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Il giornalino di Gian Burrasca - Vamba, Capitolo 14

Capitolo 14

16 dicembre.

Oggi ho avuto una gran soddisfazione. Era stato stabilito che appena tornato da scuola dovessi andare con la mamma e l'Ada dalla signora Olga a confessare quella che chiamano la mia colpa e a chieder perdono. Infatti siamo andati da lei, e io, tutto confuso, ho incominciato subito a raccontarle il fatto del gioco dì prestigio, che la signora Olga ha ascoltato con molta curiosità. Poi ha detto: - Ma vedete un po' che testa ho io! Ho tenuto per tanto tempo un orologio che non è mio senza neppure accorgermene! - Ed è corsa a pigliarlo per restituirlo alla mamma che diceva: - Ma le pare! Ma le pare! - Ecco! Questo si chiama ragionare! Infatti se la signora Olga si fosse accorta subito dell'orologio, tutto si sarebbe spiegato a suo tempo. È colpa mia dunque, se la signora Olga è tanto distratta? Ma il più bello è stato quando la mamma e l'Ada hanno dovuto raccontare la faccenda della cleptomania. Via via che procedeva il racconto, la signora Olga si interessava divertendosi come se si fosse trattato di un'altra persona invece che di lei, e da ultimo dette in una solenne risata, agitandosi sul canapè esclamando: - Ah bella! Ah bellissima! Come! Mi hanno fatto prendere anche delle medicine per guarire della cleptomania? Ah! Ma questo è un episodio graziosissimo, degno di un romanzo!... E tu, birichino, ti ci divertivi, eh? Chi sa quanto hai riso!... Sfido! mi ci sarei divertita anche io!... - E mi ha acchiappato per la testa e mi ha coperto di baci. Come è buona la signora Olga! Come si capisce subito che è una donna piena di cuore e piena d'ingegno, senza tutte le esagerazioni che hanno le altre donne! La mamma e l'Ada son rimaste molto confuse perché si aspettavano, invece, chi sa che scena! Ma quando siamo venuti via non ho potuto far a meno di dir loro: - Imparate dalla signora Olga come si devono trattare i ragazzi!... - E mi son grattato dove mi duole tanto a camminare.

17 dicembre.

Oggi a scuola ho avuto che dire con Cecchino Bellucci per causa di Virginia. - È vero - mi ha detto il Bellucci - che tua sorella ha sposato quell'arruffapopoli dell'avvocato Maralli? - È vero - gli ho risposto - ma il Maralli [non è quello che dici tu:] invece è un uomo d'ingegno, e presto sarà deputato. - Deputato? Bum!... - E il Bellucci si è coperto la bocca, soffocando una risata. Io, naturalmente, ho incominciato a riscaldarmi. - C'è poco da ridere! - gli ho detto scotendolo per un braccio. - Ma non sai - ha risposto lui - che per fare il deputato ci vogliono dimolti, ma dimolti quattrini? Sai chi sarà deputato? Mio zio Gaspero: ma lui è commendatore e il Maralli no; lui è stato sindaco e il Maralli no; lui è amico di tutte le persone più altolocate e il Maralli no; lui ha l'automobile e il Maralli no... - Che c'entra l'automobile! - gli ho detto. - C'entra, perché con l'automobile mio zio Gaspero può andare in tutti i paesi di campagna e anche in cima ai monti a fare i discorsi, mentre il Maralli, se ci vuole andare, bisogna che ci vada a piedi... - Nel paesi di campagna? Il mio cognato, per una certa regola tua, è il capo di tutti gli operai e di tutti i contadini, e se il tuo zio va in campagna anche con l'automobile ci troverà delle brave bastonale! - Bum! A parole! - C'è poco da far bum... - Bum! - Smetti di fare bum, t'ho detto. - Bum! bum! [- Quando poi s'esce di scuola, te lo dò io il bum! - Lui] s'è chetato perché sa, come sanno tutti, che Giannino Stoppani riffe non se ne lascia far da nessuno. Difatti dopo scuola l'ho raggiunto alla porta d'uscita dicendogli: - Ora facciamo i conti fra noi! - Ma lui ha affrettato il passo e, appena fuori, è montato sull'automobile di suo zio che lo aspettava e s'è messo a suonar la tromba tra l'ammirazione di tutti i nostri compagni, mentre lo scioffèr girava il manubrio e via di gran corsa... Non importa. Gliele darò domani!

23 dicembre.

