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La coscienza di Zeno - Italo Svevo (Zeno's Conscience), 5.9 Storia di un'associazione commerciale

5.9 Storia di un'associazione commerciale

Una sera, di Agosto, egli mi trascinò di nuovo a pesca con lui. Alla luce abbagliante di una luna quasi piena c'era poca probabilità di pigliare qualche cosa all'amo. Ma egli insistette dicendo che in mare avremmo trovato qualche sollievo al caldo. Infatti non vi trovammo altro. Dopo un solo tentativo, non inescammo neppure più gli ami e lasciammo pendere le lenze dalla barchetta che Luciano spinse al largo. I raggi della luna raggiungevano certo il fondo del mare affinando la vista agli animali grossi e rendendoli accorti dell'insidia ed anche agli animalucci piccoli capaci di rosicchiarci l'esca, ma non d'arrivare con la piccola bocca all'amo. Le nostre esche non erano altro che un dono alla minutaglia.

Guido si coricò a poppa ed io a prua. Egli mormorò poco dopo:

— Che tristezza tutta questa luce!

Probabilmente diceva così perché la luce gl'impediva di dormire ed io assentii per fargli piacere ed anche per non turbare con una sciocca discussione la quiete solenne in cui lentamente ci movevamo. Ma Luciano protestò dicendo che a lui quella luce piaceva moltissimo. Visto che Guido non rispondeva, volli farlo tacere dicendogli che la luce era certamente una cosa triste perché si vedevano le cose di questo mondo. Eppoi impediva la pesca. Luciano rise e tacque.

Stemmo zitti molto tempo. Io sbadigliai più volte in faccia alla luna. Rimpiangevo di essermi lasciato indurre di montare in quella barchetta.

Guido improvvisamente mi domandò:

— Tu che sei chimico, sapresti dirmi se sia più efficace il veronal puro o il veronal al sodio?

Io veramente non sapevo neppure che ci fosse un veronal al sodio. Non si può mica pretendere che un chimico sappia il mondo a mente. Io di chimica so tanto da poter trovare subito nei miei libri qualsiasi informazione e inoltre da poter discutere - come si vide in quel caso - anche delle cose che ignoro.

Al sodio? Ma se era saputo da tutti che le combinazioni al sodio erano quelle che più facilmente si assimilavano. Anzi a proposito del sodio ricordai - e riprodussi più o meno esattamente - un inno a quell'elemento elevato da un mio professore all'unica sua prelezione cui avessi assistito. Il sodio era un veicolo sul quale gli elementi montavano per moversi più rapidi. E il professore aveva ricordato come il cloruro di sodio passava da organismo ad organismo e come andava adunandosi per la sola gravità nel buco più profondo della terra, il mare. Io non so se riproducessi esattamente il pensiero del mio professore, ma in quel momento, dinanzi a quell'enorme distesa di cloruro di sodio, parlai del sodio con un rispetto infinito.

Dopo un'esitazione, Guido domandò ancora:

— Sicché chi volesse morire dovrebbe prendere il veronal al sodio?

— Sì, - risposi.

Poi ricordando che ci sono dei casi in cui si può voler simulare un suicidio e non accorgendomi subito che ricordavo a Guido un episodio spiacevole della sua vita, aggiunsi:

— E chi non vuole morire deve prendere del veronal puro.

Gli studii di Guido sul veronal avrebbero potuto darmi da pensare. Invece io non compresi nulla, preoccupato com'ero dal sodio. Nei giorni seguenti fui in grado di portare a Guido nuove prove delle qualità che io avevo attribuite al sodio: anche per accelerare gli amalgami che non sono altro che degli abbracci intensi fra due corpi, abbracci che sostituiscono la combinazione o l'assimilazione, si aggiungeva al mercurio del sodio. Il sodio era il mezzano fra l'oro e il mercurio. Ma a Guido il veronal non importava più, ed io ora penso che in quel momento le sue viste alla Borsa si fossero migliorate.

Nel corso di una settimana, Ada venne in ufficio ben tre volte. Soltanto dopo la seconda, sorse in me l'idea ch'essa mi volesse parlare.

La prima s'imbatté nel Nilini che s'era messo una volta di più ad educarmi. Essa attese per un'ora intera che se ne andasse, ma ebbe il torto di ciarlare con lui ed egli credette perciò di dover restare. Dopo fatte le presentazioni, io respirai, sollevato che il buco mandibolare del Nilini non fosse rivolto a me. Non presi parte alla loro conversazione.

Il Nilini fu persino spiritoso e sorprese Ada raccontando che si facevano altrettante maldicenze al Tergesteo come nel salotto di una signora. Soltanto, secondo lui, alla Borsa, come sempre, si era meglio informati che altrove. Ad Ada sembrò ch'egli calunniasse le donne. Disse di non saper neppure ciò che fosse la maldicenza. A questo punto intervenni io per confermare che, nei lunghi anni in cui la conoscevo, non avevo mai sentita venir dalla sua bocca una parola che avesse neppur ricordato la maldicenza. Sorrisi dicendo ciò perché mi parve di moverle un rimprovero. Essa non era maldicente perché dei fatti altrui non s'occupava. Dapprima, in piena salute, aveva pensato ai fatti proprii e, quando la malattia l'invase, non restò in lei che un piccolo posticino libero, occupato dalla sua gelosia. Era una vera egoista, ma essa accolse la mia testimonianza con gratitudine.

Il Nilini finse di non prestar fede né a lei né a me. Disse di conoscermi da molti anni e di credermi di una grande ingenuità. Ciò mi divertì e divertì anche Ada. Fui molto seccato invece quand'egli - per la prima volta dinanzi a terzi - proclamò ch'ero uno dei migliori suoi amici e che perciò mi conosceva a fondo. Non osai protestare, ma da quella dichiarazione sfacciata mi sentii offeso nel mio pudore, come una fanciulla cui in pubblico fosse stato rimproverato di aver fornicato.

