L'Arabia prima dell'Islam
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ho diverse persone da ringraziare oggi.
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Eike, Michele Bina, Maurizio Colombo, Stefano Pepe, Ilbone, David Bertini, Matteo Rizzolli e 13 Minuti.
Mentre su Taipeee abbiamo Agents in Rebus e Paolo Lucciola.
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Grazie a tutti!
Ringrazio inoltre Daniele Farina per essere passato al magico gruppo a livello Dan Talighieri,
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Inoltre ringrazio i tanti che hanno aderito al mio appello e sono passati da Patreon e Taipeee,
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Questo mese sono stati Valerio Barbaking, Luca Damilano, John Ellis, Cesare Bagnari,
Jerome Tron, Fazdev, Mike Lombardi, Tascani Discovery, Pietro Milazzo, Carlo Benvissuto,
Simone Provenzano, Andrea Skywalker, Paolo Tazioli, Yuri Giovannoni, Stefano Po e Alberto Goldoni.
Wow, scusate la lunga lista, ma un enorme grazie!
Mi avete tutti fatto un grandissimo regalo di Natale.
Spero di non deludervi lungo tutto il 2023.
Innanzitutto il mea culpa.
Ahimè ho pronunciato ben due parole in modo scorretto.
La prima è proprio il nome più comune di tutti.
Muhammad e non Muhammad.
A quanto pare ho preso la pronuncia francofona del suo nome, scusate.
Inoltre Mushrikun e non Mushikrun.
Qui ho semplicemente sbagliato la prima volta e mi sono tirato dietro l'errore.
Grazie di cuore a tutti quelli che me lo hanno segnalato.
Nello scorso episodio abbiamo ripercorso gli eventi della vita di Muhammad
ed il suo immediato successore, Abu Bakr,
per comprendere quello che la tradizione islamica da 1200 anni
ci ha raccontato a proposito della nascita della religione e della civiltà islamica
e questo a circa 200 anni di distanza dagli avvenimenti.
Oggi dovremo tornare indietro sui nostri passi
e cercare di dimenticare quello che crediamo di sapere su Muhammad,
l'Islam, i musulmani, l'Arabia e la conquista dell'Oriente Romano e dell'Impero Perseano.
Credo che per narrarvi bene questa storia debba parlarvi dell'Arabia prima di Muhammad
e avrete notato che non ne ho parlato nell'ultimo episodio.
Eravate sorpresi, vero?
Infatti, nella nostra immaginazione,
l'Arabia di Muhammad è completamente diversa dalla Roma che siamo abituati a conoscere.
Si tratta di un mondo desertico, povero, lontano, depresso,
popolato da beduini che attraversano a dorso di cammello
le sabbie della penisola più arida del pianeta.
Gli Arabi ci appaiono dunque come dei nuovi arrivati sul palcoscenico della storia.
E se vi dicessi invece che gli Arabi sono una parte integrante del mondo antico
e la loro storia è intimamente intrecciata con quella romana e persiana?
Se avete ascoltato con attenzione, non credo che sarà una sorpresa.
Saltate a bordo e viaggiamo rapidamente verso le notti d'Oriente, verso la terra d'Arabia.
Sottotitoli e revisione a cura di QTSS
La cosa che si sente dire più spesso a riguardo della conquista araba e dell'espansione dell'Islam
è che fu beh... fatta dagli Arabi.
Oggi gli Egiziani sono Arabi, i Siriani sono Arabi, gli Irakeni sono Arabi.
Ma questo non era il caso alla nostra epoca, o almeno non del tutto.
Eppure anche se escludiamo queste regioni,
neanche in quella che siamo abituati a considerare come l'Arabia vera e propria,
a lungo non ci fu qualcosa o un gruppo etnico che si potesse chiamare Arabi,
ovvero un popolo con una chiara identità etnica.
In questo episodio seguiremo la storia della lenta etnogenesi degli Arabi,
che portò alla nascita di una cultura comune per un vasto gruppo di tribù con,
al massimo, alcune somiglianze linguistiche,
un'etnogenesi che si andò rafforzando nei secoli.
Un caveat però fin d'ora,
il processo di creazione di un'identità araba comune, per quanto possiamo capire,
inizia ben prima dell'arrivo dell'Islam, ma continua anche molto dopo la conquista,
in forme a volte nuove e che vedremo successivamente.
In sostanza l'identità araba è una conseguenza della conquista e dell'espansione dell'Islam,
non una causa.
L'Arabia antica aveva confini più ampi della moderna Arabia Saudita
e iniziava in realtà già ai margini della cosiddetta Mezzaluna Fertile.
Petra e Bosra, con quasi l'intera Giordania moderna, facevano parte dell'Arabia,
così come ogni territorio a sud delle Ofrate, in quello che oggi è l'Iraq Meridionale.
Da questi confini settentrionali l'Arabia storica giungeva fino all'Oceano,
buona parte di quest'immensa regione era ed è estremamente arida,
composta soprattutto da deserti di sabbia e più spesso rocciosi.
Le principali eccezioni a questa regola di aridità assoluta
erano le aree che da sempre ospitavano le società più avanzate dell'Arabia,
lo Yemen a sud e l'Oman a sud-est sono piuttosto fertili,
ricevendo un po' di umidità e di freddo.
Qui si poteva praticare una qualche forma di agricoltura,
qui nacquero le prime civiltà arabe.
Altrove l'Arabia antica era caratterizzata da una rete di oasi,
dove era possibile trovare acqua nel sottosuolo grazie a porzi artesiani,
irrigando aree più o meno vaste.
Non immaginatevi un oasi come un laghetto con qualche tipo di fonte di acqua,
ma un oasis che si riempisce di un'area più o meno vasta.
Non immaginatevi un oasi come un laghetto con quattro palme,
le oasi possono coprire anche decine di chilometri quadrati.
Le oasi e le relativamente fertili terre del sud,
che che ne dica la tradizione,
era dove viveva la maggior parte della popolazione araba.
Infatti la maggior parte degli arabi non erano nomadi del deserto,
ma agricoltori e commercianti.
La zona veramente arida, completamente inospitale,
era soprattutto il centro della penisola,
mentre ai suoi bordi, lungo il mare, era più possibile trovare città e oasi.
