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Conversazioni d'autore, 'L'angelo sterminatore' con Marco Ruffolo e Sergio Rizzo

'L'angelo sterminatore' con Marco Ruffolo e Sergio Rizzo

Eccoci, buongiorno a tutti. Buongiorno a Marco Ruffolo, autore dell'info di cui parliamo

oggi, l'angelo sferminatore, e a Sergio Rizzo che ringrazio molto e che ne discuterà con

Marco. Io tra pochi secondi lascerò a Sergio la parola, volevo solo dire che sono particolarmente

contento di questa chiacchierata del nostro Rubrica di Casa la Terza, prima di tutto perché

non c'è persona più qualificata di Sergio Rizzo a discutere di questo tema. Sergio Rizzo è noto,

credo, alla gran parte, anzitutti, maggiori i nostri ascoltatori, comunque è un giornalista

di grande e lunga esperienza che ha lavorato in vari giornali, oggi collabora a Repubblica,

lo stesso giornale a cui ha lavorato per tanti anni Marco Ruffolo come capo redattore economia,

e Rizzo è noto anche per i libri che ha scritto. Ne cito solo due perché non dovevo citare tanto,

uno è il libro sulla casta che ha aperto una stagione insieme a Gian Antonio Stella,

che ha aperto una stagione di discussione molto importante sul tema, anche quello di cui parliamo

stasera, e l'ultimo, che affronta molti dei temi stasera, che riprendiamoci

lo Stato, un libro scritto insieme a Tito Boeri, che peraltro, colgo l'occasione,

rivedremo tutti insieme al Festival di Economia che ai primi di giugno affronterà proprio questo

tema, il tema del ritorno dello Stato. Marco Ruffolo è al suo primo libro, credo, vero Marco?

Sì, alla tenera età di 66 anni ho deciso di scrivere il primo libro.

Ecco, Marco è al suo primo libro e Marco non si dispiacerà, colgo l'occasione per dire che però

sono anche un po' emozionato, come sono stato emozionato quando abbiamo cominciato a parlare

con Marco, con cui ci conosciamo da tanti anni, perché i nostri genitori, Giorgio, padre di Marco,

e mio padre, avevano un legame che non era soltanto di editori e d'autore. Il mio primo

libro, Sergio, di cui ho fatto la redazione, devi sapere, è un libro di Giorgio Ruffolo,

che si ha la qualità sociale, quando sono entrato nell'81 in casa editrice. Quindi,

per me Giorgio era un mito, anche dal punto di vista di grande intellettuale,

un intellettuale pubblico. Era un grande amico di mio padre, faceva parte di un gruppo di autori

che si incontravano spesso a cena, si vedevano, e quindi voglio dire, sono particolarmente contento

oggi di essere l'editore di un libro di Marco. Vi lascio, credo che il tema sia straordinariamente

interessante. Dicevo stamattina a Marco che è stato in trasmissione a Quante storie,

una delle trasmissioni più meritevoli dal punto di vista di un editore, perché presentano libri,

e non sempre soltanto di autori molto noti. Questo è un pregio di Giorgio Zanchini,

Vladimir Opolki, Augas, eccetera, e ha fatto indici di ascolto altissimi. Quindi ho detto a Marco,

abbiamo scoperto che la burocrazia è pop, diversamente dai pregiudizi che abbiamo,

invece. Con questo buon auspicio vi lascio e passo la parola a Sergio Rizzo per iniziare

il vostro dialogo. Grazie, grazie Pepe. Sì, la burocrazia è pop, ma anche perché ormai è

diventato uno spettacolo, se ne raccontano talmente tante su come funziona, anzi,

su come non funziona questo Paese che quasi sconfiniamo nel campo della letteratura.

E tutto sommato questo libro è un libro quasi di narrativa, nel senso che è un viaggio dentro

le disfunzioni di questo Paese, ma attraverso gli occhi di un presunto Presidente del Consiglio,

di cui non conosciamo il nome, però possiamo tratteggiare una figura,

che è una figura diciamo recente, con qualche sfumatura, diciamo ancora più recente,

che appunto va questo viaggio attraverso le follie del Paese, arrivando poi a capire quali

sono e a spiegare quali sono i punti su cui bisognerebbe intervenire. Ce n'è uno in particolare

che a me sta particolarmente a cuore, perché ogni volta che mi capita batto lì pubblicamente,

e anche sul giornale l'ho scritto diverse volte, anche perché la pandemia, questo momento

terribile che stiamo attraversando, l'ha messo drammaticamente in evidenza, ed è il ruolo

delle Regioni, insomma in qualche modo l'anomalia di un Paese centralista che però vuole essere

federalista, che ha fatto un pasticcio dividendosi in venti, con delle pesanti ripercussioni anche

sui diritti dei cittadini, non soltanto sul malfunzionamento del Paese, ma di questo poi

ne parleremo. Vorrei sapere però da Marco subito, perché l'angelo sterminatore? Cioè qual è il

collegamento con quel meraviglioso film di Luigi Buglioli? Dunque il collegamento è presto detto,

si immagina che questo premier convochi i giornalisti alle 8 del mattino e per due giorni

di seguito li costringa a stare nella sala stampa di Palazzo Chigi per dire come e perché l'Italia

si è bloccata, ha intrappolato se stessa, come non si riescano a spendere se non in

piccolissima parte i soldi di Bruxelles. Prima di questa lunghissima maratona nella quale fa una

sua diagnosi e poi il secondo giorno annuncia una riforma radicale dello Stato, all'inizio fa

proiettare su un grande schermo alcune scene dell'angelo sterminatore. La metafora cinematografica

è questa, cioè proprio come i personaggi del film di Buñuel, una cena tra amici, alla fine

della serata non riescono per una forza misteriosa che è appunto l'angelo sterminatore a uscire dalla

porta e quindi rimangono intrappolati nella casa dove sono stati ospitati, ecco allo stesso modo

nel nostro paese qualsiasi programma politico, qualsiasi legge, qualsiasi riforma, qualsiasi opera

pubblica soprattutto nel momento in cui viene avviata poi non riesce a superare, a oltrepassare

la soglia della realizzabilità e quindi a trasferirsi nella società cambiando convenienze,

comportamenti eccetera. Quindi ecco la metafora è un po' questa, a questo punto questo immaginario

premier del racconto dice prima di annunciare qualsiasi altra riforma bisogna guardare in faccia

il nostro angelo sterminatore e capire tutto quel coacervo di nodi irrisolti che stanno venendo alla

superficie e che ci impediscono di fare qualsiasi cosa, di innovare l'Italia.

Non è un... allora spesso ci si rifugia nelle questioni antropologiche,

no? Cioè quasi come se l'Italia fosse un paese che non può essere governato perché

gli italiani non lo sanno governare, no? C'è tutta come dire una letteratura su...

Perfino addirittura mi pare che perfino negli anni trenta Mussolini se ne uscì con una frase

di questo tipo, no? Almeno questo è stato tramandato quantomeno nelle citazioni che

sono state fatte in passato. Ma non è ovviamente una questione antropologica,

ma tu ti sei fatto un'idea di come si è arrivati a questa situazione qua? Cioè di come sia possibile

che non si riesca mai a risolvere un problema e tutte le volte che si riesce, che si affronta

un problema per risolverlo, invece di risolverlo probabilmente si peggiora la situazione. Ti sei

fatto un'idea? Ma l'idea intanto è che non è un problema... la classe politica italiana pensa

che tutto sia un problema politico, cioè un problema di scelta tra una linea politica e

un'altra. E quindi non so, abbassare le tasse piuttosto che aumentare gli investimenti pubblici.

Quindi la prima è lo slogan fondamentale della destra, il secondo è l'argomento di fondo della

sinistra. Ma annunciando i loro slogan o facendo e approvando le loro leggi pensano di avere dei

plotoni di dietro, dei plotoni di amministratori pubblici che sono pronti a realizzare le loro

opere. In realtà poi non è così. Il problema però non è neppure banalmente burocratico,

cioè non è il problema di qualche laccio e lacciuolo che deve essere eliminato e quindi

eliminato per esempio attraverso un decreto di semplificazione. Ne abbiamo visti caterbe di

decreti di semplificazione che non hanno semplificato niente, così come di tanti decreti

sblocca-cantieri che non hanno sbloccato assolutamente niente. Questo perché il bersaglio

era sbagliato e continua forse ad essere sbagliato, cioè il bersaglio appunto non è semplicemente la

resistenza della burocrazia e poco altro, ma è un problema di come è organizzato e strutturato

questo nostro Stato. Ed è come se ci fosse una grande tenaglia che stringe lo Stato dall'esterno

e dall'interno. Dall'esterno per esempio attraverso tutta la sovrapposizione di competenze e di poteri,

a cominciare come dicevi giustamente tu prima, dalla sovrapposizione di competenze tra lo Stato

e le regioni. È un conflitto continuo che purtroppo abbiamo da quando nel 2000-2001 è stata riformata

la Costituzione per opera del centro-sinistra per andare dietro alle spinte federaliste della

Lega e evitare che si trasformassero in pulsioni secessioniste. Ed è stato fatto, come dicevi tu,

un grande pasticcio perché sono stati dati dei poteri alle regioni che non avevano mai avuto,

sicuramente all'inizio quando fu fatta la Costituzione. E si previde che in 22 materie,

non di poco conto, ma materie fondamentali, la competenza fosse assegnata alle regioni in

condominio, in concorrenza con lo Stato. Questo invece di produrre una collaborazione tra Stato

e regioni ha iniziato per creare un conflitto permanente fatto di contenziosi, di ricorsi alla

Corte Costituzionale che ha finito per bloccare qualsiasi decisione politica o comunque per

allungarne terribilmente i tempi con dei costi sociali ed economici pazzeschi. Ma anche,

ricordare, costi di vite umane. Facciamo un esempio, tanto per essere concreti. Allora,

il 12 luglio del 2016 in Puglia, tra Andrea e Corato, entrarono in collisione, si scontrarono

due treni sullo stesso binario, facendo 23 morti. E questo perché? Perché non avevano,

su quel tratto ferroviario non c'erano gli standard di sicurezza che già erano sulla

rete nazionale. In realtà, l'anno prima, il governo in carica aveva preparato un decreto

che appunto estendeva gli standard di sicurezza nazionali anche ai tratti regionali. Ebbene,

questo decreto è entrato in un spazzesco rimpallo tra regioni e Stato, dove le regioni

pretendevano modificarlo in un senso piuttosto che in un altro. Questo rimpallo è andato avanti

per oltre un anno e nel frattempo è avvenuto l'incidente. Ma anche molto più vicino a noi,

se noi vediamo quello che è successo e sta anche purtroppo succedendo nella lotta alla

pandemia. Esattamente un anno fa, con il decreto rilancio approvato dal governo, stanziava un

miliardo e cento per il potenziamento delle terapie intensive. Ovviamente le regioni,

avendo la competenza nella sanità, così come nel caso delle ferrovie avevano competenza sui

trasporti, hanno cominciato a fare i loro piani, che dopo molto tempo, con i soliti ritardi,

hanno trasmesso al commissario governativo. Ma questi piani erano privi completamente dei

dettagli operativi, logistici, dovevano essere rifatti da capo. Ed è riniziato il solito

rimpallo. Il risultato è che a sei mesi dallo stanziamento di quei fondi che dovevano andare a

potenziare negli ospedali le terapie intensive, nessun cantiere era stato aperto. E nel frattempo

è scoppiata la seconda ondata pandemica. Ma di esempi di questo se ne potrebbero fare tantissimi.

