Stagione 4 - Episodio 6 (2)
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I due ebbero una figlia, Ashley, nel 1981, e a quel punto Biden in Senato era già diventato qualcuno. Era stato rieletto nel 1978 senza alcuna fatica, come sarebbe successo da lì in poi tutte le volte: Joe Biden nella sua intera carriera non ha mai perso un'elezione. E aveva cominciato a lavorare a progetti di legge importanti, a trattare da pari i suoi colleghi senatori, a sviluppare con loro relazioni spesso umane prima che politiche. Biden lavorò a molte leggi sulla lotta alla criminalità e contro la droga, rafforzò le scuole delle zone più povere del paese, contribuì a mettere fuori legge farmaci pericolosi, e durante le audizioni del Senato mise sotto torchio imprenditori, manager e leader politici locali. Soprattutto, però, Biden si fece notare per come la sua abilità politica sapeva fondersi con le sue qualità umane, per come sapeva costruire contatti e legami proficui con le persone anche solo con una stretta di mano.
Joe Biden è sempre stato un politico da strada. Un venditore, dicono i suoi detrattori; una persona norale, dicono i suoi ammiratori. Di sicuro, per almeno trent'anni in America non ci sono stati politici più abili di Joe Biden nel lavoro più artigianale della politica: stare in mezzo alle persone, ascoltare i loro problemi, ricordarsi i loro nomi e anche i nomi dei loro figli, farle sorridere con una battuta. Convincerle, soprattutto, con tutta una serie di espressioni che negli anni gli sono state associate: “Here's the deal”, “Not a joke”, “I really mean this”, “Folks!”. Biden è sempre rimasto una persona comune, ruspante, alla buona, nonostante il suo prestigio crescente al Senato anno dopo anno: ed è sempre rimasto anche uno dei parlamentari americani più poveri, decidendo di non investire e di non arrotondare con altre attività, come fanno invece molti dei suoi colleghi. Biden è sempre stato anche un politico molto loquace, nonostante la sua balbuzie giovanile, e negli anni si è costruito anche la reputazione di politico simpatico ma che va spesso fuori tema e che dice cose che non dovrebbe dire.
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Queste qualità umane Biden le ha mantenute, nel tempo. Per esempio, è noto che a Biden capiti di dare il suo numero di telefono personale ad alcune delle persone che incontra quando viaggia per gli Stati Uniti, che vanno ai suoi incontri e ai suoi comizi. A volte sono persone che balbettano, e lui gli dice: questo è il mio numero, chiamami, ti do qualche consiglio, ce la puoi fare anche tu. A volte sono persone che hanno affrontato un lutto molto grave e cercano conforto da qualcuno che possa capirli. Le persone poi lo chiamano veramente. E lui risponde al telefono e ci parla, veramente.
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Nel 1987 Joe Biden fece la cosa che uno come lui, giovane com'era, popolare com'era, famoso e amato com'era in tutto il paese, per ragioni politiche ma anche per ragioni personali, avrebbe dovuto fare. Si candidò alla presidenza degli Stati Uniti, e partecipò alle primarie del Partito Democratico.
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Biden annunciò la sua candidatura dalla stazione ferroviaria di Wilmington, non a caso, e all'inizio era considerato tra i favoriti. Era interprete già allora dei sentimenti della pancia del partito, progressista ma pragmatico, abile in campagna elettorale e anche nella raccolta fondi. Se fosse stato eletto, sarebbe diventato presidente a 45 anni: eppure faceva parte del Senato da quando ne aveva 30, era diventato presidente della commissione Giustizia. Era giovane, ma certo non si poteva definire inesperto. Eppure la sua campagna non decollò. Se per essere eletto in Delaware infatti poteva bastargli uno staff composto dai suoi amici più fidati e dai suoi parenti, una campagna presidenziale è tutta un'altra partita. La sua strategia non era chiara, e altri candidati più attrezzati di lui si dimostrarono molto competitivi.
Inoltre, a settembre del 1987 Biden fu accusato di aver plagiato un suo discorso dal discorso dell'allora segretario del Partito Laburista britannico, Neil Kinnock.