Tra i confini dello stato iemenita e le ultime propaggeni del dominio romano
si estendeva lo Ijaz, la regione di origine di Muhammad,
dominato dalle tre città di Yatrib, Taif e Mecca.
Non c'è da stupirsi che lo Yemen, con la sua florida agricoltura,
produsse anche la civiltà più antica e sviluppata della regione.
D'altronde nell'antichità lo Yemen era conosciuto come
Arabia Felix, l'Arabia Felice, ovvero la parte rigogliosa dell'Arabia.
In tempi biblici, nel primo millennio avanti Cristo,
qui sorse il regno di Saba, celebre per la mitica regina di Saba.
Nel primo secolo avanti Cristo, nei tempi in cui la Repubblica Romana
discendeva verso il caos della guerra sociale,
lo Yemen fu unificato dal regno di Imyar, di gran lunga il più importante
stato dell'Arabia Meridionale. L'Imyar, come vedremo, ebbe una
lunghissima storia istituzionale che si interruppe solo ai tempi di Giustiniano.
Molto più a nord, ai confini della Palestina e sull'orlo
della grande civiltà mediterranea, nacque invece la potenza Nabatea.
I Nabatei fondarono la loro magnifica capitale
in uno dei più affascinanti luoghi della terra, il Canyon di Petra,
oggi in Giordania, nella quale realizzarono magnifiche opere di
canalizzazione per accogliere l'acqua e dove alzarono monumenti che
rivaleggiavano con lo splendore di qualunque città romana.
Da tempo sogno di visitarla, almeno da quando la vidi sul grande schermo al
cinema come la città del deserto di Indiana Jones e l'ultima crociata.
Era il 1989, ero un bambino e il mondo stava per cambiare per sempre.
Il regno dei Nabatei si diede all'impero romano ai tempi di Traiano,
forse volontariamente. Il territorio del regno fu costituito in una nuova
provincia, l'Arabia Petrea, che nella tarda antichità fu divisa in più
province, come d'abitudine. Questo territorio romano non aveva verso
il deserto un confine esatto. I romani presidiavano per esempio delle
importanti oasi, ben al di là dei confini che trovate di solito sulle map,
fino al cuore della moderna Arabia Saudita. Alcuni degli abitanti di questo
vasto dominio erano molto fieri di considerarsi romani.
Un reggimento militare costituito dalla tribù di Tammud eresse un tempio in
onore di Marco Aurelio a pochi chilometri a nord di Yatrib, la città
che diverrà un giorno Medina, nell'Oijaz. Allo stesso tempo i nomadi
beduini non riconoscevano l'autorità politica romana e si muovevano
piuttosto liberamente all'interno di queste linee immaginarie, senza
preoccuparsi troppo di inesistenti passaporti o della volontà degli
imperatori. La maggior parte degli abitanti di
questa vasta area era consapevole di parlare lingue intelligibili tra loro e
come vedremo nei secoli si andò sviluppando un sentimento unitario.
All'alba del nostro Evo, ai tempi dei primi imperatori romani, si trattava però
più che altro di una collezione di comunità divise secondo linee tribali.
Ovviamente non parliamo di tribù primitive ma delle tribù clan che
abbiamo già incontrato più volte in questa storia, come nel caso della Roma
Antica con i suoi Fabi, Claudi e Giuli, come per i clan scozzesi o le Fare
Longobarde, si trattava di gruppi allargati uniti da una vaga origine
familiare comune. Come in tutte le società dove non esiste lo Stato o
comunque la forza della legge è molto debole, l'appartenenza ad un clan offre un
certo livello di protezione. In caso di delitti o di offese contro un suo
appartenente la tribù si incaricava infatti di esigere vendetta, i Longobardi
avrebbero parlato di faida. Si tratta di una tipica organizzazione umana studiata
dall'antropologia e comune a tantissime culture, anche lontanissime. Una tribù
per capirsi non deve per forza vivere tutta in prossimità ma può essere
distribuita anche su un vasto territorio, frammista ad altre tribù, costituendo un
network di legami e di contatti utili anche ovviamente all'avanzamento
personale o agli affari o alla costruzione di un potere politico.
Ancora oggi molti stati moderni sono organizzati con forme tribali, nelle
quali per esempio eleggere un presidente di una certa tribù attrarrà
inevitabilmente le ire della tribù nemica. La tribù era il vero mattone della
società araba, come avrete capito i Quraysh nominati nel precedente episodio
sarebbero stati una di queste tribù. L'ascesa dell'impero sassanide nel terzo
secolo portò ad una sorta di cortina di ferro in oriente tra romani e persiani.
Come sappiamo da per un pugno di barbari questo diede l'opportunità ad una
potenza regionale semitica e parzialmente araba, Palmira, di diventare
per un po' di tempo l'arbitro della regione. A Palmira si adorava la dea
Allat, carado denato e zenobia. Allat ha una chiara origine etimologica
simile a quella della parola maschile della divinità, Allah, ed inoltre come
vedremo perfino citata nel Qur'an. Un'altra città dove il culto di Allat
era molto forte era Taif, nell'Oijaz, a poca distanza da Medina e Mecca.
Il grande gioco tra le due superpotenze antiche finì ovviamente per investire
anche l'Arabia. L'assenza di risorse e il costo immenso che avrebbe richiesto
presidiare le vaste distese dell'Arabia sconsigliò ai due imperi di colonizzare
direttamente la regione, o almeno di provarci. Entrambi invece stabilirono
relazioni privilegiate con una serie di tribù di confine o con i più lontani
regni costieri dell'Arabia. Il Mar Rosso in particolare aveva un'importanza
crescente per i Romani, visto che era l'unica via d'accesso alle ricchezze
dell'India che non fosse controllata direttamente dai persiani.
Inoltre l'Imiar produceva un prodotto che era richiestissimo nell'impero romano,
l'incenso. Una delle spiegazioni tradizionali dell'importanza commerciale
di Mecca, almeno secondo il Qur'an, era che questa fosse una tappa del percorso
carovaniero dell'incenso, dallo Yemen al mondo romano.