Ecco, in questo braccio esterno non ci sono soltanto queste sovrapposizioni di poteri,

soprattutto sul territorio, a cominciare dalle regioni e dallo Stato, ma ci sono una serie di

controlli asfissianti, ma sostanzialmente inutili, perché sono quasi tutti procedurali e formali,

nessuno è reale sul campo, che paralizzano l'azione dei pubblici amministratori e molto

spesso si accompagnano anche a delle minacce giudiziarie, anche diciamo la verità,

e io sto parlando di controlli e di alto là che vengono dalla Corte dei Conti, dai TAR,

dal Consiglio di Stato, dall'ANAC, dalle stesse procure penali che sbandierano il reato di abuso

d'ufficio in quantità enorme, quasi non c'è nessun amministratore locale che non sia stato

raggiunto in Italia da un sospetto di abuso d'ufficio. Questi sono dei controlli che vanno

rivisti completamente, mentre il vero controllo bisognerebbe affidarlo al Parlamento, perché

all'inizio, quando è stata l'idea dei nostri costituenti, era che il Parlamento dovesse

svolgere una funzione non soltanto legislativa, ma una funzione di vigilanza sull'operato

esecutivo e quindi del governo, della pubblica amministrazione. Poi in realtà non si è fatto

nulla di questo potere, se non quello di una serie inutile di interpellanze e interrogazioni

che lasciano il tempo che trovano. In realtà bisognerebbe affidare, così come è stato fatto

negli Stati Uniti, con il Congresso che ha all'interno un ufficio molto potente che si

chiama Government Accountability Office, è un ufficio che ha l'incarico di valutare e quindi

controllare le politiche pubbliche. Noi non abbiamo nulla di questo genere, abbiamo invece

scopiazzato male la riforma del sistema di valutazione americano, creando però una serie

di obiettivi che sono quasi tutti procedurali e non sostanziali. Questo è il braccio esterno,

poi ci sono i limiti della politica e i limiti della pubblica amministrazione. Il limite

fondamentale della pubblica amministrazione è che manca di competenze, questo purtroppo

è un limite che riportiamo dietro da oltre un secolo, perché da sempre, dall'età giulittiana

in poi, c'è stata una prevalenza di figure giuridiche su quelle tecnico-operative scientifiche,

ma adesso però la contraposizione è anche molto più terra-terra, cioè adesso prevalgono

le figure generaliste su quelle veramente competenti. Questo è poi peggiorato da un

livellamento retributivo, dalla distribuzione di premi a pioggia, da un mancato riconoscimento

delle professionalità e dal modo assurdo in cui vengono fatti i concorsi in Italia,

quando si fanno, perché non sempre si fanno, non sono concorsi mirati, cioè non sono concorsi

che vanno a dare una risposta ai fabbisogni veri delle pubbliche amministrazioni. Per

esempio che cosa succede quando le amministrazioni hanno bisogno di assunzioni? Mandano i loro

fabbisogni al dipartimento della funzione pubblica, che non ha nessun potere, ha soltanto

una funzione di coordinamento tra le varie amministrazioni. Però questi fabbisogni sono

per lo più finti, cioè che cosa sono? Sono quello che manca all'amministrazione per ripristinare

la pianta organica, ma non è detto assolutamente che quella pianta organica corrisponda al

fabbisogno effettivo di quell'amministrazione, semplicemente si ripristina lo status quo,

e lo status quo vede una situazione nella quale c'è uno squilibrio per esempio di personale

assurdo in Italia, tra settori e settori e tra zone e zone, tra il nord e il sud, per

esempio la sanità è chiaramente sottodimensionata, la difesa è sovradimensionata nel personale.

Però quando poi le amministrazioni mandano le loro richieste di assunzioni puntano semplicemente

a ripristinare la pianta organica. E poi per finire c'è il limite della politica

fondamentale che è quello di pretendere che le leggi che vengono approvate si realizzino

quasi da sole. Se noi andiamo a vedere come sono scritte le leggi, a parte che sono scritte

in un modo incomprensibile, ma oltre a questo il problema fondamentale è che pretendono

di regolamentare tutto, cioè non sono leggi che hanno le caratteristiche della strattezza

e della generalità come dovrebbero, ma sono dei veri e propri regolamenti minuziosi, talmente

dettagliati che finiscono per creare delle gabbie e delle gabbie di togliere qualsiasi

spazio di manovra agli amministratori. Ma anche delle gabbie dalle quali è difficile

uscire talvolta perché non c'hanno neanche le serature. Voglio dire, i decreti attuativi

che ogni legge prevede spesso e volentieri non si fanno, il risultato è che tu hai la

legge scritta sul decreto ufficiale ma che poi non viene applicata. Perché poi entra quasi

sempre, 9 volte su 10, in conflitto con le norme che si sono accumulate nel frattempo.

È stato credo fatto un calcolo, dall'Unità d'Italia adesso si sono prodotti 220.000 atti

normativi di cui la metà ancora in vigore e tra quelli in vigore ce ne sono tranquillamente

alcuni che confliggono gli uni con gli altri, tranquillamente sono tutti quanti in vigore.

Non abbiamo fatto quello che hanno fatto i francesi e i tedeschi che hanno sistematizzato

le leggi in pochi testi unici, sfrondando parecchie norme che non ci sono più, e invece

noi abbiamo un caos legislativo spaventoso, ma soprattutto un caos che toglie autonomia

agli amministratori. Mi sono domandato molte volte qual è il germe di questo caos e sono

arrivato alla conclusione che in Italia manca la continuità amministrativa seriamente, nel senso

che se tu vai a vedere quanto durano i governi, è impressionante, dal 2005, da quando anche la

Merkel è diventata cancelliere in Germania, noi abbiamo avuto, questo è l'ottavo governo,

ma la cosa incredibile è che il numero delle persone diverse che si sono avvicendate al

governo come ministri, come sottosegretari, come viceministri, io le ho contate, sono 517.

Cioè tu hai avuto 517 persone che hanno avuto responsabilità di governo diretta,

responsabilità dirette, cioè erano quelli che scrivono le leggi e che facevano i decreti,

eccetera, e non è cambiato assolutamente niente. Questa cosa non ha portato a dei cambiamenti,

questo grande impegno di risorse umane non ha portato dei significativi miglioramenti

alla condizione economica e sociale di questo Paese. Perché questo? Perché tu riesci a fare

un governo che sta in carica un anno, 420 giorni mediamente, credo, e dopodiché quando hai impostato

un lavoro il ministro che viene dopo già deve smontare tutto di nuovo. Guarda, un caso, diciamo,

forse più chiaro dei tanti che si potrebbero fare è quello del Ministero del Turismo. Quando è

arrivato il primo governo Conte, per capirci quello lega 5 stelle, hanno preso il turismo,

l'hanno tolto dai beni culturali e l'hanno messo nell'agricoltura. Quelli ci hanno messo dieci mesi

per fare il decreto che in qualche modo doveva istituire il dipartimento dentro il ministero,

eccetera eccetera. Il fatto è che poi è caduto il governo, è arrivato il governo Conte e Biss,

quello con il PD, e il turismo è ripassato ai beni culturali. Cioè, voglio dire, già questa

cosa ti fa capire che tu hai preso un anno, l'hai buttato alla finestra, perché non hai potuto

una strategia di promozione turistica, soprattutto una serie di cose. Questo è piccolo,

naturalmente, ma se tu questa cosa qui la ribalti sull'arco temporale che va dal 48 fino a oggi,

dove abbiamo avuto 66 governi, è chiaro che poi alla fine c'è un'incapacità del Paese,

della politica di governare la burocrazia. Sì, sì, non c'è dubbio. Il problema è che

poi anche quando ci sono delle leggi che durano, perché non c'è la sostituzione di un ministro con

un altro che sicuramente è una delle fonti di insicurezza più gravi, appunto l'amministratore

si trova ad essere paralizzato, sia appunto da quei controlli che abbiamo detto, da quei veti e

controveti, sia dal fatto che si trova di fronte a delle leggi assolutamente inapplicabili, per

quanto sono dettagliate, per quanto sono rigide. Oggi un amministratore, nella maggior parte dei

casi un amministratore pubblico, per prendere una decisione deve esserci una legge ad hoc che non

soltanto glielo consente, ma glielo prescrive nei dettagli e queste leggi ad hoc non sempre ci

sono e non sempre sono scritte in questo modo. Ecco, questo bisognerebbe trasformare completamente

il modo di fare le leggi in Italia, anche perché questo restituisce anche la vera funzione legislativa

al Parlamento, se le leggi vengono fatte in questo modo assolutamente dettagliato e regolamentare.

E' ovvio che poi l'attività del Parlamento finisce per essere quella di emendatori

dell'ultima istanza e per occuparsi di cose talmente dettagliate e particolari che si perde

il senso e l'obiettivo che aveva quella legge. Le leggi dovrebbero essere fatte di obiettivi,

leggi di principio, poi deve essere nella sua autonomia l'amministratore che deve trovare via

via gli strumenti necessari per realizzare gli obiettivi che gli ha posto la politica con quella

legge. Il problema è che qua c'è un luogo comune che il premier immaginario di questo racconto vuole

smontare a tutti i costi. Il luogo comune che si solleva soprattutto da una parte è che

introducendo nella pubblica amministrazione, nello Stato, metodi di lavoro simili a quelli

delle imprese private, quindi con grande autonomia e flessibilità, non si farebbero più gli interessi

pubblici. Questa è un'equazione che non sta in piedi da nessuna parte, perché non è assolutamente

detta questa. Nel senso che non si tratta di affidare agli amministratori gli obiettivi.

Gli obiettivi sono chiari che devono essere posti dalla politica in rappresentanza dei

cittadini, ma nel modo in cui si realizzano questi obiettivi lì sì che devi dare autonomia

all'amministratore. Gli amministratori non possono amministrare e gestire la cosa pubblica semplicemente

con un'applicazione automatica dei commi e degli articoli, devono poter decidere con

la loro testa e quindi scegliere via via gli strumenti che magari devono anche cambiare

in corso d'opera. Quindi questo è fondamentale, capire che l'autonomia e metodi che si possono

trovare, ovviamente che si trovano nell'ambito dell'impresa privata, applicati al settore

pubblico non significa privatizzazione, non significa riduzione del perimetro del

settore pubblico, ma esattamente il contrario, perché si dà la capacità, l'autonomia e

le competenze necessarie agli amministratori pubblici per far fare allo Stato le cose che

deve fare. Perché oggi, come dice molto spesso Sabino Cassese, lo Stato invece di

fare fa fare, perdendosi le competenze, che significa che gli amministratori pubblici,

la pubblica amministrazione non è più in grado di progettare gli investimenti che oggi

ci servono come il pane, che dovrebbero essere poi il fulcro del Piano Nazionale di Riprese

e Resilienza, ma mancando le competenze non è neppure capace di controllare, di vigilare

sull'operato dei privati ai quali sono stati dati in concessione o in appalto determinati

servizi o opere. Abbiamo davanti il caso tragico del Ponte Morandi e il rapporto assurdo che

si è venuto a creare tra il settore pubblico e la società autostrade. Oggi stesso la Procura

di Genova ha chiuso l'indagine e sono stati coinvolti anche personaggi del settore pubblico,

perché avrebbero dovuto controllare, avrebbero dovuto vigilare. Il problema è che mancando

le competenze e facendo dei conti capestro nei quali lo Stato rinuncia a un forte potere

regolatore sulle società concessionarie, ma anche su quelle appaltatrici, è ovvio che

alla fine finisce per essere catturato da quelle imprese, le imprese fanno il bello

e il cattivo tempo e non possono neppure essere poi sostituite improvvisamente da qualcun altro,

perché poi molto spesso sono dei monopoli naturali nei quali vengono gestiti da imprese

private. Questo è uno dei problemi più forti.

Sì, è il problema delle persone poi alla fine, perché siccome poi le cose le fanno

materialmente le persone, l'autonomia e il senso di responsabilità è direttamente proporzionale

alla qualità della persona che la esercita. È chiaro che se tu hai un direttore generale

che è un incapace, che non si rende conto di cosa sta amministrando, che magari non

ce n'è anche tanta voglia, forse soltanto perché è vecchio, anziano, si è stufato,

non ha fatto la carriera che si aspettava, a un certo punto chi glielo fa fare di esporsi

a prendere delle decisioni? Funziona tutto così. Purtroppo noi abbiamo anche il problema

che la nostra classe dirigente delle amministrazioni pubbliche è anziana, è una classe dirigente

spesso e volentieri che dipende da dei meccanismi dove di fatto hanno scarsi poteri. Basta pensare

che i ministeri italiani hanno dei veri amministratori, dei veri capi che sono poi i capi di gabinetto,

che sono le emanazioni della politica in qualche modo, quindi tutto lo strato dirigenziale

sottostante, quello operativo spesso e volentieri agisce e lavora in condizioni di frustrazione,

perché non prende mai una decisione, non è mai nelle condizioni di prendere una decisione.

Poi c'è anche un altro aspetto secondo me da non trascurare, è vero che non c'è la

continuità amministrativa perché i governi durano poco, però è anche vero che i ministri

non lavorano come dovrebbero lavorare, o per lo meno non tutti lavorano come dovrebbero

lavorare. Una frase che dice sempre Carlo Calenda, che può essere criticato per tante

cose ma su questa ha perfettamente ragione, diciamo che un ministro deve entrare in ufficio

la mattina alle 8.30 e uscire la sera alle 8.30, non può pensare che passa il tempo

a fare interviste, andare ai convegni o a visitare una determinata situazione o fare

un incontro politico, cioè un ministro fa il ministro vuol dire che deve amministrare,

noi abbiamo anche questo handicap, che i ministri in realtà fanno tutt'altro che amministrare,

non pensi?

