Capitolo 11
22 novembre.
Riaprendo il giornalino, e rileggendo le ultime parole scritte ier l'altro mi si riempie l'anima dì malinconia e dico fra me: - Tutto è inutile, e i grandi non si correggeranno mai... - E intanto anche questa volta, addio bicicletta! Mentre scrivo sono qui barricato in camera mia, e deciso a non cedere finché non avrò la sicurezza di non essere picchiato dal babbo. Il fatto, come sempre, si riduce a una inezia e la causa di esso dovrebbe procurarmi un premio invece che un castigo, avendo io fatto di tutto per obbedire la mamma che ieri, prima di andar via di casa con le mie sorelle e con la signora Merope per far delle visite, mi aveva detto: - Cerca di divertire Maria, mentre siamo fuori, e abbi giudizio. - Io, dunque, dopo aver fatto con lei da cucina e qualche altro giuoco, tanto per contentarla, essendomi seccato a queste stupidaggini da bambini, le ho detto: - Guarda, è quasi buio e c'è un'ora prima di andare a desinare: vogliamo fare quel bel giuoco, come ti feci vedere ieri in quel bel libro di figure? Io sarò il signore e tu lo schiavo che io abbandono nel bosco... - Sì! Sì! - ha risposto subito. La mamma, con le mie sorelle e la signora Merope non erano ancora tornate; Caterina era a preparare da mangiare in cucina: e io ho condotto Maria in camera mia, le ho levato il vestitino bianco, e le ho messo il mio di panno turchino, perché sembrasse proprio un ragazzo. Poi ho preso la mia scatola di colori e le ho tinto la faccia da mulatto, ho preso un paio di forbici e siamo scesi giù nel giardino, dove ho ordinato allo schiavo che mi venisse dietro. Eravamo giunti in un viale solitario, quando rivolgendomi a Maria, ho soggiunto: - Senti: ora ti taglio i riccioli, come nel racconto, se no ti riconoscono. - La mamma non vuole che tu mi tagli i capelli! - ha risposto lei mettendosi a piangere. Ma io non le ho dato retta: le ho tagliato tutti i riccioli perché altrimenti non era possibile fare quel gioco. Poi l'ho messa a sedere su una pietra, vicino alla siepe, dicendole che doveva far finta d'essere smarrita. E mi sono avviato tranquillamente verso casa. Intanto ella urlava, urlava proprio come se fosse stato uno schiavo vero, e io mi tappavo gli orecchi per non sentire perché volevo seguitare il gioco fino in fondo. Il cielo era stato tutto il giorno coperto di nuvole, e in quel momento cominciarono a venir giù certi goccioloni grossi grossi... Quando sono entrato in salotto tutti erano a tavola ad aspettarci. Sulla tovaglia c'era un bellissimo vassoio pieno di crema e di savoiardi che mi hanno fatto venir subito l'acquolina in bocca. - Oh, eccoti finalmente! - ha esclamato la mamma vedendomi, con un respirone di sollievo. - Dov'è Maria? Dille che venga a pranzo. - Abbiamo fatto il gioco dello schiavo, - ho risposto. - Maria deve fingere di essersi smarrita. - E dove si è smarrita? - ha domandato la mamma ridendo. - Oh, qui vicino, nel viale dei Platani, - ho continuato, mettendomi a tavola a sedere. Ma il babbo, la mamma, la signora Merope e l'avvocato Maralli sono scattati in piedi, come se la casa fosse stata colpita da un fulmine, mentre invece tonava appena appena. - Dici sul serio? - mi ha domandato il babbo, stringendomi forte il braccio, e imponendo agli altri di mettersi a sedere. - Sì; abbiamo fatto quel giuoco del signore e dello schiavo. Per questo ho dovuto travestirla da mulatto; e io che facevo il padrone che l'abbandonava l'ho lasciata sola laggiù; poi viene la fata, che la conduce in un palazzo incantato, e lei diventa, non si sa come, la più potente regina della terra. - Nessuno ha più messo un boccone in bocca, dopo che ebbi detto questo, meno io. La signora Merope si torceva le mani dalla disperazione e diceva che la bambina sarebbe morta dallo spavento, che aveva paura dei tuoni, che le sarebbe venuta certamente una malattia, e altre esagerazioni simili. A sentirla, pareva che dovessero succedere tutti i guai del mondo per un po' di freddo e un po' d'umidità. - Brutto! Cattivo! Scellerato! - ha esclamato Virginia, strappandomi di mano i biscotti che stavo per