Peccato però che non ha molto senso trasportare l'incenso via terra invece
che sul Mar Rosso e se proprio si deve andare per vie interne non è davvero
agevole passare per Mecca, ma su questo punto ci torneremo.
Comunque sia, l'incenso veniva bruciato nei templi politeistici di tutto il
Mediterraneo ed era la principale fonte di guadagno dell'Imiar, al punto che
l'arrivo del cristianesimo inizialmente fu rovinoso per gli Yemeniti, perché
nella tarda antichità l'associazione dell'incenso con il culto pagano impedì
inizialmente il suo utilizzo per le funzioni cristiane, a differenza di oggi.
Come abbiamo visto nel podcast, le tensioni tra le due superpotenze si
calmarono a fine IV secolo per rimanere tutto sommato sopite per tutto il V.
Solo con l'arrivo al potere di Giustino e Giustiniano la rivalità tra i due
imperi sfociò nuovamente in un ciclo di guerre distruttive destinato a durare un
secolo fino ai tempi di Eraclio. Nel quadro di questa rivalità l'intera
geopolitica dell'Arabia ne uscì rivoluzionata. Il regno dell'Imiar fu la
prima vittima. Giustiniano voleva assicurarsi una via per l'India che non
passasse tra le mani e le tasse dei persiani.
L'imperatore fece quindi intervenire il dirimpettaio regno cristiano di Axum, la
moderna Etiopia, un regno alleato dell'impero romano. Era il 525. Gli Etiopi
conquistarono l'Imiar ponendo fine a sei secoli ininterrotti di statualità
iemenita, uno shock che fu importante per tutta l'Arabia. Per quasi 50 anni un
importante generale etiope governò come vice re di Axum in Imiar.
La dominazione etiope ebbe anche conseguenze religiose visto che
l'ebraismo di stato dell'Imiar fu sostituito dal cristianesimo. 50 anni
dopo la conquista dell'Imiar scoppiò la nuova guerra romano-persiana tra il
folle Giustino II e Cosro I. Siamo al 572 all'incirca i tempi della
nascita di Muhammad. In quegli anni Cosro inviò un grande esercito di
conquista in Yemen espellendo gli axumiti e installando un dominio diretto
persiano con tanto di governatore e una forte guarnigione. Non solo, nei decenni
precedenti e successivi la Persia colonizzò, occupò o istituì regni
clienti su tutte le coste del golfo persico e dell'oceano indiano. Dal
moderno Qatar al Loman e lungo tutta la costa meridionale dell'Arabia fino ai
suoi domini yemeniti. Inevitabilmente la potenza persiana deve
essere penetrata in qualche modo anche verso l'interno grazie ai soliti
meccanismi di clientela, sovvenzioni e favoritismi che le grandi potenze
imperiali utilizzavano per invischiare nel loro volere le popolazioni e i loro
confini. Sappiamo perfino che i persiani
stabilirono delle miniere di oro ed argento nel centro dell'Arabia, nella
regione del Najd, creando anche una strada per trasportare il metallo
prezioso verso la Mesopotamia. A fine VI secolo i persiani dominavano in
sostanza gran parte della penisola arabica orientale e meridionale.
L'Ishasi di Muhammad fu una delle poche regioni che mantennero la propria
autonomia.
Sottotitoli e revisione a cura di QTSS
La situazione nel nord dell'Arabia era più complessa. Nel VI secolo la continua
guerra guerreggiata, alternata alla guerra fredda nelle brevi pause
intermedie, portò alla nascita o allo sviluppo di due grandi coalizioni
arabe di cui abbiamo già parlato. I persiani già a fine IV secolo si erano
alleati con il clan dei Nasridi, della tribù di Lakhm, ma fu Khawad I nel
504 a nominare Al-Mundir ibn Mann come capo di tutte le tribù arabe beduine
presenti su entrambi i lati della frontiera persiana. Con l'aiuto del
denaro e del sostegno persiano Al-Mundir fondò un'enorme coalizione araba che
dominava tutto il nord-est della regione, quelli che noi chiamiamo i Lakhmidi.
Questa confederazione araba contribuiva alle guerre dei persiani in qualità di
federati, o così li avrebbero chiamati i romani. Il loro esercito combatteva al
fianco dei persiani e patugliava il deserto e le oasi tra il moderno Iraq e
l'Oman. La loro capitale era Al-Hira, un'importante città che nacque come
accampamento militare arabo ma che si sviluppò poi in un'importante città
celebrata in tutta l'Arabia per essere quasi una città mitica che attirava i
migranti, mercanti, avventurieri da tutta la penisola. Al-Hira si trovava nell'Iraq
meridionale, a poca distanza dalle Eufrate e dalla fertile Mesopotamia, ma
già all'interno del deserto, in un'oasi fertile. Si trattava del più importante
bastione di difesa di Ctesi Fonte contro qualunque invasore proveniente da sud o
comunque dal deserto. Al-Hira divenne con il tempo una sorta di città mitica
per tutti gli arabi. Qui vivevano i ricchi e potenti, di solito al servizio
dello Shansha, i re dei persiani. Qui secondo la leggenda fu creato
l'alfabeto arabo e si sviluppò la fertile tradizione poetica pre-islamica.
Per gli arabi Al-Hira era un luogo magico.
Una notte un giorno al-Hira sono migliori di un anno di medicina, declama una poesia.
Per contrastare il potere degli acmidi, come sappiamo, i romani risposero
sponsorizzando la famiglia dei Jafnidi, della tribù di Ghassan, che viveva nei
dintorni del lago di Tiberiade. Il loro capo, Al-Harith ibn Jabal, divenne re di
tutti gli arabi che servivano Roma grazie al sostegno di Giustiniano e per
decenni fu il grande rivale di Al-Mundir e degli acmidi. La sua capitale, Al-Jabija,
era la grande rivale di Al-Hira. Si trovava nei pressi dell'Alture del Golan,
celebri per essere state occupate durante la guerra dei Seggiorni che
contrappose Israele ad una coalizione di stati arabi.