Sì, non c'è dubbio che c'è questo problema, è che è un problema anche di persone, sia

da parte della politica, sia da parte della pubblica amministrazione, il problema però

è che alla base c'è un problema che non è soltanto personale, cioè è un problema

di ingranaggi e di nodi risolti nei quali finisce per essere stritolato l'amministratore

che vuole in qualche modo darsi da fare, risolvere i problemi e invece ovviamente finisce

per sguazzare il burocrate che vuole non decidere, ha tutto l'interesse a che le responsabilità

della non applicazione delle leggi ricadano sul Parlamento o sul governo perché sono

fatte in una maniera tale per cui non potevano essere applicate. Ci sono tantissimi dirigenti

e dipendenti nella pubblica amministrazione che danno l'anima, che lavorano bene, che

fanno funzionare anche le cose nel loro piccolo, il problema è che non c'è poi un'organizzazione

complessiva dello Stato e soprattutto non c'è un'unità di intenti, nel senso che noi

ci troviamo di fronte a pezzi dello Stato, istituzioni che invece di andare nella stessa

direzione vanno in direzioni opposte e allora ecco che molto spesso le energie di questi

bravi amministratori che magari sono anche competenti, vengono sprecate in più delle

volte o vengono sprecate perché vengono a scontrarsi con dei nodi che non sono mai stati

affrontati, non abbiamo mai avuto il coraggio di affrontare, per esempio la distribuzione

a pioggia dei premi, l'appiattimento retributivo che alla fine finiscono per essere dei fenomeni

che arrivano a non riconoscere la tua professionalità e il tuo merito e quindi a quel punto che succede?

Succede la fuga dalla pubblica amministrazione, se ne vanno nel settore privato o se ne vanno

all'estero e quindi ci sono questi nodi che vanno assolutamente colpiti, che vanno assolutamente

colpiti, affrontati e che anche prescindono dalla buona volontà di questa o di quella

categoria, dopodiché in questo contesto è ovvio che prendano piede tutti quei fenomeni

opportunistici che non sono soltanto per esempio i furbetti del cartellino, ma sono per esempio

fenomeni apparentemente legali come l'abuso della legge 104 o l'abuso per esempio delle

inidoneità parziali per cui ci si fa trasferire da un front office a un back office perché

lì si fa meno fatica, si fa meno fatica per un vigile, si fa meno fatica a stare davanti

a una scrivania piuttosto che a stare in mezzo allo smog a dirigere i tratti.

Ma il sindacato in tutto questo?

Il sindacato almeno nel pubblico impiego ha enormi responsabilità perché molto spesso

si è trasformato purtroppo in incorporazioni autoreferenziali che in qualche modo hanno

preteso un livellamento generale, un livellamento del merito, della qualità, della qualità

dello stipendio, un livellamento dei sistemi di reclutamento, dei sistemi di promozione,

dei sistemi di valutazione per avere i premi. Noi abbiamo preso dalla riforma americana

che è stata introdotta nel 1993 da Al Gore sotto la presidenza di Bill Clinton e poi

stata perfezionata dieci anni dopo, era un grandioso sistema di valutazione, quello che

ha istituito l'ufficio, il Government Accountability Office del congresso che riesce a valutare

bene le politiche pubbliche, però valutare in base a che cosa? Le valutano in base a

degli obiettivi veri, obiettivi veri significano per esempio numero di studenti che non lavorano

e non studiano da portare sotto una certa soglia, oppure quota di studenti che non lavorano

e quota di territori a rischio idrogeologico da sistemare entro un certo numero di anni,

questi sono i veri obiettivi. Noi invece abbiamo fatto un nostro sistema di valutazione tutto

italiano nel quale ci sono centinaia, migliaia di obiettivi che sono quasi tutti procedurali,

per esempio numero di pratiche trasferite da un ufficio all'altro, oppure numero di

funzioni fatte. Non viene mai presa in considerazione per esempio il livello di soddisfazione di

chi usa l'ufficio del servizio, che dovrebbe essere l'elemento fondamentale per stabilire

se un servizio è erogato bene oppure è erogato male. Non c'è dubbio. Io mi inserisco in

questa vostra conversazione molto interessante per riferirvi a alcune domande che vorrei

fare sia a Sergio sia a Marco. Allora se posso inizierei con Marco, è una domanda

molto semplice che ci fa Maurizio 011 che chiede, pensate che l'angelo sterminatore

abbia un volto? Purtroppo no, magari ce l'avesse e la potremmo eliminare subito. Purtroppo

l'angelo sterminatore è veramente una specie di virus che non ha un volto ma ha mille volti

in modo tale che sarebbe semplicistico poi addossare la colpa ad una piuttosto che ad

un'altra categoria. Allora se è così faccio una domanda a Sergio che poi giro anche a

te Marco perché è una domanda di fondo che viene dal fatto che Antonia, mia figlia che

lavora in caseritrice con me e io stessa, abbiamo ascoltato un interessantissimo podcast

della BBC, si chiama Inquiry, ve lo consiglio, ogni giovedì viene fatto uno nuovo e che

riguarda tutto il mondo. E questa volta, un paio di giovedì fa, la domanda era perché

l'Italia ha avuto così tanti governi uno dopo l'altro? Il problema che poneva Sergio

qualche minuto fa, come mai l'Italia è così instabile? E la spiegazione, scusate

la semplifico, era perché c'è stato il fascismo e quella concentrazione di potere

la Costituzione italiana cerca di eliminarla frammentando il potere. Cioè nessuno deve

mai poter prendere decisioni se non con mille contrapese per paura che si ripristini quella

concentrazione di potere. Questo è all'origine della preoccupazione che però è all'origine

dell'impotenza che voi avete descritto. Ti convince questa spiegazione?

Guarda, io mi ricordo che nel dicembre 2007 feci al Corriere un'intervista a Pado Schioppa,

Tommaso Pado Schioppa, allora era Ministro dell'Economia, che mi folgorò con questa

sua lettura, disse, ma sai, noi l'Italia e la Germania hanno avuto in qualche modo delle

storie parallele, soltanto che noi abbiamo reagito esattamente al contrario dei tedeschi.

I tedeschi spaventati da Weimar dopo la Seconda Guerra Mondiale hanno deciso mai più governi

deboli. Noi invece spaventati dal fascismo abbiamo deciso mai più governi forti. Quindi

questa può essere certamente una chiave di lettura. Però attenzione perché i governi

deboli non sono una prelogativa della Repubblica italiana, ma anche del Regno d'Italia. Guardate

che dal 1861 al 1946 ci sono stati esattamente lo stesso numero di governi, cioè 66, e ci

sono stati dal 48 fino a oggi. Quindi la durata media sarà di 420 o 430 giorni anche lì.

Quindi il problema non è solo il fascismo.

No, è un problema che parte dalla durata d'Italia.

Allora rilancio la domanda, la rilancio anche a Marco. Non è che per caso noi italiani

non ci fidiamo molto di noi stessi? Non è che per caso il problema è un problema di

quello che gli economisti chiamano capitale sociale, non solo verso lo Stato? Perché

se uno non si fida del vicino e pensa che è un potenziale delinquente chiunque incontra,

perché pensiamo di essere anarchici, poi pasticcioni, di fare i nostri interessi raffando

giorno per giorno, poi la stessa classe dirigente si convince di questo. È un paese fragile,

ci vogliono i compromessi, bisogna stare tutti insieme, non ci si può dividere fisiologicamente

come si fa in Inghilterra e in altri paesi. Perché è un paese fragile, che ha linee di

frattura tra cattolici e laici, tra rossi e neri, tra nord e sud, tra terronie. E quindi

alla fine è un problema non solo di sfiducia nello Stato, ma prima ancora, Marco, lo chiedo

a te e poi a Sergio, di una scarsa fiducia in noi italiani, in noi stessi. E questo è

un tema ovviamente difficilissimo, come la recuperi la fiducia in noi stessi? Questo

l'abbiamo visto anche nella vicenda delle mascherine, quando a un certo punto il capo

a produzione civile Borrelli risponde a Fontana, ma perché mi devo messere la mascherina quando

esco per strada? Dice in fondo, tengo la distanza. E Fontana, il governatore, gli risponde, ma

tutti noi prima o poi incontriamo un amico e lo abbracciamo. Che mi sembra una meravigliosa

testimonianza di fiducia nei propri concittadini. Tu come la vedi?

Sicuramente c'è questa mancanza di fiducia in noi stessi, è verissimo questo, che però

appunto poi si è cristallizzata nella mancanza di fiducia nello Stato, che è soprattutto

più che mancanza di fiducia, è considerare lo Stato come altra cosa da noi. Noi non siamo

mai, ci siamo noi, c'è ognuno di noi e poi c'è lo Stato. E quindi in quanto Stato, in

quanti rappresentanti dello Stato, che sono sempre e appunto sempre comunque diversi da

noi, possono essere continuamente sostituiti come per provarli, come se fossimo in un grande

supermercato e dovessimo continuamente cercare il prodotto più utile per noi, non capendo

che siamo noi quel prodotto. E che quindi tutto quello che riguarda la fragilità del

potere politico, la fragilità degli amministratori pubblici e tutti i blocchi, tutti i limiti

che abbiamo detto finora, riguardano noi stessi, non riguardano un'entità esterna che non si

sa chi sia.

Certo che ne pensi, una delle critiche tra l'altro è stata fatta a Sergio Rizzo e che

con il libro Sulla Casta ha aumentato questa fiducia dello Stato.

Veramente se la sono aumentata da solo la fiducia, perché quel libro lì è semplicemente

un libro che spiega che c'è un problema, ma il problema non l'abbiamo certo creato

con noi. Perché qui è sempre questo vizio di confondere il medico con la malattia. Se

io sono malato è perché il medico me l'ha detto. No, se sei malato è perché sei malato.

Il medico semmai ti aiuta a capire qual è la ragione di questa malattia e come tu puoi

cambiare, come puoi guarire. Non l'hai fatto, infatti abbiamo visto come siamo. Però attenzione,

perché io sono convinto che ci sia qualcosa di ancora più profondo in questo ragionamento

che si sta facendo. Io credo che ci siano delle ragioni storiche ben precise. L'Italia

è stata fatta male, perché era un paese naturalmente federalista ed è diventato un paese poi centralista,

perché ci siamo aggrappati ai Savoia. Era l'unica monarchia che non era mai stata conquistata

dagli stranieri, quindi era un po' forse anche logico che bisognasse partire da lì. Però

poi abbiamo avuto un problema, un problema grosso è stato con lo Stato della Chiesa,

perché il federalismo tu lo fai, ma che ministero gli dai al Papa? Cioè era un problema fare

un federalismo con lo Stato della Chiesa. Poi c'è stato oggettivamente un problema

con il Mezzogiorno, perché il Mezzogiorno veniva da una storia completamente diversa

ed è stato trattato come un pezzo di Italia conquistata. Con la Repubblica noi abbiamo

assistito ad una sostanziale continuità della burocrazia del Regno d'Italia e del fascismo

con quella della Repubblica. Ed è esattamente la stessa cosa oggi come allora, tant'è che

noi oggi siamo considerati sudditi come lo eravamo prima della Repubblica. Ma questa

cosa viene fuori in un modo chiarissimo dalle norme. Ma voi pensate che noi abbiamo fatto

dal 1990, cioè un provvedimento che poi è stato reiterato nel 2000 in modo ancora più

forte, per cui la pubblica amministrazione non può chiedere ai cittadini documenti di

cui è già in possesso. Ed è una delle regole fondamentali, ma continuamente ti chiedono

documenti di cui sei già in possesso, anche oggi. Perché questo? Perché la burocrazia

è ancora disegnata sullo schema monarchico del Regno e poi del fascismo. Non è un caso

per esempio che quando è caduto il fascismo, tutti gli altri burocrati sono rimasti al

loro posto, moltissimi di loro. Hanno addirittura fatto carriera nella Repubblica. C'è stato

anche un presidente della Corte Costituzionale che era stato presidente del Tribunale della

Razza, non ce lo dimentichiamo. Quindi non c'è mai stata una frattura. E i cittadini

italiani oggi sono considerati come dei sudditi e è la ragione per cui poi alla fine sopravvivono

delle cose che non dovrebbero sopravvivere in una democrazia. A cominciare da delle forme

di… sto per dire una cosa che forse non è molto politicamente corretta, ma secondo

voi vi sembra possibile che il presidente della Repubblica abbia come sede una reggia,

cioè il Quirinale? Già ma quel semplice fatto simbolico dice tutto. Noi siamo passati dal

Papa che aveva la sua reggia al Quirinale, il re ha occupato la reggia del Papa al Quirinale,

il presidente della Repubblica invece di andare in una bellissima palazzina come ha fatto

la Presidente della Repubblica tedesca con tutti i comfort e tutti gli elementi di sicurezza

necessari è andato a stabilirsi nel Quirinale, cioè nella reggia. E infatti oggi abbiamo

avuto anche dei presidenti della Repubblica, nella storia repubblicana, che sono stati

trattati come dei sopravvivi, diciamo la verità. Nessuno si osava contraddire quello che diceva

il Presidente della Repubblica. Sarebbe ora di cambiare un po'. Il caso del Presidente

della Repubblica è interessante anche dal punto di vista dei suoi poteri. Formalmente

il Presidente della Repubblica italiano ha dei poteri di garanzia, di controllo. Nell'ultima

crisi abbiamo visto che ha un potere molto maggiore nella sostanza. Certo si potrebbe

dire ce l'ha quando i partiti sono deboli, però ce l'ha. Anche Napolitano se vuoi, ancora

prima di Mattarella, ha avuto… tanti lo chiamavano Re Giorgio. Però se uno mettesse

per iscritto questi poteri nessuno li vorrebbe. Tu hai citato la Chiesa Cattolica. Se io dovessi

dire qual è un difetto terribile di questo nostro Paese è l'ipocrisia. Siamo un Paese

profondamente ipocrita. Forse lo sono tutti. Forse c'è un'ipocrisia britannica, per carità.

