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Podcast in Italia, Haiti abbandonata da tutti

Haiti abbandonata da tutti

Dalla redazione di Internazionale, io sono Claudio Rossi Marcelli.

Io sono Giulia Zoli e questo è Il Mondo, il podcast quotidiano di Internazionale.

Oggi vi parleremo di Haiti e di Marie Antonietta di Francia.

E poi di oggetti in prestito e di un film.

È venerdì 30 giugno 2023.

L'importante è ricordare il mondo che Haiti è ancora qui. Haiti ha bisogno di nostra aiuto.

Penso che la comunità mondiale abbia avuto un passaggio avanti e abbia un po' dimenticato Haiti.

Il mio lavoro, tornando da Haiti, è ricordare il mondo che Haiti è ancora qui, ha bisogno di nostra aiuto, ha bisogno di cibo, ha bisogno di sicurezza

e ha bisogno di poter prosperare in modo che non perdano una generazione di bambini.

E che non solo possano alimentare le donne e i bambini, ma che possano alimentarsi in modo sostenibile e resiliente.

Alla sua voce si è aggiunta pochi giorni dopo quella del direttore del World Food Programme per Haiti, Jean-Martin Bauer,

che ha ricordato i quasi 5 milioni di haitiani che lottano ogni giorno per mangiare

e la difficoltà di portare aiuti in un paese dove la violenza delle bande criminali è fuori controllo,

al punto che le persone hanno paura uscire di casa.

Ne parliamo con Lucia Capuzzi, giornalista di Esteri del Quotidiano Avvenire, che da anni si occupa di Haiti.

Haiti è un frammento di mondo dimenticato. Il paese con 11 milioni di abitanti occupa un terzo dell'isola di Spagnola nei Caraibi,

isola che condivide con la Repubblica Dominicana, ed è da sempre Haiti il paese più povero d'America e dell'Occidente.

I suoi tassi di povertà sono paragonabili ai paesi più poveri dell'Africa subsahariana.

Per questo si dice che Haiti è un pezzo d'Africa nei Caraibi.

Il 7 luglio saranno passati due anni dall'assassinio del presidente Jovenel Moïse, avvenuto in un periodo già di grandi violenze e scontri nel paese.

Oggi Haiti ha un primo ministro ad interim, non ci sono più state elezioni, chi governa?

Questo paese è un paese privo di governo. Un altro dei soprannomi che si è conquistato Haiti negli ultimi tempi è di Somalia americana.

Se la povertà di Haiti è cronica e storica, si è aggiunto in modo esponenziale negli ultimi anni, diciamo in un arco di cinque anni, una violenza senza precedenti da parte delle bandie armate.

Basta pensare che le bandie armate controllano oltre il 70% della capitale.

Chi governa Haiti sono appunto le bandie armate.

Il primo ministro, nonché presidente ad interim o facente funzione Ariel Henry, non riesce neanche ad accedere al proprio ufficio che è situato al centro di Porto Prance, perché quella zona è sotto il controllo delle bandie.

Quindi la sua autorità è semplicemente formale.

Chi comanda sono le bandie armate, che sono un fenomeno storico a Haiti e risalgono ai tempi della dittatura di Duvalier.

Nel tempo però si sono evolute.

Nell'instabilità che ha caratterizzato la Haiti post regime, le bandie sono state lo strumento con cui i politici cooptavano il consenso.

Durante il mandato di Jovenel Moïse, che appunto il presidente ha assassinato, le bandie sono riuscite a rendersi indipendenti dai vecchi sponsor,

perché il presidente, Jovenel Moïse e i suoi alleati hanno fatto un uso spregiudicato delle bandie armate, un uso molto più intenso rispetto alle amministrazioni precedenti.

Questo ha permesso alle bandie di arricchirsi, ragione per cui non hanno più necessità dello sponsor politico e sono ormai autonome.

Autonome e fuori controllo, perché hanno risorse, hanno soldi.

La principale fonte di finanziamento sono le estorsioni e i sequestri di persone, che ormai sono diventati neanche quotidiani.

Si parla di 5-10 sequestri al giorno, a seconda di chi fa il conteggio.

E le estorsioni.

Le bandie armate sono l'unica autorità, se ne contano circa 200 nella sola capitale, su un'imperpetua guerra fra loro, una guerra del tutti contro tutti.

Ragione per cui Haiti rientra in quelle che Mary Caldor definiva le nuove guerre.

Quello che si vede andando ad Haiti, l'ultima volta che sono stata qualche mese fa, è assolutamente una città e un paese senza governo, dove può accadere di tutto perché non c'è controllo.

E soprattutto si nota il terrore della popolazione.

La soluzione per fare le spese di questa guerra del tutti contro tutti è la popolazione civile.

Perché l'unica cosa che le bandie armate vogliono è ampliare il proprio territorio, perché significa avere più popolazione da cui estrarre risorse, sia da far arruolare forzatamente, sia in termini di estorsione.

E ogni volta che occupano un territorio, a farne le spese, sono i civili che vengono terrorizzati per essere costretti a collaborare con massacri, violenze di ogni tipo.

La stessa ONU ha detto che la violenza sessuale viene usata sistematicamente come arma di guerra.

Quindi è una situazione di violenza anarchica oltre ogni confine.

È una perfetta nuova guerra che si consuma nell'assoluta indifferenza della comunità internazionale.

La crisi umanitaria è in parte una conseguenza di questa insicurezza estrema.

Purtroppo la parola crisi è associata ad Haiti da molti anni, sicuramente dal terremoto del 2021, ma soprattutto da quello catastrofico del 2010, dalla successiva epidemia di colera, anche ancora prima, dal colpo di stato del 2004.

Tu sei stata ad Haiti l'ultima volta poco tempo fa. Qual è la situazione oggi?

La situazione umanitaria è disastrosa, anche disastro è una parola spesso associata ad Haiti, perché è da sempre il paese più povero d'America e perché è un paese che ha una situazione di stabilità cronica.

Però adesso la situazione è oltre ogni umano limite.

E questo lo dice chiunque sia chi risiede ad Haiti da anni e chi ha modo di vederla, sia chiunque ci capiti a modo di confrontare come era prima.

Haiti si è sempre retta sull'economia informale, in particolare il commercio informale.

Ora il commercio informale è impossibile, perché le bande armate di fatto impediscono il libero movimento delle persone e quindi la vendita.

Questo significa ad Haiti la fame più totale, oltretutto si somma al fenomeno sempre più vistoso ed evidente degli sfollati interni, a tutti gli effetti sfollati di guerra che sfuggono dai loro quartieri quando finiscono nelle mani della gang rivale che compie massacri e feratezze di ogni tipo,

si spostano di quartiere in quartiere alla ricerca di un posto dove vivere.