I Ghassanidi, in quanto federati romani, svolgevano la stessa funzione degli
acmidi, ma lo facevano nella regione che, dalla moderna Siria meridionale, arriva
fino al nord dell'Arabia Saudita, lambendo il confine settentrionale del
Lijaz di Muhammad. Da notare che i romani distinguevano in modo sottile tra gli
arabi civilizzati e i nomadi saraceni. I primi, gli arabi, erano in sostanza le
popolazioni sedentarie, dedicate all'agricoltura e che si cristianizzarono
molto presto, soprattutto nelle aree contigue con la Palestina.
Gli arabi erano in gran parte cittadini romani che parlavano e scrivevano in
arabo. I romani invece, in latino o in greco, chiamavano i nomadi del deserto
con il nome di saraceni, a prescindere dalla loro fedeltà o meno a Roma.
Nelle fonti persiani e siriache, invece, il nome degli arabi non sottomessi ai persiani
è tagliaje, che vuol dire appunto nomadi. I saraceni in questione erano
particolarmente rinomati sia dai persiani che dai romani come degli
ottimi esploratori e razziatori, oltre che le uniche truppe capaci di
attraversare in modo rapido ed efficace le vaste distese desertiche dell'Arabia,
dove i grandi eserciti imperiali non mettevano piede per evidenti problemi
logistici dovuti all'assenza delle risorse basilari per sfamare e dissetare
un grande esercito in marcia. Unità di saraceni entrarono a far parte
della macchina militare romana già nel IV secolo. Nei dintorni di Damasco è
stata trovata una tomba di un certo Imru al-Qais ibn Amr, che nell'escrizione si
dichiara re di tutti gli arabi. In una delle primissime escrizioni in lingua
araba, leggiamola. Questo è il monumento funerario di Imru al-Qais, figlio di Amr,
re degli arabi. Il suo titolo d'onore era maestro di Asad e Nisar. Nessun re ha
eguagliato i suoi successi. Successivamente morì nell'anno 223, il
settimo giorno di Kaslul. Oh fortuna di coloro che erano suoi amici.
L'arabo si era già affermato come lingua scritta con un suo alfabeto, un
passaggio fondamentale per la costruzione di qualunque identità etnica.
Per esempio un certo Sharahil ibn Zalim ci ha lasciato un'iscrizione nel 568,
che è per metà in greco e per metà in arabo e che parla del martirio di un
cristiano. Allo stesso tempo, mentre il greco e l'aramaico erano le lingue
parlate dalla maggior parte dei civili che interagevano con gli arabi e
sieraceni, la lingua che invece apprendevano negli accampamenti romani
restava il latino. E il latino è penetrato nell'arabo grazie a questo
contatto, soprattutto militare. Kastra per esempio è la fonte dell'arabo Qasr, che
vuol dire fortezza. Un'altra parola latina è Sirat, strada, che deriva dalla
strada le vie militari romane che attraversavano il deserto, come la grande
via di Diocleziano che collegava Petra a Bosra.
Tra l'altro la parola Sirat è molto importante per i musulmani perché è
impiegata nella principale preghiera musulmana, ovvero la Suraprente o Al-Fatiha.
Insomma nel VI secolo possiamo iniziare a parlare di quella che Hoyland definisce
secondary state formation e che io definirei costruzione statale di riflesso
in italiano. Si tratta di un fenomeno che abbiamo già seguito più volte nel
podcast, gruppi di quelli che i romani chiamavano barbari tendono a coalizzarsi
e a coagularsi sulle frontiere imperiali per effetto sia della pressione negativa
dei romani, occorre difendersi da invasioni dall'impero, sia soprattutto
per i contatti frequenti, intensi e sostenuti nel tempo con il mondo
imperiale. Lo stesso meccanismo è all'opera sulla frontiera renana e
danubiana, è così che nascono le coalizioni dei
franchi, alemanni, goti, longobardi e gepidi, il vero contrattare germanico di
gassanidi e lachmidi. Si tratta di un processo che porta alla fondazione di
rudimentali strutture statali che imitano quelle imperiali adattandosi al
contesto. Ne ho parlato a proposito dei tervingi e greutungi nel libro Il Miglior
nemico di Roma. Nel caso degli arabi lachmidi e gassanidi, questo processo
portò alla creazione di comandi e gerarchie militari, di una capitale con
infrastrutture che imitavano quelle romane e persiane, di una corte con la
sua organizzazione e amministrazione, finanziata da qualche rudimentale forma
di tassazione e soprattutto dalla generosità degli imperi. Le opportunità
di carriera e gli stipendi che si potevano guadagnare al servizio degli
imperi fungevano da vero magnete per tutti gli arabi, al punto che gruppi
familiari, fino perfino a intere tribù, si trasferirono verso le terre dei Banu
Gassan e Banu Lachm. In queste corti si dava impulso alla cultura araba, per
esempio nella forma della grande poesia pre-islamica che presto impareremo a
conoscere e che divenne la base di una comune identità araba. La scrittura,
l'alfabeto, un esercito, un singolo re a guidare tutti,
abbiamo già visto questi fattori al lavoro in altri casi di etnogenesi, di
costruzione di una nuova identità comune. Manca però un ultimo elemento che, come
abbiamo visto nel caso dei goti o dei franchi, è fondamentale per costruire
l'infrastruttura di una nuova società e di un nuovo stato. La religione. Anche
qui però vedremo che il mondo dell'arabia pre-islamica era molto diverso
da quanto ci hanno spesso raccontato.
L'antica Arabia non era frammentata solo da un punto di vista culturale e
politico, ma anche religioso. Come abbiamo visto il Qur'an sostiene che l'Arabia
prima dell'avvento dell'islam fosse una sorta di paradiso del politeismo antico.
