La sfida della Wagner al potere di Putin
Dalla redazione di Internazionale, io sono Giulia Zoli.
Io sono Claudio Rossi Marcelli e questo è Il Mondo, il podcast quotidiano di Internazionale.
Oggi vi parleremo della rivolta della milizia Wagner in Russia e di lavoro sessuale, e poi
di come funziona la memoria e del Festival dei Due Mondi.
È lunedì 26 giugno 2023.
La rivolta della milizia Wagner è stata accolta e controllata da tutti gli obiettivi militari di Rostov-on-Don,
come l'aerodromo.
Tutto ciò che si fa è stato controllato per evitare che l'aviazione non faccia uccidere
su noi, ma sulle ucraini.
Il Comandante Generale di Rostov-on-Don è sempre in regolo, non c'è nessun problema,
nessun ufficio è stato rinviato.
Perciò quando vi diranno che la milizia Wagner ha rinviato, non è così.
Lo scontro armato tra il gruppo Wagner e le forze di sicurezza russe alla fine non c'è stato.
Ma per 36 ore la rivolta del capo della compagnia militare privata Wagner, Yevgeny Prigozhin,
e delle sue truppe mercenarie ha fatto pensare a un colpo di Stato che avrebbe potuto far
precipitare la Russia nella guerra civile.
Tutto è cominciato la mattina del 23 giugno, quando in una serie di post sui social network
Prigozhin ha messo in dubbio le motivazioni usate dalla Russia per invadere l'Ucraina
e ha accusato il Ministro della Difesa Sergei Shogun di aver cominciato la guerra per interessi
personali.
Il giorno dopo, nel video messaggio che avete ascoltato, Prigozhin ha annunciato di aver
preso il controllo del comando dell'esercito russo nella città meridionale di Rostov-on-Don,
vicino al coffine con l'Ucraina.
Mentre le sue truppe si avviavano verso nord, in direzione di Mosca, incontrando poca resistenza
da parte dell'esercito regolare.
Intanto, in un discorso alla Nazione dai toni molto duri trasmesso in TV, il presidente
russo Vladimir Putin accusava la Wagner di fratricidio e tradimento, promettendo di punire
i rivoltosi e di difendere la Russia.
Nella serata di sabato, mentre Mosca si preparava ormai lo scontro armato, è arrivato l'annuncio
di un accordo raggiunto grazie alla mediazione del presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko.
Prigozhin ha ordinato alle sue truppe, che erano arrivate a 200 km dalla capitale, di
tornare indietro e di lasciare Rostov, per evitare spargimenti di sangue russo, ha detto.
In seguito Mosca ha fatto sapere che Prigozhin sarebbe andato in Bielorussia.
Ne parliamo con Andrea Pipino, editor di Europa di Internazionale.
L'accordo negoziato da Prigozhin prevede l'immunità per lui e per tutti gli uomini della Wagner
che hanno partecipato al tentativo di golpe e prevede una sorta di esilio forzato per
Prigozhin stesso in Bielorussia.
Bielorussia è ormai uno stato che è una sorta di appendice della Russia putiniana.
Questo almeno è quello che ha dichiarato il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, l'uomo
che ha dato la notizia dell'accordo.
Quanto ai miliziani della Wagner, quelli che non hanno direttamente partecipato all'ammutitamento
dovrebbero sottoscrivere dei contratti con l'esercito regolare russo, mettendosi di fatto
sotto il controllo dello stato maggiore di Mosca, che punta quindi a prendere il comando
di tutte le milizie volontarie entro l'inizio di luglio.
In tutto questo il diretto protagonista della vicenda, Prigozhin stesso, non ha parlato e
non si è visto.
Certo, una delle cose che stupiscono di come per adesso almeno si è conclusa questa vicenda
è la leggerezza della posizione che Putin sembra aver riservato al capo della Wagner.
Fino a ora eravamo abituati a un Putin molto più vendicativo, specialmente verso i nemici,
e in particolare dopo le accuse che Putin stesso aveva lanciato domenica mattina, quando
aveva parlato apertamente di tradimento e di pugnalata alle spalle, forse ci si poteva
aspettare una sanzione più severa.