mangiare. - Non la finisci mai con le birbonate? Che coraggio hai avuto di venire in casa e di lasciare quell'angiolo caro, laggiù. sola, al freddo e al buio? Ma che cosa ti viene fuori dalla tasca? - Oh nulla, sono i capelli di Maria. Glieli ho dovuti tagliare perché non fosse riconosciuta. Non ho detto che l'ho travestita da mulatto, con i capelli corti e la faccia nera? - Qui la signora Merope si è fatta pallida pallida, e ha chinato la testa. La mamma ha cominciato a spruzzarle il viso con l'aceto, e piangeva e singhiozzava. Il babbo si è alzato per andare a prendere una lanterna. Che furia d'andare a cercare quella bambina! Nemmeno se fosse stata un oggetto di valore! Mi faceva stizza di veder la casa in iscompiglio per una cosa da nulla. Il fatto è che mi è toccato di smetter di mangiare per andare a far vedere in che posto avevo lasciato Maria. Era una vergogna sentire quello che dicevano di me; pareva che non fossi lì presente! Dicevano che ero un disubbidiente, uno sbarazzino, uno scellerato, un ragazzo senza cuore, come se le avessi tagliato la testa, invece dei capelli! Questo è il fatto nella sua semplicità. La signora Merope parte oggi per Bologna, perché non mi può più vedere, e perché ha piovuto mentre che la sua bambina era smarrita nel viale. E io che mi infradiciai tutto per andare a cercare Maria, non ebbi in ricompensa né baci, né abbracci, non ebbi una tazza di brodo bollente con l'uovo dentro, come lei, non ebbi un bicchierino di marsala con i biscotti, la crema e le frutte, né mi stesero sul sofà per farmi tante carezze. Neppur per sogno! Fui invece cacciato in camera come un cane, e il babbo disse che sarebbe venuto su per conciarmi per il dì delle feste. So purtroppo quel che vogliono dire queste minacce. Ma io feci le barricate, come nelle città in tempo di guerra, e non mi prenderanno che sulle rovine del lavamano e del tavolino da scrivere che ho messo contro l'uscio. Zitto! Sento del rumore... che sia l'ora del combattimento? Ho le provvigioni in camera, l'uscio è chiuso a chiave, ci ho messo davanti il letto, sopra il letto c'è il tavolino da scrivere, sul tavolino lo specchio grande. Ecco il babbo... picchia alla porta perché gli apra, ma non gli rispondo. Voglio star qui zitto zitto, come il gatto quando è in cantina. Oh, se per un miracolo un ragno filasse la tela, a un tratto, a traverso l'uscio! Il nemico crederebbe la camera vuota, e se n'andrebbe. E se volesse aprir per forza? Sento un gran fracasso! Spingono la porta... Andrà a finire che lo specchio cadrà, e andrà in bricioli, e dopo la colpa sarà mia, tanto per mutare.. ...Sempre così: è il ragazzaccio cattivo, è il famoso Gian Burrasca che fa sempre tutti i malanni... Roba vecchia!
23 novembre.
Niente di nuovo. Ieri, com'era stato stabilito, è partita la signora Merope con quella leziosa di Maria, e bisognava sentire quanti complimenti! Pare sia andato anche l'avvocato Maralli ad accompagnarle fino a Bologna. All'uscio di camera mia non ci sono stati più assalti. In ogni modo io son deciso a resistere. Ho rinforzato la barricata e ho messo insieme anche una discreta quantità di provvigioni procuratemi da Caterina per mezzo d'un panierino che ho calato dalla finestra del giardino, mentre la mia famiglia era andata ad accompagnare alla stazione la signora Merope. 24 novembre.
Dopo la tempesta viene la calma! Tre giorni fa il cielo era cupo, ora invece è sereno. La pace è conclusa, l'assedio è levato. Stamani, dal buco della serratura, mi è stato promesso di non darmi più bastonate, e io ho promesso solennemente di ritornare a scuola, di studiare e di esser buono. Così l'onore è stato salvo... e anche la mobilia e lo specchio grande, perché ho levato la barricata e sono uscito di camera. Viva la libertà!
28 novembre.
In questi giorni non ho scritto nulla nel giornalino, perché ho avuto molto da fare per mettermi in pari con le lezioni. In casa tutti sono contenti di me, e il babbo ieri mi ha detto: - Forse ti si presenta l'occasione di riguadagnare la bicicletta che hai perduta per la tua cattiveria con Maria. Vedremo! 29 novembre.