È quasi una settimana che non scrivo in questo mio caro giornalino. Sfido! Come avrei potuto farlo con la clavicola spostata e il braccio sinistro ingessato? Ma oggi finalmente il dottore mi ha tolto l'apparecchio, e alla meglio posso descrivere qui, dove confido tutti i miei pensieri e tutti i casi della mia vita, la tremenda avventura che mi successe il 18 dicembre - data memorabile per me perché fu un vero miracolo che non segnasse l'ultimo giorno della mia vita. Quella mattina, dunque, appena Cecchino Bellucci venne a sedermi accanto in scuola, lo trattai di vigliacco perché era scappato in automobile per paura della lezione che gli avevo promesso. Lui allora mi spiegò che in questi giorni essendo i suoi genitori a Napoli per la malattia di suo nonno, che sarebbe il babbo della sua mamma, era stato accolto in casa del suo zio Gaspero il quale lo mandava a prendere a scuola tutti i giorni con l'automobile per lo scioffèr, e che perciò non poteva trovarsi a solo a solo con me, almeno per un certo tempo. Dietro queste spiegazioni mi calmai, e ci mettemmo a discorrere dell'automobile che è una cosa che mi interessa assai; e il Bellucci mi spiegò tutto il meccanismo, dicendomi che lui lo conosce benissimo e ci sa andare anche solo e ci è andato più d'una volta, perché basta saper girare il manubrio e stare attenti alle voltate, anche un ragazzo lo sa manovrare. Io veramente ci credevo poco, perché mi pareva impossibile che lasciassero l'automobile nelle mani a un ragazzetto come Cecchino Bellucci. E siccome glielo dissi, lui per punto d'impegno mi propose una scommessa. - Senti, - mi disse - lo scioffèr oggi deve fermarsi alla Banca d'Italia per sbrigare una commissione che gli ha dato lo zio Gaspero, e io rimarrò solo sull'automobile. Tu cerca il modo di uscir prima dalla scuola, e fatti trovare sul portone della Banca; mentre lo scioffèr si tratterrà dentro tu monterai sull'automobile e io ti farò fare un giretto intorno alla piazza, e così vedrai se son capace o no. Va bene? - Benone! - E si scommise dieci pennini nuovi e un lapis rosso e turchino. Detto fatto, una mezz'oretta prima dell'uscita cominciai a dimenarmi sulla panca, finché il professor Muscolo mi disse: - Tutti fermi! Che cos'ha lo Stoppani che si divincola come un serpente? Tutti zitti! - Mi dòle il corpo, - risposi. - Non ne posso più... - Allora vada a casa... tanto c'è poco all'uscita. - E io, come s'era stabilito con Cecchino, uscii e andai difilato alla Banca d'Italia, dove aspettai fuori del portone. Poco dopo eccoti l'automobile del Bellucci. Lo scioffèr discese, e quando fu entrato nella Banca, a un cenno di Cecchino, montai su e mi misi a sedere accanto a lui. - Ora vedrai se so mandarla anche da me, - mi disse. - Tieni intanto la tromba, e suona... - Sì chinò dicendo: - Vedi? Per andare, basta girar questo... - E girò il manubrio. L'automobile fece: putupum! due o tre volte, e via di gran carriera. Io lì per lì mi divertii molto e mi misi a sonar la tromba a tutt'andare ed era un ridere a veder tutta la gente sgambettar di qua e di là per scansarsi, guardandoci spaventata. Ma fu un attimo; capii subito che Cecchino non sapeva regolar l'automobile in nessuna maniera, né frenarla, né fermarla. - Suona, suona! - mi diceva, come se il sonare la tromba potesse influire sul meccanismo. Si usci dalla città come una palla di schioppo, e via per la campagna con una velocità vertiginosa, tanto che non si respirava. Cecchino a un tratto lasciò il manubrio e si abbandonò sul sedile, bianco come un cencio lavato. Dio mio, che momento! Solamente a ripensarci, mi sento rizzare i capelli sulla testa. Fortunatamente la strada era larga e diritta, e io vedevo come in sogno sfuggirmi dinanzi agli occhi la campagna intorno. Di questa visione mi è rimasta un'impressione così viva, che posso qui riprodurla come in una istantanea. Ricordo benissimo che un contadino che badava ai buoi, vedendoci passare come una saetta, urlò con una voce formidabile che arrivò a coprire il rumore dell'automobile: - L'osso del collo!... - Il mal augurio si avverò anche troppo presto, e se non ci si ruppe proprio l'osso del collo, andaron rotte altre ossa non meno utili. Io ricordo appena che a un certo punto vidi dinanzi a me sorgere a un tratto dalla terra come un grande fantasma bianco che si riversasse sull'automobile... e poi più nulla. Dopo ho saputo che a una svoltata della strada eravamo andati contro una casa, che la violenza dell'urto era stata tale, che io e Cecchino avevamo fatto un volo per aria di una trentina di metri e che nella disgrazia avevamo avuto la fortuna di cascare dentro una macchia che ci servì come di una molla, attutendo il colpo della caduta, in modo che non fu - come poteva essere - mortale. Dice che dopo mezz'ora del disastro arrivò lo scioffèr del Bellucci con un'altra automobile, che era corso a prendere a nolo appena si era accorto della nostra fuga, e ci trasportò tutti e due all'ospedale dove a Cecchino ingessarono la gamba destra e a me il braccio sinistro. Io non mi potevo muovere, e dovettero accompagnarmi a casa in lettiga. Certo è stato un brutto azzardo, e i miei poveri genitori e Ada hanno provato un gran dispiacere; ma però è stata anche una bella soddisfazione per me il raccontare a tutti quelli che son venuti a farmi visita questa mia avventura: descrivendo la nostra corsa vertiginosa che faceva ripetere a ciascuno: - È stata una vera e propria corsa alla morte, come quella di Parigi! E oltre a questo, ho la soddisfazione di aver vinto a quello sballone di Cecchino Bellucci dieci pennini nuovi e un lapis rosso e turchino che, appena saremo guariti, mi dovrà dare, se non vuole che gli dia quella famosa lezione che deve avere per i suoi bum contro mio cognato!