Per adesso invece pare che Prigozhin se la sia cavata con l'esilio.
Cosa poi andrà a fare in Bielorussia è un'altra questione ed è tutta da vedere, è difficile
immaginare che improvvisamente si metta a fare il pensionato.
Una possibilità è che in qualche modo possa mettersi al servizio di Aleksandr Lukashenko,
l'uomo forte della Bielorussia, al potere ininterrottamente dal 1994 e che è anche
la persona che, a quanto si è detto, ha negoziato l'accordo tra i ribelli della Wagner e il
Cremlino.
Ora Lukashenko in effetti è poco più che un burattinaio di Putin, la sua repressione
delle proteste negli ultimi anni è stata veramente brutale, tuttavia da un po' di tempo
circolano anche voci sulla sua grave malattia e sulla conseguente fragilità del suo potere
personale.
Considerato tutto questo sarà interessante vedere come la presenza di una figura ingombrante
come oggi Prigozhin influirà sugli equilibri interni della Bielorussia.
Ma chi è Evgeny Prigozhin?
Come è diventato così potente?
Prigozhin è in qualche modo un esempio di quelle figure sicuramente poco trasparenti
e in qualche modo poco raccomandabili che sono riuscite ad affermarsi nel caos della
Russia degli anni 90.
Nel suo caso il successo economico è stato accompagnato però da una grande ambizione,
anche politica, che poi si è tradotta in un ruolo pubblico sempre più rilevante.
Condannato per aggressione e rapina nel 1981, Prigozhin è uscito di galera solo nel 1990
e ha subito cominciato la sua carriera imprenditoriale vendendo hot dog a San Pietroburgo.
Poi ha investito i soldi guadagnati, che erano parecchi evidentemente in diversi settori,
e nel 1995 ha aperto un ristorante che è subito diventato uno dei posti più di moda
della città.
È qui che ha incontrato Putin, allora braccio destro del sindaco della città, Anatoly Sobchak,
che nel locale portava tutte le delegazioni e tutti gli ospiti stranieri che venivano
in visita in città, da cui per esempio il presidente Bush e Chirac.
Dopo questo ha fondato un'azienda di catering che si è arricchita enormemente grazie a
molteplici bandi pubblici.
All'inizio dello scorso decennio ha cominciato anche a occuparsi di mezzi di informazione
e ha messo in piedi le cosiddette fabbriche dei troll, cioè quei luoghi fisici proprio,
dove lavoravano decine di ragazzi e ragazze con l'obiettivo di disseminare la propaganda
russa in rete, attività per la quale Prigozhin è stato coinvolto nelle inchieste statunitensi
sulle interferenze russe nell'elezione di Trump alla presidenza americana nel 2016.
È stato più o meno a questo punto che è nata la Wagner, cioè un gruppo di contractor
militari specializzati che si chiama così perché prende il nome dal soprannome del
suo primo comandante, Dmitry Utkin, che era già stato un guardia del corpo di Prigozhin
e che aveva e ha tuttora delle simpatie naziste, suprematiste e bianche abbastanza evidenti,
anche testimoniate dai suoi tatuaggi sul collo.
Cosa ha fatto e come agisce la Wagner e dove oggi?
Nonostante in Russia l'attività militare mercenaria sia in teoria vietata, il gruppo
Wagner è in breve tempo diventato il braccio operativo in un certo senso della politica
estera di Mosca.
Dove c'era da intervenire in modo rapido, efficace e senza far sfoggio di bandiere russe,
quindi in operazioni in un certo senso informali, arrivava la Wagner.
La prima operazione a cui il gruppo ha preso parte è stata la guerra in Donbass nel 2014,
quella cominciata subito dopo l'annessione della Crimea alla Russia.
Poi sono arrivate la guerra in Siria tra il 2015 e il 2016, la guerra civile in Repubblica
Sudafricana, il conflitto libico in cui la Wagner ha combattuto al fianco di Haftar,
il Mali e infine come ultima l'invasione dell'Ucraina nel marzo del 2022.
