Capitolo 13
12 dicembre.
Gran bella cosa per un ragazzo avere delle sorelle grandi che piglian marito! Giù la sala da pranzo pare diventata una bottega di pasticcere... Vi sono preparate paste di tutte le qualità: le migliori però sono quelle con la conserva di frutta, ma son buoni anche i diti con la crema dentro, sebbene abbiano il difetto che quando si mettono in bocca da una parte per mangiarli, la crema scappa via da quell'altra, e anche le maddalene nella loro semplicità sono squisite, ma in quanto alla delicatezza le marenghe bisogna lasciarle stare... Io però non le ho lasciate stare, e di quelle ne ho mangiate nove... Sono così fragili, che si struggono in bocca e non durano nulla. Tra un'ora gli sposi torneranno dal Municipio con i testimoni e tutti gli invitati, e allora avrà principio il rinfresco... In casa c'è soltanto Ada che piange, poveretta, perché vede che tutte le sorelle piglian marito e lei ha paura di far come la zia Bettina. A proposito: la zia Bettina non è venuta, benché il babbo l'abbia invitata. Ha risposto che non si sentiva di affrontare il viaggio, e che mandava tanti augurii di felicità dal fondo del cuore, ma Virginia ha detto che non sa che se ne fare, e che sarebbe stato meglio se quell'avaraccia le avesse mandato un regalo. Giornalino mio, rieccoci daccapo chiusi in camera, e forse, Dio non voglia, condannati alle minestre di capellini! Quanto sono disgraziato!... Sono tanto disgraziato che piangerei chi sa come, se non mi venisse da ridere nel ripensare alla faccia del Maralli quando è scoppiata la gola del camminetto. Com'era buffo, con quel barbone che gli tremava tutto dalla paura! Il disastro è stato grande; ed è inutile dire che la causa sono stato io, perché io sono la disperazione dei miei genitori e la rovina della casa... per quanto, alla fin dei conti, la rovina si riduca a una sola stanza e precisamente al salotto di ricevimento. Ecco dunque com'è andato il fatto. Quando il Maralli, mia sorella, il babbo, la mamma e tutti gli altri son tornati dal Municipio faceva un gran freddo, ragione per cui uno degli invitati, entrando nella sala da pranzo, ha detto: - Siamo tutti intirizziti; se ci date anche il rinfresco, moriremo qui assiderati! - Allora Virginia e l'avvocato Maralli hanno chiamato subito Caterina e le hanno fatto accendere il caminetto nella sala da ricevere. La Caterina, poveretta, ha obbedito e... Dio, che bomba! È parsa proprio una bomba; e poi lì per lì, tra la polvere, sotto 1a pioggia dei calcinacci che schizzavano qua e là si è creduto che rovinasse tutta la casa. Caterina è cascata lunga distesa senza più dar segno di vita; Virginia, che stava lì a vederle accendere il caminetto, ha cacciato un urlo come quando trovò il fantoccio sotto il letto; e il Maralli, bianco come un cencio lavato, scoteva il barbone e ballettava per la stanza ripetendo: - Mamma mia, il terremoto! Mamma mia, il terremoto! Molti invitati sono scappati via. Il babbo, invece, è corso subito sul luogo del disastro, ma nessuno capiva il perché si era schiantata la gola del caminetto, facendo rovinare giù mezza parete della stanza. A un tratto, quando tutto pareva finito, si è sentito dentro il camino un fischio e tutti son rimasti senza fiato per la sorpresa. Il Maralli ha detto: - Ah! Li dentro c'è un incendiario! Bisogna chiamar le guardie! Bisogna farlo arrestare!... - Ma io che avevo capito tutto non ho potuto fare a meno di esternare il mio dispiacere: - Ah, i miei razzi col fischio! - Mi ero ricordato in quel momento che quando avevo comperato i fuochi per festeggiare il matrimonio di Luisa, non avendoli potuti più adoperare li avevo ficcati appunto su per la gola del camino nel salone di ricevimento, dove non andava mai nessuno, perché il babbo non me li trovasse, ché altrimenti me li avrebbe sequestrati. Naturalmente la mia esclamazione è stata un lampo di luce per tutti. - Ah! - ha gridato l'avvocato Maralli imbestialito - ma tu sei addirittura il mio flagello! Ero scapolo e tentasti di accecarmi, ora piglio moglie e tenti di incenerirmi!... - La mamma intanto mi aveva preso per un braccio e, per salvarmi dal babbo, mi ha portato qui in camera mia, tanto per mutare. Fortuna che quando ci sono dei rinfreschi in casa, io ho la precauzione di farmi sempre la parte prima che incomincino!
13 dicembre.