Io ero tanto ingenuo, diceva il Nilini, che Ada, con la solita furberia delle donne, avrebbe potuto fare della maldicenza in mia presenza senza ch'io me ne accorgessi. A me parve che Ada continuasse a divertirsi a quei complimenti di carattere dubbio mentre poi seppi ch'essa lo lasciava parlare sperando si esaurisse e se ne andasse. Ma ebbe un bell'attendere.

Quando Ada ritornò per la seconda volta, mi trovò con Guido. Allora lessi sulla sua faccia un'espressione d'impazienza e indovinai ch'essa voleva proprio me. Finché non ritornò, io mi baloccai coi miei soliti sogni. In fondo essa da me non domandava amore, ma troppo frequentemente voleva trovarsi da sola a solo con me. Per gli uomini era difficile d'intendere quello che le donne volevano anche perché esse stesse talvolta lo ignoravano.

Non mi derivò invece alcun nuovo sentimento dalle sue parole. Essa, non appena poté parlarmi, ebbe la voce strozzata dall'emozione, ma non già perché avesse rivolta la parola a me. Voleva sapere per quale ragione Carmen non fosse stata mandata via. Io le raccontai tutto quanto ne sapevo, compreso quel nostro tentativo di procurarle un posto presso l'Olivi.

Essa fu subito più calma perché quello che le dicevo corrispondeva esattamente a quanto gliene era stato detto da Guido. Poi seppi che gli accessi di gelosia si seguivano da lei a periodi. Venivano senza causa apparente e andavano via per una parola che la convincesse.

Mi fece ancora due domande: se era proprio tanto difficile di trovare un posto per un'impiegata e se la famiglia di Carmen si trovasse in tali condizioni da dipendere dal guadagno della fanciulla.

Le spiegai che infatti a Trieste era difficile allora di trovare del lavoro per le donne, negli uffici. In quanto alla sua seconda domanda, non potevo risponderle perché della famiglia di Carmen io non conoscevo nessuno.

— Guido invece conosce tutti in quella casa, - mormorò Ada con ira e le lacrime le irrorarono di nuovo le guancie.

Poi mi strinse la mano per congedarsi e mi ringraziò. Sorridendo traverso le lacrime, disse che sapeva di poter contare su di me. Il sorriso mi piacque perché certamente non era rivolto al cognato, ma a chi era legato a lei da vincoli segreti. Tentai di dar prova che meritavo quel sorriso e mormorai:

— Quello ch'io temo per Guido non è Carmen, ma il suo giuoco alla Borsa!

Essa si strinse nelle spalle:

— Quello non ha importanza. Ne parlai anche con mamma. Papà giuocava anche lui alla Borsa e vi guadagnò tanti di quei denari!

Io rimasi sconcertato dalla risposta e insistetti:

— Quel Nilini non mi piace. Non è mica vero ch'io sia suo amico!

Essa mi guardò sorpresa:

— A me pare un gentiluomo. Anche Guido gli vuole molto bene. Io credo, poi, che Guido sia ora molto attento ai suoi affari.

Ero ben deciso di non dirle male di Guido e tacqui. Quando mi trovai solo non pensai a Guido, ma a me stesso. Era forse bene che Ada finalmente m'apparisse quale una mia sorella e null'altro. Essa non prometteva e non minacciava amore. Per varii giorni corsi la città inquieto e squilibrato. Non arrivavo a intendermi. Perché mi sentivo come se Carla m'avesse lasciato in quell'istante? Non m'era avvenuto niente di nuovo. Sinceramente credo ch'io abbia avuto sempre bisogno dell'avventura o di qualche complicazione che le somigli. I miei rapporti con Ada non erano ormai più complicati affatto.

Il Nilini dal suo seggiolone un giorno predicò più del solito: dall'orizzonte s'avanzava un nembo, nient'altro che il rincaro del denaro. La Borsa era tutt'ad un tratto satura e non poteva assorbire più nulla.

— Gettiamoci del sodio! - proposi io.

L'interruzione non gli piacque affatto, ma per non dover arrabbiarsi, la trascurò: tutt'ad un tratto il denaro a questo mondo era divenuto scarso e perciò caro. Egli era sorpreso che ciò avvenisse ora mentre egli l'aveva preveduto per un mese più tardi.

— Avranno mandato tutto il denaro alla luna! - dissi io.

— Sono cose serie di cui non bisogna ridere, - affermò il Nilini guardando sempre il soffitto. - Adesso si vedrà chi avrà l'anima del vero lottatore e chi invece al primo colpo soggiacerà.

Come non intesi perché il denaro a questo mondo potesse divenire più scarso, così non indovinai che il Nilini ponesse Guido fra i lottatori di cui si doveva provare il valore. Ero tanto abituato a difendermi dalle sue prediche con la disattenzione, che anche questa, che pur sentii, passò via senza neppur scalfirmi.

Ma pochi giorni appresso il Nilini intonò tutt'altra musica. Era avvenuto un fatto nuovo. Egli aveva scoperto che Guido aveva fatti degli affari con un altro agente di cambio. Il Nilini cominciò col protestare in un tono concitato che egli non aveva mai mancato in nulla verso Guido, neppure nella dovuta discrezione. Di questo egli voleva la mia testimonianza. Non aveva tenuto celati gli affari di Guido persino a me ch'egli continuava a ritenere quale il suo miglior amico? Ma ormai egli era svincolato da qualunque riserbo e poteva gridarmi nelle orecchie che Guido era in perdita fino alla punta dei capelli. Per gli affari ch'erano stati fatti col suo mezzo, egli assicurava che alla più lieve miglioria si sarebbe potuto resistere e aspettare tempi migliori. Era però enorme che alla prima avversità Guido gli avesse fatto torto.