In questi anni e grazie ai contatti acquisiti soprattutto in Africa, la Wagner ha potuto
assicurarsi dei contratti molto ricchi per le estrazioni di minerali preziosi e materie
prime e ha così accumulato un'enorme quantità di denaro che poi è speso nelle operazioni
successive.
I modi operativi della Wagner sono sempre stati piuttosto sospicci, per rendere l'idea
si possono vedere online diversi video che sono risalenti alla guerra in Siria, ma soprattutto
più recenti e girati in Ucraina, in cui dei miliziani del gruppo torturano e uccidono
con la mazza dei prigionieri e dei commilitoni che erano stati ritenuti evidentemente traditori
o disettori.
Tutte queste attività sono state svolte fino a un certo punto in una situazione di gran
segretezza per consentire a Mosca di poter prendere le distanze nel caso fosse stato
necessario, fino a che alla fine dello scorso anno, alla fine del 22, l'immagine del gruppo
è cambiata anche ufficialmente perché a novembre la Wagner ha aperto la sua prima
sede a San Pietroburgo e qui è stato un momento di svolta per il suo ruolo pubblico e politico
nel conflitto in Ucraina.
Veniamo appunto alla guerra in Ucraina, che ruolo ha avuto questa compagnia militare e
privata nel conflitto?
Allora in Ucraina è successo che gli uomini di Prigozhin hanno acquistato un ruolo militare
e strategico sempre più rilevante, in qualche modo anche per coprire e per nascondere i
fallimenti dell'esercito regolare.
Con l'aumento del peso strategico della Wagner a Prigozhin è stato consentito addirittura
di reclutare uomini nelle carceri russe, tanto che le autorità statunitensi hanno calcolato
che il gruppo prima delle ultime vicende, delle questioni degli ultimi giorni, avesse
più di 50.000 miliziani a disposizione, tra cui 10.000 contractos, quindi veri e propri
professionisti e 40.000 ex carcerati.
A gennaio Prigozhin si è vantato di aver conquistato praticamente da solo in autonomia
la città ucraina di Soledar, nella regione di Donetsk, e più tardi il gruppo è stato
invece protagonista della più importante battaglia degli ultimi mesi, quella per il controllo
della città di Bakhmut, la cui conquista aveva un ruolo più simbolico che realmente
strategico.
In questa occasione Prigozhin ha per la prima volta accusato apertamente il Ministero della
Difesa di non aver supportato adeguatamente i suoi uomini, per esempio non inviando munizioni
e causando così una carneficina di soldati della Wagner.
Secondo Prigozhin, a Bakhmut ne sono morti addirittura 10.000.
Comunque sia negli ultimi mesi il capo della Wagner ha ripetutamente puntato il dito contro
il Ministro della Difesa russo Sergei Shoigu e il capo di Stato Maggiore che si chiama
Valery Gerasimov, accusandoli esplicitamente di incompetenza, di corruzione e di inefficienza.
Tuttavia Prigozhin si è sempre ben guardato a criticare direttamente Putin e in ogni modo
in tutte le situazioni alla fine le cose sono rientrate.
Fino allo scorso venerdì, quel giorno le cose sono cambiate, perché Prigozhin ha pubblicato
un video in cui smontava di fatto tutti gli argomenti usati dalla propaganda russa per
giustificare la guerra in Ucraina.
In sostanza ha detto che in Donbass non c'è stato nessun genocidio, che le forze ucraine
non hanno sparato sui civili ma sulle postazioni russe nel periodo tra il 2014 e il 2022, che
nel febbraio del 22 non era le viste nessun attacco ucraino o della Nato, che per anni
gli oligarchi e gli uomini dell'amministrazione presidenziale russa hanno sfruttato a proprio
piacimento le risorse del Donbass e che al fronte la situazione per l'esercito russo
era molto peggiore di quanto Mosca volesse ammettere.
Poche ore dopo ha annunciato l'ammutinamento dei suoi uomini e la cosiddetta marcia della
giustizia verso Mosca.