Certamente questa è una delle virtù dei gesuiti che noi abbiamo. Avviandomi alla conclusione,

vorrei girarvi un'altra domanda. Intanto trasmetto a Marco i saluti di un amico comune che è Andrea

Boitani, che scrive dicendo che il libro è bellissimo. Andrea Boitani è un grande,

bravissimo economista che insegna la Cattolica a Milano. Quindi prendiamo i suoi complimenti,

Marco, per molto qualificati. Un altro delle persone che ci ascoltano fa una domanda molto

importante, credo. Piacerebbe a Sabino Cassese, che peraltro è stato evocato e che ha scritto una

bella frase per il Retro, che leggo. Sabino ha scritto sulla biorocrazia e molti hanno scritto

pagine ironiche e dolenti, pochi però con il realismo e la ricchezza di analisi Marco Ruffolo,

che in questo libro racconta con humor i mali dello Stato italiano. L'ha già detto Sergio,

questo è un libro anche molto divertente, riesce nel piccolo miracolo di raccontare un argomento

di per sé non molto divertente in maniera umoristica. È stato detto anche attraverso

questa fiction del primo ministro che fa la conferenza stampa con i giornalisti. Giovanni

Mannelli chiede, e questa la giro sia a Marco sia a Sergio, servirebbe una scuola come la

francese ENA realizzabile da noi? Cioè si può formare un'amministrazione che abbia

caratteristiche diverse da quelle che avete descritto, almeno in una parte?

Si può, ce ne dovrebbero essere più di una di scuole di pubblica amministrazione. Il problema

però è non trasformarle e non fare sì che siano semplicemente dei simulacri e delle iniziative

soltanto formali che poi non portino effettivamente nuove professionalità, ma per fare questo poi

appunto devono avere una prospettiva di poter fare qualche cosa poi nel momento stesso in cui

il candidato, lo studente diventa amministratore pubblico. Se si smantellano tutta una serie di

controlli finti, asfissianti che paralizzano ora la loro opera, se si incide sulla sovrapposizione

di competenze che adesso ci sono, cioè tutti quei nodi irrisolti che adesso stanno veramente

paralizzando l'azione della pubblica amministrazione, in parte per responsabilità propria, in parte per

responsabilità della politica e di tutti i nodi che non sono stati risolti. Per cui le scuole

ovviamente benvengano, però nella prospettiva che lo Stato italiano venga veramente rivoluzionato.

Ma guarda, secondo me è impossibile e si è visto, si è visto perché hanno provato a farlo,

hanno provato a fare la scuola di pubblica amministrazione unica, tra l'altro mi pare che

il direttore fosse Tria, se non ricordo male ad un certo punto, e però non ha funzionato,

non ha funzionato per una ragione molto semplice, perché non si sa che paese è questo. In Francia

funziona perché la Francia è un paese dove si sa esattamente come è fatto, è un paese centralista

che ha questo nucleo di formazione dei grandi burocrati che poi diventano presidenti della

Repubblica. Sono diversi che sono passati allenati, presidenti della Repubblica. In Italia

che facciamo? I governatori delle regioni li mandiamo lì a studiare? No, noi dovremmo abolire

le regioni, allora a quel punto forse possiamo cominciare a ragionare, a dare a questo paese

una struttura istituzionale diversa e allora sì, forse avrebbe un senso e forse si riuscirebbe a

fare. L'ultima cosa che aggiungo è che bisognerebbe anche che tutti i ministeri pensassero di far parte

dello stesso governo, cosa che non è assoluta. Bene, scusate, abbiamo ancora sei minuti. Io vi

proporrei questo gioco, dividiamoci tre minuti ciascuno, perché il libro alla fine ha anche una

parte propositiva, cioè questo non l'avete detto abbastanza finora, ma si conclude con un capitolo

che si chiama Il Grande Progetto, perché questo primo ministro futuribile a un certo punto dice

beh allora sapete che cosa c'è? Vi comunico un grande progetto, un grande progetto così forte

che rischia di far cadere il governo perché tutti si rivolgono contro, salvo poi l'intervento

europeo che lo mette a posto. Allora chiederei in tre minuti a Marco di dirci cosa consiste

questo grande progetto, almeno un paio di punti. A Sergio dire se gli sembra credibile. Allora,

detto molto sinteticamente, innanzitutto riassegnare allo Stato la competenza esclusiva

in quelle 22 materie che un'ascellerata riforma nel 2001 ha assegnato alle regioni in questa

specie di condominio e di concorrenza con lo Stato. Questo non significa la fine del federalismo,

il federalismo è inteso non come un diritto quasi naturale che una classe dirigente locale ha in

virtù della vicinanza alla popolazione che deve essere servita. Il federalismo bisogna

guadagnarselo sul campo, bisogna meritarselo e quindi diciamo che il potere centrale ha la

possibilità di delegare alle regioni, anzi non sono più regioni perché il Premier propone la

sostituzione delle regioni con dei distretti territoriali come ci aveva proposto la Società

Geografica italiana una volta, ma in sostanza prevedere che possano essere delegate alcune

competenze che sulla carta rimangono competenze esclusive dello Stato alle regioni più virtuose,

a quelle che sono in grado di offrire servizi più utili e più efficienti ai loro cittadini.

Hai già giocato il primo minuto Marco, ancora solo due minuti.

Il secondo minuto, il secondo pilastro è quello di restituire o comunque di dare più autonomia e

più competenza alla pubblica amministrazione che oggi è completamente paralizzata. Il terzo è

quello di smantellare tutta una serie di controlli inutili e asfissianti che gravano sulla testa

dei pubblici amministratori, anche di togliere delle minacce giudiziarie come l'abuso d'ufficio,

come le azioni di responsabilità per danno erariale che non coinvolgono soltanto il dolo,

ma anche la colpa e non soltanto la colpa grave come prescrive la legge,

ma vengono estese anche a tante altre fattispecie. Questi sono sostanzialmente i tre punti. In questi

tre punti questo premier immaginario fa delle proposte anche molto radicali, a cominciare

appunto dalla sostituzione delle regioni con i distretti, dal federalismo che bisogna guadagnarsi

e poi soprattutto dall'attribuzione al Senato della funzione di controllo sull'operato della

pubblica amministrazione. La Camera che continua ad avere una funzione legislativa è il Senato che

acquista questo forte controllo così come succede negli Stati Uniti, cioè il Senato che ha dentro di

sé un ufficio di controllo molto forte che controlla anche fortemente le voci di bilancio

delle singole amministrazioni. Faccio due domande a Sergio. La prima, se ci fossero

le condizioni politiche un programma di questo genere ti convince? E secondo,

ci può essere un consenso un programma di questo genere? Oppure i costi che questo,

dal punto di vista dei posti di lavoro, della riconversione, sono eccessivi? E quali sono le

condizioni di consenso? Cioè è un programma totalmente realistico oppure ci potrebbero

essere anche costruite le condizioni per avere il consenso a un programma del genere?

Guarda, il programma mi convince quasi del tutto, soprattutto la parte che riguarda le regioni,

ma per un motivo molto semplice, che se uno guarda i dati del PIL dal 2001 a oggi scopre

che l'Italia ha smesso di crescere proprio allora, cioè l'Italia ha smesso di crescere

nel momento in cui è stata fatta la riforma del titolo quinto. Non abbiamo mai più avuto,

dal 2001 a oggi, un tasso di crescita superiore al 2%, mai avuto. Tutti gli altri paesi europei

l'hanno avuto. Noi l'ultimo tasso di crescita superiore al 2% l'abbiamo avuto nel 2000,

2,9%. Dopodiché ci siamo fermati del tutto ed è evidente che la ragione è anche questa assurda

ripartizione dei poteri. C'è un aspetto che, diciamo, io penso che potrebbe avere anche consenso

per questa ragione qua. Per esempio, c'è un aspetto importante che la pandemia ha messo in

evidenza, cioè che le regioni non funzionano nella cosa più importante, la sanità, ovviamente.

Quindi questo elemento potrebbe essere un elemento che potrebbe certamente convincere molte persone

a schierarsi a favore di questa marcia indietro. Chiamiamola marcia indietro, ma insomma è una

rivisitazione anche dei poteri delle regioni e della loro funzione. Ci sono delle cose che non

sono assolutamente accettabili. I consigli regionali, per esempio, non servono a niente,

sono del tutto inutili, sono degli sprechi puri. Per quanto riguarda le altre proposte del progetto,

sull'abuso d'ufficio, diciamo, io condivido la preoccupazione perché è fondamentale questa cosa,

però c'è un punto da dirimere, la magistratura, per cui bisogna intervenire sulla magistratura,

far funzionare la magistratura. La magistratura d'Italia non funziona, questo è un problema

fondamentale. Non si trovano mai colpevoli, spesso e volentieri i corrotti che vengono

incriminati poi vengono assolti dal tribunale. I tempi sono biblici, non è possibile che tu,

per avere una sentenza definitiva civile, debba aspettare dieci anni, non è assolutamente

accettabile questo. E nessun governo è mai riuscito a intervenire su questo fronte, perché? Perché,

oggettivamente, la magistratura è diventato un potere così pervasivo, anche in rapporto alla

debolezza della politica, che non è compatibile con un sistema democratico efficiente. La

magistratura deve essere ricondotta ad un ruolo che è il suo ruolo fisiologico, non quello di

surrogato del potere politico, perché questo non è assolutamente accettabile. Se noi riuscissimo a

intervenire su questi punti, forse riusciamo a portare a casa quel progetto lì. Io aggiungerei

anche un'altra cosa, la selezione delle persone, perché la selezione della classe dirigente è

fondamentale. Io penso che noi non possiamo andare avanti con un sistema politico dove i

politici, cioè quelli che devono poi rappresentare i cittadini e poi decidere chi governa alla fine,

no, siano così scadenti. Ti interrompo, Sergio, su quest'ultima cosa, perché credo veramente sia

fondamentale. Per fare selezione della classe dirigente bisogna che la stessa classe dirigente

adotti dei criteri più selettivi. Voi avete fatto, nel libro sulla Castro, un'operazione

dirompente. In Italia si dice sempre che il peccato è non il peccatore. Questo è quello

che noi facciamo. Di solito facciamo grandi discorsi critici, non indichiamo i nomi, mentre

invece dobbiamo cominciare a fare questo tutti noi, non solo la stampa, non solo i libri,

come voi avete fatto. Concludo con una piccola notazione personale. Quando Marco per la prima

volta mi disse che aveva fatto questo testo, dicendomi in maniera quasi divertissima,

mi diceva che aveva scritto un piccolo testo, un piccolo saggio, e io gli chiesi di che cosa si

occupava. E lui mi disse che si occupava di questo tema. E io devo dire, confesso, che mentre ero

incuriosito dal fatto che Marco Ruffolo avesse scritto un libro, quando mi disse il tema fu un

po' raggelato, perché gli dissi che qui sarà una cosa noiosa, tecnica, faticosa a leggere,

però certo è utile, perché è importante sapere cosa fa la Corte dei Conti, cosa fa il Tarracid.

Quando ho cominciato a leggere questo libro non l'ho più potuto finire, non l'ho più potuto

smettere fino alla fine, perché è veramente un libro divertente. La chiave narrativa di questo

fantasmatico premiere, che cerca di parlare ai giornalisti sbigottiti, gli fa vedere il film,

poi comincia a spiegargli le cose, poi fa questo grande progetto, è una chiave che mi sembra abbia

trovato Marco per parlare di un tema molto importante, ma certo non divertente di per sé,

in una maniera che tra l'altro è comprensibile per tutti. E credo che tutti possano attraverso

questo libro capire questo arcano dell'angelo sterminatore. Quindi ringrazio moltissimo Sergio

Rizzo, che è veramente stato generoso e la vostra conversazione è stata piena di spunti di

riflessione. Con Marco Ruffolo continuiamo a discutere questo libro e vi invito a tutti a

risentirci nei prossimi incontri di Casa la Terza. Arrivederci.