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L'accusa era fondata, come avete ascoltato. Imbeccati da questa storia, i giornali accusarono poi Biden di aver plagiato qualche passaggio della sua tesi di laurea: un'accusa da cui poi sarebbe stato scagionato, ma che fece crescere le critiche e alla fine lo portò al ritiro, prima ancora che le primarie cominciassero. Forse vi sembrerà esagerato, ma sì: a quei tempi bastava una cosa del genere per far fallire una candidatura. Col senno di poi, però, Biden fu fortunato. A febbraio del 1988, infatti, dopo aver avuto uno strano e perdurante mal di testa per molti giorni, Biden fu portato d'urgenza in ospedale e operato per un aneurisma al cervello. Tre mesi dopo fu operato di nuovo per un altro aneurisma. Nel frattempo aveva avuto un'embolia polmonare. La sua situazione dopo la seconda operazione era così grave che a un certo punto un prete gli diede l'estrema unzione. In tutto restò per sette mesi in ospedale. Sia lui che sua moglie Jill hanno detto più volte che se Biden fosse rimasto in corsa in quelle primarie, difficilmente si sarebbe fermato per farsi visitare dopo quello strano mal di testa. Lui invece si riprese, e anche molto bene: non ha più avuto simili problemi di salute. Qualche anno fa il suo chirurgo, oggi in pensione, disse: “Joe Biden è l'unico politico con un cervello! Posso dirlo con certezza, perché l'ho visto”.
Biden restò quindi in Senato, dove la sua anzianità gli permetteva di scegliere gli incarichi più importanti e prestigiosi, e lo metteva al centro di qualsiasi negoziato su qualsiasi legge. Biden diventò uno dei parlamentari più importanti, ma percorrere questo tipo di carriera avrebbe avuto un costo sulle sue successive ambizioni, comprese quelle che sta coltivando in questi giorni, in questa campagna elettorale. Non è un caso se bisogna tornare a Gerald Ford, quindi a una persona che diventò presidente praticamente per caso e negli anni Settanta, per trovare un presidente degli Stati Uniti con alle spalle una lunghissima carriera al Congresso. Passare tanti anni in Parlamento, infatti, comporta votare su tantissime leggi diverse, prendere posizione su un sacco di questioni, mettere la faccia su accordi e compromessi che magari in quel momento possono sembrare i migliori possibili, ma sui quali il giudizio non può che cambiare con il passare degli anni.
Oggi Biden si ritrova a candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti dovendo difendere le scelte prese durante quarant'anni di carriera al Senato, nonostante in questi quarant'anni le cose siano cambiate moltissimo. Negli anni Ottanta, per esempio, Biden gestì il passaggio di una legge contro la criminalità che all'epoca fu salutata come un grosso passo avanti, ma che oggi viene giudicata diversamente nel modo in cui comportò l'incarcerazione di molte persone afroamericane. Il fatto che negli anni Novanta disse che per contenere il debito pubblico bisognava contenere anche la spesa per la previdenza sociale gli viene rinfacciato ancora oggi, così come il suo voto a favore della guerra in Iraq. Il modo superficiale con cui nel 1991 trattò le accuse di Anita Hill, una donna che sosteneva di essere molestata dal giudice della Corte Suprema Clarence Thomas, lo ha portato a chiedere scusa ancora pochi mesi fa. Queste zavorre, questi problemi politici, finirono per condizionare anche la sua seconda candidatura alle primarie: quelle del 2008.
Forse non ve lo ricordate, ma Joe Biden si candidò alle primarie del 2008, quelle di Hillary Clinton e Barack Obama. Non si fece notare molto. Commise le sue solite due o tre gaffe. Pagò il suo non essere affatto nuovo, contro un candidato come Obama; e pagò anche il suo non avere risorse economiche, contro una candidata come Hillary Clinton. Arrivò soltanto quinto ai caucus dell'Iowa, e si ritirò. Durante la campagna elettorale però sviluppò un ottimo rapporto con Barack Obama, che vinte le primarie lo scelse come suo vice. Obama era giovane e inesperto: aveva bisogno di un vice che potesse guidarlo nei rapporti col Congresso e che desse al paese una sensazione di tranquillità, sicurezza e competenza. Biden era perfetto. Le doti di politico da strada di Biden, poi, tornarono molti utili al comitato Obama, che infatti lo mandava a fare campagna elettorale nelle zone più rurali del paese e in quelle con una forte classe operaia: i posti in cui Biden è sempre andato per la maggiore. La loro alchimia funzionò benissimo, e ne nacque notoriamente una grande amicizia. Obama ha detto più volte che scegliere Joe Biden come vice è stata la prima e migliore decisione che abbia preso da candidato e poi da presidente degli Stati Uniti.