Ora la crisi sembra conclusa, ma questa sfida così diretta al Cremlino cosa significa per
la Russia e per Putin?
Allora sicuramente il monolite che in molti avevano pensato fosse la Russia di Putin,
cioè un paese che marcia al ritmo del suo presidente, il quale presidente controlla
e governa tutto, in realtà non esiste.
E forse in realtà non è nemmeno mai esistito.
Per certi versi, infatti, questa crisi rivela la fragilità proprio delle fondamenta del
potere di Putin, la scarsa solidità di quella che per anni è stata chiamata la sua verticale
del potere e in qualche modo mette in discussione uno dei cardini di ogni stato soprano, cioè
il monopolio della forza.
In questi giorni, a prescindere da quali saranno in futuro le ricadute della crisi, che con
ogni evidenza non è stata una messa in scena da poveretta ma una crisi vera, si è capito
che il cremlino questo monopolio non ce l'ha.
E l'esito della crisi che si è appena conclusa ha forse qualcosa a che vedere con l'abitudine
di Putin non a delegare le responsabilità di potere, che sarebbe un'operazione perfettamente
normale nelle democrazie mature, ma proprio a dare in outsourcing dei pezzi di potere,
cioè la difesa alla Wagner, la Cecenia al Satapo, Kadirov, l'economia a un gruppo di
oligarchi ristretto e di provata fiducia.
Questo sistema ha creato una costellazione di gruppi di interesse, di potere, che sono
stati governati e tenuti buoni non attraverso la legge, ma grazie alla distribuzione di
ricchezze e di incarichi, magari mettendo questi gruppi gli uni contro gli altri e in
qualche modo costringendoli a mostrare in continuazione il loro asset principale nei
confronti del potere, cioè la fedeltà al capo.
Questo sistema ha tenuto per anni, anche consentendo a Putin di proiettare verso l'esterno un'immagine
di solidità e di gestire il potere in modo sempre più autoritario, ma evidentemente
la guerra lo ha fatto saltare.
E in qualche modo ne ha evidenziato anche la fragilità intrinseca.
Dietro al controllo verticistico e personale di Putin si è scopricchiato infatti un verminario
di interessi di clan, di gruppi di potere molto intricato.
Il risultato è che in questi giorni gli uomini di Prigozhin hanno tirato giù un elicottero
dell'esercito regolare, uccidendo 12 soldati russi e per poco non si sono scontrati con
l'esercito regolare russo e con i miliziani di Kadirov.
D'altra parte, senza voler fare paragoni troppo forzati, la storia russa in qualche modo è
attraversata da episodi simili, da sempre, dai torbidi del Cinquecento fino alla ribellione
degli Strelizzi, che erano un corpo di guardia d'elite dello Tsar alla fine del Seicento,
passando poi per la guerra civile dopo la rivoluzione e arrivando fino allo scontro
del 1993 tra il Presidente e Elsin il Parlamento.
Ora è difficile capire che conseguenze avrà la situazione attuale.
Secondo alcuni osservatori Putin diventerà ancora più brutale e più autoritario, altri
sostengono invece che la crisi l'ha reso più debole e più ricattabile.
Probabilmente le due cose non si escludono a vicenda.
Bisognerà solo capire se il Cremlino riuscirà a riportare le forze che sono venute fuori
dalla lampada sotto il proprio dominio o se la situazione è destinata a farsi ancora
più caotica e più instabile nei prossimi giorni.
Per adesso i segnali vanno in entrambe le direzioni ed è difficile coglierli.
Che conseguenze avranno invece i fatti di questi giorni per la guerra che si sta combattendo
in Ucraina?
Dunque al fronte i combattimenti in questi giorni sono continuati con la solita intensità.
L'esercito ucraino che sabato sera ha dichiarato di aver riconquistato delle porzioni di territorio
intorno al Bakhmut, in realtà ha riassessamenti di pochi metri.
Per adesso la leadership militare ucraina è rimasta abbastanza prudente e non ha fatto
dichiarazioni su ciò che si aspetta dalla crisi o sulla parte del fronte in cui intende
concentrare le sue attività.