Stamattina essendo terminati i sei giorni di sospensione che mi aveva dati il Prèside per quei tre versi che mettevano in ridicolo il professor Muscolo, la mamma mi ha accompagnato a scuola. - Ti ci accompagno io, - ha detto - perché se ti ci accompagnasse il babbo ha giurato che ti farebbe trovar davanti all'uscio di scuola senza neppure toccar terra... - Come! - ho detto - in pallone? - Ho detto così, ma avevo capito benissimo che l'idea era di accompagnarmi a furia di pedate nel medesimo posto... Appena arrivato mi è toccato naturalmente di sentire una gran predica del Prèside in presenza alla mamma che sospirava e ripeteva le solite frasi che dicono i genitori in queste circostanze: - Lei ha proprio ragione... Sì, è cattivo... Dovrebbe esser grato, invece, ai professori che sono così buoni... Ma ora ha promesso di correggersi... Dio voglia che la lezione gli frutti!... Staremo a vedere... Speriamo bene... Io ho tenuto sempre la testa bassa e ho detto sempre di sì; ma da ultimo mi son seccato di far quella figura da mammalucco quando il Prèside ha detto sgranando gli occhi dietro le lenti e sbuffando come un mantice: - Vergogna, mettere il soprannome ai professori che si sacrificano per voi! - E io allora che dovrei dire? - ho risposto. - Tutti mi chiamano Gian Burrasca! - Ti chiamano così perché sei peggio della grandine! - ha esclamato mia madre. - E poi tu sei un ragazzo! - ha aggiunto il Prèside. La sinfonia è sempre questa: i ragazzi devono portar rispetto a tutti, ma nessuno è obbligato a portar rispetto ai ragazzi... E questo si chiama ragionare; e con questo credono di persuaderci e di correggerci!... Basta. A scuola tutto è andato bene, e tutto è andato bene anche a casa, perché la mamma ha fatto in modo, anche al ritorno, di non farmi incontrare col babbo che, come ho detto, vuol farmi camminare senza toccar la terra coi piedi. Passando dal pianerottolo ho visto un gran viavai di muratori: stanno accomodando la gola del camino del salotto da ricevere.
14 dicembre.
Niente di nuovo, né a scuola, né in casa. Non ho ancora rivisto il babbo e ormai spero che quando lo rivedrò gli sarà già passato ogni cosa.
Ah, stasera purtroppo, giornalino mio, l'ho visto e l'ho sentito!... Scrivo col lapis, stando disteso sul letto... perché mi sarebbe impossibile stare a sedere dopo avercene prese tante! Che umiliazione! Che avvilimento!... Vorrei scrivere ancora raccontando la causa di questa nuova bufera che mi s'è scaricata sulle spalle... anzi, per essere più esatti, sotto le spalle: ma non posso; soffro troppo nel morale per l'amore proprio che è stato colpito a sangue, e anche nel materiale che è stato purtroppo anch' esso colpito a sangue senza nessuna pietà. 15 dicembre.
Sono stato a scuola: e rinunzio a dire quel che ho provato nell'andare, nello stare e nel tornare. Scrivo in piedi perché... mi stanco meno. Il motivo, dunque, delle busse avute ieri è da ricercarsi nella manìa che ha la Caterina di occuparsi sempre delle cose che non la riguardano invece di pensare alle sue faccende. E si sa, ormai, che in ultimo, chi ci va di mezzo son sempre io, anche se si tratta di antiche sciocchezze che a quest'ora dovrebbero essere dimenticate. lersera Caterina cercando non so che in un armadio, pescò un paio di calzoni miei da mezza stagione che non mi ero più messo da quest'autunno; e frugando nelle tasche trovò, involtato in un fazzoletto, un orologio d'oro da donna ridotto in bricioli. Invece di lasciar la roba dove l'aveva trovata come le avrebbe dovuto suggerire la più elementare delicatezza, che cosa fece la Caterina? Andò subito dall'Ada, la quale andò dalla mamma e tanto chiacchierarono tutt'e due su questa faccenda che arrivò il babbo e volle sapere anche lui di che cosa si trattava. E allora vennero tutti da me per le spiegazioni. - Non è niente, - dissi io - è una cosa proprio da nulla. conto neanche di parlarne... - Ma come! Un orologio d'oro... - Sì, ma è inservibile. - Sfido! È ridotto in mille bricioli. - Appunto. Serviva per fare certi giochi tra noi ragazzi... ma è passato tanto tempo! - Meno discorsi! - disse il babbo a un tratto - e sentiamo subito di che si tratta. - Mi è toccato naturalmente a raccontare tutta la storia del gioco di prestigio che feci tanto tempo fa con Fofo e con Marinella facendomi dare l'orologio della signora Olga che pestai nel mortaio e che sostituii poi con quello della mamma. Appena ebbi finito il mio racconto fu un diluvio di esclamazioni, di rimproveri, di minacce. - Come! - gridava la mamma. - Ah! Ora capisco! Ora si spiega tutto! La signora Olga che è tanto distratta non si è mai accorta della sostituzione... - Sicuro! proprio così! - urlava Ada. - E noi che abbiam creduto a un caso di cleptomania! E quel che è peggio lo abbiam fatto credere anche a suo marito! Che figura!.. - Ma tu, - ripigliava a gridare la mamma - tu, sciagurato, perché non dicesti niente? - E qui le aspettavo. - Io anzi lo volevo dire! - risposi. - Mi ricordo benissimo che incominciai a dirvi che non era per niente un caso di cleptomania, e allora saltaste su tutte a gridare che io in queste cose non dovevo metter bocca, che i ragazzi non devono impicciarsi di quel che dicono i grandi, che non posson capire l'importanza delle cose... e via dicendo.