'L'angelo sterminatore' con Marco Ruffolo e Sergio Rizzo Der vernichtende Engel" mit Marco Ruffolo und Sergio Rizzo 'The Exterminating Angel' with Marco Ruffolo and Sergio Rizzo El ángel exterminador" con Marco Ruffolo y Sergio Rizzo L'ange exterminateur" avec Marco Ruffolo et Sergio Rizzo 駆除天使』マルコ・ルッフォロ、セルジオ・リッツォ共演 The Exterminating Angel" z Marco Ruffolo i Sergio Rizzo O Anjo Exterminador" com Marco Ruffolo e Sergio Rizzo Ангел-истребитель" с Марко Руффоло и Серджио Риццо

Eccoci, buongiorno a tutti. Buongiorno a Marco Ruffolo, autore dell'info di cui parliamo Here we are, good morning to everybody. Good morning to Marco Ruffolo, author of the info we are talking about.

oggi, l'angelo sferminatore, e a Sergio Rizzo che ringrazio molto e che ne discuterà con today, the spherminator angel, and to Sergio Rizzo who I thank very much and who will discuss this with hoy, el ángel esferomante, y a Sergio Rizzo, a quien agradezco mucho y que lo discutirá con

Marco. Io tra pochi secondi lascerò a Sergio la parola, volevo solo dire che sono particolarmente Marco. I will leave the floor to Sergio in a few seconds, I just wanted to say that I am particularly Marco. Dejaré hablar a Sergio en unos segundos, sólo quería decir que estoy particularmente

contento di questa chiacchierata del nostro Rubrica di Casa la Terza, prima di tutto perché pleased with this chat from our Home the Third column, first of all because

non c'è persona più qualificata di Sergio Rizzo a discutere di questo tema. Sergio Rizzo è noto, there is no person more qualified to discuss this issue than Sergio Rizzo. Sergio Rizzo is well known,

credo, alla gran parte, anzitutti, maggiori i nostri ascoltatori, comunque è un giornalista I think, to the great majority, anzitutti, greater our listeners, however he is a journalist

di grande e lunga esperienza che ha lavorato in vari giornali, oggi collabora a Repubblica, of great and long experience who has worked in various newspapers, now contributes to Repubblica,

lo stesso giornale a cui ha lavorato per tanti anni Marco Ruffolo come capo redattore economia,

e Rizzo è noto anche per i libri che ha scritto. Ne cito solo due perché non dovevo citare tanto,

uno è il libro sulla casta che ha aperto una stagione insieme a Gian Antonio Stella,

che ha aperto una stagione di discussione molto importante sul tema, anche quello di cui parliamo

stasera, e l'ultimo, che affronta molti dei temi stasera, che riprendiamoci

lo Stato, un libro scritto insieme a Tito Boeri, che peraltro, colgo l'occasione,

rivedremo tutti insieme al Festival di Economia che ai primi di giugno affronterà proprio questo

tema, il tema del ritorno dello Stato. Marco Ruffolo è al suo primo libro, credo, vero Marco?

Sì, alla tenera età di 66 anni ho deciso di scrivere il primo libro.

Ecco, Marco è al suo primo libro e Marco non si dispiacerà, colgo l'occasione per dire che però

sono anche un po' emozionato, come sono stato emozionato quando abbiamo cominciato a parlare

con Marco, con cui ci conosciamo da tanti anni, perché i nostri genitori, Giorgio, padre di Marco,

e mio padre, avevano un legame che non era soltanto di editori e d'autore. Il mio primo

libro, Sergio, di cui ho fatto la redazione, devi sapere, è un libro di Giorgio Ruffolo,

che si ha la qualità sociale, quando sono entrato nell'81 in casa editrice. Quindi,

per me Giorgio era un mito, anche dal punto di vista di grande intellettuale,

un intellettuale pubblico. Era un grande amico di mio padre, faceva parte di un gruppo di autori

che si incontravano spesso a cena, si vedevano, e quindi voglio dire, sono particolarmente contento

oggi di essere l'editore di un libro di Marco. Vi lascio, credo che il tema sia straordinariamente

interessante. Dicevo stamattina a Marco che è stato in trasmissione a Quante storie,

una delle trasmissioni più meritevoli dal punto di vista di un editore, perché presentano libri,

e non sempre soltanto di autori molto noti. Questo è un pregio di Giorgio Zanchini,

Vladimir Opolki, Augas, eccetera, e ha fatto indici di ascolto altissimi. Quindi ho detto a Marco,

abbiamo scoperto che la burocrazia è pop, diversamente dai pregiudizi che abbiamo,

invece. Con questo buon auspicio vi lascio e passo la parola a Sergio Rizzo per iniziare

il vostro dialogo. Grazie, grazie Pepe. Sì, la burocrazia è pop, ma anche perché ormai è

diventato uno spettacolo, se ne raccontano talmente tante su come funziona, anzi,

su come non funziona questo Paese che quasi sconfiniamo nel campo della letteratura.

E tutto sommato questo libro è un libro quasi di narrativa, nel senso che è un viaggio dentro

le disfunzioni di questo Paese, ma attraverso gli occhi di un presunto Presidente del Consiglio,

di cui non conosciamo il nome, però possiamo tratteggiare una figura,

che è una figura diciamo recente, con qualche sfumatura, diciamo ancora più recente,

che appunto va questo viaggio attraverso le follie del Paese, arrivando poi a capire quali

sono e a spiegare quali sono i punti su cui bisognerebbe intervenire. Ce n'è uno in particolare

che a me sta particolarmente a cuore, perché ogni volta che mi capita batto lì pubblicamente,

e anche sul giornale l'ho scritto diverse volte, anche perché la pandemia, questo momento

terribile che stiamo attraversando, l'ha messo drammaticamente in evidenza, ed è il ruolo

delle Regioni, insomma in qualche modo l'anomalia di un Paese centralista che però vuole essere

federalista, che ha fatto un pasticcio dividendosi in venti, con delle pesanti ripercussioni anche

sui diritti dei cittadini, non soltanto sul malfunzionamento del Paese, ma di questo poi

ne parleremo. Vorrei sapere però da Marco subito, perché l'angelo sterminatore? Cioè qual è il

collegamento con quel meraviglioso film di Luigi Buglioli? Dunque il collegamento è presto detto,

si immagina che questo premier convochi i giornalisti alle 8 del mattino e per due giorni

di seguito li costringa a stare nella sala stampa di Palazzo Chigi per dire come e perché l'Italia

si è bloccata, ha intrappolato se stessa, come non si riescano a spendere se non in

piccolissima parte i soldi di Bruxelles. Prima di questa lunghissima maratona nella quale fa una

sua diagnosi e poi il secondo giorno annuncia una riforma radicale dello Stato, all'inizio fa

proiettare su un grande schermo alcune scene dell'angelo sterminatore. La metafora cinematografica

è questa, cioè proprio come i personaggi del film di Buñuel, una cena tra amici, alla fine

della serata non riescono per una forza misteriosa che è appunto l'angelo sterminatore a uscire dalla

porta e quindi rimangono intrappolati nella casa dove sono stati ospitati, ecco allo stesso modo

nel nostro paese qualsiasi programma politico, qualsiasi legge, qualsiasi riforma, qualsiasi opera

pubblica soprattutto nel momento in cui viene avviata poi non riesce a superare, a oltrepassare

la soglia della realizzabilità e quindi a trasferirsi nella società cambiando convenienze,

comportamenti eccetera. Quindi ecco la metafora è un po' questa, a questo punto questo immaginario

premier del racconto dice prima di annunciare qualsiasi altra riforma bisogna guardare in faccia

il nostro angelo sterminatore e capire tutto quel coacervo di nodi irrisolti che stanno venendo alla

superficie e che ci impediscono di fare qualsiasi cosa, di innovare l'Italia.

Non è un... allora spesso ci si rifugia nelle questioni antropologiche,

no? Cioè quasi come se l'Italia fosse un paese che non può essere governato perché

gli italiani non lo sanno governare, no? C'è tutta come dire una letteratura su...

Perfino addirittura mi pare che perfino negli anni trenta Mussolini se ne uscì con una frase

di questo tipo, no? Almeno questo è stato tramandato quantomeno nelle citazioni che

sono state fatte in passato. Ma non è ovviamente una questione antropologica,

ma tu ti sei fatto un'idea di come si è arrivati a questa situazione qua? Cioè di come sia possibile

che non si riesca mai a risolvere un problema e tutte le volte che si riesce, che si affronta

un problema per risolverlo, invece di risolverlo probabilmente si peggiora la situazione. Ti sei

fatto un'idea? Ma l'idea intanto è che non è un problema... la classe politica italiana pensa

che tutto sia un problema politico, cioè un problema di scelta tra una linea politica e

un'altra. E quindi non so, abbassare le tasse piuttosto che aumentare gli investimenti pubblici.

Quindi la prima è lo slogan fondamentale della destra, il secondo è l'argomento di fondo della

sinistra. Ma annunciando i loro slogan o facendo e approvando le loro leggi pensano di avere dei

plotoni di dietro, dei plotoni di amministratori pubblici che sono pronti a realizzare le loro

opere. In realtà poi non è così. Il problema però non è neppure banalmente burocratico,

cioè non è il problema di qualche laccio e lacciuolo che deve essere eliminato e quindi

eliminato per esempio attraverso un decreto di semplificazione. Ne abbiamo visti caterbe di

decreti di semplificazione che non hanno semplificato niente, così come di tanti decreti

sblocca-cantieri che non hanno sbloccato assolutamente niente. Questo perché il bersaglio

era sbagliato e continua forse ad essere sbagliato, cioè il bersaglio appunto non è semplicemente la

resistenza della burocrazia e poco altro, ma è un problema di come è organizzato e strutturato

questo nostro Stato. Ed è come se ci fosse una grande tenaglia che stringe lo Stato dall'esterno

e dall'interno. Dall'esterno per esempio attraverso tutta la sovrapposizione di competenze e di poteri,

a cominciare come dicevi giustamente tu prima, dalla sovrapposizione di competenze tra lo Stato

e le regioni. È un conflitto continuo che purtroppo abbiamo da quando nel 2000-2001 è stata riformata

la Costituzione per opera del centro-sinistra per andare dietro alle spinte federaliste della

Lega e evitare che si trasformassero in pulsioni secessioniste. Ed è stato fatto, come dicevi tu,

un grande pasticcio perché sono stati dati dei poteri alle regioni che non avevano mai avuto,

sicuramente all'inizio quando fu fatta la Costituzione. E si previde che in 22 materie,

non di poco conto, ma materie fondamentali, la competenza fosse assegnata alle regioni in

condominio, in concorrenza con lo Stato. Questo invece di produrre una collaborazione tra Stato

e regioni ha iniziato per creare un conflitto permanente fatto di contenziosi, di ricorsi alla

Corte Costituzionale che ha finito per bloccare qualsiasi decisione politica o comunque per

allungarne terribilmente i tempi con dei costi sociali ed economici pazzeschi. Ma anche,

ricordare, costi di vite umane. Facciamo un esempio, tanto per essere concreti. Allora,

il 12 luglio del 2016 in Puglia, tra Andrea e Corato, entrarono in collisione, si scontrarono

due treni sullo stesso binario, facendo 23 morti. E questo perché? Perché non avevano,

su quel tratto ferroviario non c'erano gli standard di sicurezza che già erano sulla

rete nazionale. In realtà, l'anno prima, il governo in carica aveva preparato un decreto

che appunto estendeva gli standard di sicurezza nazionali anche ai tratti regionali. Ebbene,

questo decreto è entrato in un spazzesco rimpallo tra regioni e Stato, dove le regioni

pretendevano modificarlo in un senso piuttosto che in un altro. Questo rimpallo è andato avanti

per oltre un anno e nel frattempo è avvenuto l'incidente. Ma anche molto più vicino a noi,

se noi vediamo quello che è successo e sta anche purtroppo succedendo nella lotta alla

pandemia. Esattamente un anno fa, con il decreto rilancio approvato dal governo, stanziava un

miliardo e cento per il potenziamento delle terapie intensive. Ovviamente le regioni,

avendo la competenza nella sanità, così come nel caso delle ferrovie avevano competenza sui

trasporti, hanno cominciato a fare i loro piani, che dopo molto tempo, con i soliti ritardi,

hanno trasmesso al commissario governativo. Ma questi piani erano privi completamente dei

dettagli operativi, logistici, dovevano essere rifatti da capo. Ed è riniziato il solito

rimpallo. Il risultato è che a sei mesi dallo stanziamento di quei fondi che dovevano andare a

potenziare negli ospedali le terapie intensive, nessun cantiere era stato aperto. E nel frattempo

è scoppiata la seconda ondata pandemica. Ma di esempi di questo se ne potrebbero fare tantissimi.