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Non è che il rapporto tra lui e Obama fosse sempre rose e fiori, eh. E i due impiegarono un po' a conoscersi e capirsi. Ma Obama affidò da subito a Biden le questioni più delicate: dal pacchetto di aiuti per uscire dalla crisi alla guerra in Afghanistan, dalla questione ucraina a quella irachena. E Biden ottenne da Obama di essere l'ultima persona con cui consultarsi prima di prendere una decisione importante. Per otto anni Biden ha interpretato il ruolo del soldato, lui che era abituato a essere un leader del Congresso; ha fatto gioco di squadra, ha incalzato Obama e lo ha aiutato. Il suo ruolo è stato molto commentato: ci sono esperti che considerano Joe Biden uno dei più efficaci e influenti vicepresidenti della storia americana. Ma c'è un episodio del 2012 che permette di dare un po' di sostanza a questa affermazione.
Era maggio, l'elezione era distante sei mesi, e in tutto il paese diventavano sempre più forti i movimenti per chiedere che anche le persone omosessuali potessero sposarsi, come tutte le altre. La posizione ufficiale di Obama e Biden era la posizione del partito: le persone omosessuali non devono essere discriminate dal governo, le unioni civili devono essere aperte tutti, ma il matrimonio è quello tra uomo e donna. Gli esperti davano per scontato che Obama si sarebbe dichiarato favorevole ai matrimoni gay soltanto dopo le elezioni, per evitare che un tema così delicato potesse diventare argomento di campagna elettorale. Ma non avevano tenuto conto di Joe Biden. In aprile, durante un incontro di raccolta fondi a porte chiuse, un uomo gli chiese perché secondo lui non dovesse poter sposare suo marito. La risposta di Biden spiazzò tutti. Biden raccontò di come avesse cambiato idea, nel corso del tempo; di come i suoi nipoti non vedessero niente di sbagliato nel matrimonio tra due persone dello stesso sesso, di come lui stesso non ci vedesse più niente di sbagliato. Due settimane dopo, senza essersi messo d'accordo con il comitato Obama, che nonsi aspettava niente e fu colto completamente di sorpresa, Biden disse la stessa cosa in diretta televisiva.
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Era una grossa notizia: non si era mai visto un vicepresidente superare il proprio presidente su un tema così importante e delicato, peraltro in campagna elettorale. A quel punto la domanda che tutti si facevano era una sola: Obama la pensa come Biden o no? Non fosse altro che per limitare i danni, la risposta di Obama a quel punto non poteva che essere una. L'intuizione di Biden era giusta: serviva uno strattone, e quello strattone non sarebbe stato un problema in campagna elettorale.