Altro che Ada! La gelosia del Nilini era indomabile. Io volevo avere da lui delle notizie ed egli invece si esasperava sempre più e continuava a parlare del torto che gli era stato fatto. Perciò, contro ogni suo proposito, egli continuò a rimanere discreto.

Nel pomeriggio trovai Guido in ufficio. Era sdraiato sul nostro sofà in un curioso stato intermedio fra la disperazione e il sonno. Gli domandai:

— Tu sei ora in perdita fino agli occhi?

Non mi rispose subito. Levò il braccio col quale si copriva il volto sfatto e disse:

— Hai mai visto un uomo più disgraziato di me?

Riabbassò il braccio e cambiò di posizione mettendosi supino. Rinchiuse gli occhi e parve avesse già dimenticata la mia presenza.

Io non seppi offrirgli alcun conforto. Davvero mi offendeva ch'egli credesse di essere l'uomo più disgraziato del mondo. Non era un'esagerazione la sua; era una vera e propria menzogna. L'avrei soccorso se avessi potuto, ma mi era impossibile di confortarlo. Secondo me neanche chi è più innocente e più disgraziato di Guido merita compassione, perché altrimenti nella nostra vita non ci sarebbe posto che per quel sentimento, ciò che sarebbe un grande tedio. La legge naturale non dà il diritto alla felicità, ma anzi prescrive la miseria e il dolore. Quando viene esposto il commestibile, vi accorrono da tutte le parti i parassiti e, se mancano, s'affrettano di nascere. Presto la preda basta appena, e subito dopo non basta più perché la natura non fa calcoli, ma esperienze. Quando non basta più, ecco che i consumatori devono diminuire a forza di morte preceduta dal dolore e così l'equilibrio, per un istante, viene ristabilito. Perché lagnarsi? Eppure tutti si lagnano. Quelli che non hanno avuto niente della preda muoiono gridando all'ingiustizia e quelli che ne hanno avuto parte trovano che avrebbero avuto diritto ad una parte maggiore. Perché non muoiono e non vivono tacendo? È invece simpatica la gioia di chi ha saputo conquistarsi una parte esuberante del commestibile e si manifesti pure al sole in mezzo agli applausi. L'unico grido ammissibile è quello del trionfatore.

Guido, poi! Egli mancava di tutte le qualità per conquistare od anche solo per tenere la ricchezza. Veniva dal tavolo di giuoco e piangeva per aver perduto. Non si comportava dunque neppure da gentiluomo e a me faceva nausea. Perciò e solo perciò, nel momento in cui Guido avrebbe avuto tanto bisogno del mio affetto, non lo trovò. Neppure i miei ripetuti propositi poterono accompagnarmi fin là.

Intanto la respirazione di Guido andava facendosi sempre più regolare e rumorosa. S'addormentava! Com'era poco virile nella sventura! Gli avevano portato via il commestibile e chiudeva gli occhi forse per sognare di possederlo tuttavia, invece di aprirli ben bene per vedere di strapparne una piccola parte.

Mi venne la curiosità di sapere se Ada fosse stata informata della disgrazia che gli era toccata. Glielo domandai ad alta voce. Egli trasalì ed ebbe bisogno di una pausa per assuefarsi alla sua disgrazia che improvvisamente rivide intera.

— No! - mormorò. Poi rinchiuse gli occhi.

Certamente tutti coloro che sono stati duramente percossi inclinano al sonno. Il sonno ridà le forze. Stetti ancora a guardarlo esitante. Ma come si poteva aiutarlo se dormiva? Non era questo il momento per dormire. Lo afferrai rudemente per una spalla e lo scossi:

— Guido!

Aveva proprio dormito. Mi guardò incerto con l'occhio ancora velato dal sonno eppoi mi domandò:

— Che vuoi? - Subito dopo, adirato, ripeté la sua domanda: - Che vuoi dunque?

Io volevo aiutarlo, altrimenti non avrei neppure avuto il diritto di destarlo. M'arrabbiai anch'io e gridai che questo non era il momento di dormire perché bisognava affrettarsi di vedere come si avrebbe potuto correre ai ripari. C'era da calcolare e discutere con tutti i membri della nostra famiglia e quelli della sua di Buenos Aires.

Guido si mise a sedere. Era ancora un po' sconvolto di essere stato destato a quel modo. Mi disse amaramente:

— Avresti fatto meglio di lasciarmi dormire. Chi vuoi che ora m'aiuti? Non ricordi a quale punto dovetti giungere l'altra volta per avere quel poco di cui abbisognavo per salvarmi? Adesso si tratta di somme considerevoli! A chi vuoi mi rivolga?

Senza nessun affetto e anzi con l'ira di dover dare e privare me e i miei, esclamai:

— E non ci sono anch'io qui? - Poi l'avarizia mi suggerì di attenuare da bel principio il mio sacrificio:

— Non c'è Ada? Non c'è nostra suocera? Non possiamo unirci per salvarti?

Egli si levò e mi si appressò con l'evidente intenzione di abbracciarmi. Ma era proprio questo ch'io non volevo. Avendogli offerto il mio aiuto, avevo ora il diritto di rampognarlo, e ne feci l'uso più largo. Gli rimproverai la sua attuale debolezza eppoi anche la sua presunzione durata fino a quel momento e che l'aveva tratto alla rovina. Aveva agito di propria testa non consultandosi con nessuno. Tante volte io avevo tentato di avere sue comunicazioni per trattenerlo e salvarlo ed egli me le aveva rifiutate serbando la sua fiducia per il solo Nilini.

Qui Guido sorrise, proprio sorrise, il disgraziato! Mi disse che da quindici giorni egli non lavorava più col Nilini essendosi fitto in capo che il grugno di costui gli portasse sventura.