Ecco, in questo braccio esterno non ci sono soltanto queste sovrapposizioni di poteri,

soprattutto sul territorio, a cominciare dalle regioni e dallo Stato, ma ci sono una serie di

controlli asfissianti, ma sostanzialmente inutili, perché sono quasi tutti procedurali e formali,

nessuno è reale sul campo, che paralizzano l'azione dei pubblici amministratori e molto

spesso si accompagnano anche a delle minacce giudiziarie, anche diciamo la verità,

e io sto parlando di controlli e di alto là che vengono dalla Corte dei Conti, dai TAR,

dal Consiglio di Stato, dall'ANAC, dalle stesse procure penali che sbandierano il reato di abuso

d'ufficio in quantità enorme, quasi non c'è nessun amministratore locale che non sia stato

raggiunto in Italia da un sospetto di abuso d'ufficio. Questi sono dei controlli che vanno

rivisti completamente, mentre il vero controllo bisognerebbe affidarlo al Parlamento, perché

all'inizio, quando è stata l'idea dei nostri costituenti, era che il Parlamento dovesse

svolgere una funzione non soltanto legislativa, ma una funzione di vigilanza sull'operato

esecutivo e quindi del governo, della pubblica amministrazione. Poi in realtà non si è fatto

nulla di questo potere, se non quello di una serie inutile di interpellanze e interrogazioni

che lasciano il tempo che trovano. In realtà bisognerebbe affidare, così come è stato fatto

negli Stati Uniti, con il Congresso che ha all'interno un ufficio molto potente che si

chiama Government Accountability Office, è un ufficio che ha l'incarico di valutare e quindi

controllare le politiche pubbliche. Noi non abbiamo nulla di questo genere, abbiamo invece

scopiazzato male la riforma del sistema di valutazione americano, creando però una serie

di obiettivi che sono quasi tutti procedurali e non sostanziali. Questo è il braccio esterno,

poi ci sono i limiti della politica e i limiti della pubblica amministrazione. Il limite

fondamentale della pubblica amministrazione è che manca di competenze, questo purtroppo

è un limite che riportiamo dietro da oltre un secolo, perché da sempre, dall'età giulittiana

in poi, c'è stata una prevalenza di figure giuridiche su quelle tecnico-operative scientifiche,

ma adesso però la contraposizione è anche molto più terra-terra, cioè adesso prevalgono

le figure generaliste su quelle veramente competenti. Questo è poi peggiorato da un

livellamento retributivo, dalla distribuzione di premi a pioggia, da un mancato riconoscimento

delle professionalità e dal modo assurdo in cui vengono fatti i concorsi in Italia,

quando si fanno, perché non sempre si fanno, non sono concorsi mirati, cioè non sono concorsi

che vanno a dare una risposta ai fabbisogni veri delle pubbliche amministrazioni. Per

esempio che cosa succede quando le amministrazioni hanno bisogno di assunzioni? Mandano i loro

fabbisogni al dipartimento della funzione pubblica, che non ha nessun potere, ha soltanto

una funzione di coordinamento tra le varie amministrazioni. Però questi fabbisogni sono

per lo più finti, cioè che cosa sono? Sono quello che manca all'amministrazione per ripristinare

la pianta organica, ma non è detto assolutamente che quella pianta organica corrisponda al

fabbisogno effettivo di quell'amministrazione, semplicemente si ripristina lo status quo,

e lo status quo vede una situazione nella quale c'è uno squilibrio per esempio di personale

assurdo in Italia, tra settori e settori e tra zone e zone, tra il nord e il sud, per

esempio la sanità è chiaramente sottodimensionata, la difesa è sovradimensionata nel personale.

Però quando poi le amministrazioni mandano le loro richieste di assunzioni puntano semplicemente

a ripristinare la pianta organica. E poi per finire c'è il limite della politica

fondamentale che è quello di pretendere che le leggi che vengono approvate si realizzino

quasi da sole. Se noi andiamo a vedere come sono scritte le leggi, a parte che sono scritte

in un modo incomprensibile, ma oltre a questo il problema fondamentale è che pretendono

di regolamentare tutto, cioè non sono leggi che hanno le caratteristiche della strattezza

e della generalità come dovrebbero, ma sono dei veri e propri regolamenti minuziosi, talmente

dettagliati che finiscono per creare delle gabbie e delle gabbie di togliere qualsiasi

spazio di manovra agli amministratori. Ma anche delle gabbie dalle quali è difficile

uscire talvolta perché non c'hanno neanche le serature. Voglio dire, i decreti attuativi

che ogni legge prevede spesso e volentieri non si fanno, il risultato è che tu hai la

legge scritta sul decreto ufficiale ma che poi non viene applicata. Perché poi entra quasi

sempre, 9 volte su 10, in conflitto con le norme che si sono accumulate nel frattempo.

È stato credo fatto un calcolo, dall'Unità d'Italia adesso si sono prodotti 220.000 atti

normativi di cui la metà ancora in vigore e tra quelli in vigore ce ne sono tranquillamente

alcuni che confliggono gli uni con gli altri, tranquillamente sono tutti quanti in vigore.

Non abbiamo fatto quello che hanno fatto i francesi e i tedeschi che hanno sistematizzato

le leggi in pochi testi unici, sfrondando parecchie norme che non ci sono più, e invece

noi abbiamo un caos legislativo spaventoso, ma soprattutto un caos che toglie autonomia

agli amministratori. Mi sono domandato molte volte qual è il germe di questo caos e sono

arrivato alla conclusione che in Italia manca la continuità amministrativa seriamente, nel senso

che se tu vai a vedere quanto durano i governi, è impressionante, dal 2005, da quando anche la

Merkel è diventata cancelliere in Germania, noi abbiamo avuto, questo è l'ottavo governo,

ma la cosa incredibile è che il numero delle persone diverse che si sono avvicendate al

governo come ministri, come sottosegretari, come viceministri, io le ho contate, sono 517.

Cioè tu hai avuto 517 persone che hanno avuto responsabilità di governo diretta,

responsabilità dirette, cioè erano quelli che scrivono le leggi e che facevano i decreti,

eccetera, e non è cambiato assolutamente niente. Questa cosa non ha portato a dei cambiamenti,

questo grande impegno di risorse umane non ha portato dei significativi miglioramenti

alla condizione economica e sociale di questo Paese. Perché questo? Perché tu riesci a fare

un governo che sta in carica un anno, 420 giorni mediamente, credo, e dopodiché quando hai impostato

un lavoro il ministro che viene dopo già deve smontare tutto di nuovo. Guarda, un caso, diciamo,

forse più chiaro dei tanti che si potrebbero fare è quello del Ministero del Turismo. Quando è

arrivato il primo governo Conte, per capirci quello lega 5 stelle, hanno preso il turismo,

l'hanno tolto dai beni culturali e l'hanno messo nell'agricoltura. Quelli ci hanno messo dieci mesi

per fare il decreto che in qualche modo doveva istituire il dipartimento dentro il ministero,

eccetera eccetera. Il fatto è che poi è caduto il governo, è arrivato il governo Conte e Biss,

quello con il PD, e il turismo è ripassato ai beni culturali. Cioè, voglio dire, già questa

cosa ti fa capire che tu hai preso un anno, l'hai buttato alla finestra, perché non hai potuto

una strategia di promozione turistica, soprattutto una serie di cose. Questo è piccolo,

naturalmente, ma se tu questa cosa qui la ribalti sull'arco temporale che va dal 48 fino a oggi,

dove abbiamo avuto 66 governi, è chiaro che poi alla fine c'è un'incapacità del Paese,

della politica di governare la burocrazia. Sì, sì, non c'è dubbio. Il problema è che

poi anche quando ci sono delle leggi che durano, perché non c'è la sostituzione di un ministro con

un altro che sicuramente è una delle fonti di insicurezza più gravi, appunto l'amministratore

si trova ad essere paralizzato, sia appunto da quei controlli che abbiamo detto, da quei veti e

controveti, sia dal fatto che si trova di fronte a delle leggi assolutamente inapplicabili, per

quanto sono dettagliate, per quanto sono rigide. Oggi un amministratore, nella maggior parte dei

casi un amministratore pubblico, per prendere una decisione deve esserci una legge ad hoc che non

soltanto glielo consente, ma glielo prescrive nei dettagli e queste leggi ad hoc non sempre ci

sono e non sempre sono scritte in questo modo. Ecco, questo bisognerebbe trasformare completamente

il modo di fare le leggi in Italia, anche perché questo restituisce anche la vera funzione legislativa

al Parlamento, se le leggi vengono fatte in questo modo assolutamente dettagliato e regolamentare.

E' ovvio che poi l'attività del Parlamento finisce per essere quella di emendatori

dell'ultima istanza e per occuparsi di cose talmente dettagliate e particolari che si perde

il senso e l'obiettivo che aveva quella legge. Le leggi dovrebbero essere fatte di obiettivi,

leggi di principio, poi deve essere nella sua autonomia l'amministratore che deve trovare via

via gli strumenti necessari per realizzare gli obiettivi che gli ha posto la politica con quella

legge. Il problema è che qua c'è un luogo comune che il premier immaginario di questo racconto vuole

smontare a tutti i costi. Il luogo comune che si solleva soprattutto da una parte è che

introducendo nella pubblica amministrazione, nello Stato, metodi di lavoro simili a quelli

delle imprese private, quindi con grande autonomia e flessibilità, non si farebbero più gli interessi

pubblici. Questa è un'equazione che non sta in piedi da nessuna parte, perché non è assolutamente

detta questa. Nel senso che non si tratta di affidare agli amministratori gli obiettivi.

Gli obiettivi sono chiari che devono essere posti dalla politica in rappresentanza dei

cittadini, ma nel modo in cui si realizzano questi obiettivi lì sì che devi dare autonomia

all'amministratore. Gli amministratori non possono amministrare e gestire la cosa pubblica semplicemente

con un'applicazione automatica dei commi e degli articoli, devono poter decidere con

la loro testa e quindi scegliere via via gli strumenti che magari devono anche cambiare

in corso d'opera. Quindi questo è fondamentale, capire che l'autonomia e metodi che si possono

trovare, ovviamente che si trovano nell'ambito dell'impresa privata, applicati al settore

pubblico non significa privatizzazione, non significa riduzione del perimetro del

settore pubblico, ma esattamente il contrario, perché si dà la capacità, l'autonomia e

le competenze necessarie agli amministratori pubblici per far fare allo Stato le cose che

deve fare. Perché oggi, come dice molto spesso Sabino Cassese, lo Stato invece di

fare fa fare, perdendosi le competenze, che significa che gli amministratori pubblici,

la pubblica amministrazione non è più in grado di progettare gli investimenti che oggi

ci servono come il pane, che dovrebbero essere poi il fulcro del Piano Nazionale di Riprese

e Resilienza, ma mancando le competenze non è neppure capace di controllare, di vigilare

sull'operato dei privati ai quali sono stati dati in concessione o in appalto determinati

servizi o opere. Abbiamo davanti il caso tragico del Ponte Morandi e il rapporto assurdo che

si è venuto a creare tra il settore pubblico e la società autostrade. Oggi stesso la Procura

di Genova ha chiuso l'indagine e sono stati coinvolti anche personaggi del settore pubblico,

perché avrebbero dovuto controllare, avrebbero dovuto vigilare. Il problema è che mancando

le competenze e facendo dei conti capestro nei quali lo Stato rinuncia a un forte potere

regolatore sulle società concessionarie, ma anche su quelle appaltatrici, è ovvio che

alla fine finisce per essere catturato da quelle imprese, le imprese fanno il bello

e il cattivo tempo e non possono neppure essere poi sostituite improvvisamente da qualcun altro,

perché poi molto spesso sono dei monopoli naturali nei quali vengono gestiti da imprese

private. Questo è uno dei problemi più forti.

Sì, è il problema delle persone poi alla fine, perché siccome poi le cose le fanno

materialmente le persone, l'autonomia e il senso di responsabilità è direttamente proporzionale

alla qualità della persona che la esercita. È chiaro che se tu hai un direttore generale

che è un incapace, che non si rende conto di cosa sta amministrando, che magari non

ce n'è anche tanta voglia, forse soltanto perché è vecchio, anziano, si è stufato,

non ha fatto la carriera che si aspettava, a un certo punto chi glielo fa fare di esporsi

a prendere delle decisioni? Funziona tutto così. Purtroppo noi abbiamo anche il problema

che la nostra classe dirigente delle amministrazioni pubbliche è anziana, è una classe dirigente

spesso e volentieri che dipende da dei meccanismi dove di fatto hanno scarsi poteri. Basta pensare

che i ministeri italiani hanno dei veri amministratori, dei veri capi che sono poi i capi di gabinetto,

che sono le emanazioni della politica in qualche modo, quindi tutto lo strato dirigenziale

sottostante, quello operativo spesso e volentieri agisce e lavora in condizioni di frustrazione,

perché non prende mai una decisione, non è mai nelle condizioni di prendere una decisione.

Poi c'è anche un altro aspetto secondo me da non trascurare, è vero che non c'è la

continuità amministrativa perché i governi durano poco, però è anche vero che i ministri

non lavorano come dovrebbero lavorare, o per lo meno non tutti lavorano come dovrebbero

lavorare. Una frase che dice sempre Carlo Calenda, che può essere criticato per tante

cose ma su questa ha perfettamente ragione, diciamo che un ministro deve entrare in ufficio

la mattina alle 8.30 e uscire la sera alle 8.30, non può pensare che passa il tempo

a fare interviste, andare ai convegni o a visitare una determinata situazione o fare

un incontro politico, cioè un ministro fa il ministro vuol dire che deve amministrare,

noi abbiamo anche questo handicap, che i ministri in realtà fanno tutt'altro che amministrare,

non pensi?