24 dicembre.

Il dottore ha detto che il braccio ritornerà certo come prima, ma intanto io non posso moverlo. Luisa, alla quale il babbo aveva scritto di questa mia malattia, ha risposto proponendo di mandarmi da lei a Roma dove il dottor Collalto dice che c'è un suo amico specialista che mi farebbe la cura elettrica e il massaggio sicché potrei trattenermi da loro durante le vacanze di Natale e poi ritornare a casa guarito. Io ho incominciato a urlare dalla contentezza, e avrei anche battuto le mani se mi riuscisse d'alzare il braccio. - Però - ha detto il babbo - con che coraggio ti si può mandar fuori di casa? - Io starei sempre in pensiero di qualche disgrazia - ha aggiunto la mamma. L'Ada ha messo la nota finale: - Bisogna proprio dire che il Collalto sia un buon uomo a invitarti a casa sua dopo il bel regalo di nozze che gli facesti...- Io son rimasto così avvilito da questo plebiscito, che la mamma s'è mossa a compassione e ci ha messo subito una buona parola: - Se almeno, dopo tanti guai, promettesse proprio sul serio d'esser buono d'esser gentile col dottor Collalto... - Sì lo prometto! - ho gridato con quello slancio e quell'entusiasmo che metto sempre nelle mie promesse. E così, dopo un po' dì discussione, è stato stabilito che per Santo Stefano il babbo mi accompagnerà a Roma. Io sono felice e benedico il momento in cui mi sono rovinato il braccio. Andare a Roma è un mio antico sogno, e non mi par vero di vedere il Re, il Papa, gli Svizzeri e tutti i monumenti antichi che ci sono. Quello poi che mi solletica più di tutto è l'idea di far la cura elettrica, solamente a pensarci mi par di sentirmi dentro il corpo una batteria di pile e non posso star fermo. Viva Roma capitale!

In questo momento ho saputo che Cecchino Bellucci sta male. Pare che sia proprio un affare serio, e che sia difficile che la gamba gli ritorni come prima. Povero Cecchino! Ecco a che cosa si può andare incontro quando ci si vanta di saper fare una cosa, mentre invece non se ne sa niente! Però mi dispiace molto di questa cosa perché il Bellucci con tutti i suoi difetti è un buon ragazzo.

25 dicembre.

Io preferisco a tutti gli altri mesi dell'anno quello di dicembre, perché c'è il Natale e Caterina fa sempre due bei budini, uno di riso e uno di semolino perché alla mamma piace quello di semolino e quello di riso non lo può soffrire, e il babbo va matto per quello di riso mentre quello di semolino l'ha a noia come il fumo agli occhi; io, invece, li preferisco tutti e due, e siccome anche il dottore dice che tra i dolci i budini sono i più igienici, così ne mangio quanto mi pare e nessuno mi dice nulla.