Quindi anche tutti i sistemi che tenevano per lo meno a galla la popolazione di aiuto comunitario, di economia informale, sono ormai saltati.

La situazione ad Haiti è la fame più nera, il PAM ha detto appena qualche giorno fa che è la seconda crisi alimentare più grave del mondo.

Haiti è un paese caraibico che teoricamente avrebbe molte risorse da produrre, in particolare dal punto di vista agricolo.

Nel settecento era la Polonia più ricca della Francia.

Nonostante tutto questo, Haiti è un paese dove il 70% della popolazione è alla fame.

Quando si parla di fame, si parla di persone che non riescono a consumare neanche un minimo pasto al giorno, ce n'è tantissime.

A Haiti intanto è cominciata la stagione degli uragani.

All'inizio di giugno, quando ci sono state anche due scosse di terremoto, le piogge torrenziali hanno causato inondazioni, frane e decine di morti.

C'è anche una crisi ambientale a Haiti?

C'è una crisi ambientale molto forte, resa sempre più grave dal cambiamento climatico.

La crisi ambientale deriva dal fatto che durante la dittatura dei Duvalier fu dato il permesso di tagliare il legname per esportarlo all'estero

e questo ha provocato di fatto la perdita del manto forestale che ricopriva Haiti.

Se uno passa dall'alto vede la Repubblica Dominicana che è tutta verde e Haiti che è una landa desolata.

Più delle catastrofi naturali, però, ad Haiti le catastrofi sono umane, nel senso che i cicloni e i terremoti che altrove avrebbero un impatto comunque contenuto,

ad Haiti hanno conseguenze devastanti.

Le ultime inondazioni, non a caso, hanno straziato Sitesoleil.

Sitesoleil è la più grande baraccopoli di Haiti dove vivono circa 500.000 persone a ridosso del mare

e già Sitesoleil da un anno e mezzo i canali di scolo erano struiti perché la guerra fra bande impediva ai mezzi di passare per riuscire a liberare i canali di scolo.

Questo ha fatto sì che quando sono arrivate le piogge Sitesoleil sia completamente allagata,

ma questo ultimo allagamento è stata solo la manifestazione di un problema che c'è e ragion per cui Sitesoleil è stata proprio l'epicentro l'anno scorso dell'ultima epidemia di colera.

Il World Food Program ha lanciato un appello alla comunità internazionale per chi aiuti il paese

e Haiti ha una storia lunga e non sempre felice anche con le missioni internazionali che non hanno mai raggiunto gli obiettivi che si erano date.

Oggi quali organizzazioni internazionali sono attive nel paese?

Ad Haiti la storia di cooperazione internazionale è stata abbastanza sfortunata perché troppo spesso parlo delle grandi organizzazioni governative,

in particolare la commissione che doveva ricostruire Haiti dopo il terremoto del 2010, hanno agito nell'interesse dei paesi donatori più che di Haiti.

Adesso Haiti, un tempo la cosiddetta Repubblica delle ONG, è di fatto abbandonata e disertata anche da molte organizzazioni internazionali indipendenti.

Rimangono alcune organizzazioni che sono quelle presenti storicamente da decenni ad Haiti, da Apsi a Medici senza frontiere,

ci sono numerosi missionari che continuano a stare nonostante i pericoli.

La comunità internazionale latita e non sa che decisione prendere.

L'ONU più volte, lo stesso Antonio Guterres, ha fatto appelli perché si costituisse una missione internazionale dei caschi blu, si parlava per pacificare il paese.

Purtroppo nessuno dei paesi risponde perché nessuno vuole prendersi la responsabilità del bagno di sangue che probabilmente accadrebbe,

avendo un interesse geopolitico considerato periferico viene lasciata agonizzare nell'assoluta indifferenza internazionale.

Tutti sanno che situazione c'è a Haiti, nessuno però vuole provare a trovare una soluzione.

Grazie Lucia Capuzzi.

Grazie a voi.

Martina Lechiuti, caporedattrice di Internazionale Kids, racconta un articolo del nuovo numero.

Nel nuovo numero di Internazionale Kids pubblichiamo un articolo che racconta a bambini e bambini cos'è l'economia della condivisione.

È tradotto dal settimanale tedesco Dein Spiegel, che è la versione dello Spiegel per i piccoli,

e spiega che in realtà potremmo nolleggiare o prendere in affitto molti degli oggetti che compriamo e che usiamo pochissimo.

Per esempio il trapano, la pentola per fare la fonduta, il costume da Spider-Man, il Bob da neve e decine di altre cose che spesso accumuliamo in soffitta a prendere la polvere.

L'articolo fa alcuni esempi di negozi e associazioni in Germania dove è possibile prendere in prestito, noleggiare o imparare a riparare le cose.

Sono posti che funzionano come le biblioteche, solo che il loro catalogo non è formato dai libri, ma da oggetti.

Quello della condivisione è un modello economico molto amato dagli adolescenti,

perché permette non solo di risparmiare, ma anche di evitare gli sprechi e in generale di aiutare a prendersi cura del pianeta.

Leggiando l'articolo scopriamo che anche in Italia esistono delle biblioteche degli oggetti.

Una si trova a Bologna, nel quartiere Bolognina.

Si chiama Laila e il suo fondatore racconta che l'idea gli è venuta dieci anni fa, leggendo proprio un articolo uscito su Internazionale.

Il luogo è una riconoscita completa perché l'abbiamo perso completamente.

È l'unico posto più intimo dell'appartamento interno di Maria Antoinette.

È il piccolo cabinetto del secondo piazzetto, l'ultimo spazio che ha potuto riconquistare

in questa questione di tranquillità, di rifugio.

È un luogo molto simile a quello che abbiamo visto in Bologna.

Si usa per raccontare la vita intima di Maria Antoinette,

il suo entorno, le sue prime donne di casa,

le persone che amava e le cose che amava per se stesse percorrendo

che non erano forse quello che avrebbe dicto l'etichetta,

la princesa di Cimè, la princesa di Polignac, tutto questo entorno.

Quest'anno la regia di Versailles festeggia i suoi 400 anni

e per l'occasione sono stati riaperti al pubblico un'altra volta

per il premio dell'autore di questo luogo,

il premio per il luogo di una scultura di un'altra scultura di una scultura di un'altra scultura.

Per l'occasione sono stati riaperti al pubblico gli appartamenti privati di Maria Antoinette.