Molto dipenderà da cosa succederà con i miliziani della Ex Wagner, cioè quando e
se saranno integrati nell'esercito russo e in caso dove saranno dislocati.
Con ogni probabilità comunque l'instabilità al confine sul fronte potrebbe facilitare
la controffensiva ucraina.
In che modo, in che misura, però è presto per dirlo.
Quello che è certo è che in questi giorni la Russia ha continuato a bombardare.
Kiev è stata colpita di nuovo, come è successo decine di volte nelle ultime settimane, tra
venerdì e domenica, e ci sono stati nuovi morti tra i civili.
Una routine terribile che purtroppo non è stata interrotta neanche dalla crisi della
Wagner e dai fatti più recenti.
Grazie Andrea Pipino.
Grazie a voi.
La notizia di Scienza della settimana raccontata da Elena Boille, vicedirettrice di Internazionale.
Negli anni Ottanta il caso di un paziente affetto d'amnesia, chiamato NN, permise di
capire meglio alcuni aspetti del funzionamento della memoria.
NN era perfettamente in grado di memorizzare una serie di numeri a caso, oppure fatti,
date, nomi e altre informazioni astratte, ma non riusciva a richiamare alla mente nessuna
esperienza personale, come una festa di compleanno, una vacanza o un incontro.
Niente.
Come era possibile che la sua cosiddetta memoria semantica fosse intatta, mentre quella episodica
non funzionava?
Come potevano essere scollegate?
Sorprendentemente NN aveva anche un altro problema.
Non riusciva a immaginare il futuro.
Per lui era impossibile fare un'ipotesi su cosa avrebbe potuto fare il giorno dopo.
I suoi sforzi per immaginare un futuro personale sembravano inutili quanto quelli per ricordare
il suo passato.
Il caso di NN suggerì che potesse esserci una connessione tra memoria e immaginazione
a livello cerebrale, che la capacità di pensare al ritroso, al passato, fosse strettamente
legata alla capacità di pensare in prospettiva al futuro.
Da allora gli studi sono andati avanti e l'articolo che abbiamo ripreso dalla rivista scientifica
Nautilus, nell'ultimo numero di Internazionale, spiega bene perché possiamo dire che ricordare
è un processo creativo, un atto dell'immaginazione.
Il lavoro del sesso è un modo di controbalanciare questa dominazione, di prendere il potere
su questa dominazione perché imposiamo le nostre proprie regole, noi decidiamo di tutto.
Non abbiamo un patrone, non abbiamo un marito, solo noi per guidarci dalla nostra situazione.
Non abbiamo bisogno di uscire dalla prostituzione, solo abbiamo bisogno che ci aiutino a avere
dei diritti.
Non abbiamo bisogno di essere salvate, non abbiamo bisogno di essere aiutate a uscire
dalla prostituzione.
Dobbiamo essere aiutate ad avere dei diritti, dice questa sex worker in un'intervista a
un sito francese.
Un anno fa, il primo giugno 2022, il Belgio diventava il primo paese europeo e il secondo
al mondo dopo la Nuova Zelanda nel 2003 a depenalizzare la prostituzione.
È stata la pandemia a dare una svolta al percorso della legge e a convincere il Parlamento
belga ad approvarla.
Durante i mesi di lockdown, infatti, in Belgio come nel resto del mondo è emersa in modo
evidente la fragilità delle persone che offrono servizi sessuali, che in quel periodo sono
rimaste senza reddito, come altre categorie di lavoratori e lavoratrici, ma poiché il
loro lavoro non è riconosciuto non hanno potuto soffrire di nessun sussidio.
La battaglia del Movimento per la Depenalizzazione e il Riconoscimento del Lavoro Sessuale va
avanti da decenni, ma si scontra ancora con l'idea che lo scambio di sesso per denaro
sia moralmente inaccettabile.
Ne parliamo con Barbara Bonomi-Romagnoli, giornalista e ricercatrice indipendente in studi di genere
e femminismi della rete GRIPS.