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Capitolo 14 Kapitel 14 Chapter 14

16 dicembre.

Oggi ho avuto una gran soddisfazione. Era stato stabilito che appena tornato da scuola dovessi andare con la mamma e l'Ada dalla signora Olga a confessare quella che chiamano la mia colpa e a chieder perdono. Infatti siamo andati da lei, e io, tutto confuso, ho incominciato subito a raccontarle il fatto del gioco dì prestigio, che la signora Olga ha ascoltato con molta curiosità. Poi ha detto: - Ma vedete un po' che testa ho io! Ho tenuto per tanto tempo un orologio che non è mio senza neppure accorgermene! - Ed è corsa a pigliarlo per restituirlo alla mamma che diceva: - Ma le pare! Ma le pare! - Ecco! Questo si chiama ragionare! Infatti se la signora Olga si fosse accorta subito dell'orologio, tutto si sarebbe spiegato a suo tempo. È colpa mia dunque, se la signora Olga è tanto distratta? Ma il più bello è stato quando la mamma e l'Ada hanno dovuto raccontare la faccenda della cleptomania. Via via che procedeva il racconto, la signora Olga si interessava divertendosi come se si fosse trattato di un'altra persona invece che di lei, e da ultimo dette in una solenne risata, agitandosi sul canapè esclamando: - Ah bella! Ah bellissima! Come! Mi hanno fatto prendere anche delle medicine per guarire della cleptomania? Ah! Ma questo è un episodio graziosissimo, degno di un romanzo!... E tu, birichino, ti ci divertivi, eh? Chi sa quanto hai riso!... Sfido! mi ci sarei divertita anche io!... - E mi ha acchiappato per la testa e mi ha coperto di baci. Come è buona la signora Olga! Come si capisce subito che è una donna piena di cuore e piena d'ingegno, senza tutte le esagerazioni che hanno le altre donne! La mamma e l'Ada son rimaste molto confuse perché si aspettavano, invece, chi sa che scena! Ma quando siamo venuti via non ho potuto far a meno di dir loro: - Imparate dalla signora Olga come si devono trattare i ragazzi!... - E mi son grattato dove mi duole tanto a camminare.

17 dicembre.

Oggi a scuola ho avuto che dire con Cecchino Bellucci per causa di Virginia. - È vero - mi ha detto il Bellucci - che tua sorella ha sposato quell'arruffapopoli dell'avvocato Maralli? - È vero - gli ho risposto - ma il Maralli [non è quello che dici tu:] invece è un uomo d'ingegno, e presto sarà deputato. - Deputato? Bum!... - E il Bellucci si è coperto la bocca, soffocando una risata. Io, naturalmente, ho incominciato a riscaldarmi. - C'è poco da ridere! - gli ho detto scotendolo per un braccio. - Ma non sai - ha risposto lui - che per fare il deputato ci vogliono dimolti, ma dimolti quattrini? Sai chi sarà deputato? Mio zio Gaspero: ma lui è commendatore e il Maralli no; lui è stato sindaco e il Maralli no; lui è amico di tutte le persone più altolocate e il Maralli no; lui ha l'automobile e il Maralli no... - Che c'entra l'automobile! - gli ho detto. - C'entra, perché con l'automobile mio zio Gaspero può andare in tutti i paesi di campagna e anche in cima ai monti a fare i discorsi, mentre il Maralli, se ci vuole andare, bisogna che ci vada a piedi... - Nel paesi di campagna? Il mio cognato, per una certa regola tua, è il capo di tutti gli operai e di tutti i contadini, e se il tuo zio va in campagna anche con l'automobile ci troverà delle brave bastonale! - Bum! A parole! - C'è poco da far bum... - Bum! - Smetti di fare bum, t'ho detto. - Bum! bum! [- Quando poi s'esce di scuola, te lo dò io il bum! - Lui] s'è chetato perché sa, come sanno tutti, che Giannino Stoppani riffe non se ne lascia far da nessuno. Difatti dopo scuola l'ho raggiunto alla porta d'uscita dicendogli: - Ora facciamo i conti fra noi! - Ma lui ha affrettato il passo e, appena fuori, è montato sull'automobile di suo zio che lo aspettava e s'è messo a suonar la tromba tra l'ammirazione di tutti i nostri compagni, mentre lo scioffèr girava il manubrio e via di gran corsa... Non importa. Gliele darò domani!

23 dicembre.