Nell'intervista che abbiamo sentito, il direttore del museo della reggia,

Laurence Allomé, racconta che si è trattato di molto più di un semplice restauro.

Le stanze private della regina, infatti, sono state ricreate nel minimo dettaglio

dopo un lavoro decennale di ricostruzione basato sui pochi documenti e testimonianze

arrivate fino a noi.

Con 7 milioni di visitatori l'anno, il palazzo di Versailles

resta una delle attrazioni culturali più amate al mondo

In particolare, la figura della regina Maria Antonietta

ancora esercita un fascino molto grande sulla cultura popolare.

Ne parliamo con Daniele Cassandro, editor di Cultura d'Internazionale.

Parliamo in particolare degli appartamenti privati di Maria Antonietta

che erano stati chiusi al pubblico per 10 anni.

Si tratta di una serie di stanze nascoste dietro una porta segreta

che era nella stanza da letto ufficiale, diciamo, quella pubblica della regina.

In questo piccolo appartamento in cui lei si ritirava con le sue dame di compagnia

e soprattutto con la sua famiglia, c'era un boudoir, ovvero un salottino,

una biblioteca e una sala da biliardo.

C'erano insomma le stanze proprio private per lo svago e il tempo libero

di una regina che invece per l'etichetta di Versailles

era sempre visibile all'interno della sua corte.

Il restauro, viene chiamato restauro questa rimessa appunto delle stanze private

di Maria Antonietta, ma non è quello che noi italiani chiamiamo un restauro

con la nostra idea di restauro conservativo.

È soprattutto una completa reinvenzione di quegli spazi,

una reinvenzione però estremamente filologica.

I capi restauratori di Versailles hanno infatti ricostruito attraverso documenti

che quelli invece ci sono, sono tanti, il tipo di tessuti che erano usati

per le tappezzerie, il tipo di mobili che c'erano, il tipo di arredamento

e il tipo di finiture anche della stanza.

Ricordiamo che la maggior parte dei mobili e delle opere d'arte che erano a Versailles

sono state messe all'asta già nel 1794, quindi un anno dopo la decapitazione

del re e della regina. Quindi parliamo di un palazzo che era stato completamente spoliato,

di originale non è rimasto quasi nulla.

Parliamo adesso della reggia di Versailles in generale,

che quest'anno festeggia i suoi 400 anni.

Qual è la sua storia e cosa lo rende uno dei siti culturali più visitati al mondo?

Quella che oggi chiamiamo chateau de Versailles o reggia di Versailles

era un padiglione di caccia che Luigi XIII nel 600 aveva cominciato a ingrandire.

Era quindi un luogo di divertimento, un luogo per il tempo libero del re e della corte, fuori Parigi.

Solo il parco della reggia di Versailles occupa 815 ettari, per far capire proprio quant'è la grande,

perché c'era compresa anche la tenuta di caccia.

Nel 1682 il suo successore, che è Luigi XIV il re sole, trasferisce tutta la corte lì,

al palazzo del Louvre.

Questa cosa era una mossa politica decisamente importante,

perché in quel modo teneva sotto controllo tutta l'aristocrazia francese.

Tutti i nobili francesi erano invitati caldamente a trasferirsi a Versailles

e in quel modo la loro vita ruotava intorno a questo astro, che era appunto il re sole,

e evitavano di fare sommosse o offronde, come era proprio capitato nel 1648,

quando Luigi XIV era ancora un bambino, il trono era retto da sua madre Anna d'Austria,

quando ci fu l'affronta parlamentare.

Quello fu una cosa molto grave che successe per la monarchia assoluta francese

e Luigi XIV, per quanto piccolo, aveva in mente che l'aristocrazia

poteva essere per lui e per la sua corona molto molto pericolosa.

Quindi ha inventato questa sorta di parco tematico,

in cui i nobili venivano intrattenuti, privati in realtà di qualunque peso politico

e di qualunque influenza politica, e messi nelle condizioni di litigare tra di loro

per privilegi abbastanza frivoli, come chi sedeva accanto al re

o chi aveva il privilegio di portare la camicia da notte alla regina.

Praticamente Versailles serviva a svuotare completamente di influenza politica

tutta la nobiltà francese.

La reggia da Luigi XIV è stata decorata in modi stravaganti e costosissimi,

però, e questa è una cosa interessante che fa abbastanza ridere anche oggi

pensando ai vari sovranismi, doveva essere una vetrina del meglio dell'artigianato

e dell'arte francese. Quindi tutti i materiali, dall'argento agli arazzi,

ai tessuti, gli stucchi, i dipinti, dovevano rappresentare il meglio della produzione francese.

Parliamo di Maria Antonietta, che è stata una delle principali protagoniste della reggia di Versailles.

Che figura storica è stata e che impatto ha avuto nella cultura del suo tempo?

Maria Antonietta è stata una figura storica abbastanza ininfluente.

È stata data in moglie a Luigi XVI a 14 anni per un accordo proprio puramente politico.

La madre, Maria Teresa d'Austria, sperava in un'alleanza franco-austriaca

in chiave anti-inglese e anti-prussiana soprattutto.

L'alleanza non funzionò come gli austriaci speravano

e Maria Antonietta è rimasta una regina abbastanza odiata in quanto austriaca per tutta la sua vita.

Perché il sentimento anti-austriaco in Francia era rimasto molto forte.

Dal punto di vista del gusto, invece, dei suoi interessi culturali,

Maria Antonietta era una giovane abbastanza moderna e con le idee abbastanza chiari.

Soprattutto perché aveva avuto un'educazione di primo ordine in Austria.

Quando arrivò a Versailles, per esempio, parlava l'italiano molto meglio del francese

perché il suo maestro era stato il poeta e drammaturgo Pietro Metastasio.

In più, il suo maestro di musica, quando era bambina, era stato Christophe Willibald Gluck,

che è stato il grande riformatore del melodramma.

Con lui ha imparato a cantare, a suonare l'harp, il cembalo e il flauto.

Quindi, in qualche senso, o per ragioni di moda o per ragioni di contiguità con questi grandi personaggi,

Maria Antonietta ha avuto un suo piccolo ruolo culturale.

Lei stessa amava molto l'opera e fu lei che fece costruire a Versailles il piccolo teatro,

chiamato appunto il piccolo teatro della regina.

Forse l'aspetto più importante e quasi politico che lei ha avuto

è quello di essersi ribellata in qualche modo alle regole della corte di Versailles.