La religione ancestrale degli arabi sarebbe stata centrata su vari culti
locali, idoli e dei tribali. Questi dei erano di solito adorati in dei santuari
locali, spesso legati ad un albero, una sorgente o una roccia sacra. Un caso
classico è quello della siriaca Emesa, dove dominava il culto di El Gabbal,
centrato su una roccia sacra, forse un meteorite adorato come manifestazione
del dio El Gabbal, quello che diede il nome ad Elio Gabbalo e che è
identificato anche con il nome romano di Sol Invictus. Oggi a Mecca c'è una
roccia per certi versi molto simile, un meteorite all'interno della Kaaba, nel
cuore della moschea più importante del mondo islamico. I santuari di queste
divinità politeistiche si trovavano spesso al centro di un'area sacra, detta
Haram, dove non potevano avvenire violenze, un po' come nel trono di spade
e la città dei Dothraki, dove non si può versare sangue appena la morte, ma una
doccia d'oro fuso può andare. Un Haram era di solito gestito da una tribù
potente che, controllando il santuario, controllava anche l'oasi e l'intera
comunità, come nel caso dei Quraysh di Mecca. Questi santuari erano dedicati a
diverse divinità. Conosciamo il nome di tre di esse grazie
proprio al Qur'an. Nei celebri versetti satanici il libro sacro islamico cita i
nomi di ben tre dee, Alalat, Al-Uzà e Manat, con lo scopo però di denunciarle
come dee false bugiarde, per dirla come Dante. Comunque sia, si tratta dell'unico
accenno a nomi di divinità politeistiche che si trova nel Qur'an e per questo ha
attratto l'interesse di molti intellettuali studiosi nel corso dei
secoli. Una curiosità è che sono stati proprio
questi versetti a fare da ispirazione al celebre romanzo di Salman Rushdie, che
gli è immevalso una fatua e una vita molto difficile, come ci è stato
ricordato dal recente attacco da lui subito negli Stati Uniti.
Tornando però alle religioni pre-islamiche, nonostante quanto sostenuto
dal Qur'an, oggi sappiamo che il politeismo era in deciso declino già nel
VI secolo e quasi scomparso al VII secolo. Il monoteismo infatti iniziò a
penetrare in Arabia già dal I secolo d.C. e fece passi da gigante ben
prima dell'arrivo dell'Islam. La prima ondata di monoteisti fu quella
dell'Evropa ebraica. Molti ebrei probabilmente si trasferirono in Arabia
sin dai tempi della distruzione del II Tempio, in seguito alla rivolta
ebraica ai tempi di Nerone e Vespasiano. Come abbiamo visto, nel VII secolo
l'Arabia vantava un'importantissima popolazione ebraica, con interi tribù
che seguivano questa religione. Non è chiaro se si trattasse di discendenti di
antichi emigranti ebrei, oppure di convertiti, o di un misto dei due.
Considerando però che a quest'epoca l'ebraismo era molto più a suo agio con
il proselitismo rispetto all'epoca moderna, penso sia assai più probabile
che si tratti in gran parte di convertiti. D'altronde, altrimenti non si spiega come
un intero stato. L'Imiar decise di convertirsi al giudaismo e ne fece la
religione di stato fino alla conquista etiope del 525. Lo stesso avverrà nelle
steppe della Russia con i Qazari. Dopo gli ebrei arrivarono i cristiani.
Sospettiamo che molti gruppi cristiani, via via espulsi dall'impero romano,
abbiano trovato rifugio in Arabia. Questo sin dagli albori del cristianesimo,
secondo gli storici moderni. Anzi, l'Arabia era una sorta di ricettacolo di
dee espulse dall'impero. Eppure il vero boom del monoteismo in
Arabia è infatti quasi in sincrono con quanto avviene nel mondo romano,
segno dell'importante relazione economica, culturale e commerciale tra Roma e Arabia.
Subito dopo l'arrivo di Costantino sul trono romano, infatti, assistiamo ad un
vero e proprio boom del cristianesimo nella penisola arabica. Come prevedibile, gli arabi
che vivevano dentro ai confini del mondo romano si convertirono presto al cristianesimo niceno.
Con il tempo lo stesso si può dire anche di molte tribù di Saraceni, i nomadi beduini,
in particolare quelli che formeranno la confederazione dei Gassanidi.
A partire dal V secolo, dopo il concilio di Calcedonia, la maggior parte dei cristiani
del nord della penisola arabica erano però di confessione monofisita. Questo creò frizioni con
la politica imperiale che ovviamente spingeva Calcedonia. Ma il cristianesimo non rimase
limitato alle aree sotto il diretto controllo dell'impero romano o di quello dei Gassanidi.
L'affermarsi in Persia del cristianesimo nestoriano portò il nestorianesimo a mettere
radici anche in Arabia, irraggiandosi proprio dai principali centri nestoriani in Mesopotamia.
Oggi sono stati scavati decine di antichi monasteri cristiani sulle coste del Golfo
Persico. Uno è stato trovato di recente negli Emirati Arabi Uniti. Lo trovate nell'immagine
dell'episodio. Altrove furono i calcedoniani a fare proselitismo, come nel caso dell'Oimiar,
dove non vivevano solo ebrei, ma anche una nutrita minoranza di cristiani. Anzi,
la persecuzione di monaci e semplici cristiani da parte dell'Oimiar ebraico fu il caso sbelli
utilizzato da Giustiniano e dagli Etiopi per muovergli guerra e conquistarlo, anche se le
vere ragioni del conflitto avevano più a che fare con la geopolitica che con la religione.
Ma lo sappiamo, con Giustiniano è sempre difficile dividere le due cose.
A fine VI secolo, nel 594, perfino i lachmidi di Al-Hira decisero di convertirsi al cristianesimo,
con sommo scorno del zoroastriano Cosro II, che infatti non apprezzò affatto questa evoluzione.
Come vedremo, Al-Hira divenne sede vescovile e lo sarà per secoli, anche nei periodi di
decadenza che verranno. Alla fine dei conti sono stati trovati siti, monasteri, chiese,
iscrizioni arabo-cristiane in tutta l'Arabia, con una sola eccezione, l'Oijaz di Muhammad.
Effettivamente, la regione dove nacque il movimento islamico sembra non essere stata
toccata in alcun modo dal cristianesimo, e invece essere stata influenzata in modo
importante dall'ebraismo. Questo è un fattore importante da tenere a mente,
perché, come vedremo, nel Quran è evidente che l'autore, o gli autori,
siano molto a loro agio con le dottrine cristiane, e sembra come se il Quran si
aspettasse che il suo pubblico, chi legge, lo sia a sua volta. Un altro piccolo tassello
dei grandi dubbi che circondano l'intera genesi dell'Islam.