La legge belga ha depenalizzato il lavoro sessuale, che significa che ha revocato tutte
quelle misure penali, ma anche ordinanze amministrativi o civili, che ponevano il lavoro sessuale
sia in strada che dentro casa, come lavoro collettivo, o anche la stessa pubblicità
di servizi sessuali che a volte si può incontrare.
In un sistema depenalizzato il lavoro sessuale viene quindi rimosso dall'ambito del diritto
penale e viene inserito in un quadro giuridico di tipo commerciale o diritto del lavoro stesso.
E siccome non è ritenuto un crimine, viene depenalizzato anche quello che passa come
favoreggiamento, ossia quando a volte si tratta anche di un semplice aiuto e sostegno alla
persona che vuole offrire servizi sessuali a bisogno di un posto dove stare, magari non
può pagare l'affitto e io come amica le dico, guarda vieni qui ti do la mia stanza.
In questa legge le lavoratrici del sesso, e uso il femminile plurale perché la maggior
parte sono donne, hanno in questo modo raggiunto una situazione in cui sono uscite completamente
dall'illegalità, che vuol dire anche avere accesso all'assicurazione sanitaria, come
nel caso del Belgio dove non c'è un sistema sanitario nazionale, al congetto di maternità,
eventualmente alla disoccupazione.
E per fare un esempio concreto che riporta anche all'Italia, se ci fosse stata una depenalizzazione
della prostituzione anche da noi, durante il Covid le lavoratrici del sesso avrebbero
avuto accesso ai sussidi che sono stati erogati.
Hai parlato finora di lavoro sessuale ma si sente spesso usare la locuzione inglese sex
work per indicare questa attività.
Che cos'è il sex work?
Il sex work è letteralmente lavoro sessuale, viene utilizzato in inglese spesso anche da
noi perché in inglese ha una connotazione politica molto chiara, nel senso che viene
ritenuto un lavoro al pari degli altri.
In Italia si fa ancora molto fatica ad accettare che invece il lavoro sessuale possa essere
ritenuto un lavoro come gli altri e spesso, soprattutto nell'opinione pubblica, si fa
molto confusione tra sex work, prostituzione coatta, prostituzione anche scelta e tratta.
Sono invece parole diverse che hanno significati differenti, tutte probabilmente soffrono di
essere molto stereotipate e hanno sempre comunque un pregiudizio nel momento in cui
vengono utilizzate.
La persona che professa il sex work in alcuni paesi ad esempio lo fa anche per le persone
che hanno disabilità e quindi in quel caso tanto più viene considerato un lavoro.
E soprattutto dire sex work significa non sotto intendere che tutte le donne che fanno
questa professione necessariamente sono sfruttate, stanno in un contesto di prostituzione coatta
con qualcuno che magari prende la maggior parte dei soldi che dovrebbero ricevere loro
oppure sono vittime di tratta.
Questo non significa che non ci sia la tratta, assolutamente la tratta c'è, va combattuta,
i numeri purtroppo sono molto alti, quindi è sicuramente una minoranza quella delle
donne che svolgono lavoro sessuale in una maniera sicura e per scelta.
Utilizzare senza consapevolezza questi termini in maniera in qualche modo interscambiabile
è sbagliato perché poi sono ricate su tutte quante queste forme e da lo stesso pregiudizio.
Per non pensare poi alla cornice generale della nostra cultura patriarcale che divide
le donne tra sante e puttane con tutto quello che ne deriva.
Mi piace citare in questo caso il libro, finalmente tradotto anche in italiano, di Molly Smith
e Juno Mack che sono due attiviste, anche prostitute inglesi, che hanno scritto questo
testo molto bello che si intitola Prostituta in rivolta che si apre dicendo che le sex
workers sono dappertutto.
Sono le nostre vicine di casa, le madri dei compagni di scuola dei nostri figli, possono
stare in fila alla cassa dietro di noi quando paghiamo un bollettino postale, possono vendere
sesso nella nostra azienda, nel nostro partito, nella sala d'attesa del medico di famiglia,
ma ci sono anche molte sex workers nei luoghi di detenzione, soprattutto le donne migranti
che possono stare nei centri di detenzione permanente, ma ci sono anche molte sex workers
che fanno le battaglie affinché queste donne siano fuori dai centri di detenzione.