Lei è stata la prima regina che si occupava direttamente dei suoi figli, che gli ha allattati,

che appunto si ritirava quanto più possibile a gestire la sua vita,

in qualche modo scardinando le regole di una corte che comunque era già vissuta,

penso, alla sua epoca come un baraccone che non aveva più molto senso.

Nonostante i suoi gusti raffinati e quindi l'influenza sul costume del tempo,

però da quello che racconti sembra che Maria Antonietta non abbia avuto un ruolo storico così rilevante.

Perché allora la sua figura ha resistito in tutti questi secoli?

Soprattutto con la sua morte, che è avvenuta nell'ottobre del 1793,

solo otto mesi dopo la decapitazione del marito Luigi XVI,

Maria Antonietta è diventata propriamente una figura storica,

è diventata proprio il simbolo del tramonto definitivo dell'Ancien Regime.

Ed è diventata allo stesso tempo un simbolo molto forte per i monarchici.

Una regina che non era mai stata particolarmente amata,

improvvisamente diventa oggetto di adorazione e idolatria

da parte dei nobili francesi in esilio dalla Francia.

Al Museo Carnavalet di Parigi sono conservate queste reliquie

che i nobili si scambiavano e si portavano.

C'è una ciocca di capelli bianchi di Maria Antonietta,

c'è una scarpina che pare fu appartenuta a lei,

ci sono dei pettini, proprio dei feticci di una regina che non era mai stata veramente amata,

ma che quando diventa un simbolo della crudeltà, della rivoluzione,

da una parte dell'ingiustizia che era stata fatta verso i reali,

improvvisamente assorgeva da morta a un ruolo che politicamente non aveva mai avuto.

In genere però la sua figura è stata tramandata in modo molto negativo,

sia dalla stereografia che dalla cultura popolare.

Le sono state attribuite frasi come

«il popolo ha fame, allora mangino brioche», che pare lei non abbia mai detto.

Ed era stata comunque sempre dipinta come una giovane donna frivola e leggera,

con pochissimo contatto con la realtà.

Da qualche decennio a questa parte però la figura di Maria Antonietta ha subito un'altra evoluzione

ed è diventata perfino un'icona pop.

Come è venuto questo passaggio?

Maria Antonietta, dal punto di vista della sua popolarità e della sua notorietà

a livello non storico, diciamo, è l'erede di una serie di regine sfortunate

che hanno riempito la letteratura, il cinema, il teatro, l'opera,

da Didone, Maria Stuarda, Semiramide, Cleopatra.

La storia dello spettacolo e della letteratura è piena di regine sfortunate

che diventano simboli di qualcosa.

Maria Antonietta semplicemente ha raccolto questa eredità in qualche modo

ed è stata raccontata in maniera, diciamo, alternativamente molto negativamente

o in maniera molto romantica.

Sono stati fatti film di ogni tipo.

Mi viene in mente La Marseillaise di Jean Renoir del 1938

in cui l'Isle de la Marre, il ruolo di Maria Antonietta, era stata talmente convincente

pur essendo il film sulla rivoluzione e non tanto su di lei

che nella sua vita ha sempre fatto ruoli di regina e ruoli in costume.

E soprattutto però nel tempo Maria Antonietta ha avuto una sorta

di riabilitazione pop.

Tra biografie particolarmente benevolenti a riguardo a lei

che ne ricostruivano in qualche modo il lato umano

come per esempio quella di Antonia Fraser per il pubblico anglofono

e di Simon Berthier per il pubblico francese

erano tutti libri che la raccontavano all'inizio degli anni 2000

più come donna che come vittima della storia da una parte

o come frivola, sciocca, regina odiata da tutti.

Poi ovviamente negli anni 80 per il pubblico c'è stata Lady Oscar

ovvero Bersaio Nobara, La Rosa di Bersaio

che era un manga di Ryoko Ikeda che è diventato un popolarissimo anime

che intrecciava le storie di questa donna soldato Lady Oscar

con le vicende di una giovane Maria Antonietta

rappresentata in modo assolutamente apolitico da una parte

e romantico e scapigliato per tutto il resto della storia.

Poi c'è stato ovviamente proprio un filo

che ha fatto continuare a vivere in chiave pop Maria Antonietta

che ci porta al film di Sofia Coppola del 2006 con Kirsten Dunst.

Lì addirittura Maria Antonietta viene rappresentata

come una adolescente ribelle, romantica

con un geniale uso, devo dire, dei costumi

in cui lei è abbigliata in abili settecenteschi

con dettagli moderni come per esempio le scarpe Converse rosa

circondata di dolci, dolcetti tipo macaroon e cose.

Ecco, credo che la moda dei macaroon sia venuta proprio dal film di Sofia Coppola.

La riapertura degli appartamenti privati di Maria Antonietta a Versailles

possono essere l'occasione per ripensare a questa figura

così controversa e rappresentata in modi così falsati

in un senso o in un altro e può essere l'occasione

per immaginare quali fossero veramente i suoi spazi privati

e come questa donna vivesse.

Grazie a Daniele Cassandro.

Grazie a voi.

Il film della settimana consigliato da Piero Zardo

ed editor di Cultura di Internazionale.

A Thousand and One è il film di esordio di A.V. Rockwell

e ha vinto il Gran Premio della giuria al Sundance Film Festival di gennaio scorso.

Racconta la storia di Inez, interpretata da Teyana Taylor,

una ragazza di 22 anni che appena uscita di prigione

e torna a Brooklyn per stare vicino al figlio di sei anni

che è stato dato in affidamento.

Poi però decide di portarlo via e si trasferisce a Harlem

dove prova a voltare pagina.

Inez trova un lavoro, un appartamento, manda il figlio a scuola,

addirittura si sposa col fidanzato storico,

il ragazzo cresce, si guadagna la possibilità di andare a college,

ma su di loro alleggia sempre lo spettro dei servizi sociali del sistema.

La regista A.V. Rockwell è cresciuta nei Queens,

Teyana Taylor ad Harlem,

quindi sono perfette per raccontare una comunità nera di New York

e mostrare l'evoluzione della città, la gentrificazione di Harlem,

è condita molto bene nel film dai discorsi del sindaco Rudolf Giuliani

che si sentono attraverso la radio e la tv.

Il film è asciutto, non ci sono scene mali,

non ci sono scene strappalacrime,

ma a coinvolgere lo spettatore ci pensa Teyana Taylor

con una grandissima interpretazione.

A Thousand and One nei cinema.

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L'appuntamento con il mondo è lunedì mattina alle 6.30.

Sottotitoli e revisione a cura di QTSS


Haiti abbandonata da tutti Haiti von allen im Stich gelassen Haiti abandoned by all Haití abandonada por todos Haïti door iedereen verlaten Haiti abandonado por todos

Dalla redazione di Internazionale, io sono Claudio Rossi Marcelli.