L'arrivo del monachesimo cristiano portò con sé anche le ultime tendenze culturali
del mondo cristiano-romano, una certa attenzione all'esperienza ascetica dei
monaci, gli atleti di Dio che abbiamo già incontrato nella storia dei quasi contemporanei
Gregorio Magno e Colombano. Unito a questo, i monaci portarono con loro gli afflati escatologici,
ovvero quella tendenza a considerare imminente la fine del mondo, che abbiamo già visto,
per esempio, di nuovo nel caso di Gregorio Magno, e che sappiamo pervadeva tutto il mondo
intellettuale tardo-antico tra il VI e il VII secolo. D'altronde è facile comprendere come mai,
ovunque gli uomini guardassero, non potevano non notare come la loro civiltà sembrasse
in disfacimento. I grandi monumenti si disgregavano e non venivano ricostruiti,
le strade erano invase d'erba e di sabbia, ovunque era visibile la decadenza delle città
e dei commerci, il declino demografico, il progressivo disgregarsi del convivere civile
causato dalla grande guerra, le stesse ricorrenti pandemie di Yersinia pestis,
sembravano confermare a tutti che il mondo fosse sulla soglia di quello che gli intellettuali
romani di lingua greca chiamavano l'eschaton, la fine del mondo. Il nuovo testamento era molto
chiaro a proposito dell'apocalisse, dell'antichristo e del ritorno di Gesù, simili tendenze sono
riscontrabili anche nel contemporaneo pensiero ebraico. L'attesa degli ultimi giorni,
della fine del mondo, sarà una delle componenti fondamentali dell'islam,
in questo Muhammad e il Quran sono completamente immersi nel miliere culturale dell'epoca.
Dunque ricapitolando, il monoteismo era conosciuto nelle sue varie forme nell'Arabia del VII secolo,
ai tempi di Muhammad, e credo che fu proprio l'affermarsi del monoteismo che permise la
formulazione di un mito fondativo degli arabi, un elemento fondamentale per la maggior parte
delle etnogenesi. I gruppi etnici hanno bisogno di un'origine mitica del loro gruppo, di solito
un'origine che confermi la loro specialità, l'affermazione della loro originalità e importanza
rispetto a tutti gli altri gruppi umani circostanti. Nel caso degli arabi, il mito
fondativo dell'etnogenesi araba del VII secolo è tutto centrato sull'origine abra mitica degli
arabi, che tanta importanza avrà nello spiegare la genesi della ummah islamica. Vista la presenza
di questo mito nel Quran, credo che fosse già diffuso in Arabia ben prima della nascita
dell'islam. Ho già fatto accenno a questa storia, gli arabi sarebbero discendenti di retti di Abramo,
proprio come gli ebrei. A differenza delle dodici tribù ebraiche discendenti di Isacco, gli arabi
discenderebbero da Ishmael, il figlio che Abramo ebbe con una schiava egiziana, Agar. Ovviamente
per dei politeisti questa storia non avrebbe alcuna importanza, quindi è evidente che il mito si andò
formando con la penetrazione del culto dell'unico dio in Arabia, soprattutto grazie al primitivo
proselitismo ebraico. Allora, tra il I e il III secolo, per gli arabi convertitisi al monoteismo
divenne fondamentale inquadrare la loro identità nell'intelaiatura dell'Antico Testamento. In
questa narrazione gli arabi divennero quindi degli antichi monoteisti, seguaci anche loro
della legge di Abramo. Nei secoli però avrebbero in gran parte perduto la loro ancestrale religione
monoteistica. I monoteisti arabi dicevano dunque di voler restaurare questa supposta antica religione
naturale degli arabi, rimuovendo le successive incrostazioni politeistiche. È un tema che tornerà
a proposito del messaggio di Muhammad. D'altronde il profeta non guarda avanti cercando di fondare
una nuova religione, ma afferma categoricamente di voler tornare alla religione naturale degli
arabi, di voler purificare l'originale religione monoteistica da qualunque influsso dei mushrikun,
gli associatori, coloro che associano all'unico dio altri elementi che non gli sono propri. Non
solo, i monoteisti arabi preislamici avevano anche loro un haram, un santuario speciale che
diventa cruciale per la loro identità. Come gli ebrei hanno il Tempio di Gerusalemme, così gli
arabi avevano la loro Kaba, la casa di Dio. Muhammad e i primi credenti parlano sovente
della cosiddetta tenda di Abramo, il luogo ancestrale del monoteismo degli arabi,
costruito dallo stesso Abramo assieme a Jishmael. Nel Quran la Kaba è menzionata molte volte,
anche con il nome di Baka, ma, dettaglio interessante, Mecca è solo nominata una
volta. Torneremo su questo punto, non temete. Il mondo degli arabi, in equilibrio instabile a
confine tra le due grandi superpotenze dell'antichità, entrò in una fase di turbolento
cambiamento sul finire del VI secolo. La guerra romano-persiana di Tiberio e Maurizio portò ad
un primo ripensamento di Maurizio per quanto riguardava i gassanidi. Maurizio,
da magister militum per orientem, finì per dubitare della fedeltà del loro grande re Al-Mundir III.
Nel 581 Maurizio convince l'imperatore Tiberio a far arrestare ed isiliare in Sicilia il re dei
gassanidi. Una volta rimosso il filarca dei gassanidi, Maurizio mosse guerra al suo erede,
finendo poi per dissolvere la confederazione gassanide ai tempi in cui era già imperatore.
I gassanidi rimasero una delle potenze arabe nella regione siriaco-palestinese,
ma il resto delle tribù arabe da loro guidate recuperarono l'indipendenza,
negoziando con Roma singoli trattati di alleanza. Probabile che Maurizio spezzò la coalizione
gassanide anche per risparmiare sui fondi che venivano inviati dai romani al loro re.