Egli era caratterizzato da quel sonno e da quel sorriso: rovinava tutti attorno a sé e sorrideva. M'atteggiai a giudice severo perché per salvare Guido bisognava prima educarlo. Volli sapere quanto egli avesse perduto e m'arrabbiai quando mi disse di non saperlo esattamente. M'arrabbiai ancora quand'egli mi disse una cifra relativamente piccola che poi risultò rappresentare l'importo che bisognava pagare alla liquidazione del quindici del mese da cui distavamo di soli due giorni. Ma Guido asseriva che fino alla fine del mese c'era del tempo e che le cose potevano mutarsi. La scarsezza del denaro sul mercato non sarebbe durata eternamente.

Gridai:

— Se a questo mondo manca il denaro, vuoi riceverne dalla luna? - Aggiunsi che non bisognava giocare neppure per un giorno di più. Non si doveva rischiare di veder aumentare la perdita già enorme. Dissi anche che la perdita sarebbe stata divisa in quattro parti che avremmo sopportate io, lui (cioè suo padre), la signora Malfenti e Ada, che bisognava ritornare al nostro commercio privo di rischi e che non volevo mai più vedere nel nostro ufficio né il Nilini né alcun altro sensale di cambio.

Egli, mite, mite, mi pregò di non gridare tanto, perché avremmo potuto essere sentiti dai vicini.

Feci un grande sforzo per calmarmi e vi riuscii anche a patto di poter dirgli a bassavoce delle altre insolenze. La sua perdita era addirittura l'effetto di un crimine. Bisognava essere un bestione per mettersi in frangenti simili. Proprio mi pareva ch'era necessario egli subisse intera la lezione.

Qui Guido mitemente protestò. Chi non aveva giocato in Borsa? Nostro suocero, ch'era stato un commerciante tanto solido, non era stato un giorno solo della sua vita privo di qualche impegno. Eppoi - Guido lo sapeva - avevo giocato anch'io.

Protestai che fra gioco e gioco c'era una differenza. Egli aveva rischiato alla Borsa tutto il suo patrimonio, io le rendite di un mese.

Mi fece un triste effetto che Guido tentasse puerilmente di liberarsi della sua responsabilità. Egli asserì che il Nilini lo aveva indotto a giocare più di quanto egli avesse voluto, facendogli credere di avviarlo ad una grande fortuna.

Io risi e lo derisi. Il Nilini non era da biasimarsi perché faceva gli affari suoi. E - del resto - dopo di aver lasciato il Nilini, non si era egli precipitato ad aumentare la propria posta col mezzo di un altro sensale? Avrebbe potuto vantarsi della nuova relazione se con essa si fosse messo a giocare al ribasso ad insaputa del Nilini. Per riparare non poteva certo bastare di cambiare di rappresentante e continuare sulla stessa via perseguitato dallo stesso malocchio. Egli volle indurmi finalmente a lasciarlo in pace, e, con un singhiozzo nella gola, riconobbe di aver sbagliato.

Cessai dal rampognarlo. Ora mi faceva veramente compassione e l'avrei anche abbracciato se egli avesse voluto. Gli dissi che mi sarei occupato subito di provvedere il denaro che io dovevo fornire e che avrei potuto anche occuparmi di parlare con nostra suocera. Egli, invece, si sarebbe incaricato di Ada.

La mia compassione aumentò quand'egli mi confidò che volentieri avrebbe parlato con nostra suocera in vece mia, ma che lo tormentava di dover parlare con Ada.

— Tu sai come son fatte le donne! Gli affari non li capiscono o soltanto quando finiscono bene! - Egli non avrebbe parlato affatto e avrebbe pregata la signora Malfenti d'informarla lei di tutto.

Questa decisione l'alleggerì grandemente e uscimmo insieme. Lo vedevo camminare accanto a me con la testa bassa e mi sentivo pentito di averlo trattato con tanta rudezza. Ma come fare altrimenti se lo amavo? Doveva pur ravvedersi, se non voleva andare incontro alla sua rovina! Come dovevano essere fatte le sue relazioni con la moglie se temeva tanto di parlare con lei!

Ma intanto egli scoperse un modo per indispettirmi di nuovo. Camminando aveva trovato di perfezionare il piano che gli era tanto piaciuto. Non soltanto egli non avrebbe avuto da parlare con la moglie, ma avrebbe fatto in modo di non vederla per quella sera, perché sarebbe subito partito per la caccia. Dopo quel proposito, fu libero da ogni nube. Pareva fosse bastata la prospettiva di poter recarsi all'aria aperta, lontano da ogni pensiero, per avere l'aspetto di trovarvisi diggià e di goderne pienamente. Io ne fui indignato! Con lo stesso aspetto, certo, avrebbe potuto ritornare in Borsa per riprendervi il giuoco nel quale rischiava la fortuna della famiglia e anche la mia.

Mi disse:

— Voglio concedermi quest'ultimo divertimento e t'invito di venire con me a patto che tu prenda l'impegno di non rammentare con una sola parola gli avvenimenti di oggi.

Fin qui aveva parlato sorridendo. Dinanzi alla mia faccia seria, si fece più serio anche lui. Aggiunse:

— Vedi anche tu che ho bisogno di un riposo dopo un colpo simile. Poi mi sarà più facile di riprendere il mio posto nella lotta.

La sua voce s'era velata di un'emozione della cui sincerità non seppi dubitare. Perciò seppi rattenere il mio dispetto o manifestarlo solo col rifiuto del suo invito, dicendogli che io dovevo restare in città per provvedere al denaro necessario. Era già un rimprovero il mio! Io, innocente, restavo al mio posto, mentre lui, il colpevole, poteva andare a spassarsela.