Io sono Giulia Zoli e questo è Il Mondo, il podcast quotidiano di Internazionale.

Oggi vi parleremo di Haiti e di Marie Antonietta di Francia.

E poi di oggetti in prestito e di un film. And then about borrowed items and a movie.

È venerdì 30 giugno 2023.

L'importante è ricordare il mondo che Haiti è ancora qui. Haiti ha bisogno di nostra aiuto.

Penso che la comunità mondiale abbia avuto un passaggio avanti e abbia un po' dimenticato Haiti.

Il mio lavoro, tornando da Haiti, è ricordare il mondo che Haiti è ancora qui, ha bisogno di nostra aiuto, ha bisogno di cibo, ha bisogno di sicurezza

e ha bisogno di poter prosperare in modo che non perdano una generazione di bambini.

E che non solo possano alimentare le donne e i bambini, ma che possano alimentarsi in modo sostenibile e resiliente.

Alla sua voce si è aggiunta pochi giorni dopo quella del direttore del World Food Programme per Haiti, Jean-Martin Bauer,

che ha ricordato i quasi 5 milioni di haitiani che lottano ogni giorno per mangiare

e la difficoltà di portare aiuti in un paese dove la violenza delle bande criminali è fuori controllo,

al punto che le persone hanno paura uscire di casa.

Ne parliamo con Lucia Capuzzi, giornalista di Esteri del Quotidiano Avvenire, che da anni si occupa di Haiti. We talk about this with Lucia Capuzzi, foreign affairs reporter for the Avvenire Newspaper, who has been covering Haiti for years.

Haiti è un frammento di mondo dimenticato. Il paese con 11 milioni di abitanti occupa un terzo dell'isola di Spagnola nei Caraibi,

isola che condivide con la Repubblica Dominicana, ed è da sempre Haiti il paese più povero d'America e dell'Occidente.

I suoi tassi di povertà sono paragonabili ai paesi più poveri dell'Africa subsahariana.

Per questo si dice che Haiti è un pezzo d'Africa nei Caraibi.

Il 7 luglio saranno passati due anni dall'assassinio del presidente Jovenel Moïse, avvenuto in un periodo già di grandi violenze e scontri nel paese.

Oggi Haiti ha un primo ministro ad interim, non ci sono più state elezioni, chi governa?

Questo paese è un paese privo di governo. Un altro dei soprannomi che si è conquistato Haiti negli ultimi tempi è di Somalia americana.

Se la povertà di Haiti è cronica e storica, si è aggiunto in modo esponenziale negli ultimi anni, diciamo in un arco di cinque anni, una violenza senza precedenti da parte delle bandie armate.

Basta pensare che le bandie armate controllano oltre il 70% della capitale.

Chi governa Haiti sono appunto le bandie armate.

Il primo ministro, nonché presidente ad interim o facente funzione Ariel Henry, non riesce neanche ad accedere al proprio ufficio che è situato al centro di Porto Prance, perché quella zona è sotto il controllo delle bandie.

Quindi la sua autorità è semplicemente formale.

Chi comanda sono le bandie armate, che sono un fenomeno storico a Haiti e risalgono ai tempi della dittatura di Duvalier.

Nel tempo però si sono evolute.

Nell'instabilità che ha caratterizzato la Haiti post regime, le bandie sono state lo strumento con cui i politici cooptavano il consenso.

Durante il mandato di Jovenel Moïse, che appunto il presidente ha assassinato, le bandie sono riuscite a rendersi indipendenti dai vecchi sponsor,

perché il presidente, Jovenel Moïse e i suoi alleati hanno fatto un uso spregiudicato delle bandie armate, un uso molto più intenso rispetto alle amministrazioni precedenti.

Questo ha permesso alle bandie di arricchirsi, ragione per cui non hanno più necessità dello sponsor politico e sono ormai autonome.

Autonome e fuori controllo, perché hanno risorse, hanno soldi.

La principale fonte di finanziamento sono le estorsioni e i sequestri di persone, che ormai sono diventati neanche quotidiani.

Si parla di 5-10 sequestri al giorno, a seconda di chi fa il conteggio.

E le estorsioni.

Le bandie armate sono l'unica autorità, se ne contano circa 200 nella sola capitale, su un'imperpetua guerra fra loro, una guerra del tutti contro tutti.

Ragione per cui Haiti rientra in quelle che Mary Caldor definiva le nuove guerre.

Quello che si vede andando ad Haiti, l'ultima volta che sono stata qualche mese fa, è assolutamente una città e un paese senza governo, dove può accadere di tutto perché non c'è controllo.

E soprattutto si nota il terrore della popolazione.

La soluzione per fare le spese di questa guerra del tutti contro tutti è la popolazione civile.

Perché l'unica cosa che le bandie armate vogliono è ampliare il proprio territorio, perché significa avere più popolazione da cui estrarre risorse, sia da far arruolare forzatamente, sia in termini di estorsione.

E ogni volta che occupano un territorio, a farne le spese, sono i civili che vengono terrorizzati per essere costretti a collaborare con massacri, violenze di ogni tipo.

La stessa ONU ha detto che la violenza sessuale viene usata sistematicamente come arma di guerra.

Quindi è una situazione di violenza anarchica oltre ogni confine.

È una perfetta nuova guerra che si consuma nell'assoluta indifferenza della comunità internazionale.

La crisi umanitaria è in parte una conseguenza di questa insicurezza estrema.

Purtroppo la parola crisi è associata ad Haiti da molti anni, sicuramente dal terremoto del 2021, ma soprattutto da quello catastrofico del 2010, dalla successiva epidemia di colera, anche ancora prima, dal colpo di stato del 2004.

Tu sei stata ad Haiti l'ultima volta poco tempo fa. Qual è la situazione oggi?

La situazione umanitaria è disastrosa, anche disastro è una parola spesso associata ad Haiti, perché è da sempre il paese più povero d'America e perché è un paese che ha una situazione di stabilità cronica.

Però adesso la situazione è oltre ogni umano limite.

E questo lo dice chiunque sia chi risiede ad Haiti da anni e chi ha modo di vederla, sia chiunque ci capiti a modo di confrontare come era prima.

Haiti si è sempre retta sull'economia informale, in particolare il commercio informale.

Ora il commercio informale è impossibile, perché le bande armate di fatto impediscono il libero movimento delle persone e quindi la vendita.