La guerra di Tiberio e Maurizio terminò con la fuga di Cosro II in Romania e la decisione di
Maurizio di rimetterlo sul trono nel 592. Due anni dopo, nel 594, i lachmidi si convertirono
alla fede cristiana, come ho detto insospettendo non poco lo zoroastriano Cosro II. Deve essersela
legata al dito, perché lo shansha decise di frammentare il potere dei lachmidi, come i romani
avevano fatto con i gassanidi. Al di là delle questioni religiose, credo che i persiani debbono
aver deciso che privarsi del sostegno dei lachmidi fosse preferibile a continuare a rafforzarli. Non
sia mai che un giorno gli venga qualche grillo nella testa, tipo l'idea di conquistare l'intero
impero persiano. Cosro attese l'occasione giusta quando nel 610 Sharbaraz conquistò Antiochia e
mise l'impero romano sostanzialmente in fuga, Cosro II mosse contro il clan dei lachm,
distruggendone la potenza unificatrice. Nei seguenti anni i persiani presero possesso
della Siria e della Palestina, conquistata nel 614. Ne farlo recisero gli ultimi legami
tra Roma e le tribù che erano dipese dal volere di Costantinopoli. Per ragioni diverse dunque,
al 614 tutte le tribù che erano dipese dalle sovvenzioni di romani e persiani si ritrovarono
senza fondi e senza i consueti vantaggi della vicinanza politica ai rispettivi imperi.
Ctesi Fonte ormai controllava tutti i territori circostanti l'Arabia, dalla Siria all'Egitto,
dalla Mesopotamia all'Oman, dallo Yemen alla Palestina. Cosro II, in uno dei suoi calcoli
politici che gli costarono la testa, deve aver deciso che non aveva più bisogno degli Arabi,
ora che era l'unica superpotenza rimasta sul campo. Erano gli Arabi che avevano bisogno di lui,
si era passati da un duopolio imperiale a un monopolio imperiale. Non c'è quindi da stupirsi
che molti Arabi iniziarono a lanciare attacchi e saccheggi in direzione delle terre fertili
circostanti il loro mondo, sia forse per una certa fedeltà ai romani, in qualche caso sia
più probabilmente per fare pressione sulle autorità persiane, in modo da convincere Cosro II a pagargli
le consuete sovvenzioni così importanti per una società tribale, perché di solito sono la
principale fonte di metallo prezioso con il quale i capi tribali si comprano la fedeltà del loro
comitatus di guerrieri tribali. È in questo periodo che la sicurezza in Palestina, Siria e
Mesopotamia si degrada al punto che molti cristiani lasciano monasteri e città per rifugiarsi altrove,
per esempio in Italia. Impegnato come era però in una danza mortale con l'impero romano, Cosro II
deve aver valutato le razzie arabe come in sostanza delle punture di spillo, come un prezzo
che tutto sommato valeva la pena di pagare in cambio della vittoria finale. Le razzie arabe
era una questione tutto sommato secondaria rispetto all'obiettivo principale che rimaneva
la sconfitta dei romani. Notate nuovamente come le invasioni arabe, per ora sotto forma di razzie,
precedano l'affermarsi dell'autorità di Muhammad sugli arabi. Il grande movimento
delle popolazioni nomade dal deserto dell'Arabia verso tutti i territori della mezzaluna fertile
non è una conseguenza dell'affermarsi dell'Islam, ma è una conseguenza della guerra romano-persiana.
Nei loro attacchi contro gli occupanti persiani o contro la popolazione sedentaria circostante
il deserto, gli arabi compresero infine di essere diventati assai più forti di un tempo. Grazie a
Yersinia pestis, il VI secolo aveva falcidiato la popolazione sedentaria della mezzaluna fertile.
Le città erano sempre più dei gusci vuoti, con una popolazione declinante che veniva decimata
regolarmente ad ogni generazione da una nuova ondata di Yersinia. Ricordiamo che il batterio
Yersinia pestis non poteva diffondersi in regioni aride. La guerra aveva fatto il resto. L'ultima
grande guerra dell'antichità aveva ridotto la capacità militare dei due imperi, degradandone
gli eserciti, riducendone la dimensione e falcidiando l'economia che finanziava le grandi
strutture statali imperiali. Muhammad iniziò la sua esperienza mistica in questo ambiente,
in un mondo dove i rapporti di forza tra il centro e la periferia erano stati riequilibrati
da peste e guerra, in un'Arabia in gran parte occupata le sue frontiere dai persiani e che
cercava un modo di liberarsi dell'occupante zoroastriano, in una penisola percorsa da un
afflato monoteistico che stava prendendo il posto dell'antico politeismo, in una cultura
unificata dalla cultura e dall'alfabeto degli arabi. Spero che questo episodio sia riuscito
nello scopo di immergervi nella cultura degli arabi all'alba dell'islam, spero di aver dimostrato
quanto sia distante il mondo dei veri arabi da quello del nostro immaginario. Qui vorrei citare
le parole di Robert Hoyland che nel suo libro In God's Path, che consiglio assolutamente, ci dice
L'idea dell'Arabia come un mondo desertico, popolato solo da eroici, marziali, beduini, è
affascinante sia per la cultura occidentale che per molte società medio orientali, che hanno spesso
guardato al deserto arabico come la sorgente, la madrepatria da cui tutti discendono. Eppure il
mondo degli arabi all'inizio del VII secolo era molto diverso dalla cartolina che abbiamo in testa,
c'erano città e ampi tratti coltivati, le religioni dell'impero romano vi erano penetrate
in profondità come i tentacoli politici dei due grandi imperi della tarda antichità. Prima di
salutarci però vorrei citarvi una poesia dell'arabia pre-islamica che per la sua bellezza è considerata
una delle più importanti della letteratura araba, che sia sopravvissuta ai primi austeri e puritani
secoli dell'islam è una dimostrazione di quanto fosse apprezzata anche in tempi radicalmente
diversi, un po' come i romani cristianizzati a lungo non poterono fare a meno di Virgilio,
Orazio e Catullo. L'autore non è un arabo qualsiasi ma un vero principe. Imro al-Qais
era l'ultimo figlio di un re degli arabi detronizzato dai lachmidi di Almundir. Costretto
a causa di questo disastro ad una vita raminga tra la Mesopotamia e la Palestina finì alla corte
dei Gassanidi e poi di qui si recò anche a Costantinopoli dove a quanto pare conobbe di
persona Giustiniano. Morì nel 540 sulla via del ritorno in Arabia e secondo la tradizione è sepolto
ad Ancara dove la sua tomba in teoria esiste ancora oggi. La sua poesia più celebre Fermiamoci
e piangiamo è considerata una delle sette più belle del canone arabo. Imro al-Qais come altri
poeti narra la vita coraggiosa del Beduino di belle donne e grandi avventure nei suoi versi.
