso
ovvero mettere d'accordo delle piattaforme diverse tra di loro che funzionano però allo stesso modo
che hanno un'influenza globale in maniera però molto dislocata perché una piattaforma americana
come Facebook cambia le sorti della politica locale di paesi veramente distanti da loro e con
cui non hanno un grosso ponte culturale per capire effettivamente quel tipo di influenza. E la
questione è che bisogna riuscire a trovare un modo per spiegare questo problema estremamente
complesso a noi che ci alziamo al mattino e utilizziamo tutte queste piattaforme come se
fosse la cosa più naturale del mondo. Essendo però la cosa più naturale del mondo secondo me è
questo un problema autorisolvente non potremmo fare a meno di trovare un modo per spiegarci
questa cosa perché altrimenti dovremmo necessariamente privarci di queste tecnologie
in virtù del fatto che al momento i meccanismi estrattivi di queste tecnologie tendono di fatto
a precarizzare sempre di più tutti i loro i loro pubblici quindi a un certo punto semplicemente le
persone non avranno più modo di utilizzare Facebook perché non avranno più tempo per farlo
dovendo pensare ad altri. Volevo fare chiudere con un commento breve a Maurizio ricordo anche
che tra l'altro nel suo libro Documanità si parla di molti di questi di questi temi che abbiamo
affrontato stasera. Maurizio. Ma direi intanto che i cinesi non sono gente strana che vive diversa da
noi sono semplicemente uno stato comunista uno stato comunista riuscito mentre noi nel
nostro immaginario classifichiamo come comunisti solo gli stati comunisti che han fallito ma in
realtà non è diverso il funzionamento della Cina da quello della DDR o da quello dell'Unione
Sovietica solo che hanno avuto la fortuna e l'intelligenza di saper usare il web per degli
scopi legati ad un progetto politico comunista quindi come nel secolo scorso le opzioni sono
tra liberalismo e comunismo personalmente ritengo che l'opzione liberale sia preferibile perché più
rispettosa delle individualità noi siamo diventati giustamente molto sensibili delle individualità io
non credo assolutamente che ci troveremo ad essere senza soldi perché l'automazione ci porterà via
tutto io sono convinto che come allora in Cina è successo così la gente ha i soldi a quello che gli
serve però non ha la libertà in America ci sono più soldi perché le piattaforme random sono quotate
in borsa in Europa bisogna trovare un'altra soluzione però la si troverà senz'altro perché
appunto dal momento non è che noi non possiamo vivere senza il web, cambiamo la prospettiva,
è il web che non può vivere senza di noi e questo fin tanto che ci mettiamo nell'idea che siamo noi
che non viviamo senza il web il nostro potere contrattuale si riduce a zero invece bisogna dire
il web non vive senza di noi quindi paghi la produzione di valore che noi che noi che ne
facciamo per cui vorrei anche fare se mi è permesso e chiudo proprio una considerazione
sul tecnopessimismo di Laura io non credo che lei in fondo sia tecnopessimista per un motivo banale
se uno è tecnopessimista si disperde la natura ritorna in qualche luogo misterioso eccetera cosa
che io credo giustamente che tu non abbia nessuna intenzione di fare perché sei interessata al
progresso dell'umanità anche attraverso le nanotecnologie come puoi definirti tecnopessimista
è difficile ma d'altra parte se io fossi tecnopessimista non avrei scritto questo libro
c'è il fatto che invece ci sono tanti che scrivono dei libri e sono tecnopessimisti ma
credo che loro siano in contraddizione e così va il mondo. Allora il tecnopessimismo di Laura
per ora vive con noi nel nostro mondo coi computer e facebook adesso non so se registrato ma sicuramente
sa cos'è. Sono molto contenta perché questi temi sono veramente iper interessanti potremmo andare
per ore a parlarne sono sicura che Federico avrebbe qualcosa da dire e anche Laura sul
tecno agnosticismo. Detto questo io però devo chiudere vi ringrazio gli ospiti di questa
sessione Federico Neirotti e Laura Tipaldi per aver partecipato a questo panel sul futuro
futuro di cui noi vivremo solo una parte ma quello che vivremo sicuramente torneremo a
raccontarcelo e vi ricordo che tra due settimane c'è il prossimo appuntamento in interregno il
prossimo appuntamento sarà sull'amore il tema molto diverso da quello di oggi ma forse anche
legato perché alla fine è dall'amore che parte il futuro. Vi ringrazio e alla prossima.