Questo significa ad Haiti la fame più totale, oltretutto si somma al fenomeno sempre più vistoso ed evidente degli sfollati interni, a tutti gli effetti sfollati di guerra che sfuggono dai loro quartieri quando finiscono nelle mani della gang rivale che compie massacri e feratezze di ogni tipo,

si spostano di quartiere in quartiere alla ricerca di un posto dove vivere.

Quindi anche tutti i sistemi che tenevano per lo meno a galla la popolazione di aiuto comunitario, di economia informale, sono ormai saltati.

La situazione ad Haiti è la fame più nera, il PAM ha detto appena qualche giorno fa che è la seconda crisi alimentare più grave del mondo.

Haiti è un paese caraibico che teoricamente avrebbe molte risorse da produrre, in particolare dal punto di vista agricolo.

Nel settecento era la Polonia più ricca della Francia.

Nonostante tutto questo, Haiti è un paese dove il 70% della popolazione è alla fame.

Quando si parla di fame, si parla di persone che non riescono a consumare neanche un minimo pasto al giorno, ce n'è tantissime.

A Haiti intanto è cominciata la stagione degli uragani.

All'inizio di giugno, quando ci sono state anche due scosse di terremoto, le piogge torrenziali hanno causato inondazioni, frane e decine di morti.

C'è anche una crisi ambientale a Haiti?

C'è una crisi ambientale molto forte, resa sempre più grave dal cambiamento climatico.

La crisi ambientale deriva dal fatto che durante la dittatura dei Duvalier fu dato il permesso di tagliare il legname per esportarlo all'estero

e questo ha provocato di fatto la perdita del manto forestale che ricopriva Haiti.

Se uno passa dall'alto vede la Repubblica Dominicana che è tutta verde e Haiti che è una landa desolata.

Più delle catastrofi naturali, però, ad Haiti le catastrofi sono umane, nel senso che i cicloni e i terremoti che altrove avrebbero un impatto comunque contenuto,

ad Haiti hanno conseguenze devastanti.

Le ultime inondazioni, non a caso, hanno straziato Sitesoleil.

Sitesoleil è la più grande baraccopoli di Haiti dove vivono circa 500.000 persone a ridosso del mare

e già Sitesoleil da un anno e mezzo i canali di scolo erano struiti perché la guerra fra bande impediva ai mezzi di passare per riuscire a liberare i canali di scolo.

Questo ha fatto sì che quando sono arrivate le piogge Sitesoleil sia completamente allagata,

ma questo ultimo allagamento è stata solo la manifestazione di un problema che c'è e ragion per cui Sitesoleil è stata proprio l'epicentro l'anno scorso dell'ultima epidemia di colera.

Il World Food Program ha lanciato un appello alla comunità internazionale per chi aiuti il paese

e Haiti ha una storia lunga e non sempre felice anche con le missioni internazionali che non hanno mai raggiunto gli obiettivi che si erano date.

Oggi quali organizzazioni internazionali sono attive nel paese?

Ad Haiti la storia di cooperazione internazionale è stata abbastanza sfortunata perché troppo spesso parlo delle grandi organizzazioni governative,

in particolare la commissione che doveva ricostruire Haiti dopo il terremoto del 2010, hanno agito nell'interesse dei paesi donatori più che di Haiti.

Adesso Haiti, un tempo la cosiddetta Repubblica delle ONG, è di fatto abbandonata e disertata anche da molte organizzazioni internazionali indipendenti.

Rimangono alcune organizzazioni che sono quelle presenti storicamente da decenni ad Haiti, da Apsi a Medici senza frontiere,

ci sono numerosi missionari che continuano a stare nonostante i pericoli.

La comunità internazionale latita e non sa che decisione prendere.

L'ONU più volte, lo stesso Antonio Guterres, ha fatto appelli perché si costituisse una missione internazionale dei caschi blu, si parlava per pacificare il paese.

Purtroppo nessuno dei paesi risponde perché nessuno vuole prendersi la responsabilità del bagno di sangue che probabilmente accadrebbe,

avendo un interesse geopolitico considerato periferico viene lasciata agonizzare nell'assoluta indifferenza internazionale.

Tutti sanno che situazione c'è a Haiti, nessuno però vuole provare a trovare una soluzione.

Grazie Lucia Capuzzi.

Grazie a voi.

Martina Lechiuti, caporedattrice di Internazionale Kids, racconta un articolo del nuovo numero.

Nel nuovo numero di Internazionale Kids pubblichiamo un articolo che racconta a bambini e bambini cos'è l'economia della condivisione.

È tradotto dal settimanale tedesco Dein Spiegel, che è la versione dello Spiegel per i piccoli,

e spiega che in realtà potremmo nolleggiare o prendere in affitto molti degli oggetti che compriamo e che usiamo pochissimo.

Per esempio il trapano, la pentola per fare la fonduta, il costume da Spider-Man, il Bob da neve e decine di altre cose che spesso accumuliamo in soffitta a prendere la polvere.

L'articolo fa alcuni esempi di negozi e associazioni in Germania dove è possibile prendere in prestito, noleggiare o imparare a riparare le cose.

Sono posti che funzionano come le biblioteche, solo che il loro catalogo non è formato dai libri, ma da oggetti.

Quello della condivisione è un modello economico molto amato dagli adolescenti,

perché permette non solo di risparmiare, ma anche di evitare gli sprechi e in generale di aiutare a prendersi cura del pianeta.

Leggiando l'articolo scopriamo che anche in Italia esistono delle biblioteche degli oggetti.

Una si trova a Bologna, nel quartiere Bolognina.

Si chiama Laila e il suo fondatore racconta che l'idea gli è venuta dieci anni fa, leggendo proprio un articolo uscito su Internazionale.

Il luogo è una riconoscita completa perché l'abbiamo perso completamente.

È l'unico posto più intimo dell'appartamento interno di Maria Antoinette.

È il piccolo cabinetto del secondo piazzetto, l'ultimo spazio che ha potuto riconquistare

in questa questione di tranquillità, di rifugio.

È un luogo molto simile a quello che abbiamo visto in Bologna.

Si usa per raccontare la vita intima di Maria Antoinette,

il suo entorno, le sue prime donne di casa,

le persone che amava e le cose che amava per se stesse percorrendo

che non erano forse quello che avrebbe dicto l'etichetta,

la princesa di Cimè, la princesa di Polignac, tutto questo entorno.

Quest'anno la regia di Versailles festeggia i suoi 400 anni

e per l'occasione sono stati riaperti al pubblico un'altra volta

per il premio dell'autore di questo luogo,

il premio per il luogo di una scultura di un'altra scultura di una scultura di un'altra scultura.