Sì, non c'è dubbio che c'è questo problema, è che è un problema anche di persone, sia

da parte della politica, sia da parte della pubblica amministrazione, il problema però

è che alla base c'è un problema che non è soltanto personale, cioè è un problema

di ingranaggi e di nodi risolti nei quali finisce per essere stritolato l'amministratore

che vuole in qualche modo darsi da fare, risolvere i problemi e invece ovviamente finisce

per sguazzare il burocrate che vuole non decidere, ha tutto l'interesse a che le responsabilità

della non applicazione delle leggi ricadano sul Parlamento o sul governo perché sono

fatte in una maniera tale per cui non potevano essere applicate. Ci sono tantissimi dirigenti

e dipendenti nella pubblica amministrazione che danno l'anima, che lavorano bene, che

fanno funzionare anche le cose nel loro piccolo, il problema è che non c'è poi un'organizzazione

complessiva dello Stato e soprattutto non c'è un'unità di intenti, nel senso che noi

ci troviamo di fronte a pezzi dello Stato, istituzioni che invece di andare nella stessa

direzione vanno in direzioni opposte e allora ecco che molto spesso le energie di questi

bravi amministratori che magari sono anche competenti, vengono sprecate in più delle

volte o vengono sprecate perché vengono a scontrarsi con dei nodi che non sono mai stati

affrontati, non abbiamo mai avuto il coraggio di affrontare, per esempio la distribuzione

a pioggia dei premi, l'appiattimento retributivo che alla fine finiscono per essere dei fenomeni

che arrivano a non riconoscere la tua professionalità e il tuo merito e quindi a quel punto che succede?

Succede la fuga dalla pubblica amministrazione, se ne vanno nel settore privato o se ne vanno

all'estero e quindi ci sono questi nodi che vanno assolutamente colpiti, che vanno assolutamente

colpiti, affrontati e che anche prescindono dalla buona volontà di questa o di quella

categoria, dopodiché in questo contesto è ovvio che prendano piede tutti quei fenomeni

opportunistici che non sono soltanto per esempio i furbetti del cartellino, ma sono per esempio

fenomeni apparentemente legali come l'abuso della legge 104 o l'abuso per esempio delle

inidoneità parziali per cui ci si fa trasferire da un front office a un back office perché

lì si fa meno fatica, si fa meno fatica per un vigile, si fa meno fatica a stare davanti

a una scrivania piuttosto che a stare in mezzo allo smog a dirigere i tratti.

Ma il sindacato in tutto questo?

Il sindacato almeno nel pubblico impiego ha enormi responsabilità perché molto spesso

si è trasformato purtroppo in incorporazioni autoreferenziali che in qualche modo hanno

preteso un livellamento generale, un livellamento del merito, della qualità, della qualità

dello stipendio, un livellamento dei sistemi di reclutamento, dei sistemi di promozione,

dei sistemi di valutazione per avere i premi. Noi abbiamo preso dalla riforma americana

che è stata introdotta nel 1993 da Al Gore sotto la presidenza di Bill Clinton e poi

stata perfezionata dieci anni dopo, era un grandioso sistema di valutazione, quello che

ha istituito l'ufficio, il Government Accountability Office del congresso che riesce a valutare

bene le politiche pubbliche, però valutare in base a che cosa? Le valutano in base a

degli obiettivi veri, obiettivi veri significano per esempio numero di studenti che non lavorano

e non studiano da portare sotto una certa soglia, oppure quota di studenti che non lavorano

e quota di territori a rischio idrogeologico da sistemare entro un certo numero di anni,

questi sono i veri obiettivi. Noi invece abbiamo fatto un nostro sistema di valutazione tutto

italiano nel quale ci sono centinaia, migliaia di obiettivi che sono quasi tutti procedurali,

per esempio numero di pratiche trasferite da un ufficio all'altro, oppure numero di

funzioni fatte. Non viene mai presa in considerazione per esempio il livello di soddisfazione di

chi usa l'ufficio del servizio, che dovrebbe essere l'elemento fondamentale per stabilire

se un servizio è erogato bene oppure è erogato male. Non c'è dubbio. Io mi inserisco in

questa vostra conversazione molto interessante per riferirvi a alcune domande che vorrei

fare sia a Sergio sia a Marco. Allora se posso inizierei con Marco, è una domanda

molto semplice che ci fa Maurizio 011 che chiede, pensate che l'angelo sterminatore

abbia un volto? Purtroppo no, magari ce l'avesse e la potremmo eliminare subito. Purtroppo

l'angelo sterminatore è veramente una specie di virus che non ha un volto ma ha mille volti

in modo tale che sarebbe semplicistico poi addossare la colpa ad una piuttosto che ad

un'altra categoria. Allora se è così faccio una domanda a Sergio che poi giro anche a

te Marco perché è una domanda di fondo che viene dal fatto che Antonia, mia figlia che

lavora in caseritrice con me e io stessa, abbiamo ascoltato un interessantissimo podcast

della BBC, si chiama Inquiry, ve lo consiglio, ogni giovedì viene fatto uno nuovo e che

riguarda tutto il mondo. E questa volta, un paio di giovedì fa, la domanda era perché

l'Italia ha avuto così tanti governi uno dopo l'altro? Il problema che poneva Sergio

qualche minuto fa, come mai l'Italia è così instabile? E la spiegazione, scusate

la semplifico, era perché c'è stato il fascismo e quella concentrazione di potere

la Costituzione italiana cerca di eliminarla frammentando il potere. Cioè nessuno deve

mai poter prendere decisioni se non con mille contrapese per paura che si ripristini quella

concentrazione di potere. Questo è all'origine della preoccupazione che però è all'origine

dell'impotenza che voi avete descritto. Ti convince questa spiegazione?

Guarda, io mi ricordo che nel dicembre 2007 feci al Corriere un'intervista a Pado Schioppa,

Tommaso Pado Schioppa, allora era Ministro dell'Economia, che mi folgorò con questa

sua lettura, disse, ma sai, noi l'Italia e la Germania hanno avuto in qualche modo delle

storie parallele, soltanto che noi abbiamo reagito esattamente al contrario dei tedeschi.

I tedeschi spaventati da Weimar dopo la Seconda Guerra Mondiale hanno deciso mai più governi

deboli. Noi invece spaventati dal fascismo abbiamo deciso mai più governi forti. Quindi

questa può essere certamente una chiave di lettura. Però attenzione perché i governi

deboli non sono una prelogativa della Repubblica italiana, ma anche del Regno d'Italia. Guardate

che dal 1861 al 1946 ci sono stati esattamente lo stesso numero di governi, cioè 66, e ci

sono stati dal 48 fino a oggi. Quindi la durata media sarà di 420 o 430 giorni anche lì.

Quindi il problema non è solo il fascismo.

No, è un problema che parte dalla durata d'Italia.

Allora rilancio la domanda, la rilancio anche a Marco. Non è che per caso noi italiani

non ci fidiamo molto di noi stessi? Non è che per caso il problema è un problema di

quello che gli economisti chiamano capitale sociale, non solo verso lo Stato? Perché

se uno non si fida del vicino e pensa che è un potenziale delinquente chiunque incontra,

perché pensiamo di essere anarchici, poi pasticcioni, di fare i nostri interessi raffando

giorno per giorno, poi la stessa classe dirigente si convince di questo. È un paese fragile,

ci vogliono i compromessi, bisogna stare tutti insieme, non ci si può dividere fisiologicamente

come si fa in Inghilterra e in altri paesi. Perché è un paese fragile, che ha linee di

frattura tra cattolici e laici, tra rossi e neri, tra nord e sud, tra terronie. E quindi

alla fine è un problema non solo di sfiducia nello Stato, ma prima ancora, Marco, lo chiedo

a te e poi a Sergio, di una scarsa fiducia in noi italiani, in noi stessi. E questo è

un tema ovviamente difficilissimo, come la recuperi la fiducia in noi stessi? Questo

l'abbiamo visto anche nella vicenda delle mascherine, quando a un certo punto il capo

a produzione civile Borrelli risponde a Fontana, ma perché mi devo messere la mascherina quando

esco per strada? Dice in fondo, tengo la distanza. E Fontana, il governatore, gli risponde, ma

tutti noi prima o poi incontriamo un amico e lo abbracciamo. Che mi sembra una meravigliosa

testimonianza di fiducia nei propri concittadini. Tu come la vedi?

Sicuramente c'è questa mancanza di fiducia in noi stessi, è verissimo questo, che però

appunto poi si è cristallizzata nella mancanza di fiducia nello Stato, che è soprattutto

più che mancanza di fiducia, è considerare lo Stato come altra cosa da noi. Noi non siamo

mai, ci siamo noi, c'è ognuno di noi e poi c'è lo Stato. E quindi in quanto Stato, in

quanti rappresentanti dello Stato, che sono sempre e appunto sempre comunque diversi da

noi, possono essere continuamente sostituiti come per provarli, come se fossimo in un grande

supermercato e dovessimo continuamente cercare il prodotto più utile per noi, non capendo

che siamo noi quel prodotto. E che quindi tutto quello che riguarda la fragilità del

potere politico, la fragilità degli amministratori pubblici e tutti i blocchi, tutti i limiti

che abbiamo detto finora, riguardano noi stessi, non riguardano un'entità esterna che non si

sa chi sia.

Certo che ne pensi, una delle critiche tra l'altro è stata fatta a Sergio Rizzo e che

con il libro Sulla Casta ha aumentato questa fiducia dello Stato.

Veramente se la sono aumentata da solo la fiducia, perché quel libro lì è semplicemente

un libro che spiega che c'è un problema, ma il problema non l'abbiamo certo creato

con noi. Perché qui è sempre questo vizio di confondere il medico con la malattia. Se

io sono malato è perché il medico me l'ha detto. No, se sei malato è perché sei malato.

Il medico semmai ti aiuta a capire qual è la ragione di questa malattia e come tu puoi

cambiare, come puoi guarire. Non l'hai fatto, infatti abbiamo visto come siamo. Però attenzione,

perché io sono convinto che ci sia qualcosa di ancora più profondo in questo ragionamento

che si sta facendo. Io credo che ci siano delle ragioni storiche ben precise. L'Italia

è stata fatta male, perché era un paese naturalmente federalista ed è diventato un paese poi centralista,

perché ci siamo aggrappati ai Savoia. Era l'unica monarchia che non era mai stata conquistata

dagli stranieri, quindi era un po' forse anche logico che bisognasse partire da lì. Però

poi abbiamo avuto un problema, un problema grosso è stato con lo Stato della Chiesa,

perché il federalismo tu lo fai, ma che ministero gli dai al Papa? Cioè era un problema fare

un federalismo con lo Stato della Chiesa. Poi c'è stato oggettivamente un problema

con il Mezzogiorno, perché il Mezzogiorno veniva da una storia completamente diversa

ed è stato trattato come un pezzo di Italia conquistata. Con la Repubblica noi abbiamo

assistito ad una sostanziale continuità della burocrazia del Regno d'Italia e del fascismo

con quella della Repubblica. Ed è esattamente la stessa cosa oggi come allora, tant'è che

noi oggi siamo considerati sudditi come lo eravamo prima della Repubblica. Ma questa

cosa viene fuori in un modo chiarissimo dalle norme. Ma voi pensate che noi abbiamo fatto

dal 1990, cioè un provvedimento che poi è stato reiterato nel 2000 in modo ancora più

forte, per cui la pubblica amministrazione non può chiedere ai cittadini documenti di

cui è già in possesso. Ed è una delle regole fondamentali, ma continuamente ti chiedono

documenti di cui sei già in possesso, anche oggi. Perché questo? Perché la burocrazia

è ancora disegnata sullo schema monarchico del Regno e poi del fascismo. Non è un caso

per esempio che quando è caduto il fascismo, tutti gli altri burocrati sono rimasti al

loro posto, moltissimi di loro. Hanno addirittura fatto carriera nella Repubblica. C'è stato

anche un presidente della Corte Costituzionale che era stato presidente del Tribunale della

Razza, non ce lo dimentichiamo. Quindi non c'è mai stata una frattura. E i cittadini

italiani oggi sono considerati come dei sudditi e è la ragione per cui poi alla fine sopravvivono

delle cose che non dovrebbero sopravvivere in una democrazia. A cominciare da delle forme

di… sto per dire una cosa che forse non è molto politicamente corretta, ma secondo

voi vi sembra possibile che il presidente della Repubblica abbia come sede una reggia,

cioè il Quirinale? Già ma quel semplice fatto simbolico dice tutto. Noi siamo passati dal

Papa che aveva la sua reggia al Quirinale, il re ha occupato la reggia del Papa al Quirinale,

il presidente della Repubblica invece di andare in una bellissima palazzina come ha fatto

la Presidente della Repubblica tedesca con tutti i comfort e tutti gli elementi di sicurezza

necessari è andato a stabilirsi nel Quirinale, cioè nella reggia. E infatti oggi abbiamo

avuto anche dei presidenti della Repubblica, nella storia repubblicana, che sono stati

trattati come dei sopravvivi, diciamo la verità. Nessuno si osava contraddire quello che diceva

il Presidente della Repubblica. Sarebbe ora di cambiare un po'. Il caso del Presidente

della Repubblica è interessante anche dal punto di vista dei suoi poteri. Formalmente

il Presidente della Repubblica italiano ha dei poteri di garanzia, di controllo. Nell'ultima

crisi abbiamo visto che ha un potere molto maggiore nella sostanza. Certo si potrebbe

dire ce l'ha quando i partiti sono deboli, però ce l'ha. Anche Napolitano se vuoi, ancora

prima di Mattarella, ha avuto… tanti lo chiamavano Re Giorgio. Però se uno mettesse

per iscritto questi poteri nessuno li vorrebbe. Tu hai citato la Chiesa Cattolica. Se io dovessi

dire qual è un difetto terribile di questo nostro Paese è l'ipocrisia. Siamo un Paese

profondamente ipocrita. Forse lo sono tutti. Forse c'è un'ipocrisia britannica, per carità.