5.9 Storia di un'associazione commerciale 5.9 History of a trade association 5.9 Historique d'une association professionnelle 5.9 História de uma associação profissional

Una sera, di Agosto, egli mi trascinò di nuovo a pesca con lui. Alla luce abbagliante di una luna quasi piena c'era poca probabilità di pigliare qualche cosa all'amo. Ma egli insistette dicendo che in mare avremmo trovato qualche sollievo al caldo. Infatti non vi trovammo altro. Dopo un solo tentativo, non inescammo neppure più gli ami e lasciammo pendere le lenze dalla barchetta che Luciano spinse al largo. I raggi della luna raggiungevano certo il fondo del mare affinando la vista agli animali grossi e rendendoli accorti dell'insidia ed anche agli animalucci piccoli capaci di rosicchiarci l'esca, ma non d'arrivare con la piccola bocca all'amo. Le nostre esche non erano altro che un dono alla minutaglia.

Guido si coricò a poppa ed io a prua. Egli mormorò poco dopo:

— Che tristezza tutta questa luce!

Probabilmente diceva così perché la luce gl'impediva di dormire ed io assentii per fargli piacere ed anche per non turbare con una sciocca discussione la quiete solenne in cui lentamente ci movevamo. Ma Luciano protestò dicendo che a lui quella luce piaceva moltissimo. Visto che Guido non rispondeva, volli farlo tacere dicendogli che la luce era certamente una cosa triste perché si vedevano le cose di questo mondo. Eppoi impediva la pesca. Luciano rise e tacque.

Stemmo zitti molto tempo. Io sbadigliai più volte in faccia alla luna. Rimpiangevo di essermi lasciato indurre di montare in quella barchetta.

Guido improvvisamente mi domandò:

— Tu che sei chimico, sapresti dirmi se sia più efficace il veronal puro o il veronal al sodio?

Io veramente non sapevo neppure che ci fosse un veronal al sodio. Non si può mica pretendere che un chimico sappia il mondo a mente. Io di chimica so tanto da poter trovare subito nei miei libri qualsiasi informazione e inoltre da poter discutere - come si vide in quel caso - anche delle cose che ignoro.

Al sodio? Ma se era saputo da tutti che le combinazioni al sodio erano quelle che più facilmente si assimilavano. Anzi a proposito del sodio ricordai - e riprodussi più o meno esattamente - un inno a quell'elemento elevato da un mio professore all'unica sua prelezione cui avessi assistito. Il sodio era un veicolo sul quale gli elementi montavano per moversi più rapidi. E il professore aveva ricordato come il cloruro di sodio passava da organismo ad organismo e come andava adunandosi per la sola gravità nel buco più profondo della terra, il mare. Io non so se riproducessi esattamente il pensiero del mio professore, ma in quel momento, dinanzi a quell'enorme distesa di cloruro di sodio, parlai del sodio con un rispetto infinito.

Dopo un'esitazione, Guido domandò ancora:

— Sicché chi volesse morire dovrebbe prendere il veronal al sodio?

— Sì, - risposi.

Poi ricordando che ci sono dei casi in cui si può voler simulare un suicidio e non accorgendomi subito che ricordavo a Guido un episodio spiacevole della sua vita, aggiunsi:

— E chi non vuole morire deve prendere del veronal puro.

Gli studii di Guido sul veronal avrebbero potuto darmi da pensare. Invece io non compresi nulla, preoccupato com'ero dal sodio. Nei giorni seguenti fui in grado di portare a Guido nuove prove delle qualità che io avevo attribuite al sodio: anche per accelerare gli amalgami che non sono altro che degli abbracci intensi fra due corpi, abbracci che sostituiscono la combinazione o l'assimilazione, si aggiungeva al mercurio del sodio. Il sodio era il mezzano fra l'oro e il mercurio. Ma a Guido il veronal non importava più, ed io ora penso che in quel momento le sue viste alla Borsa si fossero migliorate.

Nel corso di una settimana, Ada venne in ufficio ben tre volte. Soltanto dopo la seconda, sorse in me l'idea ch'essa mi volesse parlare.

La prima s'imbatté nel Nilini che s'era messo una volta di più ad educarmi. Essa attese per un'ora intera che se ne andasse, ma ebbe il torto di ciarlare con lui ed egli credette perciò di dover restare. Dopo fatte le presentazioni, io respirai, sollevato che il buco mandibolare del Nilini non fosse rivolto a me. Non presi parte alla loro conversazione.

Il Nilini fu persino spiritoso e sorprese Ada raccontando che si facevano altrettante maldicenze al Tergesteo come nel salotto di una signora. Soltanto, secondo lui, alla Borsa, come sempre, si era meglio informati che altrove. Ad Ada sembrò ch'egli calunniasse le donne. Disse di non saper neppure ciò che fosse la maldicenza. A questo punto intervenni io per confermare che, nei lunghi anni in cui la conoscevo, non avevo mai sentita venir dalla sua bocca una parola che avesse neppur ricordato la maldicenza. Sorrisi dicendo ciò perché mi parve di moverle un rimprovero. Essa non era maldicente perché dei fatti altrui non s'occupava. Dapprima, in piena salute, aveva pensato ai fatti proprii e, quando la malattia l'invase, non restò in lei che un piccolo posticino libero, occupato dalla sua gelosia. Era una vera egoista, ma essa accolse la mia testimonianza con gratitudine.

Il Nilini finse di non prestar fede né a lei né a me. Disse di conoscermi da molti anni e di credermi di una grande ingenuità. Ciò mi divertì e divertì anche Ada. Fui molto seccato invece quand'egli - per la prima volta dinanzi a terzi - proclamò ch'ero uno dei migliori suoi amici e che perciò mi conosceva a fondo. Non osai protestare, ma da quella dichiarazione sfacciata mi sentii offeso nel mio pudore, come una fanciulla cui in pubblico fosse stato rimproverato di aver fornicato.