È quasi una settimana che non scrivo in questo mio caro giornalino. Sfido! Come avrei potuto farlo con la clavicola spostata e il braccio sinistro ingessato? Ma oggi finalmente il dottore mi ha tolto l'apparecchio, e alla meglio posso descrivere qui, dove confido tutti i miei pensieri e tutti i casi della mia vita, la tremenda avventura che mi successe il 18 dicembre - data memorabile per me perché fu un vero miracolo che non segnasse l'ultimo giorno della mia vita. Quella mattina, dunque, appena Cecchino Bellucci venne a sedermi accanto in scuola, lo trattai di vigliacco perché era scappato in automobile per paura della lezione che gli avevo promesso. Lui allora mi spiegò che in questi giorni essendo i suoi genitori a Napoli per la malattia di suo nonno, che sarebbe il babbo della sua mamma, era stato accolto in casa del suo zio Gaspero il quale lo mandava a prendere a scuola tutti i giorni con l'automobile per lo scioffèr, e che perciò non poteva trovarsi a solo a solo con me, almeno per un certo tempo. Dietro queste spiegazioni mi calmai, e ci mettemmo a discorrere dell'automobile che è una cosa che mi interessa assai; e il Bellucci mi spiegò tutto il meccanismo, dicendomi che lui lo conosce benissimo e ci sa andare anche solo e ci è andato più d'una volta, perché basta saper girare il manubrio e stare attenti alle voltate, anche un ragazzo lo sa manovrare. Io veramente ci credevo poco, perché mi pareva impossibile che lasciassero l'automobile nelle mani a un ragazzetto come Cecchino Bellucci. E siccome glielo dissi, lui per punto d'impegno mi propose una scommessa. - Senti, - mi disse - lo scioffèr oggi deve fermarsi alla Banca d'Italia per sbrigare una commissione che gli ha dato lo zio Gaspero, e io rimarrò solo sull'automobile. Tu cerca il modo di uscir prima dalla scuola, e fatti trovare sul portone della Banca; mentre lo scioffèr si tratterrà dentro tu monterai sull'automobile e io ti farò fare un giretto intorno alla piazza, e così vedrai se son capace o no. Va bene? - Benone! - E si scommise dieci pennini nuovi e un lapis rosso e turchino. Detto fatto, una mezz'oretta prima dell'uscita cominciai a dimenarmi sulla panca, finché il professor Muscolo mi disse: - Tutti fermi! Che cos'ha lo Stoppani che si divincola come un serpente? Tutti zitti! - Mi dòle il corpo, - risposi. - Non ne posso più... - Allora vada a casa... tanto c'è poco all'uscita. - E io, come s'era stabilito con Cecchino, uscii e andai difilato alla Banca d'Italia, dove aspettai fuori del portone. Poco dopo eccoti l'automobile del Bellucci. Lo scioffèr discese, e quando fu entrato nella Banca, a un cenno di Cecchino, montai su e mi misi a sedere accanto a lui. - Ora vedrai se so mandarla anche da me, - mi disse. - Tieni intanto la tromba, e suona... - Sì chinò dicendo: - Vedi? Per andare, basta girar questo... - E girò il manubrio. L'automobile fece: putupum! due o tre volte, e via di gran carriera. Io lì per lì mi divertii molto e mi misi a sonar la tromba a tutt'andare ed era un ridere a veder tutta la gente sgambettar di qua e di là per scansarsi, guardandoci spaventata. Ma fu un attimo; capii subito che Cecchino non sapeva regolar l'automobile in nessuna maniera, né frenarla, né fermarla. - Suona, suona! - mi diceva, come se il sonare la tromba potesse influire sul meccanismo. Si usci dalla città come una palla di schioppo, e via per la campagna con una velocità vertiginosa, tanto che non si respirava. Cecchino a un tratto lasciò il manubrio e si abbandonò sul sedile, bianco come un cencio lavato. Dio mio, che momento! Solamente a ripensarci, mi sento rizzare i capelli sulla testa. Fortunatamente la strada era larga e diritta, e io vedevo come in sogno sfuggirmi dinanzi agli occhi la campagna intorno. Di questa visione mi è rimasta un'impressione così viva, che posso qui riprodurla come in una istantanea. Ricordo benissimo che un contadino che badava ai buoi, vedendoci passare come una saetta, urlò con una voce formidabile che arrivò a coprire il rumore dell'automobile: - L'osso del collo!... - Il mal augurio si avverò anche troppo presto, e se non ci si ruppe proprio l'osso del collo, andaron rotte altre ossa non meno utili. Io ricordo appena che a un certo punto vidi dinanzi a me sorgere a un tratto dalla terra come un grande fantasma bianco che si riversasse sull'automobile... e poi più nulla. Dopo ho saputo che a una svoltata della strada eravamo andati contro una casa, che la violenza dell'urto era stata tale, che io e Cecchino avevamo fatto un volo per aria di una trentina di metri e che nella disgrazia avevamo avuto la fortuna di cascare dentro una macchia che ci servì come di una molla, attutendo il colpo della caduta, in modo che non fu - come poteva essere - mortale. Dice che dopo mezz'ora del disastro arrivò lo scioffèr del Bellucci con un'altra automobile, che era corso a prendere a nolo appena si era accorto della nostra fuga, e ci trasportò tutti e due all'ospedale dove a Cecchino ingessarono la gamba destra e a me il braccio sinistro. Io non mi potevo muovere, e dovettero accompagnarmi a casa in lettiga. Certo è stato un brutto azzardo, e i miei poveri genitori e Ada hanno provato un gran dispiacere; ma però è stata anche una bella soddisfazione per me il raccontare a tutti quelli che son venuti a farmi visita questa mia avventura: descrivendo la nostra corsa vertiginosa che faceva ripetere a ciascuno: - È stata una vera e propria corsa alla morte, come quella di Parigi! E oltre a questo, ho la soddisfazione di aver vinto a quello sballone di Cecchino Bellucci dieci pennini nuovi e un lapis rosso e turchino che, appena saremo guariti, mi dovrà dare, se non vuole che gli dia quella famosa lezione che deve avere per i suoi bum contro mio cognato!