Certamente questa è una delle virtù dei gesuiti che noi abbiamo. Avviandomi alla conclusione,

vorrei girarvi un'altra domanda. Intanto trasmetto a Marco i saluti di un amico comune che è Andrea

Boitani, che scrive dicendo che il libro è bellissimo. Andrea Boitani è un grande,

bravissimo economista che insegna la Cattolica a Milano. Quindi prendiamo i suoi complimenti,

Marco, per molto qualificati. Un altro delle persone che ci ascoltano fa una domanda molto

importante, credo. Piacerebbe a Sabino Cassese, che peraltro è stato evocato e che ha scritto una

bella frase per il Retro, che leggo. Sabino ha scritto sulla biorocrazia e molti hanno scritto

pagine ironiche e dolenti, pochi però con il realismo e la ricchezza di analisi Marco Ruffolo,

che in questo libro racconta con humor i mali dello Stato italiano. L'ha già detto Sergio,

questo è un libro anche molto divertente, riesce nel piccolo miracolo di raccontare un argomento

di per sé non molto divertente in maniera umoristica. È stato detto anche attraverso

questa fiction del primo ministro che fa la conferenza stampa con i giornalisti. Giovanni

Mannelli chiede, e questa la giro sia a Marco sia a Sergio, servirebbe una scuola come la

francese ENA realizzabile da noi? Cioè si può formare un'amministrazione che abbia

caratteristiche diverse da quelle che avete descritto, almeno in una parte?

Si può, ce ne dovrebbero essere più di una di scuole di pubblica amministrazione. Il problema

però è non trasformarle e non fare sì che siano semplicemente dei simulacri e delle iniziative

soltanto formali che poi non portino effettivamente nuove professionalità, ma per fare questo poi

appunto devono avere una prospettiva di poter fare qualche cosa poi nel momento stesso in cui

il candidato, lo studente diventa amministratore pubblico. Se si smantellano tutta una serie di

controlli finti, asfissianti che paralizzano ora la loro opera, se si incide sulla sovrapposizione

di competenze che adesso ci sono, cioè tutti quei nodi irrisolti che adesso stanno veramente

paralizzando l'azione della pubblica amministrazione, in parte per responsabilità propria, in parte per

responsabilità della politica e di tutti i nodi che non sono stati risolti. Per cui le scuole

ovviamente benvengano, però nella prospettiva che lo Stato italiano venga veramente rivoluzionato.

Ma guarda, secondo me è impossibile e si è visto, si è visto perché hanno provato a farlo,

hanno provato a fare la scuola di pubblica amministrazione unica, tra l'altro mi pare che

il direttore fosse Tria, se non ricordo male ad un certo punto, e però non ha funzionato,

non ha funzionato per una ragione molto semplice, perché non si sa che paese è questo. In Francia

funziona perché la Francia è un paese dove si sa esattamente come è fatto, è un paese centralista

che ha questo nucleo di formazione dei grandi burocrati che poi diventano presidenti della

Repubblica. Sono diversi che sono passati allenati, presidenti della Repubblica. In Italia

che facciamo? I governatori delle regioni li mandiamo lì a studiare? No, noi dovremmo abolire

le regioni, allora a quel punto forse possiamo cominciare a ragionare, a dare a questo paese

una struttura istituzionale diversa e allora sì, forse avrebbe un senso e forse si riuscirebbe a

fare. L'ultima cosa che aggiungo è che bisognerebbe anche che tutti i ministeri pensassero di far parte

dello stesso governo, cosa che non è assoluta. Bene, scusate, abbiamo ancora sei minuti. Io vi

proporrei questo gioco, dividiamoci tre minuti ciascuno, perché il libro alla fine ha anche una

parte propositiva, cioè questo non l'avete detto abbastanza finora, ma si conclude con un capitolo

che si chiama Il Grande Progetto, perché questo primo ministro futuribile a un certo punto dice

beh allora sapete che cosa c'è? Vi comunico un grande progetto, un grande progetto così forte

che rischia di far cadere il governo perché tutti si rivolgono contro, salvo poi l'intervento

europeo che lo mette a posto. Allora chiederei in tre minuti a Marco di dirci cosa consiste

questo grande progetto, almeno un paio di punti. A Sergio dire se gli sembra credibile. Allora,

detto molto sinteticamente, innanzitutto riassegnare allo Stato la competenza esclusiva

in quelle 22 materie che un'ascellerata riforma nel 2001 ha assegnato alle regioni in questa

specie di condominio e di concorrenza con lo Stato. Questo non significa la fine del federalismo,

il federalismo è inteso non come un diritto quasi naturale che una classe dirigente locale ha in

virtù della vicinanza alla popolazione che deve essere servita. Il federalismo bisogna

guadagnarselo sul campo, bisogna meritarselo e quindi diciamo che il potere centrale ha la

possibilità di delegare alle regioni, anzi non sono più regioni perché il Premier propone la

sostituzione delle regioni con dei distretti territoriali come ci aveva proposto la Società

Geografica italiana una volta, ma in sostanza prevedere che possano essere delegate alcune

competenze che sulla carta rimangono competenze esclusive dello Stato alle regioni più virtuose,

a quelle che sono in grado di offrire servizi più utili e più efficienti ai loro cittadini.

Hai già giocato il primo minuto Marco, ancora solo due minuti.

Il secondo minuto, il secondo pilastro è quello di restituire o comunque di dare più autonomia e

più competenza alla pubblica amministrazione che oggi è completamente paralizzata. Il terzo è

quello di smantellare tutta una serie di controlli inutili e asfissianti che gravano sulla testa

dei pubblici amministratori, anche di togliere delle minacce giudiziarie come l'abuso d'ufficio,

come le azioni di responsabilità per danno erariale che non coinvolgono soltanto il dolo,

ma anche la colpa e non soltanto la colpa grave come prescrive la legge,

ma vengono estese anche a tante altre fattispecie. Questi sono sostanzialmente i tre punti. In questi

tre punti questo premier immaginario fa delle proposte anche molto radicali, a cominciare

appunto dalla sostituzione delle regioni con i distretti, dal federalismo che bisogna guadagnarsi

e poi soprattutto dall'attribuzione al Senato della funzione di controllo sull'operato della

pubblica amministrazione. La Camera che continua ad avere una funzione legislativa è il Senato che

acquista questo forte controllo così come succede negli Stati Uniti, cioè il Senato che ha dentro di

sé un ufficio di controllo molto forte che controlla anche fortemente le voci di bilancio

delle singole amministrazioni. Faccio due domande a Sergio. La prima, se ci fossero

le condizioni politiche un programma di questo genere ti convince? E secondo,

ci può essere un consenso un programma di questo genere? Oppure i costi che questo,

dal punto di vista dei posti di lavoro, della riconversione, sono eccessivi? E quali sono le

condizioni di consenso? Cioè è un programma totalmente realistico oppure ci potrebbero

essere anche costruite le condizioni per avere il consenso a un programma del genere?

Guarda, il programma mi convince quasi del tutto, soprattutto la parte che riguarda le regioni,

ma per un motivo molto semplice, che se uno guarda i dati del PIL dal 2001 a oggi scopre

che l'Italia ha smesso di crescere proprio allora, cioè l'Italia ha smesso di crescere

nel momento in cui è stata fatta la riforma del titolo quinto. Non abbiamo mai più avuto,

dal 2001 a oggi, un tasso di crescita superiore al 2%, mai avuto. Tutti gli altri paesi europei

l'hanno avuto. Noi l'ultimo tasso di crescita superiore al 2% l'abbiamo avuto nel 2000,

2,9%. Dopodiché ci siamo fermati del tutto ed è evidente che la ragione è anche questa assurda

ripartizione dei poteri. C'è un aspetto che, diciamo, io penso che potrebbe avere anche consenso

per questa ragione qua. Per esempio, c'è un aspetto importante che la pandemia ha messo in

evidenza, cioè che le regioni non funzionano nella cosa più importante, la sanità, ovviamente.

Quindi questo elemento potrebbe essere un elemento che potrebbe certamente convincere molte persone

a schierarsi a favore di questa marcia indietro. Chiamiamola marcia indietro, ma insomma è una

rivisitazione anche dei poteri delle regioni e della loro funzione. Ci sono delle cose che non

sono assolutamente accettabili. I consigli regionali, per esempio, non servono a niente,

sono del tutto inutili, sono degli sprechi puri. Per quanto riguarda le altre proposte del progetto,

sull'abuso d'ufficio, diciamo, io condivido la preoccupazione perché è fondamentale questa cosa,

però c'è un punto da dirimere, la magistratura, per cui bisogna intervenire sulla magistratura,

far funzionare la magistratura. La magistratura d'Italia non funziona, questo è un problema

fondamentale. Non si trovano mai colpevoli, spesso e volentieri i corrotti che vengono

incriminati poi vengono assolti dal tribunale. I tempi sono biblici, non è possibile che tu,

per avere una sentenza definitiva civile, debba aspettare dieci anni, non è assolutamente

accettabile questo. E nessun governo è mai riuscito a intervenire su questo fronte, perché? Perché,

oggettivamente, la magistratura è diventato un potere così pervasivo, anche in rapporto alla

debolezza della politica, che non è compatibile con un sistema democratico efficiente. La

magistratura deve essere ricondotta ad un ruolo che è il suo ruolo fisiologico, non quello di

surrogato del potere politico, perché questo non è assolutamente accettabile. Se noi riuscissimo a

intervenire su questi punti, forse riusciamo a portare a casa quel progetto lì. Io aggiungerei

anche un'altra cosa, la selezione delle persone, perché la selezione della classe dirigente è

fondamentale. Io penso che noi non possiamo andare avanti con un sistema politico dove i

politici, cioè quelli che devono poi rappresentare i cittadini e poi decidere chi governa alla fine,

no, siano così scadenti. Ti interrompo, Sergio, su quest'ultima cosa, perché credo veramente sia

fondamentale. Per fare selezione della classe dirigente bisogna che la stessa classe dirigente

adotti dei criteri più selettivi. Voi avete fatto, nel libro sulla Castro, un'operazione

dirompente. In Italia si dice sempre che il peccato è non il peccatore. Questo è quello

che noi facciamo. Di solito facciamo grandi discorsi critici, non indichiamo i nomi, mentre

invece dobbiamo cominciare a fare questo tutti noi, non solo la stampa, non solo i libri,

come voi avete fatto. Concludo con una piccola notazione personale. Quando Marco per la prima

volta mi disse che aveva fatto questo testo, dicendomi in maniera quasi divertissima,

mi diceva che aveva scritto un piccolo testo, un piccolo saggio, e io gli chiesi di che cosa si

occupava. E lui mi disse che si occupava di questo tema. E io devo dire, confesso, che mentre ero

incuriosito dal fatto che Marco Ruffolo avesse scritto un libro, quando mi disse il tema fu un

po' raggelato, perché gli dissi che qui sarà una cosa noiosa, tecnica, faticosa a leggere,

però certo è utile, perché è importante sapere cosa fa la Corte dei Conti, cosa fa il Tarracid.

Quando ho cominciato a leggere questo libro non l'ho più potuto finire, non l'ho più potuto

smettere fino alla fine, perché è veramente un libro divertente. La chiave narrativa di questo

fantasmatico premiere, che cerca di parlare ai giornalisti sbigottiti, gli fa vedere il film,

poi comincia a spiegargli le cose, poi fa questo grande progetto, è una chiave che mi sembra abbia

trovato Marco per parlare di un tema molto importante, ma certo non divertente di per sé,

in una maniera che tra l'altro è comprensibile per tutti. E credo che tutti possano attraverso

questo libro capire questo arcano dell'angelo sterminatore. Quindi ringrazio moltissimo Sergio

Rizzo, che è veramente stato generoso e la vostra conversazione è stata piena di spunti di

riflessione. Con Marco Ruffolo continuiamo a discutere questo libro e vi invito a tutti a

risentirci nei prossimi incontri di Casa la Terza. Arrivederci.