Ritrovo questo mondo di confine tra la cosiddetta civiltà dei grandi imperi e il mondo selvaggio
del deserto. Quando penserete dunque agli arabi nei prossimi episodi non pensate alla solita
immagine di nomadi sanguinari e barbari fuori usciti dal deserto. Certo c'è anche quello ma
come abbiamo appreso a conoscere più da vicino i goti riconoscendone infine la loro umanità spero
che questa poesia possa fare lo stesso per gli arabi. Ho dovuto tagliare qualcosa ma spero che
il risultato non ne risenta troppo. Fermatevi e qui piangiamo al ricordo di un accampamento e
della mia bella da tanto tempo perduta. Scirocco e Tramontana hanno spazzato a lungo queste dune,
quegli stessi venti che le avevano un tempo intessute. Ogni traccia è scomparsa, vi sono
solo escrementi di gazzella simili a grani di pepe. I miei compagni arrestano i loro corsieri
accanto al mio e mi gridano non abbatterti Imruikeis, non cedere allo sconforto. Ma come
posso non abbattermi? Come posso non cedere allo sconforto? Il mio pensiero corre già a quel mattino
in cui gli uomini caricavano i cammelli preparandosi al lungo viaggio e io vidi una
izzà per l'ultima volta. Queste mie lacrime possono forse lenire il dolore ma a che serve
ora spanderle su una traccia svanita? Così piangevo, oltre che per lei, per le altre belle
che se ne erano andate via, lasciando dietro di loro un profumo di muschio e di garofano. Lacrime
di passione mi inondavano il volto e la barba, quanti momenti felici. Ripenso a quel giorno,
ad Aragulgul, quando costrinsi le ragazze a uscire nude dall'acqua per riprendersi le loro vesti.
Per ricompensarle dello scherzo uccisi la mia cammella e imbandi un grande banchetto. E che
suavi ricordi, quando scendemmo il deserto dividendo la medesima sella, il palanchino
si inclinava di qua e di là sotto il nostro peso e una izzà mi scuoteva cercando di farmi cadere.
Stai ammazzando il cammello Imru Al-Kais, scendi subito o finiremo entrambi per andare a piedi.
Ed io a lei, allenta le briglie se vuoi ma non allontanarmi da quel frutto che ho colto più
volte. E ancora ricordo quando in cima a una duna lei mi lanciò un giuramento irrevocabile e io le
risposi beffardo. Se hai deciso di lasciarmi sia almeno gentile Unaiza e se qualcosa della mia
persona ti ha infastidito allora strappa il mio cuore dal tuo petto e gettalo via. Ti sbagli se
credi che l'amore che ho per te possa uccidermi, ti sbagli se credi che quelle lacrime siano frecce
che possano fare a brandelli il mio cuore. I suoi parenti mi avrebbero volentieri ucciso se
fossero riusciti a mettermi le mani addosso. Avevano disposto uomini di guardia attorno alla
tenda della ragazza per proteggere il suo onore ma quando le pleia di apparvero in cielo come
collane di perle abilmente superai le sentinelle e penetrai nella sua tenda dove la trovai già
svestita per la notte. Mi disse ridendo in nome di dio Umro Alcais non è possibile trarti in
inganno hai una natura incorreggibile. Uscimmo insieme dalla tenda io la precedevo lei mi
seguiva trascinando una veste sulla sabbia per cancellare le nostre impronte. Scivolammo oltre
il recinto in un luogo segreto tra le dune e quando lei si chinò su di me io l'afferrai
slanciata e pallida dalla vita sottile le gambe levigate bella di seno e di corpo. Levava al mento
con orgoglio il collo sottile come quello di una gazzella i riccioli le piovevano neri sulle spalle
folti come un grappolo di datteri. Fattasi donna nelle sue vesti di fanciulla lei ben sapeva come
incantare anche i più saggi tra gli uomini. Oh Unaizza le follie svaniscono con la gioventù
ma non muta il mio amore per te. Ricordi sembrava che le stelle fossero state inchiodate alle
montagne e le pleiadi legate a solide rocce come onde del mare la notte distendeva i suoi mille
veli su di noi. Che lunga lunghissima notte pareva non volesse dissolversi mai nell'aurora e gli
uccelli non erano ancora usciti dai niti quando di primo mattino mi allontanai a cavallo attraverso
il deserto. Grazie mille per l'ascolto e grazie a Valerio Riccardo Antonio e Caterina per essere le
mie magnifiche voci in questo episodio. Questo podcast appartiene a tutti i miei sostenitori ma
in particolare a livello Giuseppe Verdi, Massimiliano Pastore e Mauro Sammarati e a livello
Dante Alighieri, Musumeci, Manuel Marchio, Marco il Nero, Massimo Ciampiconi, Mike Lombardi, David
Lapostata, Luca Baccaro, Guglielmo De Martino e Daniele Farina. Grazie anche ai Leonardo Da Vinci,
Paolo, Pablo, Ido e Jacopo, Riccardo, Frazemo, Enrico, Alberto, Davide, Andrea Vovola ed Agostini,
Settimio, Giovanni, Cesare, Francesco, Favazza e Cateni, Jerome, Diego, Alancik, Flavio,
Edoardo Vacherre de Natale, Stefano, Luca da Milano e Luca Lanotte, Arianna, Maria Teresa,
John, Fazdev, Norman, Claudio, Marco, Barba King, Alfredo, Manuel, Lorenzo, Corrado, Piernicola,
Totila, Vito, Tascio, Inspaten, Carlo, Matteo, Luigi Loretti e Boselli, Simone, Deborah, Pietro,
Tascani Discovery e Giorgio. Alla prossima puntata!
Sottotitoli e revisione a cura di QTSS
Sottotitoli e revisione a cura di QTSS