Con oggi incomincia la nuova prova... e questa volta voglio proprio vedere se mi riesce d'acchiappare questa famosa bicicletta che da tanto tempo mi vedo scappare davanti agli occhi. A casa non ci siamo che io, Virginia e Caterina. I miei genitori con Ada sono andati a passare una settimana da Luisa. La mamma è partita, dicendo che questo viaggio non le farà pro; che si struggerà tutto il tempo che starà fuori, per la paura che io ne faccia delle solite. Ma io le ho raccomandato di non stare in pensiero, promettendole che sarò buono, che andrò tutti i giorni a scuola, che ritornerò a casa appena finite le lezioni, e obbedirò a mia sorella; insomma sarò un ragazzo modello. Voglio invocare tutti i santi del Paradiso che mi aiutino a cacciare le cattive tentazioni. Caterina dice che tutto sta a cominciare; che non è poi una cosa tanto difficile esser buoni per una settimana sola: basta volere. Non so come fa a sapere queste cose, lei che non è stata mai un ragazzo. Ma è certo che per aver finalmente una bicicletta, credo che potrò fare a meno di gettare i sassi dietro i cani per la strada, e saltar la scuola. Non c'è che dire, quest'altra settimana potrò girare su e giù per il paese tutto trionfante su una bella Raleigh! E la mia buona condotta sarà portata per esempio agli altri ragazzi... Mi sembra di sognare!
30 novembre.
È passata una notte sola, da che il babbo, la mamma e Ada sono andati via, e posso dire di essere abbastanza contento di me. È vero che ieri ruppi lo specchio in camera della mamma, ma quella fu proprio una disgrazia. Ero con Carluccio a giocare a palla in quella stanza, con l'uscio chiuso, perché Virginia non sentisse, quando la palla, che avevo legata alle calosce di mia sorella, per vedere se rimbalzava di più, andava a colpire lo specchio sul cassettone, che, com'è naturale, si ruppe in mille pezzi, rovesciando sul tappeto nuovo una bottiglia d'acqua di Colonia. Allora pensammo di andare a giocare in giardino; ma ecco che dopo pochi minuti comincia a pioviscolare. Fummo costretti a rifugiarci in soffitta e rovistare tutte quelle antichità. Quando più tardi andai a pranzo, mi misi addosso una vecchia zimarra del nonno, che avevo trovato appunto in soffitta; e non so dire le risate che fecero Virginia e Caterina nel vedermi così travestito. Avrò la bicicletta? Mi pare di essere stato abbastanza buono.
1° dicembre.
Sono due giorni e due notti che i miei genitori sono partiti, e non ho fatto altro che pensare alla bicicletta. Questa volta sono proprio sicuro d'acchiapparla. Oggi è stata una giornata veramente di Paradiso: tirava un bel venticello fresco, che mi ha fatto venire la voglia di andare a pescare, badando bene però di non affogare come mi successe l'altra volta, se no addio bicicletta! Dopo scuola sono andato a comprare una lenza nuova, degli ami, e mi sono avviato in riva al fiume. Da principio non venivano su che delle erbacce, poi ho preso due ghiozzi, che sono sguizzati un'altra volta nell'acqua; ma verso buio ecco un'anguilla vera, grossa come un coccodrillo. Che dovevo farne? Naturalmente, l'ho portata a casa per mangiarla domani mattina a colazione, e per divertirmici stasera ho pensato di metterla per benino sul pianoforte, in salotto da ricevere. Dopo pranzo, Caterina ha acceso i lumi in quella stanza, e mia sorella è scesa giù e si è messa a suonare e cantare la solita romanza che canta sempre e che comincia: Nessun ci vede, nessun ci sente... A un tratto, ha dato un grand'urlo: - Ah! Una vipera!... Uh!... Ah!... Oh!... Ih!... Eh!... - Che urli!... Il fischio della locomotiva non c'è per niente, a paragone! Io sono subito corso in salotto per vedere quello che era successo; Caterina pure è accorsa; e abbiamo visto Virginia che si contorceva sul canapè come un cane arrabbiato. - Scommetto che c'è qualcosa sul piano, - ho detto a Caterina. Caterina si è avvicinata al pianoforte per vedere, e poi via, con un balzo è corsa alla porta di casa urlando: - Aiuto!... -. Allora ha incominciato a entrare in casa la gente del vicinato, e tutti, appena data un'occhiata al pianoforte, a urlare come disperati. - Ma se è un'anguilla! - ho detto io, stanco finalmente di tutte queste esagerazioni. - Che cosa? Che cosa? - hanno domandato tutti in coro. - È un'anguilla innocente! - ho ripetuto, mettendomi a ridere. Le donne sono proprio sciocche, di buttare all'aria la casa per un'anguilla, che poi mangiano con tanto gusto, quando viene portata a tavola cucinata e condita. Mi hanno detto che sono cattivo, per aver fatto spaventare Virginia... Si sa; è sempre la medesima storia. Anche se ho la disgrazia di avere una sorella che non riconosce un'anguilla da una vipera, la colpa dev'essere sempre mia... 2 dicembre.