Per l'occasione sono stati riaperti al pubblico gli appartamenti privati di Maria Antoinette.

Nell'intervista che abbiamo sentito, il direttore del museo della reggia,

Laurence Allomé, racconta che si è trattato di molto più di un semplice restauro.

Le stanze private della regina, infatti, sono state ricreate nel minimo dettaglio

dopo un lavoro decennale di ricostruzione basato sui pochi documenti e testimonianze

arrivate fino a noi.

Con 7 milioni di visitatori l'anno, il palazzo di Versailles

resta una delle attrazioni culturali più amate al mondo

In particolare, la figura della regina Maria Antonietta

ancora esercita un fascino molto grande sulla cultura popolare.

Ne parliamo con Daniele Cassandro, editor di Cultura d'Internazionale.

Parliamo in particolare degli appartamenti privati di Maria Antonietta

che erano stati chiusi al pubblico per 10 anni.

Si tratta di una serie di stanze nascoste dietro una porta segreta

che era nella stanza da letto ufficiale, diciamo, quella pubblica della regina.

In questo piccolo appartamento in cui lei si ritirava con le sue dame di compagnia

e soprattutto con la sua famiglia, c'era un boudoir, ovvero un salottino,

una biblioteca e una sala da biliardo.

C'erano insomma le stanze proprio private per lo svago e il tempo libero

di una regina che invece per l'etichetta di Versailles

era sempre visibile all'interno della sua corte.

Il restauro, viene chiamato restauro questa rimessa appunto delle stanze private

di Maria Antonietta, ma non è quello che noi italiani chiamiamo un restauro

con la nostra idea di restauro conservativo.

È soprattutto una completa reinvenzione di quegli spazi,

una reinvenzione però estremamente filologica.

I capi restauratori di Versailles hanno infatti ricostruito attraverso documenti

che quelli invece ci sono, sono tanti, il tipo di tessuti che erano usati

per le tappezzerie, il tipo di mobili che c'erano, il tipo di arredamento

e il tipo di finiture anche della stanza.

Ricordiamo che la maggior parte dei mobili e delle opere d'arte che erano a Versailles

sono state messe all'asta già nel 1794, quindi un anno dopo la decapitazione

del re e della regina. Quindi parliamo di un palazzo che era stato completamente spoliato,

di originale non è rimasto quasi nulla.

Parliamo adesso della reggia di Versailles in generale,

che quest'anno festeggia i suoi 400 anni.

Qual è la sua storia e cosa lo rende uno dei siti culturali più visitati al mondo?

Quella che oggi chiamiamo chateau de Versailles o reggia di Versailles

era un padiglione di caccia che Luigi XIII nel 600 aveva cominciato a ingrandire.

Era quindi un luogo di divertimento, un luogo per il tempo libero del re e della corte, fuori Parigi.

Solo il parco della reggia di Versailles occupa 815 ettari, per far capire proprio quant'è la grande,

perché c'era compresa anche la tenuta di caccia.

Nel 1682 il suo successore, che è Luigi XIV il re sole, trasferisce tutta la corte lì,

al palazzo del Louvre.

Questa cosa era una mossa politica decisamente importante,

perché in quel modo teneva sotto controllo tutta l'aristocrazia francese.

Tutti i nobili francesi erano invitati caldamente a trasferirsi a Versailles

e in quel modo la loro vita ruotava intorno a questo astro, che era appunto il re sole,

e evitavano di fare sommosse o offronde, come era proprio capitato nel 1648,

quando Luigi XIV era ancora un bambino, il trono era retto da sua madre Anna d'Austria,

quando ci fu l'affronta parlamentare.

Quello fu una cosa molto grave che successe per la monarchia assoluta francese

e Luigi XIV, per quanto piccolo, aveva in mente che l'aristocrazia

poteva essere per lui e per la sua corona molto molto pericolosa.

Quindi ha inventato questa sorta di parco tematico,

in cui i nobili venivano intrattenuti, privati in realtà di qualunque peso politico

e di qualunque influenza politica, e messi nelle condizioni di litigare tra di loro

per privilegi abbastanza frivoli, come chi sedeva accanto al re

o chi aveva il privilegio di portare la camicia da notte alla regina.

Praticamente Versailles serviva a svuotare completamente di influenza politica

tutta la nobiltà francese.

La reggia da Luigi XIV è stata decorata in modi stravaganti e costosissimi,

però, e questa è una cosa interessante che fa abbastanza ridere anche oggi

pensando ai vari sovranismi, doveva essere una vetrina del meglio dell'artigianato

e dell'arte francese. Quindi tutti i materiali, dall'argento agli arazzi,

ai tessuti, gli stucchi, i dipinti, dovevano rappresentare il meglio della produzione francese.

Parliamo di Maria Antonietta, che è stata una delle principali protagoniste della reggia di Versailles.

Che figura storica è stata e che impatto ha avuto nella cultura del suo tempo?

Maria Antonietta è stata una figura storica abbastanza ininfluente.

È stata data in moglie a Luigi XVI a 14 anni per un accordo proprio puramente politico.

La madre, Maria Teresa d'Austria, sperava in un'alleanza franco-austriaca

in chiave anti-inglese e anti-prussiana soprattutto.

L'alleanza non funzionò come gli austriaci speravano

e Maria Antonietta è rimasta una regina abbastanza odiata in quanto austriaca per tutta la sua vita.

Perché il sentimento anti-austriaco in Francia era rimasto molto forte.

Dal punto di vista del gusto, invece, dei suoi interessi culturali,

Maria Antonietta era una giovane abbastanza moderna e con le idee abbastanza chiari.

Soprattutto perché aveva avuto un'educazione di primo ordine in Austria.

Quando arrivò a Versailles, per esempio, parlava l'italiano molto meglio del francese

perché il suo maestro era stato il poeta e drammaturgo Pietro Metastasio.

In più, il suo maestro di musica, quando era bambina, era stato Christophe Willibald Gluck,

che è stato il grande riformatore del melodramma.

Con lui ha imparato a cantare, a suonare l'harp, il cembalo e il flauto.

Quindi, in qualche senso, o per ragioni di moda o per ragioni di contiguità con questi grandi personaggi,

Maria Antonietta ha avuto un suo piccolo ruolo culturale.

Lei stessa amava molto l'opera e fu lei che fece costruire a Versailles il piccolo teatro,

chiamato appunto il piccolo teatro della regina.

Forse l'aspetto più importante e quasi politico che lei ha avuto

è quello di essersi ribellata in qualche modo alle regole della corte di Versailles.