Io ero tanto ingenuo, diceva il Nilini, che Ada, con la solita furberia delle donne, avrebbe potuto fare della maldicenza in mia presenza senza ch'io me ne accorgessi. A me parve che Ada continuasse a divertirsi a quei complimenti di carattere dubbio mentre poi seppi ch'essa lo lasciava parlare sperando si esaurisse e se ne andasse. Ma ebbe un bell'attendere.

Quando Ada ritornò per la seconda volta, mi trovò con Guido. Allora lessi sulla sua faccia un'espressione d'impazienza e indovinai ch'essa voleva proprio me. Finché non ritornò, io mi baloccai coi miei soliti sogni. In fondo essa da me non domandava amore, ma troppo frequentemente voleva trovarsi da sola a solo con me. Per gli uomini era difficile d'intendere quello che le donne volevano anche perché esse stesse talvolta lo ignoravano.

Non mi derivò invece alcun nuovo sentimento dalle sue parole. Essa, non appena poté parlarmi, ebbe la voce strozzata dall'emozione, ma non già perché avesse rivolta la parola a me. Voleva sapere per quale ragione Carmen non fosse stata mandata via. Io le raccontai tutto quanto ne sapevo, compreso quel nostro tentativo di procurarle un posto presso l'Olivi.

Essa fu subito più calma perché quello che le dicevo corrispondeva esattamente a quanto gliene era stato detto da Guido. Poi seppi che gli accessi di gelosia si seguivano da lei a periodi. Venivano senza causa apparente e andavano via per una parola che la convincesse.

Mi fece ancora due domande: se era proprio tanto difficile di trovare un posto per un'impiegata e se la famiglia di Carmen si trovasse in tali condizioni da dipendere dal guadagno della fanciulla.

Le spiegai che infatti a Trieste era difficile allora di trovare del lavoro per le donne, negli uffici. In quanto alla sua seconda domanda, non potevo risponderle perché della famiglia di Carmen io non conoscevo nessuno.

— Guido invece conosce tutti in quella casa, - mormorò Ada con ira e le lacrime le irrorarono di nuovo le guancie.

Poi mi strinse la mano per congedarsi e mi ringraziò. Sorridendo traverso le lacrime, disse che sapeva di poter contare su di me. Il sorriso mi piacque perché certamente non era rivolto al cognato, ma a chi era legato a lei da vincoli segreti. Tentai di dar prova che meritavo quel sorriso e mormorai:

— Quello ch'io temo per Guido non è Carmen, ma il suo giuoco alla Borsa!

Essa si strinse nelle spalle:

— Quello non ha importanza. Ne parlai anche con mamma. Papà giuocava anche lui alla Borsa e vi guadagnò tanti di quei denari!

Io rimasi sconcertato dalla risposta e insistetti:

— Quel Nilini non mi piace. Non è mica vero ch'io sia suo amico!

Essa mi guardò sorpresa:

— A me pare un gentiluomo. Anche Guido gli vuole molto bene. Io credo, poi, che Guido sia ora molto attento ai suoi affari.

Ero ben deciso di non dirle male di Guido e tacqui. Quando mi trovai solo non pensai a Guido, ma a me stesso. Era forse bene che Ada finalmente m'apparisse quale una mia sorella e null'altro. Essa non prometteva e non minacciava amore. Per varii giorni corsi la città inquieto e squilibrato. Non arrivavo a intendermi. Perché mi sentivo come se Carla m'avesse lasciato in quell'istante? Non m'era avvenuto niente di nuovo. Sinceramente credo ch'io abbia avuto sempre bisogno dell'avventura o di qualche complicazione che le somigli. I miei rapporti con Ada non erano ormai più complicati affatto.

Il Nilini dal suo seggiolone un giorno predicò più del solito: dall'orizzonte s'avanzava un nembo, nient'altro che il rincaro del denaro. La Borsa era tutt'ad un tratto satura e non poteva assorbire più nulla.

— Gettiamoci del sodio! - proposi io.

L'interruzione non gli piacque affatto, ma per non dover arrabbiarsi, la trascurò: tutt'ad un tratto il denaro a questo mondo era divenuto scarso e perciò caro. Egli era sorpreso che ciò avvenisse ora mentre egli l'aveva preveduto per un mese più tardi.

— Avranno mandato tutto il denaro alla luna! - dissi io.

— Sono cose serie di cui non bisogna ridere, - affermò il Nilini guardando sempre il soffitto. - Adesso si vedrà chi avrà l'anima del vero lottatore e chi invece al primo colpo soggiacerà.

Come non intesi perché il denaro a questo mondo potesse divenire più scarso, così non indovinai che il Nilini ponesse Guido fra i lottatori di cui si doveva provare il valore. Ero tanto abituato a difendermi dalle sue prediche con la disattenzione, che anche questa, che pur sentii, passò via senza neppur scalfirmi.

Ma pochi giorni appresso il Nilini intonò tutt'altra musica. Era avvenuto un fatto nuovo. Egli aveva scoperto che Guido aveva fatti degli affari con un altro agente di cambio. Il Nilini cominciò col protestare in un tono concitato che egli non aveva mai mancato in nulla verso Guido, neppure nella dovuta discrezione. Di questo egli voleva la mia testimonianza. Non aveva tenuto celati gli affari di Guido persino a me ch'egli continuava a ritenere quale il suo miglior amico? Ma ormai egli era svincolato da qualunque riserbo e poteva gridarmi nelle orecchie che Guido era in perdita fino alla punta dei capelli. Per gli affari ch'erano stati fatti col suo mezzo, egli assicurava che alla più lieve miglioria si sarebbe potuto resistere e aspettare tempi migliori. Era però enorme che alla prima avversità Guido gli avesse fatto torto.