24 dicembre.

Il dottore ha detto che il braccio ritornerà certo come prima, ma intanto io non posso moverlo. Luisa, alla quale il babbo aveva scritto di questa mia malattia, ha risposto proponendo di mandarmi da lei a Roma dove il dottor Collalto dice che c'è un suo amico specialista che mi farebbe la cura elettrica e il massaggio sicché potrei trattenermi da loro durante le vacanze di Natale e poi ritornare a casa guarito. Io ho incominciato a urlare dalla contentezza, e avrei anche battuto le mani se mi riuscisse d'alzare il braccio. - Però - ha detto il babbo - con che coraggio ti si può mandar fuori di casa? - Io starei sempre in pensiero di qualche disgrazia - ha aggiunto la mamma. L'Ada ha messo la nota finale: - Bisogna proprio dire che il Collalto sia un buon uomo a invitarti a casa sua dopo il bel regalo di nozze che gli facesti...- Io son rimasto così avvilito da questo plebiscito, che la mamma s'è mossa a compassione e ci ha messo subito una buona parola: - Se almeno, dopo tanti guai, promettesse proprio sul serio d'esser buono d'esser gentile col dottor Collalto... - Sì lo prometto! - ho gridato con quello slancio e quell'entusiasmo che metto sempre nelle mie promesse. E così, dopo un po' dì discussione, è stato stabilito che per Santo Stefano il babbo mi accompagnerà a Roma. Io sono felice e benedico il momento in cui mi sono rovinato il braccio. Andare a Roma è un mio antico sogno, e non mi par vero di vedere il Re, il Papa, gli Svizzeri e tutti i monumenti antichi che ci sono. Quello poi che mi solletica più di tutto è l'idea di far la cura elettrica, solamente a pensarci mi par di sentirmi dentro il corpo una batteria di pile e non posso star fermo. Viva Roma capitale!

In questo momento ho saputo che Cecchino Bellucci sta male. Pare che sia proprio un affare serio, e che sia difficile che la gamba gli ritorni come prima. Povero Cecchino! Ecco a che cosa si può andare incontro quando ci si vanta di saper fare una cosa, mentre invece non se ne sa niente! Però mi dispiace molto di questa cosa perché il Bellucci con tutti i suoi difetti è un buon ragazzo.

25 dicembre.

Io preferisco a tutti gli altri mesi dell'anno quello di dicembre, perché c'è il Natale e Caterina fa sempre due bei budini, uno di riso e uno di semolino perché alla mamma piace quello di semolino e quello di riso non lo può soffrire, e il babbo va matto per quello di riso mentre quello di semolino l'ha a noia come il fumo agli occhi; io, invece, li preferisco tutti e due, e siccome anche il dottore dice che tra i dolci i budini sono i più igienici, così ne mangio quanto mi pare e nessuno mi dice nulla.