Lei è stata la prima regina che si occupava direttamente dei suoi figli, che gli ha allattati,

che appunto si ritirava quanto più possibile a gestire la sua vita,

in qualche modo scardinando le regole di una corte che comunque era già vissuta,

penso, alla sua epoca come un baraccone che non aveva più molto senso.

Nonostante i suoi gusti raffinati e quindi l'influenza sul costume del tempo,

però da quello che racconti sembra che Maria Antonietta non abbia avuto un ruolo storico così rilevante.

Perché allora la sua figura ha resistito in tutti questi secoli?

Soprattutto con la sua morte, che è avvenuta nell'ottobre del 1793,

solo otto mesi dopo la decapitazione del marito Luigi XVI,

Maria Antonietta è diventata propriamente una figura storica,

è diventata proprio il simbolo del tramonto definitivo dell'Ancien Regime.

Ed è diventata allo stesso tempo un simbolo molto forte per i monarchici.

Una regina che non era mai stata particolarmente amata,

improvvisamente diventa oggetto di adorazione e idolatria

da parte dei nobili francesi in esilio dalla Francia.

Al Museo Carnavalet di Parigi sono conservate queste reliquie

che i nobili si scambiavano e si portavano.

C'è una ciocca di capelli bianchi di Maria Antonietta,

c'è una scarpina che pare fu appartenuta a lei,

ci sono dei pettini, proprio dei feticci di una regina che non era mai stata veramente amata,

ma che quando diventa un simbolo della crudeltà, della rivoluzione,

da una parte dell'ingiustizia che era stata fatta verso i reali,

improvvisamente assorgeva da morta a un ruolo che politicamente non aveva mai avuto.

In genere però la sua figura è stata tramandata in modo molto negativo,

sia dalla stereografia che dalla cultura popolare.

Le sono state attribuite frasi come

«il popolo ha fame, allora mangino brioche», che pare lei non abbia mai detto.

Ed era stata comunque sempre dipinta come una giovane donna frivola e leggera,

con pochissimo contatto con la realtà.

Da qualche decennio a questa parte però la figura di Maria Antonietta ha subito un'altra evoluzione

ed è diventata perfino un'icona pop.

Come è venuto questo passaggio?

Maria Antonietta, dal punto di vista della sua popolarità e della sua notorietà

a livello non storico, diciamo, è l'erede di una serie di regine sfortunate

che hanno riempito la letteratura, il cinema, il teatro, l'opera,

da Didone, Maria Stuarda, Semiramide, Cleopatra.

La storia dello spettacolo e della letteratura è piena di regine sfortunate

che diventano simboli di qualcosa.

Maria Antonietta semplicemente ha raccolto questa eredità in qualche modo

ed è stata raccontata in maniera, diciamo, alternativamente molto negativamente

o in maniera molto romantica.

Sono stati fatti film di ogni tipo.

Mi viene in mente La Marseillaise di Jean Renoir del 1938

in cui l'Isle de la Marre, il ruolo di Maria Antonietta, era stata talmente convincente

pur essendo il film sulla rivoluzione e non tanto su di lei

che nella sua vita ha sempre fatto ruoli di regina e ruoli in costume.

E soprattutto però nel tempo Maria Antonietta ha avuto una sorta

di riabilitazione pop.

Tra biografie particolarmente benevolenti a riguardo a lei

che ne ricostruivano in qualche modo il lato umano

come per esempio quella di Antonia Fraser per il pubblico anglofono

e di Simon Berthier per il pubblico francese

erano tutti libri che la raccontavano all'inizio degli anni 2000

più come donna che come vittima della storia da una parte

o come frivola, sciocca, regina odiata da tutti.

Poi ovviamente negli anni 80 per il pubblico c'è stata Lady Oscar

ovvero Bersaio Nobara, La Rosa di Bersaio

che era un manga di Ryoko Ikeda che è diventato un popolarissimo anime

che intrecciava le storie di questa donna soldato Lady Oscar

con le vicende di una giovane Maria Antonietta

rappresentata in modo assolutamente apolitico da una parte

e romantico e scapigliato per tutto il resto della storia.

Poi c'è stato ovviamente proprio un filo

che ha fatto continuare a vivere in chiave pop Maria Antonietta

che ci porta al film di Sofia Coppola del 2006 con Kirsten Dunst.

Lì addirittura Maria Antonietta viene rappresentata

come una adolescente ribelle, romantica

con un geniale uso, devo dire, dei costumi

in cui lei è abbigliata in abili settecenteschi

con dettagli moderni come per esempio le scarpe Converse rosa

circondata di dolci, dolcetti tipo macaroon e cose.

Ecco, credo che la moda dei macaroon sia venuta proprio dal film di Sofia Coppola.

La riapertura degli appartamenti privati di Maria Antonietta a Versailles

possono essere l'occasione per ripensare a questa figura

così controversa e rappresentata in modi così falsati

in un senso o in un altro e può essere l'occasione

per immaginare quali fossero veramente i suoi spazi privati

e come questa donna vivesse.

Grazie a Daniele Cassandro.

Grazie a voi.

Il film della settimana consigliato da Piero Zardo

ed editor di Cultura di Internazionale.

A Thousand and One è il film di esordio di A.V. Rockwell

e ha vinto il Gran Premio della giuria al Sundance Film Festival di gennaio scorso.

Racconta la storia di Inez, interpretata da Teyana Taylor,

una ragazza di 22 anni che appena uscita di prigione

e torna a Brooklyn per stare vicino al figlio di sei anni

che è stato dato in affidamento.

Poi però decide di portarlo via e si trasferisce a Harlem

dove prova a voltare pagina.

Inez trova un lavoro, un appartamento, manda il figlio a scuola,

addirittura si sposa col fidanzato storico,

il ragazzo cresce, si guadagna la possibilità di andare a college,

ma su di loro alleggia sempre lo spettro dei servizi sociali del sistema.

La regista A.V. Rockwell è cresciuta nei Queens,

Teyana Taylor ad Harlem,

quindi sono perfette per raccontare una comunità nera di New York

e mostrare l'evoluzione della città, la gentrificazione di Harlem,

è condita molto bene nel film dai discorsi del sindaco Rudolf Giuliani

che si sentono attraverso la radio e la tv.

Il film è asciutto, non ci sono scene mali,

non ci sono scene strappalacrime,

ma a coinvolgere lo spettatore ci pensa Teyana Taylor

con una grandissima interpretazione.

A Thousand and One nei cinema.

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L'appuntamento con il mondo è lunedì mattina alle 6.30.

Sottotitoli e revisione a cura di QTSS