Altro che Ada! La gelosia del Nilini era indomabile. Io volevo avere da lui delle notizie ed egli invece si esasperava sempre più e continuava a parlare del torto che gli era stato fatto. Perciò, contro ogni suo proposito, egli continuò a rimanere discreto.

Nel pomeriggio trovai Guido in ufficio. Era sdraiato sul nostro sofà in un curioso stato intermedio fra la disperazione e il sonno. Gli domandai:

— Tu sei ora in perdita fino agli occhi?

Non mi rispose subito. Levò il braccio col quale si copriva il volto sfatto e disse:

— Hai mai visto un uomo più disgraziato di me?

Riabbassò il braccio e cambiò di posizione mettendosi supino. Rinchiuse gli occhi e parve avesse già dimenticata la mia presenza.

Io non seppi offrirgli alcun conforto. Davvero mi offendeva ch'egli credesse di essere l'uomo più disgraziato del mondo. Non era un'esagerazione la sua; era una vera e propria menzogna. L'avrei soccorso se avessi potuto, ma mi era impossibile di confortarlo. Secondo me neanche chi è più innocente e più disgraziato di Guido merita compassione, perché altrimenti nella nostra vita non ci sarebbe posto che per quel sentimento, ciò che sarebbe un grande tedio. La legge naturale non dà il diritto alla felicità, ma anzi prescrive la miseria e il dolore. Quando viene esposto il commestibile, vi accorrono da tutte le parti i parassiti e, se mancano, s'affrettano di nascere. Presto la preda basta appena, e subito dopo non basta più perché la natura non fa calcoli, ma esperienze. Quando non basta più, ecco che i consumatori devono diminuire a forza di morte preceduta dal dolore e così l'equilibrio, per un istante, viene ristabilito. Perché lagnarsi? Eppure tutti si lagnano. Quelli che non hanno avuto niente della preda muoiono gridando all'ingiustizia e quelli che ne hanno avuto parte trovano che avrebbero avuto diritto ad una parte maggiore. Perché non muoiono e non vivono tacendo? È invece simpatica la gioia di chi ha saputo conquistarsi una parte esuberante del commestibile e si manifesti pure al sole in mezzo agli applausi. L'unico grido ammissibile è quello del trionfatore.

Guido, poi! Egli mancava di tutte le qualità per conquistare od anche solo per tenere la ricchezza. Veniva dal tavolo di giuoco e piangeva per aver perduto. Non si comportava dunque neppure da gentiluomo e a me faceva nausea. Perciò e solo perciò, nel momento in cui Guido avrebbe avuto tanto bisogno del mio affetto, non lo trovò. Neppure i miei ripetuti propositi poterono accompagnarmi fin là.

Intanto la respirazione di Guido andava facendosi sempre più regolare e rumorosa. S'addormentava! Com'era poco virile nella sventura! Gli avevano portato via il commestibile e chiudeva gli occhi forse per sognare di possederlo tuttavia, invece di aprirli ben bene per vedere di strapparne una piccola parte.

Mi venne la curiosità di sapere se Ada fosse stata informata della disgrazia che gli era toccata. Glielo domandai ad alta voce. Egli trasalì ed ebbe bisogno di una pausa per assuefarsi alla sua disgrazia che improvvisamente rivide intera.

— No! - mormorò. Poi rinchiuse gli occhi.

Certamente tutti coloro che sono stati duramente percossi inclinano al sonno. Il sonno ridà le forze. Stetti ancora a guardarlo esitante. Ma come si poteva aiutarlo se dormiva? Non era questo il momento per dormire. Lo afferrai rudemente per una spalla e lo scossi:

— Guido!

Aveva proprio dormito. Mi guardò incerto con l'occhio ancora velato dal sonno eppoi mi domandò:

— Che vuoi? - Subito dopo, adirato, ripeté la sua domanda: - Che vuoi dunque?

Io volevo aiutarlo, altrimenti non avrei neppure avuto il diritto di destarlo. M'arrabbiai anch'io e gridai che questo non era il momento di dormire perché bisognava affrettarsi di vedere come si avrebbe potuto correre ai ripari. C'era da calcolare e discutere con tutti i membri della nostra famiglia e quelli della sua di Buenos Aires.

Guido si mise a sedere. Era ancora un po' sconvolto di essere stato destato a quel modo. Mi disse amaramente:

— Avresti fatto meglio di lasciarmi dormire. Chi vuoi che ora m'aiuti? Non ricordi a quale punto dovetti giungere l'altra volta per avere quel poco di cui abbisognavo per salvarmi? Adesso si tratta di somme considerevoli! A chi vuoi mi rivolga?

Senza nessun affetto e anzi con l'ira di dover dare e privare me e i miei, esclamai:

— E non ci sono anch'io qui? - Poi l'avarizia mi suggerì di attenuare da bel principio il mio sacrificio:

— Non c'è Ada? Non c'è nostra suocera? Non possiamo unirci per salvarti?

Egli si levò e mi si appressò con l'evidente intenzione di abbracciarmi. Ma era proprio questo ch'io non volevo. Avendogli offerto il mio aiuto, avevo ora il diritto di rampognarlo, e ne feci l'uso più largo. Gli rimproverai la sua attuale debolezza eppoi anche la sua presunzione durata fino a quel momento e che l'aveva tratto alla rovina. Aveva agito di propria testa non consultandosi con nessuno. Tante volte io avevo tentato di avere sue comunicazioni per trattenerlo e salvarlo ed egli me le aveva rifiutate serbando la sua fiducia per il solo Nilini.

Qui Guido sorrise, proprio sorrise, il disgraziato! Mi disse che da quindici giorni egli non lavorava più col Nilini essendosi fitto in capo che il grugno di costui gli portasse sventura.