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L'amicizia tra Obama e Biden si consolidò anche attraverso la sofferenza. Durante il 2014, infatti, il figlio maggiore di Joe Biden, Beau, scoprì di avere un tumore al cervello. Fu una notizia sconvolgente per l'intera famiglia e naturalmente per lo stesso Joe Biden, che doveva affrontare la grave malattia di suo figlio mentre cercava di fare non un lavoro qualsiasi, ma il lavoro di vicepresidente. Joe Biden ha raccontato più volte di come Obama fosse l'unica persona all'infuori della sua famiglia a essere informato su tutto, durante quei mesi, nonché quella che mise a disposizione l'aiuto più concreto. I Biden non sono mai stati ricchi, e i politici in America non guadagnano tanti soldi. Biden raccontò a Obama che Beau avrebbe dovuto lasciare il suo incarico di procuratore generale in Delaware, e quindi lui e Jill avrebbero venduto la loro casa di famiglia per permettere a suo figlio di curarsi senza pensieri. Obama lo interruppe e gli disse: Non vendere la casa. Te li do io i soldi, ho guadagnato tanto con i libri. Ma non vendere la casa. AUDIO Beau Biden morì a maggio del 2015, a 45 anni. L'intera famiglia Biden passò un anno e mezzo terribile, che Biden ha raccontato nel suo ultimo libro, di cui ho avuto il piacere di tradurre l'edizione italiana. Quel libro si intitola “Papà, fammi una promessa”, e racconta tra le altre cose che prima di morire Beau chiese a suo padre di non lasciarsi andare, di continuare a fare il suo lavoro, e dato che voleva candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti nel 2016, gli chiese di non rinunciare, di candidarsi. Papà, fammi una promessa, gli disse. Joe Biden non mantenne la promessa, nel 2016: dopo mesi di retroscena disse che soffriva ancora troppo per suo figlio, e non era in grado di concentrarsi sulla campagna elettorale. La sua avventura in politica sembrava essersi conclusa con la fine del secondo mandato di Obama, quando ricevette a sorpresa la più alta onorificenza civile degli Stati Uniti, la medaglia della libertà, e con “distinction”, un'ulteriore onorificenza riservata in passato a personaggi del calibro di Ronald Reagan e Giovanni Paolo II. Obama lo definì “Il miglior vicepresidente che l'America abbia mai avuto”. Solo che poi è arrivato Trump. AUDIO Joe Biden ha deciso di candidarsi ancora alla presidenza degli Stati Uniti, per la terza volta, a 77 anni. Nonostante con l'età abbia perso smalto, e non sia più il brillante oratore di prima. Nonostante la zavorra delle tantissime scelte politiche del passato che deve difendere. Nonostante venga descritto come un moderato, quando se non ci fossero Bernie Sanders ed Elizabeth Warren sarebbe il candidato con il programma più progressista della storia recente del Partito Democratico. Nonostante la sua intera filosofia politica, evidentemente figlia della sua carriera, si basi sulla possibilità di ripristinare un antico spirito dell'America ormai perduto, una politica condotta con dignità, onore, razionalità e pragmatismo. Una convinzione secondo molti superata dai tempi, che hanno bisogno invece di politici più aggressivi, più radicali, che trattino i Repubblicani come nemici. Ora, è difficile, ma mettetevi per un attimo nei panni di Joe Biden. Ha avuto una vita che ne contiene quattro. È stato uno dei parlamentari più importanti del paese e vicepresidente per quattro anni. Evidentemente non è guidato dall'ambizione personale, cosa che si può dire anche per il suo principale avversario nel partito, Bernie Sanders. Ha 77 anni, sarebbe anche andato finalmente in pensione, ma nel 2016, nell'anno in cui lui non ha voluto candidarsi nonostante quello che gli aveva chiesto suo figlio, la persona che è diventata presidente si chiama Donald Trump. Un uomo che rappresenta tutto il contrario di quello che ha fatto e ha detto Joe Biden per cinquant'anni di carriera, ma non solo: un uomo che – nell'idea di Biden – minaccia di cambiare radicalmente, di distruggere il paese che lui ha contribuito a costruire per così tanto tempo. Di demolire la riforma sanitaria e l'accordo sul clima, le alleanze internazionali e i diritti delle persone. Ecco: questo è il punto in cui la storia personale di Joe Biden si incastra con la sua candidatura e anche con il momento che attraversano gli Stati Uniti. Questo è il punto in cui capiamo perché questa è la battaglia della vita di Joe Biden. Non sappiamo se funzionerà, dal punto di vista elettorale, ma questo è il messaggio e non potrebbe essere più coerente con il personaggio. Può capitare un grande ostacolo nella tua vita, come la balbuzie o la perdita di una persona cara, di una moglie, di un figlio, di due figli. Ma bisogna ricominciare. Può capitare un grande guaio alla tua carriera, un grande fallimento, ma bisogna rimettersi in pista. Può capitare una grande delusione anche alla tua campagna elettorale, che può cominciare malissimo com'è cominciata questa campagna elettorale di Biden, ma bisogna sapersela mettere alle spalle. Può capitare un incidente come la vittoria di Donald Trump, ma bisogna rimediare. Può capitare di cadere, ma bisogna rialzarsi.