Nel dibattito pubblico però e anche in una parte del movimento femminista l'idea prevalente
è che le prostitute siano sempre vittime, sfruttate o nel migliore dei casi costrette
a prostituirsi.
C'è molta resistenza a considerare il lavoro sessuale come un lavoro?
Sì, credo perché è un tema che divide molto, soprattutto perché è collegato a una tematica
molto complessa come quella della sessualità e dei rapporti di potere fra sessi e generi.
In primo luogo si fa fatica ad accettare che ci possa essere consapevolezza e autodeterminazione
quando si parla di sesso in cambio di soldi.
Se io ragiono su questa cosa penso per esempio al lavoro meraviglioso fatto da Paola Tabet,
un'antropologa italiana che ci ha ricordato in tempi non sospetti che c'è uno scambio
sesso economico anche nell'istituzione matrimoniale.
Però in quel caso nessuno si scandalizza e nessuno pensa a tutte le donne che in cambio
di una stabilità, di una sicurezza materiale, magari hanno fatto sesso con i loro mariti
anche quando non lo volevano.
Riflettiamo anche su questo.
Un'altra delle critiche che viene mossa per esempio dalle sex worker, anche da molte donne
dei femminismi, è loro che dicono che voi state vendendo una parte intima, come è possibile
pensare che sia un lavoro?
Una controrisposta a questa osservazione è che differenza c'è parlando di intimità
tra un genitale e il cervello?
In alcune condizioni di lavoro anche la prestazione intellettuale può diventare qualcosa di poco
dignitoso.
E in generale la riflessione che fanno i movimenti delle attiviste per i diritti civili e sociali
delle prostitute che sono presenti in tutto il mondo da tantissimi decenni, in qualche
modo dai anni 70 e poi, sono state anche protagoniste del grande movimento degli anni 70 del femminismo,
mettono in discussione in generale tutto il modello neoliberista e capitalistico e quindi
loro dicono attenzione perché anche altri ambiti lavorativi, le lavoratrici e i lavoratori
sono sfruttati, mal pagati e quindi quanto è degradante il nostro lavoro rispetto a
lavorare in fabbrica o fare il rider quando non ci sono i diritti minimi rispetto a quella
professione.
Quindi credo che in assoluto la cosa più importante da fare sia ascoltare quello che
hanno da dire le protagoniste, cioè sentire cosa loro vogliono, pensano anche perché
sono molto lucide nel dire che proprio perché è un lavoro come un altro, il sex work non
va né demonizzato e né santificato, non è il lavoro più bello del mondo, loro spesso
dicono che lo fanno per circostanza e quindi bisogna ascoltare questa loro richiesta di
attenzione rispetto a una circostanza che può esserci nella vita e che non va giudicata,
non va stigmatizzata.
Quali sono i benefici della depenalizzazione?
Depenalizzare significa garantire prima di tutto la dignità e la qualità della vita
delle persone perché depenalizzando si riesce poco alla volta anche a togliere lo stigma
e a far sì che le persone non siano in una condizione di pericolo e di rischio.
Dicono spesso le sex worker che con la depenalizzazione è più facile combattere anche lo sfruttamento
perché quando invece c'è la criminalizzazione è molto difficile per loro andare a denunciare
l'eventuale persona che le sfrutta perché sono a rischio di arresto, di espulsione nel
caso di donne migranti oppure se vanno a denunciare il fatto che un eventuale affittuario
le ricatta facendole pagare a nero un affitto molto più alto c'è il fatto che se vanno
a dirlo in un contesto di criminalizzazione non possono farlo.
Depenalizzare significa permettere alle sex worker di lavorare in sicurezza ma aiuta anche
il resto delle altre donne perché sempre Smith e Meck sottolineano come la criminalizzazione
della prostituzione alimenta in realtà la violenza nei confronti di tutte le donne perché
le sex worker diventano un po' il campo di addestramento per gli uomini brutali e violenti
perché sanno che su di loro possono fare tutta una serie di cose in virtù del fatto
che queste donne non hanno la capacità di proteggersi o di ottenere giustizia perché
spesso e volentieri non sono nemmeno credute.