Egli era caratterizzato da quel sonno e da quel sorriso: rovinava tutti attorno a sé e sorrideva. M'atteggiai a giudice severo perché per salvare Guido bisognava prima educarlo. Volli sapere quanto egli avesse perduto e m'arrabbiai quando mi disse di non saperlo esattamente. M'arrabbiai ancora quand'egli mi disse una cifra relativamente piccola che poi risultò rappresentare l'importo che bisognava pagare alla liquidazione del quindici del mese da cui distavamo di soli due giorni. Ma Guido asseriva che fino alla fine del mese c'era del tempo e che le cose potevano mutarsi. La scarsezza del denaro sul mercato non sarebbe durata eternamente.

Gridai:

— Se a questo mondo manca il denaro, vuoi riceverne dalla luna? - Aggiunsi che non bisognava giocare neppure per un giorno di più. Non si doveva rischiare di veder aumentare la perdita già enorme. Dissi anche che la perdita sarebbe stata divisa in quattro parti che avremmo sopportate io, lui (cioè suo padre), la signora Malfenti e Ada, che bisognava ritornare al nostro commercio privo di rischi e che non volevo mai più vedere nel nostro ufficio né il Nilini né alcun altro sensale di cambio.

Egli, mite, mite, mi pregò di non gridare tanto, perché avremmo potuto essere sentiti dai vicini.

Feci un grande sforzo per calmarmi e vi riuscii anche a patto di poter dirgli a bassavoce delle altre insolenze. La sua perdita era addirittura l'effetto di un crimine. Bisognava essere un bestione per mettersi in frangenti simili. Proprio mi pareva ch'era necessario egli subisse intera la lezione.

Qui Guido mitemente protestò. Chi non aveva giocato in Borsa? Nostro suocero, ch'era stato un commerciante tanto solido, non era stato un giorno solo della sua vita privo di qualche impegno. Eppoi - Guido lo sapeva - avevo giocato anch'io.

Protestai che fra gioco e gioco c'era una differenza. Egli aveva rischiato alla Borsa tutto il suo patrimonio, io le rendite di un mese.

Mi fece un triste effetto che Guido tentasse puerilmente di liberarsi della sua responsabilità. Egli asserì che il Nilini lo aveva indotto a giocare più di quanto egli avesse voluto, facendogli credere di avviarlo ad una grande fortuna.

Io risi e lo derisi. Il Nilini non era da biasimarsi perché faceva gli affari suoi. E - del resto - dopo di aver lasciato il Nilini, non si era egli precipitato ad aumentare la propria posta col mezzo di un altro sensale? Avrebbe potuto vantarsi della nuova relazione se con essa si fosse messo a giocare al ribasso ad insaputa del Nilini. Per riparare non poteva certo bastare di cambiare di rappresentante e continuare sulla stessa via perseguitato dallo stesso malocchio. Egli volle indurmi finalmente a lasciarlo in pace, e, con un singhiozzo nella gola, riconobbe di aver sbagliato.

Cessai dal rampognarlo. Ora mi faceva veramente compassione e l'avrei anche abbracciato se egli avesse voluto. Gli dissi che mi sarei occupato subito di provvedere il denaro che io dovevo fornire e che avrei potuto anche occuparmi di parlare con nostra suocera. Egli, invece, si sarebbe incaricato di Ada.

La mia compassione aumentò quand'egli mi confidò che volentieri avrebbe parlato con nostra suocera in vece mia, ma che lo tormentava di dover parlare con Ada.

— Tu sai come son fatte le donne! Gli affari non li capiscono o soltanto quando finiscono bene! - Egli non avrebbe parlato affatto e avrebbe pregata la signora Malfenti d'informarla lei di tutto.

Questa decisione l'alleggerì grandemente e uscimmo insieme. Lo vedevo camminare accanto a me con la testa bassa e mi sentivo pentito di averlo trattato con tanta rudezza. Ma come fare altrimenti se lo amavo? Doveva pur ravvedersi, se non voleva andare incontro alla sua rovina! Come dovevano essere fatte le sue relazioni con la moglie se temeva tanto di parlare con lei!

Ma intanto egli scoperse un modo per indispettirmi di nuovo. Camminando aveva trovato di perfezionare il piano che gli era tanto piaciuto. Non soltanto egli non avrebbe avuto da parlare con la moglie, ma avrebbe fatto in modo di non vederla per quella sera, perché sarebbe subito partito per la caccia. Dopo quel proposito, fu libero da ogni nube. Pareva fosse bastata la prospettiva di poter recarsi all'aria aperta, lontano da ogni pensiero, per avere l'aspetto di trovarvisi diggià e di goderne pienamente. Io ne fui indignato! Con lo stesso aspetto, certo, avrebbe potuto ritornare in Borsa per riprendervi il giuoco nel quale rischiava la fortuna della famiglia e anche la mia.

Mi disse:

— Voglio concedermi quest'ultimo divertimento e t'invito di venire con me a patto che tu prenda l'impegno di non rammentare con una sola parola gli avvenimenti di oggi.

Fin qui aveva parlato sorridendo. Dinanzi alla mia faccia seria, si fece più serio anche lui. Aggiunse:

— Vedi anche tu che ho bisogno di un riposo dopo un colpo simile. Poi mi sarà più facile di riprendere il mio posto nella lotta.

La sua voce s'era velata di un'emozione della cui sincerità non seppi dubitare. Perciò seppi rattenere il mio dispetto o manifestarlo solo col rifiuto del suo invito, dicendogli che io dovevo restare in città per provvedere al denaro necessario. Era già un rimprovero il mio! Io, innocente, restavo al mio posto, mentre lui, il colpevole, poteva andare a spassarsela.