Virginia ha brontolato anche oggi perché sono stato tutto il giorno a pescare; ma il peggio è che, avendo il vestito buono, ho fatto un bello strappo ai calzoni e una macchia di sugna sulla giacchettina. Tornando a casa, verso le cinque, son salito su dall'usciolino di cucina, per cambiarmi il vestito. A pranzo mia sorella mi ha detto: - Giannino, anche oggi è venuto il maestro a fare il rapporto della tua assenza; se seguiti così, lo dirò certamente al babbo... quando torna. - Domani andrò a scuola. - Meno male. E hai portato a casa un altro serpente? - Ho risposto di no, che uno bastava. Mi preme la bicicletta e non voglio comprometterla per simili sciocchezze.
3 dicembre.
Com'è paurosa mia sorella! Ha tanta paura dei ladri, che non può dormire la notte, ora che il babbo e la mamma non sono a casa. La sera guarda sotto il letto, dietro gli usci, dietro la tenda della finestra, per vedere se c'è qualcuno in camera, e non spegnerebbe mai il lume. Non capisco perché le ragazze debbano essere così sciocche! Ieri sera erano appena due ore che dormivo saporitamente, quando fui svegliato da urla tremende, come se la casa fosse addirittura in preda alle fiamme. Balzo dal letto, e mi affaccio al corridoio; in questo mentre Virginia entra precipitosamente in camera mia, in camicia da notte, mi prende per un braccio, e chiude l'uscio a chiave. - Giannino! Giannino!... c'è un ladro sotto il letto! - esclama con la voce affannosa. Poi spalanca la finestra, e si mette a gridare: - Aiuto!... aiuto!... al ladro!... al ladro!... - Tutte le persone del vicinato si destano a quelle grida; e in men che non si dice, sono all'uscio di casa nostra. Caterina e Virginia, che ha avuto appena il tempo di infilarsi una veste da camera, si precipitano giù, nelle braccia dei vicini che domandano ansiosamente: - Ma che cosa c'è? che cosa c'è? - Un uomo sotto il mio letto!... l'ho veduto io con i miei occhi! Presto! Andate a vedere... Ma per carità, non andate su senza un revolver!... - Due di quelli che avevano più coraggio salirono su; gli altri due rimasero con Virginia a rincorarla. Andai anch'io in camera di mia sorella. Quei valorosi guardarono adagino adagino sotto il letto. Era proprio vero; c'era un uomo. Lo presero per una gamba, e lo trascinarono fuori. Egli lasciava fare non pensando nemmeno a sparare con la pistola che aveva in mano. Uno dei coraggiosi accorsi aveva afferrato intanto una seggiola, per lanciargliela addosso, e l'altro stava col braccio steso armato di revolver, nel caso che avesse opposto resistenza. A un tratto, tutti si rivolsero a guardarmi con gli occhi spalancati. - Giannino, anche questa è opera tua! - Già, appunto; - risposi - Virginia crede sempre che ci sia un ladro sotto il letto, e ho pensato che non le sarebbe parso strano di trovarcene uno, almeno per una volta. - Giornalino mio caro, sai che cos'era che aveva fatto tanta paura a mia sorella e aveva messo sottosopra il vicinato? Un semplice vestito vecchio del babbo ripieno di innocentissima paglia!...
4 dicembre.
Sono cinque giorni che i miei genitori sono partiti; ma Virginia ha mandato oggi un telegramma pregandoli di anticipare il ritorno. Ella va dicendo a tutti che, se seguita a rimaner sola con me, si ammalerà certamente... E io intanto perderò anche questa volta la bicicletta... e perché? Perché ho la disgrazia di avere una sorella nervosa che di nulla nulla si spaventa. È giusta?