In generale le donne non vengono credute quando subiscono violenza, molestie.
Se a denunciarla una prostituta doppiamente non viene creduta.
In Italia cosa dice la legge?
In Italia abbiamo una legge che ha compiuto quest'anno 65 anni ed è la legge Merlin,
la famosa legge Merlin che nel 58 ha abolito le case chiuse che erano sicuramente qualcosa
di molto brutto e che andava assolutamente abolito.
Però una cosa che non sanno molte persone è che in realtà la legge Merlin non dice
che la prostituzione sia un reato.
Assolutamente no, non è un illecito penale né per chi la offre né per chi la richiede
ma sono invece soggetti al penale le pratiche di sfruttamento perché appunto a Merlin
interessava abolire non tanto la prostituzione quanto lo sfruttamento delle donne e le pratiche
di schedatura che all'epoca venivano fatte dai prefetti sulle donne.
Però la legge Merlin lascia appunto questa zona molto ambigua rispetto al favoreggiamento,
l'induzione e questo di nuovo si torna a quello che dicevamo all'inizio, se io aiuto
un'amica offrendo le casa oppure se tra sex worker vogliono mettere su una cooperativa,
fare rete, cercare di sostenersi a vicenda non possono farlo proprio in virtù di questo
reato di favoreggiamento.
Il 2 giugno in occasione della giornata internazionale del sex work a Bologna si è svolto il primo
congresso di sex worker in Italia dopo quasi 20 anni.
Cosa si è detto?
Sì è stato un momento molto importante non solo perché nazionale che ha richiamato tantissime
persone hanno partecipato molti movimenti e associazioni tra cui il MIT, Movimento Identità
Trans, lo storico Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute di Bordenone con Pia Covre,
uni collettivi come Ombre Rosse e la rete GRIPS che è il gruppo di ricerca italiano
su prostituzione e lavoro sessuale.
È stato un momento in cui appunto le sex worker italiane hanno ribadito che è necessario
togliere del tutto il reato di favoreggiamento e adescamento e arrivare alla totale depenalizzazione
come in altri pochi paesi nel mondo e lo chiedono proprio per avere il diritto all'esistenza.
Questo è un aspetto molto importante perché è stato ricordato anche da Porpora Marcasciano
che è la storica fondatrice del MIT quando dice che la prostituzione ad esempio per molte
donne e uomini trans a volte è una via di uscita da situazioni difficili quando si
hanno problemi per emanciparsi e per autodeterminarsi perché sappiamo che anche nei loro confronti
c'è molta stigma e discriminazione e le persone trans a volte quando stanno appunto
nella fase anche di transizione che non hanno i documenti in regola rispetto all'identità
che mostrano a volte hanno fatica a trovare lavori altri.
Quindi è stato un momento importante per ricordare soprattutto quello che riguarda
le donne migranti visto che siamo un paese dove arrivano tantissime donne migranti la
rete italiana composta anche da donne migranti ha ricordato anche quanto per esempio i DASP
urbani e tutta una serie di misure amministrative prese da alcuni sindaci impattano soprattutto
sulla parte più vulnerabile della popolazione delle sex worker.
Grazie a Barbara Bonomi Romagnoli.
Grazie a voi.
Grazie a voi.
Grazie a voi.
Tra i prossimi appuntamenti segnalo Divina Invencion, una conferenza spettacolo sull'amore
del drammaturgo franco-uruguayano Sergio Blanco e il concetto in piazza del Duomo della grande
cantante folk statunitense Rhiannon Giddens.
Il Festival dei Due Mondi con il suo ricco cartellone curato da Monique Veaux e l'unicità
dei suoi spazi si conferma uno degli appuntamenti più stimolanti e originali della stagione.
Spoleto Festival dei Due Mondi fino al 9 luglio.
Grazie a schiocciolainternazionale.it ho mandato un messaggio vocale al numero che
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